LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso, iscritto al  n.
29761 del registro  di  segreteria,  promosso  da  Ostuni  Luciano  -
rapp.to e difeso dagli avv.ti Gianluigi e Federico Pellegrino, giusta
procura a margine del ricorso, per la declaratoria di nullita': 
        dell'atto di citazione. emesso in data 22 maggio 2009; 
        dell'invito a dedurre emesso in data 23 febbraio 2009; 
        di ogni altro atto istruttorio presupposto; 
    Udita alla pubblica udienza del 28 gennaio 2010 la relazione  del
consigliere dott. Vittorio Raeli; 
    Udito  l'avv.  Federico  Pellegrino,  per  il  ricorrente,  e  il
sostituto  generale  dott.  Carlo  Picuno,  in  rappresentanza  della
Procura regionale; 
    Visto il ricorso in epigrafe, depositato il 20 gennaio 2010; 
    Esaminati gli atti; 
 
                        Considerato in fatto 
 
    Con ricorso notificato in  data  15  gennaio  2010  alla  Procura
regionale presso questa Sezione giurisdizionale  regionale,  il  Sig.
Ostuni Luciano rappresenta quanto in appresso e' detto. 
    In data 23  febbraio  2009  e'  stato  invitato  dal  Procuratore
regionale a fornire deduzioni ex art. 5, comma 1, d.l. n. 453/1993 in
ordine a due distinte voci di danno erariale: 
        la prima, consistente nella  distrazione  dal  fine  pubblico
delle somme stanziate ai sensi della 1.  n.  488/1992  dal  Ministero
delle Attivita' Produttive in favore della societa' «ICHEM»  a  r.l.,
giusta decreto n. 54141 del 14 agosto 1998; 
        la  seconda,  identificabile  con  il  pregiudizio   arrecato
all'immagine della P.A. erogante. 
    In  particolare,  il  Procuratore  regionale  contesta   all'ing.
Ostuni, dirigente dell'U.T.C. del Comune di Lequile dal 1998 al 2005,
di avere: 
        chiesto  all'amministrazione  comunale  l'indizione  di   una
conferenza di servizi, in difetto dei presupposti indicati  dall'art.
5 del D.P.R. n. 447/98; 
        presieduto la stessa, conclusasi con esito positivo,  sebbene
mancasse la certificazione di conformita' del progetto alla normativa
ambientale; 
        e, quindi, di avere rilasciato alla societa' «ICHEM»  a  r.l.
le concessioni numeri 47/00 e 52/00, omettendo  qualsiasi  successivo
accertamento previsto dalla legge, peraltro attestando falsamente  di
essere il redattore di relazioni  istruttorie  inerenti  le  pratiche
edilizie intestate alla stessa societa'. 
    E tutto  cio'  al  fine  di  assicurare  alla  predetta  societa'
beneficiaria del finanziamento  la  formale  trasformazione  in  zone
industriali di aree aventi destinazione agricola  secondo  il  P.R.G.
vigente nel Comune di Lequile, dietro compenso  di  denaro  ed  altre
utilita'. 
    Afferma il difensore che i fatti di causa sono gli stessi  per  i
quali il Procuratore della Repubblica di Lecce ha chiesto il rinvio a
giudizio del ricorrente nel procedimento penale n. 4150/02 r.g.n.r. e
sui quali, aperta la vertenza  in  sede  contabile,  il  medesimo  ha
fornito  le  proprie  deduzioni  al  P.M.  contabile,   in   risposta
all'invito notificato in data 2 marzo 2009. 
    Senonche' le argomentazioni difensive sono state disattese con la
emissione in data 22 maggio 2009 dell'atto di  citazione,  notificato
il 24 giugno 2009,  a  seguito  del  quale  l'ing.  Ostuni  e'  stato
convenuto in giudizio per la condanna al pagamento in via  principale
della somma di € 795.563,12 per il danno  arrecato  all'immagine  del
Ministero delle Attivita'  Produttive  e,  gradatamente,  dell'intero
importo del danno derivante  dalla  vicenda,  pari  a  complessivi  €
3.447.440,18; oltre alla rivalutazione  monetaria  e  agli  interessi
legali. 
    Cio' premesso, il ricorrente chiede la declaratoria  di  nullita'
dell'atto di citazione, dell'invito a dedurre e di  ogni  altro  atto
istruttorio ad essi presupposto, a mente dell'art. 17, comma  30-ter,
d.l. n. 78/2009, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 1,  lettera
c), n. 1, d.l. n. 103/2009, convertito in legge n. 141/2009. 
    Con riferimento al  danno  all'immagine  della  P.A.,  deduce  il
ricorrente:   «il   legislatore   ha   cosi'   voluto   limitare   la
perseguibilita' di tale autonoma figura di danno erariale  alle  sole
ipotesi in cui il  c.d.  clamor  fori  sia  stato  determinato  dalla
divulgazione di notizia criminis riferita ad uno dei  delitti  (artt.
314-335 c.p.) ....con evidente esclusione di ogni  altra  ipotesi  di
reato» e, inoltre, che «il  giudicato  penale  per  uno  dei  delitti
previsti nel Capo I, Titolo Libro II, c.p. assurge a vera  e  propria
condizione   di   procedibilita'   dell'azione   di   responsabilita'
amministrativa». 
    Essendo stato prosciolto sia dal reato  di  corruzione  per  atto
contrario ai doveri d'ufficio sia dal  reato  di  concorso  in  falso
ideologico per effetto di sentenza di non luogo a procedere (sentenza
n. 133 del  15  febbraio  2008)  pronunciata  dal  G.U.P.  presso  il
Tribunale di Lecce e passata  in  giudicato,  il  ricorrente  invoca,
dunque, l'applicazione della norma di cui all'art. 17, comma  30-ter,
del d.l. n. 78/2009  nel  testo  risultante  dall'art.  1,  comma  1,
lettera c), n. 1, del d.l. n. 103/2009 (conv. in legge n. 141/2009) e
chiede la declaratoria di nullita' degli atti summentovati. 
    Venuto in discussione il giudizio alla  odierna  udienza,  l'avv.
Pellegrino  ha  illustrato  le  tesi  a   fondamento   del   ricorso,
richiamando la sentenza di non luogo a procedere e insistendo per  la
declaratoria  di  nullita'  dell'invito  a  dedurre  e  dell'atto  di
citazione, ribadendo l'interesse  al  conseguimento  della  richiesta
declaratoria di nullita' sebbene il processo, gia' incardinato con i1
predetto  atto  di  citazione,  risulti   sospeso   per   regolamento
preventivo di giurisdizione interposto dall'odierno convenuto. 
    Il Procuratore  regionale  si  e'  opposto  all'accoglimento  del
ricorso  sul  presupposto  della  inapplicabilita'   della   suddetta
normativa per il principio tempuis regit actum e, in via subordinata,
ha  prospettato  questione   di   legittimita'   costituzionale   per
violazione degli articoli 2, 3, 24, 25 della Costituzione. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    1. La Sezione solleva la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 17, comma  30-ter,  d.1.  n.  78  /2009  -  per  violazione
dell'art. 3, comma 1, della Costituzione - nella parte relativa  alla
comminatoria della nullita' di ogni atto  istruttorio  e  processuale
compiuto, al di fuori dei casi previsti dall'art.  7  della legge  n.
97/2001, prima della entrata in vigore della legge di conversione, in
quanto rilevante e non manifestamente infondata,  secondo  quanto  di
seguito specificato. 
    2. Sotto il profilo della rilevanza, osserva il Collegio che  sia
I' invito a dedurre sia l'atto di  citazione  sono  stati  emessi  (e
notificati) in data anteriore alla entrata in vigore (5 agosto  2009)
della normativa de  qua,  che  limita  l'esercizio  della  azione  di
responsabilita' erariale per il danno all'immagine, con la previsione
«nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge  27  marzo
2001,  n.  97»,  disponendo,  al  contempo,   che   «qualunque   atto
istruttorio  o  processuale  posto  in  essere  in  violazione  delle
disposizioni di cui al presente  comma,  salvo  che  sia  stata  gia'
pronunciata sentenza anche non definitiva alla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la
relativa nullita' puo' essere  fatta  valere  da  chiunque  vi  abbia
interesse e la relativa nullita' puo' essere  fatta  valere  in  ogni
momento, da chiunque vi  abbia  interesse,  innanzi  alla  competente
sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine
perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta». 
    Per quel che concerne l'ambito oggettivo  di  applicazione  della
norma deve evidenziarsi che la novella  legislativa  incide  in  modo
significativo  non  soltanto  sulla   promovibilita'   della   azione
erariale, ma sulla stessa  giurisdizione  contabile,  in  materia  di
danno all'immagine della P.A., in quanto il rinvio  ai  «casi»  e  ai
«modi» di cui all'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n.  97  rubricato
«Responsabilita' per danno all'erario», non puo' significare  se  non
che la Corte dei conti puo' conoscere del  danno  all'immagine  della
P.A. solo se tale pregiudizio e' riferibile ad uno dei reati previsti
dal Capo I, Titolo II, Libro II  del  codice  penale  e  purche'  sia
intervenuta sentenza irrevocabile di condanna. 
    Dovrebbe  pronunciare  questo  giudice,  dunque,  il  difetto  di
giurisdizione e contemporaneamente la nullita' degli atti  istruttori
(tra cui l'invito a dedurre) e  processuali  (in  primis,  l'atto  di
citazione),  restando  esclusi  dalla  giurisdizione  contabile   gli
odierni fatti di causa in relazione all'an della azione  erariale  di
responsabilita', dappoiche' trattasi di ipotesi  delittuose  che,  in
parte, esulano dalla tipologia dei  delitti  contro  la  P.A.  e  non
essendo intervenuto, per tutte, il giudicato penale di condanna. 
    L'assunto accusatorio secondo cui la nuova norma non sembra possa
travolgere gli atti compiuti prima della entrata in vigore  del  d.l.
n. 78/2009, retti, appunto, dalla legge vigente al momento nel  quale
sono stati compiuti non e' fondato, in quanto non trova  applicazione
il principio tempus regit actum per i motivi che seguono. 
    L'individuazione dei principi di diritto intertemporale stabiliti
per regolare la successione di norme processuali civili - e,  quindi,
la applicazione nel tempo della legge processuale civile - e'  ancora
oggi una questione aperta. 
    L'unica  disposizione,  infatti,  che  si  occupa  delle  vicende
temporali delle leggi processuali e' l'art. 5  c.p.c.,  a  mente  del
quale «la giurisdizione e la competenza si determinano  con  riguardo
alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al  momento  della
proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse  i
successivi mutamenti della legge  o  dello  stato  medesimo».  Norma,
questa, che  e'  dettata  soltanto  in  relazione  ai  profili  della
giurisdizione e della competenza che verrebbero  incisi  dalla  nuova
legge processuale. 
    In mancanza di una apposita disciplina, le questioni  di  diritto
intertemporale che coinvolgono le  norme  processuali  sono  risolte,
dunque, secondo i principi generali  contenuti  delle  preleggi,  tra
cui, primo tra tutti, il principio di irretroattivita',  secondo  cui
le nuove norme di legge  trovano  applicazione  per  l'avvenire,  che
viene descritto in  ambito  processuale  impiegando  il  tradizionale
brocardo tempus regit actum: ogni  singolo  atto  del  processo  deve
essere compiuto secondo la legge vigente  al  momento  in  cui  viene
posto in essere e a tale legge occorre fare riferimento per giudicare
della sua validita'. 
    Secondo la Corte  costituzionale:  «il  principio  dell'immediata
applicazione della sopravvenuta legge  processuale  si  applica  (ove
manchi  [...]  una  disciplina  transitoria)   soltanto   agli   atti
processuali successivi all'entrata  in  vigore  della  legge  stessa:
questa non retroagisce, invece, su quelli anteriormente  compiuti,  i
quali sono regolati, secondo il fondamentale principio  tempus  regit
actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti  in  essere»
(cosi', C. cost. 4 aprile 1990, n. 155 e, in  termini,  C.  cost.  28
maggio 1999, n. 1999); 
    Tale posizione e' ampiamente condivisa  dalla  Cassazione  civile
(ex multis: Sez. III, 12 maggio 2000, n. 6099). 
    La  corretta  applicazione  del  principio  tempus  regit   actum
postula, tuttavia, la mancanza di una disciplina transitoria volta  a
regolare espressamente il  passaggio  da  una  vecchia  a  una  nuova
disciplina. 
    Il che non e' nel caso di specie, alla luce  della  ricostruzione
della normativa, in quanto proprio l'ultimo periodo del comma  30-ter
dell'art. 17 cit. induce a ritenere  la  nuova  norma  immediatamente
applicabile a tutti i procedimenti pendenti alla data  della  entrata
in vigore del d.l. n. 78/2009 e s.m. e, quindi, anche al giudizio  in
corso, siccome reso evidente dalla formulazione letterale («... salvo
che sia stata gia' pronunciata sentenza  anche  non  definitiva  alla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto...») . 
    Nella sostanza la norma che limita la giurisdizione  della  Corte
dei  conti  sul  danno  della  P.A.,  con  la  conseguente   sanzione
processuale della nullita',  non  si  applica  ai  giudizi  in  corso
soltanto se sia stata pronunciata  sentenza  (anche  non  definitiva)
alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 102/2009
(5 agosto 2009) e, quindi, utilizzando l'argomento  a  contrario,  la
novella legislativa si applica a tutti gli altri giudizi in corso. 
    Trattasi, evidentemente, di  norma  di  diritto  transitorio  che
deroga in modo implicito, sia pure inequivoco, all'art.  5  c.p.c.  ,
norma questa di  diritto  intertemporale,  che,  altrimenti,  avrebbe
dovuto  trovare  applicazione   con   riferimento   ai   giudizi   di
responsabilita' introdotti dinanzi alla Corte dei conti  prima  della
entrata in vigore dell'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009. Ed
invero,  ai  sensi  dell'art.  5  c.p.c.  la  giurisdizione   (e   la
competenza) si determina (no)  sulla  base  della  legge  vigente  al
momento della proposizione della domanda, senza che abbiano rilevanza
i mutamenti successivi della legge regolatrice della giurisdizione (e
della competenza). 
    Il carattere derogatorio della norma de qua e' reso palese  dalla
sanzione della nullita' che colpisce, con riferimento ai  giudizi  in
corso, gli atti istruttori e processuali compiuti prima della entrata
di in vigore della legge di conversione del  d.l.  n.  78/  2009,  in
tutti i casi in cui si e' esclusa la giurisdizione  della  Corte  dei
conti sul danno all'immagine della P.A. 
    Va precisato, a tale proposito, che costituiscono atti istruttori
quelli di cui all'art. 74, r.d. 1934/1214 e 5 d.l. n. 453/1993 e che,
tra gli atti processuali, possono farsi rientrare, senza  pretesa  di
esaustivita', l'atto di citazione e il ricorso per l'applicazione  di
misure cautelari. 
    La questione di legittimita' costituzionale e'  dunque  rilevante
nel presente giudizio  atteso  che  dall'applicabilita'  della  norma
censurata di incostituzionalita' dipende  la  comminatoria,  o  meno,
della nullita' dell'invito a dedurre e dell'atto di citazione e,  per
converso,  giudicare,  entro  il  termine  di  trenta  giorni,  della
legittimita' e della correttezza degli atti gia'  compiuti,  concreta
senz'altro applicazione retroattiva delle disposizioni sopravvenute. 
    3.  La  questione  di  legittimita'  costituzionale,  oltre   che
rilevante, e' non manifestamente infondata per violazione dell'art. 3
della Costituzione, secondo quanto in appresso detto. 
    3.1. Si e' detto che nonostante la specificita' dei problemi  che
interessano la materia processuale, l'applicazione e l'efficacia  nel
tempo delle norme sul processo risultano regolate dalle  disposizioni
preliminari  al  codice  civile  (c.d.  preleggi),  vale  a  dire  da
quell'unitario corpus di leges legum che disciplina in  modo  affatto
generale i temi dell'applicazione, interpretazione, retroattivita'  e
abrogazione delle (di tutte) le leggi. 
    Prima  di  procedere  nell'analisi  della  norma  -  come   sopra
individuata - di cui all'art. 17, comma-ter,  del  d.l.  n.  78/2009,
puo'  riuscire  utile  il  tentativo  di   individuare   i   principi
fondamentali ai quali sembra ispirarsi la giurisprudenza della  Corte
costituzionale in materia di successione delle leggi processuali  nel
tempo, in quanto in un sistema come il  nostro  caratterizzato  dalla
mancanza di chiari ed univoci  principi  di  diritto  intertemporale,
quantomeno in materia processuale, acquisisce importanza tutt'affatto
particolare la conoscenza dei consolidati  orientamenti  del  giudice
della legittimita' delle leggi. 
    Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale:  «
l'irretroattivita'  costituisce  un  principio  generale  del  nostro
ordinamento (art. 11, disp. prel.) e, se pur non elevato, fuori della
materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, comma 2°,  Cost.)
rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva
un'effettiva   causa    giustificatrice,    il    legislatore    deve
ragionevolmente  attenersi,  in  quanto  la  certezza  dei   rapporti
preteriti costituisce un indubbio cardine della civile  convivenza  e
della tranquillita' dei cittadini» (cosi', Corte cost. 4 aprile 1990,
n. 155). 
    Si  tratta  di   un   orientamento   oramai   consolidato   nella
giurisprudenza costituzionale, che e' stato  di  recente  riaffermato
dalla sent. n. 236/2009,  secondo  cui  il  principio  del  legittimo
affidamento «costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto
e non puo' essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in
regolamento irrazionale di situazioni sostanziali  fondate  su  leggi
anteriori  «(ex  multis,  sentt.  nn.  4/2009,   11/2007,   409/2005,
446/2002, 416/1999 e 390/1995). 
    Il principio  di  irretroattivita'  puo'  definirsi,  allora,  un
criterio  di  massima,  rimesso   alla   prudente   valutazione   del
legislatore ed in quanto tale suscettivo di deroghe secondo i normali
criteri che regolano i rapporti fra le fonti, salvo il  rispetto  del
canone della ragionevolezza. 
    3.2.  Se  l'art.  11  delle  preleggi  dispone,   in   principio,
l'irretroattivita'  della  legge   (e   cosi'   anche   della   legge
processuale) e, conseguentemente, la  salvezza  degli  atti  compiuti
sotto l'impero della legge anteriore, rimane salda,  comunque,  nella
giurisprudenza costituzionale la convinzione  che  sia  rimesso  alla
discrezionalita' del  legislatore  regolare  lo  stato  dei  rapporti
pendenti, valutando la scelta tra retroattivita' ed irretroattivita',
con il solo limite che  non  siano  contraddetti  principi  e  valori
costituzionali (cfr., in proposito, le sentt. n. 234/2007,  341/2006,
206/2004, 189/1992). 
    Fra questi, il principio di  tutela  del  legittimo  affidamento,
che, ha valenza anche in materia processuale. 
    Ha affermato, infatti, la Corte costituzionale:  «tale  principio
[...]si traduce [...] nel legittimo affidamento  delle  parti  stesse
nello svolgimento del giudizio secondo le  regole  vigenti  all'epoca
del compimento degli atti processuali» (sent. n. 525/2000). 
    Il principio della tutela del legittimo affidamento, com'e' noto,
non  godeva  di  una  espressa  protezione  autonoma,   presupponendo
l'aggancio  ad  altri  beni  o   interessi   destati   di   copertura
costituzionale. 
    Soltanto a partire dalla sent.  n.  416  del  1999,  infatti,  la
giurisprudenza costituzionale ha riferito  il  legittimo  affidamento
all'art. 3 della Carta costituzionale e al criterio di ragionevolezza
della legge, di cui il principio dell'affidamento e' una delle  tante
possibili declinazioni, affermando il valore autonomo  del  principio
di tutela del legittimo affidamento del cittadino, alla cui esclusiva
stregua si puo' pervenire allo scrutinio di  costituzionalita'  ,  in
tal guisa definitivamente superando il tradizionale orientamento  che
richiedeva  la  contemporanea  lesione  di  precetti   costituzionali
specifici,  associandone  l'affermazione  alla  protezione  di  altre
esigenze costituzionalmente tutelate, come, ad esempio  l'adeguatezza
del trattamento previdenziale (art. 38 Cost.) (in tal senso, sent. n.
390/1995), la garanzia del diritto di difesa (art. 24 Cost.) (in  tal
senso, sent. n. 111/1998), la  garanzia  del  diritto  di  iniziativa
economia (art. 41 Cost.), la tutela  della  funzione  giurisdizionale
(artt. 101 e 103 Cost.). 
    Tant'e' che, in  definitiva,  l'accertamento  della  frustrazione
dell'affidamento del cittadino  ad  opera  del  legislatore  assumeva
rilievo, ai fini della dichiarazione di incostituzionalita', solo  se
ed in quanto costituisse la condizione per l'affermazione del  vulnus
arrecato ad altri principi costituzionali sostanziali, volta a  volta
evocati in ragione  degli  interessi  materiali  incisi  dalla  legge
scrutinata. 
    Impostazione che era stata oggetto di rilevanti critiche da parte
della dottrina, la quale ha evidenziato come essa abbia  in  sostanza
determinato l'attenuazione della natura  di  principio  di  carattere
generale della tutela del legittimo affidamento: quasi una  sorta  di
«affioramento costituzionale per relationem»  ,  secondario,  perche'
tutto dipendente dal coinvolgimento di altri precetti costituzionali. 
    3.3.1. Piu' esattamente, l'accertamento della eventuale incidenza
sulla esigenza di sicurezza giuridica e sulla tutela delle  legittime
aspettative s'inserisce nel giudizio di  ragionevolezza  legislativa,
teso a verificare  che  la  scelta  operata  dal  legislatore  (nella
specie,  l'adozione  di  norme  di  portata  retroattiva)   non   sia
sproporzionata rispetto agli scopi che devono essere perseguiti (cfr.
sent. n. 446/2002; in senso conforme: sentt. nn. 327/2001,  319/2001,
525/2000, 419/2000, 416/1999, 211/1997, 390/1995). 
    Da tali  pronunce  si  ricava,  ad  una  prima  analisi,  che  il
principio dell'affidamento  assume  valore  costituzionale  idoneo  a
prevalere sulla legislazione successiva alla duplice  condizione  che
essa «trasmodi in un regolamento irrazionale che  frustri  situazioni
sostanziali fondate  su  leggi  previgenti»  (in  termini,  sent.  n.
390/1995  e,  per  una  conferma,  sent.  n.   446/2002;   le   prime
affermazioni in tal senso,  peraltro,  sono  gia'  rinvenibili  nelle
sentt. nn. 349/1985 e 822/1988) e che l'affidamento sia pervenuto  ad
un «elevato livello di  consolidamento»  (cosi',  sent.  n.  390/1995
cit.), che deve essere tale da trasformare «un'aspettativa generica e
non titolata» in un «affidamento qualificato» (in termini,  sent.  n.
394/2002). 
    3.3.2. In tempi piu' recenti, inoltre, la Corte costituzionale ha
chiarito che il principio dell'affidamento  e'  coperto  da  garanzia
costituzionale non in tutti i casi di norme retroattive  irrazionali,
ma solo nei casi in cui l'incisione  e'  avvenuta  in  danno  di  una
«posizione giuridica consolidata», «in quanto radicata  non  soltanto
su un  provvedimento  amministrativo  che  l'ha  disposta...ma  anche
sull'effettivo  esercizio  delle  attribuzioni  connesse   a   quella
posizione radicata » (cosi', sent. n. 236/2009), con esclusione delle
posizioni di mera aspettativa (cfr., sent. n. 11/2007). 
    3.3.3.  Secondo  il  giudice  della  legittimita'  delle   leggi,
inoltre, nel giudizio di bilanciamento che la Corte  deve  effettuare
sulla base del canone della  ragionevolezza,  e'  necessario  che  la
scelta legislativa sia sorretta da una  «esigenza  inderogabile»  (da
ultimo, sent. n.. 236/2009).  La  casistica  giurisprudenziale  offre
numerosi  esempi  di  tale  inderogabile  esigenza:  «assicurare   un
equilibrio  andamento  del  bilancio»,  destinato   ad   evitare   il
pregiudizio  alla  «capacita'  stessa   di   effettuare   in   futuro
prestazioni pensionistiche a tutti gli aventi diritto» (cosi',  sent.
n. 390/1995 e, da ultimo, sent. 466/2002; cfr, anche sentt. nn. 417 e
361 del 1996, 240/1994 e 822/1998); «porre riparo ad  una  situazione
di crisi delle risorse finanziarie dei fondi pensione» (cosi',  sent.
n.  211/1997);  «rispondere  alla  necessita'  economico-sociale   di
evitare in un momento di grave crisi economica notevoli disparita' di
trattamento fra le diverse categorie di pensionati» (cosi', sent.  n.
349/ 1995). 
    Circa l'esito del giudizio di bilanciamento  tra  la  tutela  del
legittimo affidamento e gli scopi sussumibili sotto la formula  della
«esigenza  inderogabile»,  tende  a  prevalere  nella  giurisprudenza
costituzionale la soluzione che considera rilevanti solo  le  ipotesi
in cui e' lesiva  del  principio  del  legittimo  affidamento  quella
disciplina che comporti  un  pregiudizio  assoluto  ed  irrevocabile,
quale un intervento legislativo che elimini del tutto il  trattamento
pensionistico, ma non l'ipotesi di una sua riduzione pur se cospicua;
e cio', se da  un  lato  delimita  in  maniera  precisa  l'ambito  di
operativita'  della  tutela  del  legittimo  affidamento,  dall'altro
ridimensiona in  maniera  significativa  la  portata  del  principio,
destinato ad operare solo in casi limite. 
    3.4. Per quanto concerne, in particolare, il diritto transitorio,
identificato quale insieme di norme che regolano, nel  dettaglio,  il
passaggio fra assetti normativi  che  si  succedono  nel  tempo,  non
sfuggono alla Corte costituzionale le  esigenze  di  gradualita'  che
assistono le trasformazioni  degli  assetti  giuridici  (cfr.,  Corte
cost., sentt.  nn.  413/2002;378/1994,  291/1994,  5/1994,  136/1991,
160/1985, 89/1984, 32/1980 e ordd. nn. 59/1994 e 419/1990),  al  fine
di «temperare le conseguenze dell'impatto  di  una  nuova  normativa»
(cosi', Corte cost. n. 378/1994). 
    Se la regola di diritto  intertemporale,  espressa  dall'art.  11
delle c.d. preleggi, e' nel senso della  normale  non  retroattivita'
della legge processuale, e della  conseguente  inapplicabilita'  agli
atti gia' compiuti, e'  nella  discrezionalita'  del  legislatore  di
adottare soluzioni che si discostano  da  questo  criterio  generale,
dettando disposizioni transitorie in relazione alle peculiarita'  del
caso (cfr., sent. n.  167/2009).  E'  in  facolta'  del  legislatore,
dunque, di «regolare [...] il passaggio da una vecchia  a  una  nuova
disciplina [...] dettando norme transitorie intese a mantenere  ferme
tutte od alcune delle disposizioni abrogate per  situazioni  pendenti
alla data di  entrata  in  vigore  delle  disposizioni  nuove  e,  in
particolare, a stabilire la sorte dei processi in corso a tale data e
i  limiti  di  applicabilita'  ad  essi  delle   sopravvenute   norme
processuali (cosi', C. cost., 29  marzo  1991,  n.  136;  cfr.  anche
sentt. nn. 309/2008 e 219/2004). 
    La latitudine della discrezionalita' riconosciuta al  legislatore
e' tale da consentire molteplici soluzioni in grado di realizzare  le
finalita' sottese alla nuova normativa, ma una discrezionalita' cosi'
ampia deve tenere conto, pero', dei limiti imposti  dal  criterio  di
ragionevolezza, desunto dall'art. 3 della  carta  fondamentale  (cfr.
Corte cost.,  ord.  n.  327/2001  e  sentt.  n.  179/1996,  136/1991,
168/1985, 64/1982, 7/1963 e, da ultimo, sent. n. 376/2008). 
    In definitiva, sebbene  non  sia  interdetto  al  legislatore  di
adottare disposizioni che modifichino sfavorevolmente  la  disciplina
dei rapporti di durata, dette disposizioni «non possono trasmodare in
un  regolamento  irrazionale,  ne'  arbitrariamente  incidere   sulle
situazioni  sostanziali  poste  in  essere   da   leggi   precedenti,
frustrando cosi' anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza
giuridica  che  costituisce  elemento  fondamentale  dello  Stato  di
diritto» (cosi', sent. n.  179/1996  cit.  e,  da  ultimo,  sent.  n.
206/2009). 
    Vi  e'  uno  spazio,  pertanto,   entro   il   quale   la   Corte
costituzionale puo' intervenire  sul  contenuto  (il  quomodo)  delle
disposizioni  transitorie,  senza   invadere   in   alcun   modo   la
discrezionalita'  legislativa:  esso  e'  segnato  dall'esigenza   di
preservare la razionalita' stessa del quadro normativo e, ancora,  di
tutelare il legittimo affidamento nei riguardi di diritti  soggettivi
perfetti, e di salvaguardare le  posizioni  acquisite  in  base  alla
normativa anteriore (cfr. le sentt. n. 179/1996 e 378/1994). 
    Si tratta  ,  dunque,  di  verificare,  alla  luce  dei  suddetti
orientamenti, la ragionevolezza della  disposizione  censurata  sulla
base del principio di tutela dell'affidamento, quale  parametro  alla
stregua del quale scrutinare la legittimita'  della  norma  medesima,
con riguardo all'art. 3 Cost. (in termini, sent. n. 236/2009). 
    La regola di «diritto transitorio», quale  puo'  desumersi  dalla
giurisprudenza costituzionale, e', infatti, nel senso  che  qualunque
soluzione puo' essere sperimentata  dal  legislatore  (retroattivita'
della legge nuova; ultrattivita' di quella abrogata; regime  «terzo»,
intermedio tra l'una e l'altra), purche'  la  soluzione  adottata  in
concreto sia «ragionevole» e non configga con  altre  disposizioni  o
principi  costituzionali,  tra  cui  il   principio   del   legittimo
affidamento. 
    Una lettura della norma in questione in senso  costituzionalmente
orientato e' resa impossibile dal chiaro ed in equivoco  dettato  del
comma  30-ter  cit.  in  quanto  ogni  tentativo  dell'interprete  di
postulare la inapplicabilita' della norma nuova ai giudizi  in  corso
alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n.
78/2009  si  scontra  con  la   chiara   formulazione   della   norma
transitoria. 
    Rileva  il  remittente  che  l'interpretazione   adeguatrice   e'
possibile solo nel caso in  cui  la  disposizione  interessata  abbia
«carattere polisenso» - tale cioe' da esprimere due o piu'  possibili
significati, dei quali uno  soltanto  «compatibile»  con  i  precetti
costituzionali - che e'  contraddetto  dalla  formula  adoperata  dal
legislatore, la quale non da' adito ad alcun  dubbio,  in  quanto  la
sanzione  della  nullita'  colpisce  anche  gli  atti  istruttori   e
processuali posti in essere prima della entrata in vigore della nuova
disciplina e,  quindi,  la  disposizione  ha  efficacia  retroattiva,
contro il principio tempus regit actum. 
    3.5.   I1   problema,   per   l'interprete,   consiste,   allora,
nell'individuare il momento in cui l'affidamento della parte pubblica
rappresentata dal P.M. contabile, nella sua veste di  parte  attrice,
sia giunto a siffatto stadio di consolidamento, facendo  applicazione
dei criteri generali. 
    Ad  avviso  del  remittente  esiste  un  ragionevole  e   preciso
contestuale affidamento da parte  del  pubblico  ministero  contabile
allo  svolgimento  del  processo  secondo  le  disposizioni   vigenti
anteriormente  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge   di
conversione del d.l. n. 78/2009. 
    Guardando,  invero,  piu'   correttamente   al   problema   dalla
prospettiva dell'atto compiuto sembra evidente  che  la  legittimita'
dell'atto  istruttorio  e  processuale  debba  essere  valutata   con
esclusivo riferimento alla legge vigente nel momento in cui e'  stato
posto in essere. 
    Un  importante   criterio   sembra,   quindi,   dover   informare
l'esercizio della  «razionalita'»  del  legislatore,  nelle  numerose
applicazioni che essa riceve in relazione ai casi concreti: la parte,
che ha atteggiato la propria posizione processuale  alla  luce  della
legge vigente al momento del compimento  di  un  determinato  atto  o
addirittura nell'intero corso di  un  grado  di  giudizio,  non  puo'
ricevere danno dal cambiamento delle  regole  del  processo,  esposte
all'alea di modificazioni sopravvenute, da cui consegua  l'inibizione
di poteri e garanzie processuali che le sarebbero  spettati  in  base
alla legge abrogata: in definitiva, penalizzando in  modo  arbitrario
la posizione delle  parti  o  di  taluna  di  esse  e  rimettendo  in
discussione  l'unita'  e   la   coerenza   della   intera   attivita'
processuale. 
    La sanzione della nullita' degli atti istruttori e processuali di
cui all'art.  17,  comma  30-ter,  d.l.  cit.  integra,  quindi,  una
irragionevole  lesione  del  legittimo   affidamento   del   pubblico
ministero contabile, determinando, con la  comminatoria  di  nullita'
della attivita' istruttoria  e/o  processuale  gia'  dispiegata,  una
compressione  di  posizioni  soggettive   processuali   acquisite   e
consolidate, che non trova alcuna  giustificazione  in  relazione  ad
altre esigenze di ordine costituzionale. 
    Ad inficiare il ragionamento  qui  seguito  non  potrebbe  valere
l'osservazione secondo cui soltanto la pronuncia  di  sentenza  anche
non definitiva trasformerebbe quella che e' una mera aspettativa (del
p.m. contabile) in «affidamento qualificato». 
    E' semplice replicare, infatti, che, trattandosi di atti,  quelli
di cui si parla, che si compiono in  modo  istantaneo,  l'affidamento
nasce, e si consolida, nello stesso istante in cui  l'atto  viene  ad
esistenza (tempus regit effectum); sicche' appare  irragionevole  che
la nuova legge estenda la sua  efficacia  agli  atti  compiuti  sotto
l'imperlo della legge del tempo in cui si sono realizzati  (art.  74,
r.d. n. 1214/1934 e 5, d.l. n. 543/1993). 
    Non  e'   qui   in   discussione,   infatti,   la   modificazione
sopravvenuta, in  senso  limitativo,  della  giurisdizione  contabile
quanto l'applicazione retroattiva della sanzione della nullita'  agli
atti (istruttori e processuali) posti  in  essere  sotto  la  vigenza
della legge anteriore, in  violazione  del  principio  del  legittimo
affidamento,  vertendo  l'oggetto   del   giudizio   sulla   separata
valutazione della  fondatezza  della  specifica  azione  di  nullita'
prefigurata dal  legislatore  a  tutela  anticipata  degli  interessi
pregiudicati dall'atto istruttorio asseritamente contra legem. 
    Secondo l'insegnamento  del  Giudice  delle  leggi,  infatti,  il
Pubblico ministero contabile e' portatore  di  particolari  interessi
agendo egli a tutela dell'ordinamento e degli interessi  generali  ed
indifferenziati  della  collettivita',  oltre  che  degli   interessi
concreti  e  particolari  delle  amministrazioni   pubbliche   (Cost.
104/1989, n 65/1992 e n. 291/2008). 
    La sostanziale vanificazione  del  diritto  di  azione  del  P.M.
contabile,  legittimamente   esercitato   ratione   temporis,   rende
rilevante lo scrutinio delle nuove disposizioni anche con riferimento
ai parametri degli artt. 24 e 103 Cost. 
    3.6. La norma che si impugna  viola,  altresi',  sotto  un  altro
profilo, l'art. 3 Cost., assunto come tertium comparationis l'art. 59
della legge n. 69/2009. 
    Cio' in quanto, verificandosi la  translatio  iudicii  -  per  il
carattere derogatorio della norma di cui si  dubita  la  legittimita'
costituzionale, che  opera  nel  senso  di  impedire  la  perpetuatio
jurisdictionis -  la  nullita'  dell'atto  di  citazione  importa  la
mancata  conservazione  degli  effetti  processuali   della   domanda
(determinazione  delle  parti  del  processo  anche  ai  fini   della
legittimazione; determinazione dell'oggetto del processo;  etc.)  nel
nuovo giudizio riassunto dinanzi  al  giudice  ordinario,  presso  ii
quale il processo riprendera' ex novo. 
    Si ripropone, in definitiva, con riferimento ai giudizi  pendenti
dinanzi alla Corte dei conti, la situazione che ha  spinto  la  Corte
costituzionale ad affermare, con la sentenza n. 77/2007, il principio
della conservazione degli effetti della domanda proposta  innanzi  al
giudice sprovvisto di giurisdizione, ritenendo del tutto indifferente
che il giudizio debba  essere  riassunto  innanzi  a  questo  o  quel
giudice e sancendo il principio  della  conservazione  degli  effetti
sostanziali e processuali gia' prodotti  nel  passaggio  da  un  rito
all'altro, dal momento che ogni altra soluzione si  sarebbe  tradotta
in una lesione del diritto di difesa ex art. 24 Cost. 
    4.  Rimane  assorbito  ogni  altro  profilo   di   illegittimita'
costituzionale prospettato.