IL GIUDICE DI PACE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale nel procedimento a carico dell'imputato ritenuto che: 
1) In punto di rilevanza. 
    La questione sollevata e sicuramente rilevante poiche' l'imputato
e chiamato a rispondere del reato di ingresso/soggiorno illegale  nel
territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10-bis d.lgs.  286/98.  Non
solo, ma nel caso di specie va sottolineato che sussiste in  concreto
la  ricorrenza  della  causa  di  giustificazione  del  «giustificato
motivo»  cosi'  come  descritta  dalla  giurisprudenza  che   si   e'
consolidata in materia di applicazione del delitto sub art. 14  comma
5-ter. 
2) In punto di non manifesta infondatezza. 
    A) Violazione dell'art. 3 della  Costituzione  sotto  il  profilo
della irragionevolezza della  scelta  legislativa  di  criminalizzare
l'ingresso e la permanenza dei clandestini nel territorio dello Stato
pur in presenza di altri rimedi normativi. 
    La  penalizzazione  della  condotta  dovrebbe  intervenire  quale
estrema ratio in tutti i caso in cui non  sia  possibile  individuare
altri  strumenti  idonei  a  raggiungere   lo   scopo.   L'obbiettivo
perseguito   dalla   nuova   fattispecie   penale    e'    costituito
dall'allontanamento dello stranieri irregolare dal  territorio  dello
Stato.  Tale  obbiettivo  e'  stato  pero'   previsto   in   svariate
previsioni, accessorie alla fattispecie  penale,  aventi  ad  oggetto
proprio l'espulsione dello straniero: tale misura  e'  prevista  come
sanzione  sostitutiva  irrogabile  dal  Giudice  di  pace  ai   sensi
dell'art.  16  d.lgs.  n.  286/87,   appositamente   modificato   per
ricomprendervi, tra i presupposti, la sentenza  di  condanna  per  il
reato di cui all'art. 10-bis. Infatti  l'effettiva  espulsione  dello
straniero in via amministrativa costituisce causa di improcedibilita'
dell'azione penale. La finalita' della nuova  norma,  incriminatrice,
ovvero l'allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato, e
gia' stata perseguita dalla normativa amministrativa  e  pertanto  ad
essa si sovrappone mancando  cosi'  la  ratio  giustificatrice  della
creazione di una fattispecie penale per far  rispettare  un  precetto
che e' stato invece gia' disciplinato da  altre  norme  di  legge  in
vigore nel nostro ordinamento in  particolare  quindi  l'art.  10-bis
coincide con  l'ambito  di  applicazione  della  preesistente  misura
amministrativa dell'espulsione sia  sotto  il  profilo  dei  soggetti
destinatari  sia  sotto  il  profilo  della   ratio   giustificativa,
l'adozione del precetto penale appare cosi' inutile. 
    B) Violazione  dell'artt.  3  e  27  della  Costituzione  per  la
irragionevole disparita' di trattamento fra la  fattispecie  regolata
dall'art 10-bis e quella di cui all'art. 14, comma 5-ter,  d.lgs.  n.
286/98. 
    La giurisprudenza della suprema Corte ha rilevato che la clausola
«senza giustificato motivo» copre tutte le ipotesi di  impossibilita'
o  grave  difficolta'  per  cui  l'ordine  non  sia  eseguibile   per
impedimento  soggettivo  ed  oggettivo  senza  colpa   del   migrante
irregolare (es. mancato rilascio dei  documenti,  assenza  di  validi
documenti  per  l'espatrio,  indigenza  tale  da  non  consentire  di
acquistare un biglietto aereo) circostanze che,  pur  non  integrando
cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero
di prestare  osservanza  all'ordine  di  allontanamento  nei  termini
prescritti.  Quindi  la  suprema  Corte  giustifica  un   trattamento
sanzionatorio cosi'  severo  proprio  perche'  la  norma  prevede  un
precetto limitato dal momento che vanno escluse tutte le  ipotesi  di
giustificato motivo  intese  in  senso  ampio,  tale  conclusione  ed
interpretazione della norma impedisce di ritenere che il  legislatore
abbia incriminato condotte che l'autore non era in concreto in  grado
di evitare e che quindi abbia imposto un precetto penale  a  condotte
inesigibili. 
    Premesso cio', la questione di costituzionalita' deve esser posta
con riferimento alla ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra
coloro che incorrono  in  una  delle  due  fattispecie,  infatti  per
l'ipotesi della contravvenzione non e' prevista l'applicazione della.
clausola  di  salvaguardia  del  «giustificato  motivo»,  mentre  per
l'ipotesi del delitto e' prevista l'applicazione  di  tale  causa  di
giustificazione di cui all'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98. 
    La differenza di trattamento non si giustifica  per  la  maggiore
gravita' del fatto punito a titolo di contravvenzione, che  anzi  non
si puo' dubitare che invece si tratti di ipotesi di reato sussidiario
rispetto al delitto e percio' prevede e punisce una fattispecie  meno
grave. Non appare quindi ne' comprensibile ne' ragionevole il  motivo
del diverso trattamento delle due fattispecie  entrambe  omissive  ed
anzi tali da realizzare in concreto una stessa condotta  di  illecito
trattenimento nel territorio dello Stato. 
    Tuttavia  tale  situazione  non  pare   possa   legittimare   una
interpretazione secondo il principio del favor rei ovvero si  applica
la causa di  giustificazione  anche  al  reato  contravvenzionale  in
virtu' del principio sopra esposto. La fattispecie astratta descritta
dal legislatore  non  consente  tale  interpretazione  estensiva  del
«senza giustificato motivo» e resta pertanto esclusa la  possibilita'
di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. 
    La mancata attribuzione di rilevanza nella nuova  fattispecie  ad
eventuali motivi che possano giustificare il trattenimento  illegale,
e'  del  tutto  in  contrasto  con   quanto   scritto   dalla   Corte
costituzionale nelle sentenze n. 5 del 2004 e nella successiva n.  22
del 2007 dalla cui lettura emerge la necessita' di ritenere la  causa
di giustificazione un elemento (negativo) del fatto, essenziale della
fattispecie penale,  perche'  solo  la  sua  previsione  consente  di
superare ogni obiezione e ritenere costituzionalmente  orientata  (ai
sensi dell'art.  27  della  Cost.)  l'incriminazione  della  condotta
omissiva. 
    Per maggior chiarezza  e'  opportuno  riportare  qui  di  seguito
quanto espresso dalla Corte nella sentenza n. 22 del 2007  nel  punto
in cui fa riferimento all'argomento trattato: 
    «quanto all'eccessivo rigore della norma censurata, lamentato  in
gran parte delle ordinanze di rimessione,da  cui  si  dedurrebbe  una
irragionevolezza intrinseca della norma stessa, si deve  innanzitutto
ricordare  che  questa  Corte,   conformemente   alla   sua   recente
giurisprudenza (sentenza n. 4 del 2004; ordinanze n.  302  e  80  del
2004), ha sottolineato "il ruolo che, nell'economia applicativa della
fattispecie criminosa, e' chiamato a svolgere il  requisito  negativo
espresso dalla formula "senza giustificato  motivo",  presente  nella
descrizione del fatto incriminato dal citato  comma  5-ter  dell'art.
14". Tale formula, secondo la citata giurisprudenza, copre  tutte  le
ipotesi di impossibilita' o di grave difficolta' (mancato rilascio di
documenti da parte dell'autorita' competente, assoluta indigenza  che
rende impossibile l'acquisto di biglietti di viaggio ed altre  simili
situazioni), che pur non integrando le cause  di  giustificazione  in
senso tecnico, impediscono  allo  straniero  di  prestare  osservanza
all'ordine di allontanamento nei termini prescritti». 
    Neppure puo' esser da solo sufficiente a  giustificare  lo  stato
dei fatti  il  rispetto  per  la  discrezionalita'  del  legislatore,
infatti la sentenza n. 22 del 2007, a tal proposito precisa che:  «il
sindacato di costituzionalita' puo'  investire  le  pene  scelte  dal
legislatore solo se si appalesi una evidente  violazione  del  canone
della ragionevolezza, in quanto ci si trovi di fronte  a  fattispecie
di  reato  sostanzialmente  identiche,  ma   sottoposte   a   diverso
trattamento sanzionatorio». 
    Nel caso di  specie  e  evidente  che  qui  ricorra  proprio  una
evidente violazione del canone della ragionevolezza in quanto  ci  si
trova di fronte a  fattispecie  di  reato  sostanzialmente  identiche
sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio ma con una  previsione
che finisce, in concreto, per esser molto piu' rigorosa per il  reato
che dovrebbe essere quello meno grave avendo natura  sussidiaria.  Si
riscontra  quindi  una  sostanziale   parziale   identita'   fra   le
fattispecie prese in considerazione e si rileva invece come nel  caso
in esame una sproporzione sanzionatoria che penalizza non le condotte
piu' gravi ma che e' invertita rispetto a tale criterio,  circostanza
che richiede un  intervento  di  riequilibrio  e  che  giustifica  il
giudizio  di  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    C)  violazione  degli  artt.  2,  3,   25 secondo   comma   della
Costituzione dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98  avuto  riguardo  alla
configurazione di  una  fattispecie  penale  discriminatoria  perche'
fondata su particolari condizioni personali  e  sociali  anziche'  su
fatti  e  comportamento  riconducibili  alla  volonta'  del  soggetto
attivo. 
    Oggetto dell'incriminazione e' la mera condizione personale dello
straniero costituita dal mancato possesso di  un  titolo  abilitativi
all'ingresso ed  alla  successiva  permanenza  sul  territorio  dello
stato, che e' poi anche la condizione tipica del migrante economico e
dunque una condizione sociale propria di una determinata categoria di
persone. 
    Si tratta di una condizione priva  di  una  significativita'  sul
piano penale sotto il profilo della pericolosita' sociale, tanto che.
la stessa Corte costituzionale nella sentenza  n.  22/2007  dice  che
l'ingresso  e  la  presenza  illegali  nel  territorio  statale   non
costituiscono di per se' stessi  fatti  lesivi  di  un  qualche  bene
meritevole di tutela penale; tale condizione inoltre  e'  spesso  non
riconducibile  ad  una  condotta  volontaria  e   consapevole   dello
straniero.  La  criminalizzazione  quindi  del  migrante  appare   in
contrasto con il principio di uguaglianza sancito  all'art.  3  della
Costituzione che vieta ogni  discriminazione  fondata  su  condizioni
personali e sociali sia con la fondamentale  garanzia  costituzionale
secondo cui si puo' essere puniti solo per fatti materiali - art.  25
comma 2 della Costituzione - e non per questioni attinenti al proprio
status. 
    La Corte costituzionale si  e'  gia'  espressa  sul  punto  nella
sentenza n. 78 del  2007  in  tema  di  applicabilita'  delle  misure
alternative alla detenzione agli stranieri  clandestini  quando  dice
che «il mancato possesso di un titolo abilitativi alla permanenza nel
territorio dello Stato» costituisce una «condizione soggettiva che di
per  se'  non  e'  univocamente  sintomatica   di   una   particolare
pericolosita'    sociale».    Da    tale    affermazione     consegue
l'impossibilita' di individuare  nella  esigenza  di  rispetto  delle
regole in  materia  di  ingresso  e  soggiorno  in  detto  territorio
nazionale una ragione giustificativa della  radicale  discriminazione
dello straniero sul piano dell'accesso al percorso rieducativi cui la
concessione  delle  misure  alternative  e'  funzionale.   La   nuova
fattispecie, fra le altre, renderebbe cosi' del  tutto  inapplicabile
la citata sentenza della Corte cost. e dunque inaccessibili le misure
alternative alla detenzione per gli stranieri clandestini  condannati
a pene detentive. Peraltro le  condizioni  cui  e'  giunta  la  Corte
costituzionale sono la conclusione di un  percorso  storico  iniziato
nel 1968 con l'abolizione dell'art. 708 c.p. limitatamente alla parte
in cui faceva riferimento alle condizioni personali di condannato per
mendicita';  nel  1971   veniva   poi   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 707 c.p. limitatamente  alla  parte  in  cui
faceva riferimento alle stesse condizioni soggettive. 
    Per quanto riguarda il contrasto con l'art. 2 della  Costituzione
si  evidenzia  come  l'articolo  sancisca  il  riconoscimento   della
garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo e  richiede  l'adempimento
dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  economica,  politica   e
sociale. 
    Proprio   in   ottemperanza   a   questo   principio   la   Corte
costituzionale dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del reato di
medicita' dove lo status di indigenza poteva esser eliminato  facendo
leva sulla solidarieta'. Allo stesso modo  lo  spirito  solidaristico
sempre  presente  nella  Carta  costituzionale,   dovrebbe   impedire
l'adozione di misure meramente repressive per risolvere  il  problema
dell'immigrazione. 
    Tali principi solidaristici, oltre ad esser sanciti nella  nostra
Costituzione, sono anche principi  internazionalmente  accolti  nelle
piu' importanti convenzioni internazionali.