IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel procedimento n. 274/09 R.G. a carico dell'imputato Dos Santos
Costa Sylvio all'udienza del  25  febbraio  2010  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale  dell'art.
10-bis d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dall'art. 1, comma 16 legge
15 luglio 2009, n. 94 in relazione all'art. 2, 3 primo comma  e  art.
25 secondo comma Cost. 
    Premesso che: 
        la  difesa  dell'imputato  ha  sollevato  la   questione   di
legittimita' costituzionale della norma suddetta  per  contrasto  con
l'art. 3 Cost. in quanto l'art. 10-bis cit. violerebbe  il  principio
di ragionevolezza, e punirebbe lo status di  clandestino  e  non  una
condotta,  nonche'  con  1'art.  24  Cost.  in  quanto   l'espulsione
pregiudicherebbe il diritto di difesa. 
    Ritenuto che: 
        in punto di rilevanza, l'imputato e' stato tratto a  giudizio
per rispondere del reato di soggiorno illegale nel  territorio  dello
Stato italiano, ai sensi dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98, in quanto
si e' intrattenuto nel nostro paese privo di qualsivoglia  titolo  di
soggiorno, e la questione sollevata e' quindi rilevante ai  fini  del
decidere, in quanto la condotta ascritta al Dos Santos  Costa  Sylvio
deve essere qualificata giuridicamente come  reato  p.e.p.  dall'art.
10-bis cit. e risulta documentalmente provata la illegittima presenza
dello straniero nel territorio nazionale. 
    In punto di non manifesta infondatezza, si osserva quanto segue. 
    1) La norma in esame appare in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,
sotto il profilo della irragionevolezza. 
    Pur nel rispetto infatti del potere discrezionale del legislatore
di  regolare  la  materia  dell'immigrazione  tenendo   conto   della
complessita' dei problemi collegati ai flussi migratori,  si  ritiene
che   tale   potere   trovi   comunque   dei   limiti    insuperabili
nell'osservanza  dei  principi  fondamentali   del   sistema   penale
stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a
canoni di ragionevolezza e razionalita' finalistica. In  particolare,
la fattispecie criminosa in oggetto appare  irragionevole  in  quanto
priva di  fondamento  giustificativo  e  dunque  del  tutto  inutile,
essendo presenti nel nostro  ordinamento  altri  strumenti  normativi
idonei al raggiungimento del medesimo scopo.  La  ratio  della  nuova
disciplina in esame e' infatti esclusivamente l'allontanamento  dello
straniero clandestino dal nostro territorio - vedi art. 16 d.lgs.  n.
286/98,  in  cui  l'espulsione  e'  prevista  appunto  come  sanzione
sostitutiva, nonche' art. 10-bis n. 5 d.lgs. cit., in cui il  giudice
deve  pronunciare  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  una  volta
acquisita  la   notizia   dell'esecuzione   dell'espulsione   o   del
respingimento - sovrapponendosi cosi'  all'espulsione  amministrativa
di cui agli artt. 13 e ss. d.lgs. n.  286/98,  procedimento  tutt'ora
operante, che e' finalizzato appunto a perseguire lo stesso scopo del
nuovo reato de quo. L'ambito di applicazione  dell'art.  10-bis  cit.
appare infatti perfettamente coincidente con la  procedura  demandata
alle   Autorita'   amministrative,   previa   convalida    in    sede
giurisdizionale, in quanto risultano  imputati  i  medesimi  soggetti
che, avendo violato gli artt. 13 e ss. del T.U., sono espulsi tramite
decreto dal Prefetto competente, e allontanati dal nostro  territorio
mediante accompagnamento alla frontiera per opera  del  Questore.  La
sanzione penale dovrebbe invece essere prevista per  una  determinata
fattispecie solo quale extrema ratio, quando cioe' il legislatore non
abbia  potuto   individuare   altri   strumenti   efficaci   per   il
conseguimento della medesima finalita',  e  sia  dunque  costretto  a
ricorrere alla  penalizzazione  di  condotte  in  nessun  altro  modo
prevenibili e sanzionabili. 
    2) L'art. 10-bis cit. appare inoltre in contrasto  con  l'art.  3
Cost. sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza,
e con l'art. 25 comma 2 Cost., sotto il profilo della violazione  del
principio di materialita',  risultando  configurata  una  fattispecie
penale discriminatoria fondata su particolari condizioni personali  e
sociali,  anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili   alla
volonta' del soggetto attivo. 
    L'ingresso o il soggiorno illegali in Italia sono  stati  infatti
gia' regolati dettagliatamente dal T.U.  cit.,  che  ha  disciplinato
tutti  i  presupposti  in  presenza  dei  quali  lo  straniero   puo'
legittimamente trattenersi nel nostro territorio, e tutte le  ipotesi
in cui invece deve essere allontanato, in quanto non in regola con le
norme  che  ne  consentono  la  permanenza.  L'art.  10-bis  cit.  ha
l'effetto quindi di incriminare una condotta di per  se'  irrilevante
agli effetti penalistici e gia' disciplinata in via amministrativa  -
atteso che l'ingresso o il soggiorno irregolari non ledono alcun bene
meritevole di tutela penale, ne'  sono  di  per  se'  sintomatici  di
pericolosita' sociale, come ricordato dalla sentenza n.  78/07  della
Corte  costituzionale  in  tema  di   applicabilita'   delle   misure
alternative  alla  detenzione  agli  stranieri  clandestini  -  e  di
criminalizzare invece lo status dello straniero privo di permesso  di
soggiorno o  di  altro  analogo  titolo,  colpendo  pertanto  la  sua
condizione personale e sociale, comune a tutti i migranti  economici,
che lasciano il proprio stato di appartenenza per reali necessita' di
sopravvivenza. 
    3) Il reato in oggetto appare infine in contrasto  con  l'art.  2
Cost. - che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica,  economica  e  sociale  -  poiche',   con   la   previsione
indiscriminata dell'illecita' penale  dell'immigrazione  clandestina,
si provocherebbe il mutamento  dell'atteggiamento  dei  cittadini  in
senso contrario alla societa'  aperta  e  solidale,  costruita  sulla
promozione di coloro  che  versano  in  condizioni  svantaggiate.  In
questo senso si e' peraltro gia'  espressa  la  Corte  costituzionale
nella  sentenza  n.   519/1995,   con   cui   e'   stata   dichiarata
l'incostituzionalita' del reato di mendicita', sottolineando  che  la
mera mendicita' non invasiva, paragonabile ad una richiesta  d'aiuto,
non poneva  in  pericolo  i  beni  giuridici  della  tranquillita'  e
dell'ordine pubblico. 
    4) La normativa in oggetto non appare  invece  in  contrasto  con
l'art. 24 Cost. sotto il profilo dedotto dalla difesa  dell'imputato,
in quanto l'art. 17 del T.U. cit. prevede per  lo  straniero  espulso
ancora  imputato  in  un  procedimento  penale   l'autorizzazione   a
rientrare  nel  territorio  nazionale  per  il   tempo   strettamente
necessario  per  l'esercizio  del  diritto  di  difesa,  al  fine  di
partecipare al giudizio o comunque compiere gli atti per i  quali  e'
necessaria la sua presenza.