IL CONSIGLIO NAZIONALE FORESE 
 
    Nella seduta giurisdizionale del 20 marzo 2010; 
    Esaminato il reclamo proposto dall'avv. Carlo  Testa  avverso  la
candidatura e la proclamazione dell'avv.  Alessandro  Graziani  quale
eletto a conclusione del ballottaggio per il  rinnovo  del  Consiglio
dell'ordine degli avvocati di Roma per il biennio 2010/2011; 
    Udita la relazione del consigliere avv. Marco Stefenelli; 
    Sentito il Procuratore generale; 
    Ha pronunciato la seguente, ordinanza. 
 
                              F a t t o 
 
    Con ricorso di data 11 febbraio 2010, depositato lo stesso giorno
presso la segreteria del Consiglio nazionale forense e  notificato  a
tutti i  contro  interessati,  l'avvocato  Carlo  Testa  ha  proposto
reclamo avverso la candidatura dell'avvocato  -  Alessandro  Graziani
alle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell'ordine degli avvocati
di Roma per il biennio 2010-2011 e avverso la proclamazione del detto
candidato quale eletto a conclusione delle votazioni di  ballottaggio
del  10  febbraio  2010.  Il  ricorrente  ha  depositato  nel  giorno
successivo una integrazione «dei documenti allegati. 
    Deduce il  ricorrente  che  l'avvocato  Graziani,  avendo  svolto
l'incarico di componente supplente di una sottocommissione  di  esame
abilitativo alla professione forense presso il distretto della  Corte
d'appello di Roma fino al 3  luglio  2008,  avrebbe  illegittimamente
presentato la propria  candidatura  ed  altrettanto  illegittimamente
sarebbe stato proclamato  eletto  in  violazione  della  disposizione
dell'art. 1-bis del decreto-legge 21 maggio 2003 convertito in  legge
18 luglio 2003 n. 180. 
    Chiede  pertanto  che  l'elezione  dell'avvocato  Graziani  venga
annullata ex tunc dichiarando  direttamente  eletto  esso  ricorrente
quale primo dei non eletti. 
    Con comparsa depositata il 4  marzo  2010  si  e'  costituito  in
giudizio l'avvocato Graziani rilevando, con un primo motivo,  che  la
norma invocata a sostegno  del  reclamo,  in  quanto  limitativa  del
diritto   di   elettorato   passivo,   sarebbe   insuscettibile    di
interpretazione estensiva, ragione per cui il reclamo avrebbe  dovuto
essere proposto avverso la candidatura essendo precluso  l'esame  del
ricorso volto a far valer l'ineleggibilita'. 
    Contesta comunque che l'avvocato Testa  possa  essere  dichiarato
direttamente eletto atteso che se le elezioni sono state  «inquinate»
dalla  partecipazione  di  chi  non  vi   era   legittimato   sarebbe
contraddittorio chiedere che, come se nulla fosse, si  proceda  nella
graduatoria dei non eletti piuttosto che  attraverso  il  ricorso  ad
elezioni suppletive. 
    Deduce ancora che l'incompatibilita' sancita dalla norma  che  si
assume  violata  sarebbe  limitata  alla  prima  tornata   elettorale
successiva all'incarico, da  identificarsi  nella  specie  in  quella
tenutasi a gennaio-febbraio 2009  per  l'elezione  del  comitato  dei
delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense. 
    Con  un   terzo   motivo   l'avvocato   Graziani   sostiene   che
l'incompatibilita' riguarderebbe i soli  componenti  effettivi  della
commissione d'esame e non anche i supplenti, attesa  l'occasionalita'
ed imprevedibilita' della loro partecipazione, prospettando, ove  non
interpretata  nel   senso   indicato,   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma richiamata. 
    Ulteriori profili di incostituzionalita' vengono ancora sollevati
in relazione agli art. 3 e 51 della Costituzione. 
    In particolare, si sottolinea che l'art. 22, sesto  comma,  regio
decreto n. 1578/1933 (come  novellato  dal  decreto-legge  21  maggio
2003, n. 112, convertito nella legge 18 luglio 2003, n. 180)  suscita
manifesti dubbi di legittimita' costituzionale dal momento che la sua
formulazione  e'  talmente  opinabile  da  delegare   all'interprete,
anziche'  alla  legge,  la   determinazione   delle   condizioni   di
incandidabilita' o ineleggibilita', e cio'  e'  inammissibilmente  in
contrasto con la regola secondo cui le disposizioni che pongono cause
di   incompatibilita'   o    incandidabilita'    o    ineleggibilita'
all'assunzione di cariche  elettive,  in  quanto  derogatorie  di  un
diritto costituzionalmente  garantito,  sono  di  stretta  pertinenza
della legge, stante le espressa riserva di legge sancita dall'art. 51
della Costituzione. 
    Inoltre,  si  rileva  che   costituisce   consolidato   principio
costituzionale il fatto che i  casi  di  ineleggibilita',  in  quanto
limitativi di un diritto fondamentale della persona, sono ragionevoli
soltanto se posti a tutela di interessi pari rango costituzionale. 
    Infine,   vengono   sollevati   profili   di    costituzionalita'
riconducibili all'irrazionalita' in se' della disposizione, derivante
dal  dubbio  che  l'incandidabilita'  o  l'ineleggibilita'  sia   una
conseguenza irragionevolmente sproporzionata rispetto alla natura dei
poteri che ciascun commissario d'esame possa esercitare al fine della
captatio benevolentiae dei solo potenziali o futuri elettori: dovendo
escludersi  che  l'esercizio  di  poteri  collegiali  (quali   quelli
attribuiti  al  componente  di  commissione  d'esame)  possa   essere
determinante ai fini della previsione di  cause  di  ineleggibilita',
non resta altro che supporre che la  previsione  contenuta  nell'art.
22,  sesto  comma,  regio   decreto   n.   1578/1933   debba   essere
essenzialmente riferita  al  potere  di  esprimersi  in  ordine  alla
promozione del candidato all'esame di abilitazione forense, spettante
a ciascun membro di commissione (o  sottocommissione)  d'esame.  Alla
stregua di tale interpretazione, pero', la preclusione dettata  dalla
norma in questione risulta palesemente irragionevole e  assolutamente
incoerente  con  il  sistema  delle   preclusioni   all'eleggibilita'
legislativamente previsto. 
    In definitiva, ad avviso dell'avv. Graziani, la tenuita' - se non
l'inconsistenza  -  delle  ragioni  poste  a  base  della  previsione
legislativa   concernente   l'ineleggibilita'   dei   componenti   di
commissione (o sottocommissione) d'esame dimostra l'evidente mancanza
di quella rigorosa prova dell'indispensabilita' del limite  esaminato
rispetto all'esigenza primaria di assicurare una libera  competizione
elettorale, che la Corte costituzionale (a partire dalla sentenza  n.
46 del 1969)  costantemente  richiede  in  riferimento  al  principio
fondamentale contenuto nell'art. 51 della Costituzione. 
    Conclude  chiedendo  il  rigetto  del  reclamo  o  in   subordine
insistendo nell'eccezione di legittimita' costituzionale ed  in  ogni
caso opponendosi alla richiesta di diretta  elezione  del  ricorrente
alla carica di consigliere. 
    Con memoria  depositata  il  5  marzo  successivo  il  ricorrente
richiama ed amplia i  contenuti  del  ricorso  evidenziando  come  il
reclamo sia proponibile solo avverso la proclamazione degli eletti  e
non in via anticipata avversa la loro candidatura. 
    Si e' costituito in giudizio il COA di Roma che, senza  esprimere
alcuna valutazione sulla questione principale del reclamo, richiama i
due fondamentali principi che disciplinano le  elezioni  forensi,  il
primo  di  quali  escluderebbe  la  possibilita'  di  sostituire   un
consigliere dimissionario o altrimenti venuto meno con il  primo  dei
candidati  non  eletti  mentre  il  secondo   attribuirebbe   effetti
stabilizzanti  alla  proclamazione  degli  eletti   in   assenza   di
precedenti contestazioni e conclude rimettendosi  alla  decisione  di
questo consiglio in relazione al motivo concernente l'ineleggibilita'
comunque chiedendo la declaratoria di inammissibilita' od il  rigetto
del ricorso. 
    All'udienza del 20 marzo 2010 i difensori  dei  ricorrente  hanno
depositato memorie, nelle quali ribadiscono ulteriormente le  ragioni
che assistono il fondamento del ricorso. 
    In  estrema  sintesi,  l'avv.  Carlo  Testa  allega  che  non  e'
contestato che l'avv. Graziani  abbia  partecipato  attivamente  agli
esami di avvocato per l'anno 2006 conclusi in data 3 luglio 2008.  In
particolare,  l'ultima  seduta  di  esami   orali   alla   quale   ha
partecipato, in sostituzione di un componente effettivo, risale al 12
giugno  2008»  (v.  memoria   depositata   nell'interesse   dell'avv.
Graziani, pag. 6, lettera  b).  L'avv.  Graziani,  dunque,  e'  stato
inequivocabilmente   «componente   della    commissione    e    delle
sottocommissioni» nel senso indicato dall'art. 22, sesto  comma,  del
regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, e ha partecipato in concreto
alle operazioni d'esame; e che  non  e'  altrettanto  contestato  che
l'avv. Graziani abbia partecipato alle elezioni per  il  rinnovo  dei
componenti del Consiglio dell'ordine degli avvocati  di  Roma  e  sia
stato proclamato all'esito del ballottaggio, nella notte tra il 9  ed
il 10 febbraio 2010, il sesto degli eletti. 
    In diritto quale  normativa  elettorale  di  riferimento,  l'avv.
Testa richiama: il d.lgs. lgt. 23 novembre 1944,  n.  382,  integrato
dal d.lgs. 26 febbraio 1948, n. 174, ai sensi del  quale  «Tutti  gli
iscritti sono  elettori  ed  eleggibili,  compreso  coloro  che  dopo
l'iscrizione non abbiano ancora prestato  giuramento»;  la  legge  18
luglio 2003, n. 180, di conversione del decreto-legge 21 maggio 2003,
n. 112, che ha modificato l'art. 22, sesto comma, del  regio  decreto
n. 1578/1933, ove e' previsto  che  «gli  avvocati  componenti  della
commissione e delle sottocommissioni (per l'esame per l'accesso  alla
professione) non possono  candidarsi  ai  rispettivi  Consigli  degli
ordini ed alla carica  dei  rappresentati  alla  Cassa  nazionale  di
assistenza  e  previdenza  forense   alle   elezioni   immediatamente
successive all'incarico coperto», evidenziando l'assenza  di  deroghe
in favore dei componenti supplenti;  l'art.  6  del  d.lgs.  lgt.  23
novembre 1944, n. 382, in virtu'  del  quale  ciascun  professionista
iscritto  all'albo  puo'  proporre   reclamo   contro   i   risultati
dell'elezione, presentandolo nella sede del C.N.F.: «il reclamo  puo'
investire le modalita' di espletamento delle  operazioni  elettorali,
l'attribuzione  ed  il  calcolo  dei  voti  e  l'eleggibilita'  degli
eletti»; viene  richiamata  anche  la  giurisprudenza  del  Consiglio
nazionale forense: parere n. 1 del 16 gennaio 2008 (parere n. 14  del
22 marzo 2006); in  particolare,  nelle  difese  dell'avv.  Testa  si
insiste  sui  seguenti  aspetti:  componente  effettivo  e  supplente
svolgono  le  stesse  funzioni  e,  quindi,  sono  assoggettati  alle
medesime cause di ineleggibilita'; stante l'identita' di funzioni tra
componente effettivo e supplente, non vi e'  violazione  dell'art.  3
della  Costituzione.  «Conseguentemente  non  vi  e'   questione   di
legittimita' costituzionale e, tanto meno,  sproporzione,  in  quanto
nella specie l'incompatibilita' e' stabilita all'interno di un  ceto,
quello di un avvocato che vive continuamente a contatto dei  colleghi
negli uffici giudiziari. Colleghi che hanno i  loro  figli  candidati
agli  esami;  sicche'  la  captatio  benevolentiae  va  valutata  con
maggiore rigore proprio perche' le elezioni si  svolgono  all'interno
di un ceto» (v. note d'udienza del 20 marzo 2010, p. 2,  ove  vengono
anche richiamati i lavori preparatori della riforma forense  in  sede
di discussione nella seduta n. 327 del 23 giugno 2003); la  normativa
esaminata pone un divieto  espresso  di  candidatura  e,  quindi,  di
eleggibilita' sia  ai  Consigli  degli  ordini  sia  alla  carica  di
rappresentante alla Cassa nazionale di previdenza,  limitandolo,  per
entrambi, e non in  via  alternativa,  alle  elezioni  immediatamente
successive alla cessazione della carica. 
    All'udienza di discussione sono presenti: 
        l'avv. Carlo Testa assistito dai suoi difensori:  prof.  avv.
Giuseppe Abbamonte e dall'avv. Antonino Galletti nominato in udienza; 
        l'avv. Alessandro Graziani assistito dai suoi difensori: avv.
Edoardo Pontecorvo e prof. avv. Romano Vaccarella; 
    I difensori dell'avv. Graziani hanno ulteriormente insistito  per
il rigetto del ricorso. 
    Ed   hanno   svolto   in   modo   analitico    i    profili    di
incostituzionalita' della norma  invocata  dal  ricorrente,  ove,  in
subordine, questo consiglio ritenesse di non rigettare il ricorso. 
    Il p.g. dott.  Pasquale  Paolo  Maria  Ciccolo  ha  concluso  per
raccoglimento del ricorso e, in subordine, per il rinvio  alla  Corte
costituzionale della  questione  di  legittimita'  dell'art.  22  del
r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, conv. In legge 22 gennaio 1934,  n.
36 e modificato dall'art. 1-bis del d.l. 21 maggio 2003, n. 112  come
conv. In legge 18 luglio 2003, n. 180 sollevata dal resistente. 
    Viene preliminarmente in esame la  questione  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 22 del r.d.l. 27  novembre  1933,  n.  1578,
conv. In legge 22 gennaio 1934, n. 36 e  modificato  dall'art.  1-bis
del d.l. 21 maggio 2003, n. 112 come conv. In legge 18  luglio  2003,
n. 180 sollevata dal resistente. Si tratta di questione incidente  su
di un diritto fondamentale, tutelato, come piu' volte ribadito  dalla
Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione, dagli  articoli  2,
3, 51 Cost. (ad es. Corte cost. 23 dicembre 1994  n.  438;  Cass.  26
febbraio 1988,n. 2046; Cass. 11 marzo 2005 n. 5449; 12 febbraio 2008,
n. 3384)  connessa  con  la  iscrizione  all'albo  degli  avvocati  e
all'esercizio  delle  prerogative  riconosciute  in  capo  a  ciascun
iscritto al fine della rappresentanza negli ordini professionali,  il
ricorso proponente il reclamo  investe  questo  consiglio  nella  sua
funzione giurisdizionale; ed e' pertanto  nell'ambito  della  propria
potestas  decidendi  che  il  consiglio  ha  preso  cognizione  della
questione di legittimita' costituzionale. 
    La questione di legittimita' costituzionale che riguarda la norma
la cui applicazione e' invocata dal ricorrente  prevale  sulle  altre
sollevate  dal  resistente,  il  cui  esame  e'  rinviato   all'esito
dell'accertamento della conformita' o meno  della  norma  al  dettato
costituzionale. 
    Il contraddittorio  e'  completo,  in  quanto  si  e'  costituito
l'ordine di Roma (Corte cost. ord. n. 183 del 1999). 
    La norma impugnata, come si dira', ha  incidenza  attuale  e  non
meramente eventuale nel procedimento  a  quo  e  pertanto  essa  deve
necessariamente essere impiegata per dirimere la questione e giungere
alla decisione. 
    La norma invocata dal ricorrente a fondamento del proprio diritto
e' certamente equivoca. Essa dispone infatti che < (...) Gli avvocati
componenti della commissione e  delle  sottocommissioni  non  possono
candidarsi ai rispettivi consigli  dell'  ordine  e  alla  carica  di
rappresentanti della  Cassa  nazionale  di  previdenza  e  assistenza
forense  alle   elezioni   immediatamente   successive   all'incarico
ricoperto (..) > . 
    Questo Consiglio, richiesto si esprimere parere  in  ordine  alla
sua interpretazione  da  parte  del  Ministero  della  giustizia,  ha
risposto, mediante la sua commissione pareri con  il  parere  del  22
marzo 2006, n. 14 ritenendo che l'espressione usata dal  legislatore,
di  «incandidabilita'»,  debba  essere   intesa   nel   senso   della
ineleggibilita', atteso  che  l'attuale  disciplina  elettorale  agli
organi rappresentativi forensi  non  disciplina  la  categoria  della
«candidatura», essendo possibile per ogni  iscritto  all'albo  votare
per qualsiasi iscritto all'albo (in questo senso v. anche Corte cost.
ord. n. 260 del 2002). Si' che, prosegue  il  parere,  «la  causa  di
ineleggibilita' si protrae, secondo  la  norma,  fino  alle  elezioni
immediatamente successive al momento nel quale, una  volta  espletate
le  relative  funzioni,  cessa  la  condizione  di  componente  della
commissione o delle sottocommissioni. E cio' in ragione del fatto che
la disposizione non assume a riferimento il momento  della  nomina  a
commissario o sottocommissario, e dunque un evento assai circoscritto
temporalmente, bensi' la piu' generale condizione  di  colui  che  ha
ricoperto l'incarico. In conclusione deve  dunque  ritenersi  che  la
sessione elettorale oggetto dell' incompatibilita' sia la  prima  che
intervenga dopo la cessazione della qualita' di commissario  d'esame,
oltre ovviamente a quelle svolgentisi nel  corso  della  sessione  di
esami». 
    Trattandosi di ineleggibilita' occorre che la norma invocata  sia
interpretata in senso restrittivo. Come si e'  posto  in  luce  dalla
Corte di cassazione con la recente ord. n. 19757 del 2009 con cui  si
e' ricostruita la linea interpretativa della Corte costituzionale  in
materia, la giurisprudenza  costante  della  Corte  ha  affermato  la
sindacabilita'   delle   norme   che   comminano,   alternativamente,
l'ineleggibilita' o l'incompatibilita' a cariche elettive,  sotto  il
profilo del criterio  della  ragionevolezza,  dal  momento  che  esse
rispondono a finalita' diverse che non ne 
    consentono la previsione discrezionale, o promiscua, da parte del
legislatore. La prima sanzione costituisce, infatti, una  piu'  grave
deroga al diritto di elettorato passivo, costituzionalmente  tutelato
(art. 51 Cost.) e deve essere giustificata  da  condizioni  personali
tassative: quale una condanna penale per  determinati  reati  cui  la
legge ne ricolleghi la perdita, o la titolarita' di ufficio o di  una
carica suscettibile di provocare una  indebita  influenza  distorsiva
sulle libere scelte degli elettori, lesiva  della  par  condicio,  in
virtu' di una captatio benevolentiae, o di un timore reverenziale  in
essi ingenerato. Per contro, l'incompatibilita' sottende un conflitto
di interessi, pur  se  potenziale,  o  quanto  meno  un  giudizio  di
inopportunita' dell'esercizio contemporaneo della carica  elettiva  e
di altra, privata o pubblica, ricoperta dal candidato.  Essendo  meno
grave, l'incompatibilita' non produce l'invalidita' dell'elezione,  a
differenza della causa di ineleggibilita', ma e' sanabile mediante il
successivo abbandono del munus concorrente entro il termine di legge.
Alla  luce   di   questa   configurazione   concettuale,   la   Corte
costituzionale  ha   piu'   volte   affermato   che   le   cause   di
ineleggibilita' sono  di  stretta  interpretazione  e  devono  essere
rigorosamente informate alla soddisfazione di effettive  esigenze  di
pubblico interesse (Corte costituzionale, 13 febbraio  2008,  n.  25;
Corte costituzionale, 3 ottobre 2003, n. 306; Corte costituzionale, 2
febbraio 1990, n. 53; ed altre). L'art. 51 Cost.  pone  infatti  come
regola l'eleggibilita'; e solo come eccezione l'ineleggibilita' (cfr.
anche per affinita' di  oggetto,  Corte  costituzionale,  6  febbraio
2009, n.  27,  dichiarativa  dell'illegittimita'  costituzionale  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 60, comma 1, n. 9). 
    Ora nel caso di specie e' evidente che la ratio  della  norma  si
basa proprio sulla esigenza di evitare che chi  si  trovi  ad  essere
componente   (effettivo   o   supplente)   della   commissione    per
l'abilitazione  all'esercizio   della   professione   forense   possa
acquisire il favor degli elettori e quindi non possa essere eletto  (
anche se candidatosi)  alle  elezioni  che  sono  indette  nel  corso
dell'espletamento delle prove d'esame e per un periodo successivo. Il
periodo successivo non e' indicato nella norma, dal  momento  che  le
elezioni possono avere diverse cadenze, sicche'  per  assolvere  allo
scopo si parla di elezioni «immediatamente»  successive  all'incarico
ricoperto. Ed e' evidente che finche' l'incarico e' ricoperto,  cioe'
finche' non sia terminata la tornata di esami in  cui  l'avvocato  e'
commissario, questo impedimento sussista. 
    Occorre pero' tener conto del fatto che le norme che  prescrivono
la ineleggibilita' (ovvero anche la incompatibilita') di un  soggetto
ad  una  carica,  proprio  perche'  incidenti  su   di   un   diritto
fondamentale, debbono  essere  interpretate  restrittivamente.  Tanto
piu' la disposizione in esame, la quale - al  fine  di  «moralizzare»
gli esami di avvocato - e' basata su di un sospetto  e  vuoi  colpire
coloro che sottoponendosi al gravoso compito di commissario  d'esame,
intendessero acquisire meriti, o peggio, favori, espressi  attraverso
il  voto  alle  elezioni  di  categoria;  lo  scopo  perseguito   dal
legislatore e' quindi fondato sul sospetto e sulla malafede di coloro
che  assumessero  l'incarico  a  questo  premeditato  fine,   perche'
svolgendo  il  loro  incarico  capterebbero  la   benevolenza   degli
elettori. 
    Il limite temporale - che per le  ragioni  dette  -  deve  essere
inteso nel modo  meno  lesivo  e  meno  discrezionale  possibile  del
diritto fondamentale all'elettorato passivo - nella norma e' espresso
con l'avverbio «immediatamente» riferito alle 1  elezioni  successive
«all' incarico ricoperto». 
    Le elezioni di cui parla la norma riguardano quelle  alla  carica
di consigliere dell' ordine forense e quella di  rappresentante  alla
Cassa nazionale di assistenza e di previdenza forense. 
    Il tenore letterale della  disposizione  e'  chiaro.  Per  quanto
riguarda l'avverbio «immediatamente» e' chiaro che il legislatore  si
voglia riferire alle elezioni successive a quelle da  espletarsi  nel
corso degli esami oppure nella prima occasione  utile  dopo  che  gli
esami si sono conclusi. Per quanto riguarda la congiunzione «e»,  che
fa riferimento alle due diverse tipologie di elezioni, il  ricorrente
sostiene che essa debba  intendersi  in  senso  disgiuntivo,  si  che
l'impedimento cadrebbe quando si fossero espletate le une o le  altre
tornate elettorali; nel caso di specie  il  resistente  ritiene  che,
essendosi espletate  pendente  tempore  le  elezioni  alla  Cassa  di
previdenza, l'impedimento sarebbe ormai rimosso. 
    Tuttavia questo Consiglio ritiene che se  il  legislatore  avesse
inteso rendere alternative  le  due  ipotesi  avrebbe  utilizzato  il
disgiuntivo  «o».  Il  testo  legislativo  conduce  quindi   ad   una
situazione di irrazionalita' manifesta. Cio' perche' le elezioni  dei
Consigli degli ordini forensi avvengono - al momento - ogni biennio e
quelle alla Cassa  forense  ogni  quadriennio,  sicche'  si  potrebbe
addirittura verificare il caso di ineleggibilita'  per  un  sessennio
addizionandosi i due periodi di durata delle cariche elettive. 
    Si tratterebbe di una  misura  evidentemente  sproporzionata-  in
contrasto con gli articoli 3 e 51 primo comma e terzo comma, Cost.  -
nonche' con l'art. 52 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'
Unione europea, qui valorizzabile ex art. 117 Cost. - volta  peraltro
a colpire quanti si sobbarcano il gravoso compito di componente delle
commissioni  di  esami,  i  quali   si   vedrebbero   precludere   la
possibilita' di espletare il servizio presso l'ordine o la Cassa  per
il solo fatto di avere svolto altro servizio sotto l'aura  sospettosa
del legislatore. L'irrazionalita' manifesta di questa  lettura  della
norma si evince ancor piu' dal fatto che se la captatio benevolentiae
dovesse consistere (come nella mens  legis  sembrerebbe  essere)  nel
fatto di aver agevolato i candidati all'esame, i quali medesimi  o  i
loro congiunti ed amici  si  trasformerebbero  poi  in  elettori  che
volessero manifestare la loro gratitudine al  candidato  all'elezione
al  consiglio  dell'  ordine  o  alla  cassa,  la  benevolenza  o  la
gratitudine dovrebbero essere «eterne» e quindi non avrebbe senso far
cadere l'impedimento dopo un certo periodo di tempo. 
    Poiche' la lettura della norma nel suo  senso  letterale  include
entrambe le tipologie di elezioni, appare evidente l'incongruita' del
testo e la sua palese violazione dell'art. 3 Cost. che discrimina chi
ha fatto parte delle commissioni d'esame, e viene penalizzato, e  chi
invece non si e' sobbarcato questo servizio e quindi viene  agevolato
perche' non incontra come competitori coloro che lo hanno svolto. 
    Si ostacolerebbe pure la libera competizione elettorale, e quindi
sussisterebbe  la  violazione  dell'art.  51   Cost.   esponendo   il
componente  della   commissione   di   esame   ad   un   vincolo   di
ineleggibilita' incerto nel tempo e di  durata  potenzialmente  cosi'
lunga (per tutto il periodo di carica dei due organi  rappresentativi
sommati tra loro) da non giustificare simile incisione di un  diritto
fondamentale rispetto al vantaggio che ne dovrebbe conseguire e  all'
interesse contrapposto che la norma vorrebbe tutelare. 
    Poiche'  la  lettera  «e»  nel  testo  legislativo  implica   una
congiunzione e non e' possibile interpretarla in senso  opposto,  non
e' neppure possibile effettuare - come richiesto dal resistente - una
interpretazione costituzionalmente orientata.  Di  qui  la  rilevanza
della  questione  che  appare   non   manifestamente   infondata   di
incostituzionalita' della norma e quindi la necessita' di  sottoporre
la questione  alla  Corte  costituzionale.  Inoltre,  consentendo  il
diritto di elettorato passivo la  libera  espressione  della  propria
personalita',la norma si pone in contrasto con l'art. 2 Cost. nonche'
con l'art. 11 della C.E.D.U. interpretato nel senso che il diritto di
far  parte  degli   organismi   rappresentativi   delle   professioni
intellettuali vulnera la liberta' di riunione e associazione in  modo
eccedente  quanto  necessario  al  raggiungimento   della   finalita'
perseguita.