L'AGENZIA DELLE ENTRATE 1. La controversia. La Dagar S.r.l., dopo aver provveduto per i periodi di imposta 2001 e 2002 alla definizione automatica delle annualita' pregresse ai fini IVA ex art. 9 della legge n. 289/2002 ed aver effettuato i dovuti versamenti, nella dichiarazione IVA relativa al periodo 2003 espose un credito, riportato dalla precedente annualita', di euro 146 milioni. Nelle annualita' successive, tale credito fu compensato con l'IVA a debito per anticipi su forniture, fatturati ad altra societa' dello stesso gruppo. L'Agenzia delle entrate, ufficio di Nola, con atto del luglio 2008 ha disconosciuto gli effetti delle dichiarazioni di «condono» presentate dalla societa', in quanto non comprensive di tutti i periodi di imposta ancora accertabili, come invece prescritto dal ricordato art. 9, legge n. 289/2002. La Dagar ha impugnato il diniego e la Commissione tributaria Provinciale di Napoli, ha accolto il ricorso con sentenza 185/02/09 depositata il 31 marzo 2009. Nel 2008 la Guardia di finanza, delegata dalla Procura della Repubblica di Nola, ha effettuato nei confronti della societa' una verifica che si e' appuntata sulla genesi della formazione, nell'anno 2002, del credito IVA di € 146 milioni, riportato nel 2003 e compensato negli anni successivi e che si e' conclusa con processo verbale di constatazione del 25 luglio 2008. La G.d.f., preso atto del diniego del condono, della pendenza del termine utile per l'accertamento del periodo di imposta 2002 (art. 37 del d.l. n. 223 del 2006 in presenza di ipotesi di reato, di cui al d.lgs. n. 74/2000, comportanti l'obbligo di denuncia, ai sensi dell'art. 331 del c.p.p.) delle risultanze del controllo e dell'omessa esibizione della documentazione fiscale, ha ritenuto che la dichiarazione IVA, per l'anno 2002, riportasse operazioni passive fittizie, tali da generare il piu' volte indicato credito. I verificatori hanno anche controllato e contestato le operazioni, effettuate nel 2003, tra la Dagar e una societa' del medesimo gruppo, che avrebbero avuto l'effetto di trasferire a quest'ultima una parte del credito IVA asserito essere inesistente. L'agenzia ha dunque emesso, sulla base di tale p.v.c, nei confronti della Dagar, avvisi di accertamento IVA per gli anni 2002 e 2003 (REK03T401020/2008 e REK03T401021/2008), notificati in data 18 novembre 2008. Avverso tali avvisi in data 9 gennaio 2009 la societa' verificata ha prodotto separati ricorsi, poi riuniti nel presente procedimento, eccependo: l'efficacia preclusiva del condono effettuato per l'anno di imposta 2002 e la conseguente cristallizzazione del credito di imposta; l'inapplicabilita', nella fattispecie, del raddoppio del termine di accertamento ed, in ogni caso, l'incostituzionalita' della interpretazione dell'art. 37 che legittimasse la riapertura dei termini di accertamento con riferimento ad annualita' ormai «cristallizzate» e «stabilizzate»; l'inapplicabilita' della proroga biennale per l'accertamento ai sensi dell'art. 10 della legge n. 289/2002; l'illegittimita' dell'accertamento per violazione dei termini di durata della visita fiscale; l'inefficacia probatoria in ambito tributario degli atti istruttori acquisiti nel processo penale per carenza di autorizzazione del p.m.; l'infondatezza nel merito dell'accertamento non essendo mai state verificate le operazioni giudicate inesistenti; la disapplicazione delle sanzioni per carenza di responsabilita' (art. 6 d.lgs. n. 472/1997). Si e' costituita l'agenzia opponendo: la nullita' del condono e la sua inefficacia preclusiva rispetto alla controversia in esame; la tempestivita' dell'esercizio del potere di accertamento per l'anno di imposta 2002 legittimato dal raddoppio dei termini ex art. 37 del d.l. n. 223/2006; la legittimita' del recupero fiscale relativo al 2002 nonostante il condono; l'infondatezza della eccepita decadenza dai termini per l'esercizio dell'attivita' impositiva; la sufficienza della motivazione sposta a sostegno dell'atto impugnato; l'infondatezza delle eccezioni finalizzate alla disapplicazione delle sanzioni e carenza di responsabilita' solidale; la fondatezza dei rilievi posti a base del recupero fiscale effettuato. 2. Oggetto dello scrutinio di costituzionalita' e fonti normative. La controversia attiene alla confusione esegetica e conseguenti pregiudizi del diritto di difesa del contribuente derivati dall'incertezza normativa conseguente alla disorganica sovrapposizione dei termini di decadenza per gli accertamenti (non coordinati con sufficiente chiarezza) introdotti nell'ordinamento giuridico per effetto del comma inserito dall'art. 37, comma 25 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223. La materia dei termini per l'accertamento era regolamentata dall'originaria formulazione dell'art. 57 del d.P.R. n. 633/1972 la quale, nel fissare un sistema binario di termini perentori per l'accertamento, ne statuiva la decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero del quinto anno per le sole ipotesi di omissione della dichiarazione. Tale disciplina, con decorrenza dal 4 luglio 2006, e' stata modificata ed integrata dall'art. 37, comma 25 del d.l. n. 223 del 2006 (convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248) che ha novellato l'impianto dell'art. 57 del d.P.R., con l'aggiunta di un terzo comma, in base al quale, le due tipologie di termini di decadenza relativi ai periodi della violazione sono state raddoppiate «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74». Alla data del 31 dicembre 2007 la Dagar, spirato il quarto anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione (anno 2003), ha ritenuto che fosse decorso in via definitiva, ai sensi del primo comma dell'art. 57 del d.P.R. n. 633/1972, il termine ordinario di decadenza per la notifica dell'avviso di rettifica dell'anno 2002 in materia di IVA. La contribuente, tuttavia - stante la verifica della G.d.f. avviata nel successivo anno 2008, con la conseguente ipotesi di reato, di cui al d.lgs. n. 74/2000 e l'obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. - si e' vista applicare, relativamente al 2002, il raddoppio del termine di quattro anni, per la notifica dell'avviso di accertamento, ex comma 3, dell'art. 57 DP n. 633/1972. Nel caso concreto gli organi verificatori, ancorche' fosse decorso il termine quadriennale ordinario, hanno aperto un'istruttoria su di un periodo «decaduto» (2002), verificando l'eventuale sussistenza di illeciti penali tributari. L'oggettivita' e la predeterminazione del sistema delle decadenze potrebbero, in questa prospettiva, aver subito uno scossone per effetto della emanazione del d.l. n. 223/2006 che, con l'art. 37, comma 25, avrebbe sganciato la predeterminazione oggettiva del termine per gli accertamenti, rimettendone la fissazione alla discrezionalita' degli uffici. 3. La rilevanza della questione. Nella controversia in esame, per la decisione del ricorso proposto dalla societa', la commissione decidente deve fare riferimento all'art. 57 del d.P.R. n. 633/1972, nel testo modificato dall'art. 37, comma 25 del d.l. n. 223/2006. Dalla sussistenza o meno, in tale norma, di un sistema coerente con le regole costituzionali ovvero dalla sua incompatibilita', consegue la soluzione della controversia stessa. 4. La non manifesta infondatezza. L'incidente di costituzionalita' che la commissione sottopone al vaglio della Corte investe la vigente formulazione dell'art. 57 del d.P.R. n. 633/1972 che oggi - per effetto dell'art. 37, comma 25 del d.l. n. 223 del 2006 - non contiene piu' un sistema neutro, affidabile ed oggettivo di termini di decadenza per la notifica degli accertamenti. L'originario impianto normativo, ispirato non solo alla tutela dell'interesse pubblico, ma anche alla garanzia del diritto di difesa e dell'affidamento di cui e' portatore il contribuente - conteneva una ragionevole e percepibile regolamentazione delle decadenze dall'accertamento, correlata ad un dato cronologico intrinsecamente oggettivo. L'iniziativa fiscale, infatti, andava attuata entro il quarto anno successivo alla dichiarazione debitamente presentata, ovvero entro il quinto nell'ipotesi di omissione. La novella del 2006, facultando l'amministrazione - in assenza di condizioni astrattamente predeterminate dal legislatore - a «raddoppiare» i termini innanzi richiamati, ha finito per introdurre un'anomala disciplina che, per un verso, ha sostanzialmente prorogato/riaperto anche termini scaduti (ai sensi dell'art. 37, comma 26, infatti, la disposizione si applica a decorrere dal periodo di imposta per il quale al 4 luglio 2006 sono ancora pendenti i termini di cui alla norma innovativa) e, per altro e piu' preoccupante verso, ha spalancato una incongrua ed irragionevole breccia nella predeterminazione giuridica della fattispecie. Una consolidata giurisprudenza di legittimita' in materia tributaria ha sempre ribadito che la previsione di termini perentori e la loro chiarezza costituiscono una esigenza costituzionale funzionale alla tutela del diritto di difesa (Cass. Civ. n. 10/2004 e n. 7662/1999), sicche' la relativa violazione va attentamente verificata per i pregiudizi che determina o puo' determinare a diritti costituzionalmente garantiti. L'innovazione normativa in discorso, dunque, appare non manifestamente infondata sul piano della violazione del criterio di «ragionevolezza» rispetto all'art. 3 della Costituzione, soprattutto se letta alla luce della prescrizione secondo cui «i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati» (art. 3, ultimo comma, della legge n. 212/00 - Statuto del contribuente); tale ultima norma infatti, per quanto sia una legge ordinaria, che non puo' precludere l'applicazione di altra legge (Cass. Civ. 13 ottobre 2009, n. 21718), ha pur sempre introdotto nell'ordinamento tributario principi generali, applicativi degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione. Se l'intenzione sottesa alla proroga/dilatazione enunciata nella relazione governativa era quella «di garantire la possibilita' di utilizzare per un periodo piu' ampio di quello ordinario gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotte dall'autorita' giudiziaria» sembrerebbe evidente che il comma 3 dell'art. 57 - laddove non ha tradotto nel testo letterale che il raddoppio dei termini ordinari e' condizionato all'avvio dell'eventuale azione penale prima della consumazione degli ordinari termini di decadenza (commi 1 e 2) - frustra l'oggettivita' dei suddetti termini di decadenza, con il tradire l'imparzialita' dell'azione amministrativa e con l'esporre il contribuente, che in buona fede ritenga esaurito il rapporto di imposta, all'alea di una eventuale riapertura sostanziale dei termini, a seguito di un'azione posta in essere dall'ufficio, magari su elementi puramente indiziari e strumentalmente enfatizzati, per consentirne la riconduzione tra quelli che comportano l'obbligo di denuncia. L'A.F., in questa prospettiva e non senza una stridente contraddizione di ragionevolezza, cumulerebbe il doppio antitetico ruolo di organo verificatore (pienamente legittimo) e di soggetto-arbitro, chiamato a fissare i termini di decadenza attraverso l'esercizio, non controllabile, del potere di denuncia. Una tale previsione non appare manifestamente infondata sotto il profilo di una possibile violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza, soprattutto considerato che l'iniziativa dell'accertamento risulta totalmente svincolata dallo stesso esito finale dell'azione penale. Ma la possibile irragionevolezza della norma ed i pregiudizi a diritti costituzionali che deriverebbero dalla enfatizzazione del dato testuale, non si fermano a quanto fin qui detto. L'art. 22 del d.P.R. n. 600/1973 vincola i contribuenti alla conservazione delle scritture e dei documenti contabili fino alla definizione degli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta, per cui ben potrebbe verificarsi il caso che un contribuente, decorso il termine di cui al comma 1 del piu' volte citato art. 57, non conservi piu' la documentazione contabile, ritenendo esaurito il rapporto relativo all'anno non piu' accertabile trovandosi, successivamente a doversi difendere, per la medesima annualita', a seguito di semplice denuncia, per presunte ipotesi di reato, di cui al d.lgs. n. 74/2000, presentata dall'ufficio in epoca successiva e cio' a prescindere dal futuro esito della predetta denuncia. Cio' contrasterebbe apertamente con il principio costituzionale di cui all'art. 24, del diritto alla difesa, in ragione della indeterminata soggezione del contribuente all'azione esecutiva del fisco (C. costituz. sent. n. 280/2005). Ulteriore dubbio sulla costituzionalita' dell'art. 57, come modificato dal d.l. n. 223/2006, deriva dal fatto che il raddoppio dei termini, di cui al comma 3, rappresenta sicuramente un provvedimento di natura sanzionatoria, ancorche' non rappresentato espressamente in forma di sanzione, che si applica in presenza di ipotesi di reato per le quali sussista l'obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. Cio' comporta che, laddove non viene prevista l'applicazione della nuova formulazione dell'art. 57, comma 3 (2006), alle sole annualita' successive alla sua entrata in vigore, saremmo in presenza di applicazione retroattiva di una norma, sostanzialmente di natura 15 sanzionatoria, in violazione dell'art. 25 della Carta costituzionale. Nel caso che ci occupa, in conclusione, l'ambigua norma risultante dalla novella del 2006 sembra aver introdotto una previsione che, oltre a collidere con il sistema di certezza dei rapporti giuridici, contrasta con le stesse finalita' ispiratrici della legge di riforma sicche' la questione di legittimita' costituzionale appare non manifestamente infondata, in considerazione dei dubbi sopra esposti.