IL GIUDICE DI PACE 
 
    Tanto premesso, questo  giudicante,  rileva  che  dal  su  esteso
ricorso emerge, al fine del decidere, la necessita' di  riconsiderare
la posizione soggettiva del proprietario  di  un  veicolo,  il  quale
debba fare la dichiarazione di cui all'art. 126-bis del codice  della
strada, nella nuova formulazione introdotta con la legge n. 286/2006. 
    Il predetto riesame, si rende necessario sia per  il  profilo  di
possibile illegittimita' invocato dalla difesa della  ricorrente  sia
sotto altro aspetto rilevato da questo giudice ed  emerso  a  seguito
della emanazione della sentenza n. 17348, avvenuta l'8 agosto 2007, a
cura della II sez. civ. della  Corte  di  cassazione,  in  cui  viene
fornita un'interpretazione dell'art. 126-bis del C.d.s. che,  rimette
in  discussione  la  legittimita'  della  norma  per  conflitto   con
l'inviolabilita' del diritto di  difesa  di  cui  all'art.  24  della
Costituzione. 
    Tale diritto va riconosciuto anche al proprietario di un  veicolo
autore di un  illecito  che  prevede  la  sanzione  accessoria  della
decurtazione di punti della patente di guida, sotto il profilo  della
facolta' di non rendere dichiarazioni autoaccusatorie. Principio piu'
efficacemente espresso dal noto broccardo: nemo tenetur se detegere. 
    Non si tratta, evidentemente,  di  riproporre  la  questione  nei
medesimi  termini  in  cui  era  gia'  stata  respinta  dalla   Corte
costituzionale con la sent. n. 27/2005  ma,  al  contrario,  come  si
chiarira' meglio infra, di effettuante una  rivisitazione  alla  luce
della sentenza della s.c. sopra richiamata, in  relazione  ai  motivi
per cui il giudice delle leggi l'aveva ritenuta infondata. 
    In  breve,  la  Corte  costituzionale  aveva  affermato  al  capo
9.1.2.della predetta sentenza n. 27/2005, che  i  dubbi  dei  giudici
rimettenti si basavano su  un'inesatta  esegesi  del  dato  normativo
Appariva difatti incontestabilmente, dalla lettura della  norma,  che
per «definizione della contestazione effettuata»  dovesse  intendersi
che si fossero conclusi i procedimenti dei ricorsi  amministrativi  o
giurisdizionali ammessi, ovvero che fossero «decorsi i termini per la
proposizione dei medesimi». 
    Ne  discendeva  quindi,  che  tra  il  verbale   che   chiameremo
«presupposto» e la necessita' di dichiarare da parte del proprietario
del  veicolo  i  dati  della  patente  del  conducente   al   momento
dell'infrazione,  ci  fosse  una  stretta  connessione  e   che,   in
particolare, il termine per fare la  dichiarazione  dipendesse  dallo
spirare di quello fissato per la definizione dei ricorsi o della loro
proposizione . 
    Giova ricordare che il termine per la proposizione dei ricorsi e'
di sessanta giorni dalla notificazione del  verbale  che  si  intende
opporre (quello «presupposto», nella fattispecie). 
    La sentenza n. 17348/2007 sopra  richiamata,  sebbene  sia  stata
emanata avendo riguardo ad aspetti  diversi  da  quelli  relativi  al
diritto di difesa del ricorrente, ha  evidenziato  un'interpretazione
dell'art. 126-bis, 2° comma sia nella formulazione  risultante  dalla
sent. n. 27/2005 della Corte costituzionale,  che  in  quella  nuova,
introdotta dalla legge n. 286/2006 che, a parere di  questo  giudice,
ripropone la questione della lesione del diritto sancito dall'art. 24
della Costituzione. 
    In particolare, la sent. n. 17348 citata, stabilisce il principio
che l'illecito di cui all'art. 126-bis, 2° comma C.d.s. e' istantaneo
e che si consuma nel termine di sessanta giorni  dalla  notificazione
del verbale (presupposto). 
    Ne discende che, avendo riguardo solo a cio' che ci  interessa  e
cioe' alla  lesione  del  principio  nemo  tenetur  se  detegere,  il
proprietario del veicolo  interessato  alla  dichiarazione  dei  dati
della patente di guida del conducente autore della violazione di  cui
al  verbale  presupposto,  debba  necessariamente  fare  la  predetta
dichiarazione ex art. 126-bis, nello stesso termine (pari a  sessanta
giorni) di cui dispone per la proposizione dei ricorsi. 
    Insomma,  nel  medesimo  lasso  di  tempo  di  cui  dispone   per
difendersi, il proprietario di un veicolo deve, se non vuole  violare
l'art. 126-bis citato, qualora non intenda  accusare  terze  persone,
autoaccusarsi, nei confronti dell'organo che  gli  ha  notificato  il
verbale presupposto. Tale organo e'  il  medesimo  che  eventualmente
resistera' in giudizio contro di lui, per cui  il  ricorrente  dovra'
rivelargli i dati personali e  della  patente  del  conducente  prima
della definizione del giudizio. 
    In tal modo, viene irrimedialmente leso il suo diritto di difesa,
costituzionalmente garantito. 
    La costruzione dell'illecito di cui all'art. 126-bis  C.d.S.  nei
modi e nei termini prospettati cui alla sent.  n.  17348  della  s.c.
viene a trovarsi,  a  parere  di  questo  giudicante,  «in  rotta  di
collisione» con l'ultima parte del  capo  n.  9.1.2  della  sent.  n.
27/2005 della Corte  costituzionale,  che  recita  testualmente:  «In
nessun caso,quindi, il proprietario  e'  tenuto  a  rivelare  i  dati
personali e della patente del conducente prima della definizione  dei
procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento  del
verbale di contestazione dell'infrazione. 
    Poiche' in tutti i casi in cui si debba giudicare  dell'eventuale
violazione dell'art.  126-bis  C.d.S.,  il  G.d.p.  dovra'  attenersi
all'interpretazione espressa dalla Sent.  n.  17348  della  s.c.,  e'
necessario riesaminare la questione  della  possibile  illegittimita'
della norma che, a parere del remittente, sussiste. 
    Ne' puo' obiettarsi che al proprietario del veicolo venga offerta
la  possibilita'  di  liberarsi  dalla  necessita'  di   «confessare»
scegliendo di pagare la sanzione pecuniaria di cui all'art. 126-bis. 
    Sembra difatti a questo giudice che l'esercizio di  una  facolta'
legittima non sia comunque sottoponibile a sanzione e che,  pertanto,
una tale prospettazione sia illegittima. 
    Si ripropone, a ben vedere, la questione piu' generale del limite
invalicabile  che  esiste   tra   il   diritto   dello   Stato   alla
collaborazione del cittadino alla scoperta dell'autore di un illecito
ed il diritto di difesa che la Costituzione garantisce. 
    In altre parole, occorre accertare se, nel caso di specie, vi sia
da parte dello Stato il diritto di ottenere una confessione. 
    Sia consentito a questo giudice osservare che prima  dell'entrata
in vigore della legge n. 214/2003, che ha  introdotto  la  patente  a
punti, la collaborazione del cittadino all'attivita' della  p.a.  non
si  era  mai  spinta   fino   a   pretendere   una   confessione   di
responsabilita'  da  parte  del  proprietario  di  un   veicolo.   La
giurisprudenza di legittimita' era divisa  tra  la  necessita'  della
contestazione immediata  delle  infrazioni  accertate  per  mezzo  di
autovelox e simili; tuttavia, in nessun caso si utilizzava l'art. 180
C.d.s. per ottenere una confessione. 
    A ben vedere, difatti, l'art.  180  citato  sanziona  la  mancata
collaborazione consistente nell'omessa esibizione di documenti di cui
il conducente di un veicolo, la cui  identita'  era  gia'  nota,  era
sprovvisto quando fu fermato. 
    Insomma, la ratio e la conseguente applicazione dell'art.  180  e
del suo ottavo comma, prima dell'entrata in  vigore  della  legge  n.
214/2003, non prevedeva alcuna confessione di responsabilita'. 
    Sembrava  ovvio  il  principio  che  l'onere  della  prova  della
responsabilita' degli illeciti amministrativi incombesse sulla p.a. e
che in nessun caso potesse trasferirsi al  cittadino,  men  che  meno
prevedendo l'obbligatorieta' della confessione  della  sua  eventuale
responsabilita'. 
    Mentre e' indubitabile che il proprietario di un veicolo che  sia
risultato autore di un  illecito  a  fronte,  ad  esempio,  di  prove
inconfutabili come le risultanze fotografiche, debba rispondere delle
sanzioni pecuniarie, non e'  affatto  scontato  che  lo  Stato  possa
pretendere che egli  confessi  di  essere  stato  il  conducente  del
veicolo, al diverso fine dell'applicazione della sanzione  accessoria
della decurtazione dei punti dalla patente di guida. 
    Nell'applicazione della sanzione accessoria,  difatti,  entra  in
gioco il diritto del proprietario di  difendersi,  che  comprende  la
facolta'  di   astenersi   dal   rendere   dichiarazioni   cosiddette
«incriminanti». 
    Si tratta percio' di valutare se il dovere di collaborazione alla
scoperta  del  colpevole  possa  spingersi  fino  alla   rinuncia   a
difendersi. 
    Nel contrasto tra le due diverse esigenze, questo giudice ritiene
che  debba  prevalere  il  diritto  di  difesa,  di  cui   la   Carta
costituzionale  sancisce  l'inviolabilita'  e   che,   pertanto,   il
proprietario del veicolo abbia il diritto di non confessare. 
    L'art. 126-bis di cui si tratta pone la  questione  nei  seguenti
termini: o confessi o ti applico la sanzione pecuniaria prevista. 
    Sembra a questo giudice che una tale alternativa  sia  lesiva  in
se'  dell'art.  24  della  Costituzione  e  che  cio'  prescinda,  da
qualsiasi configurazione dell'illecito previsto dall'art.126-bis  del
C.d.s. e che il diritto dello Stato debba limitarsi, nel caso in  cui
non sia altrimenti  noto  l'autore  di  un  illecito  amministrativo,
all'applicazione   di   sanzioni   pecuniarie   nei   confronti   del
proprietario in virtu' del principio di solidarieta' passiva  di  cui
all'art.196 C.d.s.; mentre, per quanto attiene a sanzioni diverse  di
carattere  affluivo,  quali  la  sospensione  della  patente   o   la
decurtazione dei punti, non possa essere esigibile la confessione. 
    Esiste,  secondo  questo  giudice,  un  limite  invalicabile   in
proposito, costituito dall'art. 24  della  Costituzione,  di  cui  il
principio nemo tenetur se detegere e' un corollario. 
    Ne discende che la questione connessa  all'art.  126-bis  C.d.s.,
che punisce con una sanzione pecuniaria l'esercizio di  una  facolta'
legittima, non appare manifestamente infondata  stante  il  contrasto
con l'art. 24 della Costituzione. 
    Naturalmente l'eventuale illegittimita' della norma sarebbe  solo
parziale,  perche'  limitata  al  caso  in  cui  il  proprietario   o
l'usufruttuario  etc.   etc.,   dovessero   confessare   la   propria
responsabilita', mentre non sussisterebbe negli altri casi in  cui  i
destinatari della dichiarazione fossero terze persone. In tal  ultimo
caso, nulla vieterebbe all'obbligato di rendere la dichiarazione  dei
dati della patente di costoro. 
    Le considerazioni di cui sopra sembrano assorbire l'eccezione  di
illegittimita' sollevata dal ricorrente; tuttavia, qualora cosi'  non
fosse ritenuto dall'Ecc.ma Corte costituzionale, per mero scrupolo e'
necessario rilevare che la facolta' di scelta che  viene  offerta  al
proprietario di un veicolo dall'art. 126-bis, 2° comma citato, tra il
pagamento  della  sanzione   pecuniaria   e   l'effettuazione   della
dichiarazione dei dati della patente del conducente quando questi sia
lo  stesso  proprietario,  sembra  essere  lesiva  del  principio  di
uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione vigente. 
    Le persone meno abbienti, in realta', non possono avvalersi della
«prima  possibilita'»,  per  cui  dovranno   sempre   effettuare   la
dichiarazione mentre quelle facoltose potranno  conservare  i  propri
diritti (punti patente, sospensione della stessa etc.)  semplicemente
pagando. 
    La  disparita'  di  trattamento  che  discende  dall'applicazione
dell'art. 126-bis, sembra evidente. 
    Tanto premesso,