LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso, iscritto al n. 29761 del registro di segreteria, promosso da Ostuni Luciano - rapp.to e difeso dagli avv.ti Gianluigi e Federico Pellegrino, giusta procura a margine del ricorso, per la declaratoria di nullita': dell'atto di citazione. emesso in data 22 maggio 2009; dell'invito a dedurre emesso in data 23 febbraio 2009; di ogni altro atto istruttorio presupposto; Udita alla pubblica udienza del 28 gennaio 2010 la relazione del consigliere dott. Vittorio Raeli; Udito l'avv. Federico Pellegrino, per il ricorrente, e il sostituto generale dott. Carlo Picuno, in rappresentanza della Procura regionale; Visto il ricorso in epigrafe, depositato il 20 gennaio 2010; Esaminati gli atti; Considerato in fatto Con ricorso notificato in data 15 gennaio 2010 alla Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale regionale, il Sig. Ostuni Luciano rappresenta quanto in appresso e' detto. In data 23 febbraio 2009 e' stato invitato dal Procuratore regionale a fornire deduzioni ex art. 5, comma 1, d.l. n. 453/1993 in ordine a due distinte voci di danno erariale: la prima, consistente nella distrazione dal fine pubblico delle somme stanziate ai sensi della 1. n. 488/1992 dal Ministero delle Attivita' Produttive in favore della societa' «ICHEM» a r.l., giusta decreto n. 54141 del 14 agosto 1998; la seconda, identificabile con il pregiudizio arrecato all'immagine della P.A. erogante. In particolare, il Procuratore regionale contesta all'ing. Ostuni, dirigente dell'U.T.C. del Comune di Lequile dal 1998 al 2005, di avere: chiesto all'amministrazione comunale l'indizione di una conferenza di servizi, in difetto dei presupposti indicati dall'art. 5 del D.P.R. n. 447/98; presieduto la stessa, conclusasi con esito positivo, sebbene mancasse la certificazione di conformita' del progetto alla normativa ambientale; e, quindi, di avere rilasciato alla societa' «ICHEM» a r.l. le concessioni numeri 47/00 e 52/00, omettendo qualsiasi successivo accertamento previsto dalla legge, peraltro attestando falsamente di essere il redattore di relazioni istruttorie inerenti le pratiche edilizie intestate alla stessa societa'. E tutto cio' al fine di assicurare alla predetta societa' beneficiaria del finanziamento la formale trasformazione in zone industriali di aree aventi destinazione agricola secondo il P.R.G. vigente nel Comune di Lequile, dietro compenso di denaro ed altre utilita'. Afferma il difensore che i fatti di causa sono gli stessi per i quali il Procuratore della Repubblica di Lecce ha chiesto il rinvio a giudizio del ricorrente nel procedimento penale n. 4150/02 r.g.n.r. e sui quali, aperta la vertenza in sede contabile, il medesimo ha fornito le proprie deduzioni al P.M. contabile, in risposta all'invito notificato in data 2 marzo 2009. Senonche' le argomentazioni difensive sono state disattese con la emissione in data 22 maggio 2009 dell'atto di citazione, notificato il 24 giugno 2009, a seguito del quale l'ing. Ostuni e' stato convenuto in giudizio per la condanna al pagamento in via principale della somma di € 795.563,12 per il danno arrecato all'immagine del Ministero delle Attivita' Produttive e, gradatamente, dell'intero importo del danno derivante dalla vicenda, pari a complessivi € 3.447.440,18; oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali. Cio' premesso, il ricorrente chiede la declaratoria di nullita' dell'atto di citazione, dell'invito a dedurre e di ogni altro atto istruttorio ad essi presupposto, a mente dell'art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78/2009, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera c), n. 1, d.l. n. 103/2009, convertito in legge n. 141/2009. Con riferimento al danno all'immagine della P.A., deduce il ricorrente: «il legislatore ha cosi' voluto limitare la perseguibilita' di tale autonoma figura di danno erariale alle sole ipotesi in cui il c.d. clamor fori sia stato determinato dalla divulgazione di notizia criminis riferita ad uno dei delitti (artt. 314-335 c.p.) ....con evidente esclusione di ogni altra ipotesi di reato» e, inoltre, che «il giudicato penale per uno dei delitti previsti nel Capo I, Titolo Libro II, c.p. assurge a vera e propria condizione di procedibilita' dell'azione di responsabilita' amministrativa». Essendo stato prosciolto sia dal reato di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio sia dal reato di concorso in falso ideologico per effetto di sentenza di non luogo a procedere (sentenza n. 133 del 15 febbraio 2008) pronunciata dal G.U.P. presso il Tribunale di Lecce e passata in giudicato, il ricorrente invoca, dunque, l'applicazione della norma di cui all'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 nel testo risultante dall'art. 1, comma 1, lettera c), n. 1, del d.l. n. 103/2009 (conv. in legge n. 141/2009) e chiede la declaratoria di nullita' degli atti summentovati. Venuto in discussione il giudizio alla odierna udienza, l'avv. Pellegrino ha illustrato le tesi a fondamento del ricorso, richiamando la sentenza di non luogo a procedere e insistendo per la declaratoria di nullita' dell'invito a dedurre e dell'atto di citazione, ribadendo l'interesse al conseguimento della richiesta declaratoria di nullita' sebbene il processo, gia' incardinato con i1 predetto atto di citazione, risulti sospeso per regolamento preventivo di giurisdizione interposto dall'odierno convenuto. Il Procuratore regionale si e' opposto all'accoglimento del ricorso sul presupposto della inapplicabilita' della suddetta normativa per il principio tempuis regit actum e, in via subordinata, ha prospettato questione di legittimita' costituzionale per violazione degli articoli 2, 3, 24, 25 della Costituzione. Ritenuto in diritto 1. La Sezione solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, d.1. n. 78 /2009 - per violazione dell'art. 3, comma 1, della Costituzione - nella parte relativa alla comminatoria della nullita' di ogni atto istruttorio e processuale compiuto, al di fuori dei casi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001, prima della entrata in vigore della legge di conversione, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, secondo quanto di seguito specificato. 2. Sotto il profilo della rilevanza, osserva il Collegio che sia I' invito a dedurre sia l'atto di citazione sono stati emessi (e notificati) in data anteriore alla entrata in vigore (5 agosto 2009) della normativa de qua, che limita l'esercizio della azione di responsabilita' erariale per il danno all'immagine, con la previsione «nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97», disponendo, al contempo, che «qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta». Per quel che concerne l'ambito oggettivo di applicazione della norma deve evidenziarsi che la novella legislativa incide in modo significativo non soltanto sulla promovibilita' della azione erariale, ma sulla stessa giurisdizione contabile, in materia di danno all'immagine della P.A., in quanto il rinvio ai «casi» e ai «modi» di cui all'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 rubricato «Responsabilita' per danno all'erario», non puo' significare se non che la Corte dei conti puo' conoscere del danno all'immagine della P.A. solo se tale pregiudizio e' riferibile ad uno dei reati previsti dal Capo I, Titolo II, Libro II del codice penale e purche' sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna. Dovrebbe pronunciare questo giudice, dunque, il difetto di giurisdizione e contemporaneamente la nullita' degli atti istruttori (tra cui l'invito a dedurre) e processuali (in primis, l'atto di citazione), restando esclusi dalla giurisdizione contabile gli odierni fatti di causa in relazione all'an della azione erariale di responsabilita', dappoiche' trattasi di ipotesi delittuose che, in parte, esulano dalla tipologia dei delitti contro la P.A. e non essendo intervenuto, per tutte, il giudicato penale di condanna. L'assunto accusatorio secondo cui la nuova norma non sembra possa travolgere gli atti compiuti prima della entrata in vigore del d.l. n. 78/2009, retti, appunto, dalla legge vigente al momento nel quale sono stati compiuti non e' fondato, in quanto non trova applicazione il principio tempus regit actum per i motivi che seguono. L'individuazione dei principi di diritto intertemporale stabiliti per regolare la successione di norme processuali civili - e, quindi, la applicazione nel tempo della legge processuale civile - e' ancora oggi una questione aperta. L'unica disposizione, infatti, che si occupa delle vicende temporali delle leggi processuali e' l'art. 5 c.p.c., a mente del quale «la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo». Norma, questa, che e' dettata soltanto in relazione ai profili della giurisdizione e della competenza che verrebbero incisi dalla nuova legge processuale. In mancanza di una apposita disciplina, le questioni di diritto intertemporale che coinvolgono le norme processuali sono risolte, dunque, secondo i principi generali contenuti delle preleggi, tra cui, primo tra tutti, il principio di irretroattivita', secondo cui le nuove norme di legge trovano applicazione per l'avvenire, che viene descritto in ambito processuale impiegando il tradizionale brocardo tempus regit actum: ogni singolo atto del processo deve essere compiuto secondo la legge vigente al momento in cui viene posto in essere e a tale legge occorre fare riferimento per giudicare della sua validita'. Secondo la Corte costituzionale: «il principio dell'immediata applicazione della sopravvenuta legge processuale si applica (ove manchi [...] una disciplina transitoria) soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della legge stessa: questa non retroagisce, invece, su quelli anteriormente compiuti, i quali sono regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere» (cosi', C. cost. 4 aprile 1990, n. 155 e, in termini, C. cost. 28 maggio 1999, n. 1999); Tale posizione e' ampiamente condivisa dalla Cassazione civile (ex multis: Sez. III, 12 maggio 2000, n. 6099). La corretta applicazione del principio tempus regit actum postula, tuttavia, la mancanza di una disciplina transitoria volta a regolare espressamente il passaggio da una vecchia a una nuova disciplina. Il che non e' nel caso di specie, alla luce della ricostruzione della normativa, in quanto proprio l'ultimo periodo del comma 30-ter dell'art. 17 cit. induce a ritenere la nuova norma immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti alla data della entrata in vigore del d.l. n. 78/2009 e s.m. e, quindi, anche al giudizio in corso, siccome reso evidente dalla formulazione letterale («... salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto...») . Nella sostanza la norma che limita la giurisdizione della Corte dei conti sul danno della P.A., con la conseguente sanzione processuale della nullita', non si applica ai giudizi in corso soltanto se sia stata pronunciata sentenza (anche non definitiva) alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 102/2009 (5 agosto 2009) e, quindi, utilizzando l'argomento a contrario, la novella legislativa si applica a tutti gli altri giudizi in corso. Trattasi, evidentemente, di norma di diritto transitorio che deroga in modo implicito, sia pure inequivoco, all'art. 5 c.p.c. , norma questa di diritto intertemporale, che, altrimenti, avrebbe dovuto trovare applicazione con riferimento ai giudizi di responsabilita' introdotti dinanzi alla Corte dei conti prima della entrata in vigore dell'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009. Ed invero, ai sensi dell'art. 5 c.p.c. la giurisdizione (e la competenza) si determina (no) sulla base della legge vigente al momento della proposizione della domanda, senza che abbiano rilevanza i mutamenti successivi della legge regolatrice della giurisdizione (e della competenza). Il carattere derogatorio della norma de qua e' reso palese dalla sanzione della nullita' che colpisce, con riferimento ai giudizi in corso, gli atti istruttori e processuali compiuti prima della entrata di in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78/ 2009, in tutti i casi in cui si e' esclusa la giurisdizione della Corte dei conti sul danno all'immagine della P.A. Va precisato, a tale proposito, che costituiscono atti istruttori quelli di cui all'art. 74, r.d. 1934/1214 e 5 d.l. n. 453/1993 e che, tra gli atti processuali, possono farsi rientrare, senza pretesa di esaustivita', l'atto di citazione e il ricorso per l'applicazione di misure cautelari. La questione di legittimita' costituzionale e' dunque rilevante nel presente giudizio atteso che dall'applicabilita' della norma censurata di incostituzionalita' dipende la comminatoria, o meno, della nullita' dell'invito a dedurre e dell'atto di citazione e, per converso, giudicare, entro il termine di trenta giorni, della legittimita' e della correttezza degli atti gia' compiuti, concreta senz'altro applicazione retroattiva delle disposizioni sopravvenute. 3. La questione di legittimita' costituzionale, oltre che rilevante, e' non manifestamente infondata per violazione dell'art. 3 della Costituzione, secondo quanto in appresso detto. 3.1. Si e' detto che nonostante la specificita' dei problemi che interessano la materia processuale, l'applicazione e l'efficacia nel tempo delle norme sul processo risultano regolate dalle disposizioni preliminari al codice civile (c.d. preleggi), vale a dire da quell'unitario corpus di leges legum che disciplina in modo affatto generale i temi dell'applicazione, interpretazione, retroattivita' e abrogazione delle (di tutte) le leggi. Prima di procedere nell'analisi della norma - come sopra individuata - di cui all'art. 17, comma-ter, del d.l. n. 78/2009, puo' riuscire utile il tentativo di individuare i principi fondamentali ai quali sembra ispirarsi la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di successione delle leggi processuali nel tempo, in quanto in un sistema come il nostro caratterizzato dalla mancanza di chiari ed univoci principi di diritto intertemporale, quantomeno in materia processuale, acquisisce importanza tutt'affatto particolare la conoscenza dei consolidati orientamenti del giudice della legittimita' delle leggi. Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale: « l'irretroattivita' costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11, disp. prel.) e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, comma 2°, Cost.) rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini» (cosi', Corte cost. 4 aprile 1990, n. 155). Si tratta di un orientamento oramai consolidato nella giurisprudenza costituzionale, che e' stato di recente riaffermato dalla sent. n. 236/2009, secondo cui il principio del legittimo affidamento «costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto e non puo' essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori «(ex multis, sentt. nn. 4/2009, 11/2007, 409/2005, 446/2002, 416/1999 e 390/1995). Il principio di irretroattivita' puo' definirsi, allora, un criterio di massima, rimesso alla prudente valutazione del legislatore ed in quanto tale suscettivo di deroghe secondo i normali criteri che regolano i rapporti fra le fonti, salvo il rispetto del canone della ragionevolezza. 3.2. Se l'art. 11 delle preleggi dispone, in principio, l'irretroattivita' della legge (e cosi' anche della legge processuale) e, conseguentemente, la salvezza degli atti compiuti sotto l'impero della legge anteriore, rimane salda, comunque, nella giurisprudenza costituzionale la convinzione che sia rimesso alla discrezionalita' del legislatore regolare lo stato dei rapporti pendenti, valutando la scelta tra retroattivita' ed irretroattivita', con il solo limite che non siano contraddetti principi e valori costituzionali (cfr., in proposito, le sentt. n. 234/2007, 341/2006, 206/2004, 189/1992). Fra questi, il principio di tutela del legittimo affidamento, che, ha valenza anche in materia processuale. Ha affermato, infatti, la Corte costituzionale: «tale principio [...]si traduce [...] nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all'epoca del compimento degli atti processuali» (sent. n. 525/2000). Il principio della tutela del legittimo affidamento, com'e' noto, non godeva di una espressa protezione autonoma, presupponendo l'aggancio ad altri beni o interessi destati di copertura costituzionale. Soltanto a partire dalla sent. n. 416 del 1999, infatti, la giurisprudenza costituzionale ha riferito il legittimo affidamento all'art. 3 della Carta costituzionale e al criterio di ragionevolezza della legge, di cui il principio dell'affidamento e' una delle tante possibili declinazioni, affermando il valore autonomo del principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino, alla cui esclusiva stregua si puo' pervenire allo scrutinio di costituzionalita' , in tal guisa definitivamente superando il tradizionale orientamento che richiedeva la contemporanea lesione di precetti costituzionali specifici, associandone l'affermazione alla protezione di altre esigenze costituzionalmente tutelate, come, ad esempio l'adeguatezza del trattamento previdenziale (art. 38 Cost.) (in tal senso, sent. n. 390/1995), la garanzia del diritto di difesa (art. 24 Cost.) (in tal senso, sent. n. 111/1998), la garanzia del diritto di iniziativa economia (art. 41 Cost.), la tutela della funzione giurisdizionale (artt. 101 e 103 Cost.). Tant'e' che, in definitiva, l'accertamento della frustrazione dell'affidamento del cittadino ad opera del legislatore assumeva rilievo, ai fini della dichiarazione di incostituzionalita', solo se ed in quanto costituisse la condizione per l'affermazione del vulnus arrecato ad altri principi costituzionali sostanziali, volta a volta evocati in ragione degli interessi materiali incisi dalla legge scrutinata. Impostazione che era stata oggetto di rilevanti critiche da parte della dottrina, la quale ha evidenziato come essa abbia in sostanza determinato l'attenuazione della natura di principio di carattere generale della tutela del legittimo affidamento: quasi una sorta di «affioramento costituzionale per relationem» , secondario, perche' tutto dipendente dal coinvolgimento di altri precetti costituzionali. 3.3.1. Piu' esattamente, l'accertamento della eventuale incidenza sulla esigenza di sicurezza giuridica e sulla tutela delle legittime aspettative s'inserisce nel giudizio di ragionevolezza legislativa, teso a verificare che la scelta operata dal legislatore (nella specie, l'adozione di norme di portata retroattiva) non sia sproporzionata rispetto agli scopi che devono essere perseguiti (cfr. sent. n. 446/2002; in senso conforme: sentt. nn. 327/2001, 319/2001, 525/2000, 419/2000, 416/1999, 211/1997, 390/1995). Da tali pronunce si ricava, ad una prima analisi, che il principio dell'affidamento assume valore costituzionale idoneo a prevalere sulla legislazione successiva alla duplice condizione che essa «trasmodi in un regolamento irrazionale che frustri situazioni sostanziali fondate su leggi previgenti» (in termini, sent. n. 390/1995 e, per una conferma, sent. n. 446/2002; le prime affermazioni in tal senso, peraltro, sono gia' rinvenibili nelle sentt. nn. 349/1985 e 822/1988) e che l'affidamento sia pervenuto ad un «elevato livello di consolidamento» (cosi', sent. n. 390/1995 cit.), che deve essere tale da trasformare «un'aspettativa generica e non titolata» in un «affidamento qualificato» (in termini, sent. n. 394/2002). 3.3.2. In tempi piu' recenti, inoltre, la Corte costituzionale ha chiarito che il principio dell'affidamento e' coperto da garanzia costituzionale non in tutti i casi di norme retroattive irrazionali, ma solo nei casi in cui l'incisione e' avvenuta in danno di una «posizione giuridica consolidata», «in quanto radicata non soltanto su un provvedimento amministrativo che l'ha disposta...ma anche sull'effettivo esercizio delle attribuzioni connesse a quella posizione radicata » (cosi', sent. n. 236/2009), con esclusione delle posizioni di mera aspettativa (cfr., sent. n. 11/2007). 3.3.3. Secondo il giudice della legittimita' delle leggi, inoltre, nel giudizio di bilanciamento che la Corte deve effettuare sulla base del canone della ragionevolezza, e' necessario che la scelta legislativa sia sorretta da una «esigenza inderogabile» (da ultimo, sent. n.. 236/2009). La casistica giurisprudenziale offre numerosi esempi di tale inderogabile esigenza: «assicurare un equilibrio andamento del bilancio», destinato ad evitare il pregiudizio alla «capacita' stessa di effettuare in futuro prestazioni pensionistiche a tutti gli aventi diritto» (cosi', sent. n. 390/1995 e, da ultimo, sent. 466/2002; cfr, anche sentt. nn. 417 e 361 del 1996, 240/1994 e 822/1998); «porre riparo ad una situazione di crisi delle risorse finanziarie dei fondi pensione» (cosi', sent. n. 211/1997); «rispondere alla necessita' economico-sociale di evitare in un momento di grave crisi economica notevoli disparita' di trattamento fra le diverse categorie di pensionati» (cosi', sent. n. 349/ 1995). Circa l'esito del giudizio di bilanciamento tra la tutela del legittimo affidamento e gli scopi sussumibili sotto la formula della «esigenza inderogabile», tende a prevalere nella giurisprudenza costituzionale la soluzione che considera rilevanti solo le ipotesi in cui e' lesiva del principio del legittimo affidamento quella disciplina che comporti un pregiudizio assoluto ed irrevocabile, quale un intervento legislativo che elimini del tutto il trattamento pensionistico, ma non l'ipotesi di una sua riduzione pur se cospicua; e cio', se da un lato delimita in maniera precisa l'ambito di operativita' della tutela del legittimo affidamento, dall'altro ridimensiona in maniera significativa la portata del principio, destinato ad operare solo in casi limite. 3.4. Per quanto concerne, in particolare, il diritto transitorio, identificato quale insieme di norme che regolano, nel dettaglio, il passaggio fra assetti normativi che si succedono nel tempo, non sfuggono alla Corte costituzionale le esigenze di gradualita' che assistono le trasformazioni degli assetti giuridici (cfr., Corte cost., sentt. nn. 413/2002;378/1994, 291/1994, 5/1994, 136/1991, 160/1985, 89/1984, 32/1980 e ordd. nn. 59/1994 e 419/1990), al fine di «temperare le conseguenze dell'impatto di una nuova normativa» (cosi', Corte cost. n. 378/1994). Se la regola di diritto intertemporale, espressa dall'art. 11 delle c.d. preleggi, e' nel senso della normale non retroattivita' della legge processuale, e della conseguente inapplicabilita' agli atti gia' compiuti, e' nella discrezionalita' del legislatore di adottare soluzioni che si discostano da questo criterio generale, dettando disposizioni transitorie in relazione alle peculiarita' del caso (cfr., sent. n. 167/2009). E' in facolta' del legislatore, dunque, di «regolare [...] il passaggio da una vecchia a una nuova disciplina [...] dettando norme transitorie intese a mantenere ferme tutte od alcune delle disposizioni abrogate per situazioni pendenti alla data di entrata in vigore delle disposizioni nuove e, in particolare, a stabilire la sorte dei processi in corso a tale data e i limiti di applicabilita' ad essi delle sopravvenute norme processuali (cosi', C. cost., 29 marzo 1991, n. 136; cfr. anche sentt. nn. 309/2008 e 219/2004). La latitudine della discrezionalita' riconosciuta al legislatore e' tale da consentire molteplici soluzioni in grado di realizzare le finalita' sottese alla nuova normativa, ma una discrezionalita' cosi' ampia deve tenere conto, pero', dei limiti imposti dal criterio di ragionevolezza, desunto dall'art. 3 della carta fondamentale (cfr. Corte cost., ord. n. 327/2001 e sentt. n. 179/1996, 136/1991, 168/1985, 64/1982, 7/1963 e, da ultimo, sent. n. 376/2008). In definitiva, sebbene non sia interdetto al legislatore di adottare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, dette disposizioni «non possono trasmodare in un regolamento irrazionale, ne' arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto» (cosi', sent. n. 179/1996 cit. e, da ultimo, sent. n. 206/2009). Vi e' uno spazio, pertanto, entro il quale la Corte costituzionale puo' intervenire sul contenuto (il quomodo) delle disposizioni transitorie, senza invadere in alcun modo la discrezionalita' legislativa: esso e' segnato dall'esigenza di preservare la razionalita' stessa del quadro normativo e, ancora, di tutelare il legittimo affidamento nei riguardi di diritti soggettivi perfetti, e di salvaguardare le posizioni acquisite in base alla normativa anteriore (cfr. le sentt. n. 179/1996 e 378/1994). Si tratta , dunque, di verificare, alla luce dei suddetti orientamenti, la ragionevolezza della disposizione censurata sulla base del principio di tutela dell'affidamento, quale parametro alla stregua del quale scrutinare la legittimita' della norma medesima, con riguardo all'art. 3 Cost. (in termini, sent. n. 236/2009). La regola di «diritto transitorio», quale puo' desumersi dalla giurisprudenza costituzionale, e', infatti, nel senso che qualunque soluzione puo' essere sperimentata dal legislatore (retroattivita' della legge nuova; ultrattivita' di quella abrogata; regime «terzo», intermedio tra l'una e l'altra), purche' la soluzione adottata in concreto sia «ragionevole» e non configga con altre disposizioni o principi costituzionali, tra cui il principio del legittimo affidamento. Una lettura della norma in questione in senso costituzionalmente orientato e' resa impossibile dal chiaro ed in equivoco dettato del comma 30-ter cit. in quanto ogni tentativo dell'interprete di postulare la inapplicabilita' della norma nuova ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78/2009 si scontra con la chiara formulazione della norma transitoria. Rileva il remittente che l'interpretazione adeguatrice e' possibile solo nel caso in cui la disposizione interessata abbia «carattere polisenso» - tale cioe' da esprimere due o piu' possibili significati, dei quali uno soltanto «compatibile» con i precetti costituzionali - che e' contraddetto dalla formula adoperata dal legislatore, la quale non da' adito ad alcun dubbio, in quanto la sanzione della nullita' colpisce anche gli atti istruttori e processuali posti in essere prima della entrata in vigore della nuova disciplina e, quindi, la disposizione ha efficacia retroattiva, contro il principio tempus regit actum. 3.5. I1 problema, per l'interprete, consiste, allora, nell'individuare il momento in cui l'affidamento della parte pubblica rappresentata dal P.M. contabile, nella sua veste di parte attrice, sia giunto a siffatto stadio di consolidamento, facendo applicazione dei criteri generali. Ad avviso del remittente esiste un ragionevole e preciso contestuale affidamento da parte del pubblico ministero contabile allo svolgimento del processo secondo le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78/2009. Guardando, invero, piu' correttamente al problema dalla prospettiva dell'atto compiuto sembra evidente che la legittimita' dell'atto istruttorio e processuale debba essere valutata con esclusivo riferimento alla legge vigente nel momento in cui e' stato posto in essere. Un importante criterio sembra, quindi, dover informare l'esercizio della «razionalita'» del legislatore, nelle numerose applicazioni che essa riceve in relazione ai casi concreti: la parte, che ha atteggiato la propria posizione processuale alla luce della legge vigente al momento del compimento di un determinato atto o addirittura nell'intero corso di un grado di giudizio, non puo' ricevere danno dal cambiamento delle regole del processo, esposte all'alea di modificazioni sopravvenute, da cui consegua l'inibizione di poteri e garanzie processuali che le sarebbero spettati in base alla legge abrogata: in definitiva, penalizzando in modo arbitrario la posizione delle parti o di taluna di esse e rimettendo in discussione l'unita' e la coerenza della intera attivita' processuale. La sanzione della nullita' degli atti istruttori e processuali di cui all'art. 17, comma 30-ter, d.l. cit. integra, quindi, una irragionevole lesione del legittimo affidamento del pubblico ministero contabile, determinando, con la comminatoria di nullita' della attivita' istruttoria e/o processuale gia' dispiegata, una compressione di posizioni soggettive processuali acquisite e consolidate, che non trova alcuna giustificazione in relazione ad altre esigenze di ordine costituzionale. Ad inficiare il ragionamento qui seguito non potrebbe valere l'osservazione secondo cui soltanto la pronuncia di sentenza anche non definitiva trasformerebbe quella che e' una mera aspettativa (del p.m. contabile) in «affidamento qualificato». E' semplice replicare, infatti, che, trattandosi di atti, quelli di cui si parla, che si compiono in modo istantaneo, l'affidamento nasce, e si consolida, nello stesso istante in cui l'atto viene ad esistenza (tempus regit effectum); sicche' appare irragionevole che la nuova legge estenda la sua efficacia agli atti compiuti sotto l'imperlo della legge del tempo in cui si sono realizzati (art. 74, r.d. n. 1214/1934 e 5, d.l. n. 543/1993). Non e' qui in discussione, infatti, la modificazione sopravvenuta, in senso limitativo, della giurisdizione contabile quanto l'applicazione retroattiva della sanzione della nullita' agli atti (istruttori e processuali) posti in essere sotto la vigenza della legge anteriore, in violazione del principio del legittimo affidamento, vertendo l'oggetto del giudizio sulla separata valutazione della fondatezza della specifica azione di nullita' prefigurata dal legislatore a tutela anticipata degli interessi pregiudicati dall'atto istruttorio asseritamente contra legem. Secondo l'insegnamento del Giudice delle leggi, infatti, il Pubblico ministero contabile e' portatore di particolari interessi agendo egli a tutela dell'ordinamento e degli interessi generali ed indifferenziati della collettivita', oltre che degli interessi concreti e particolari delle amministrazioni pubbliche (Cost. 104/1989, n 65/1992 e n. 291/2008). La sostanziale vanificazione del diritto di azione del P.M. contabile, legittimamente esercitato ratione temporis, rende rilevante lo scrutinio delle nuove disposizioni anche con riferimento ai parametri degli artt. 24 e 103 Cost. 3.6. La norma che si impugna viola, altresi', sotto un altro profilo, l'art. 3 Cost., assunto come tertium comparationis l'art. 59 della legge n. 69/2009. Cio' in quanto, verificandosi la translatio iudicii - per il carattere derogatorio della norma di cui si dubita la legittimita' costituzionale, che opera nel senso di impedire la perpetuatio jurisdictionis - la nullita' dell'atto di citazione importa la mancata conservazione degli effetti processuali della domanda (determinazione delle parti del processo anche ai fini della legittimazione; determinazione dell'oggetto del processo; etc.) nel nuovo giudizio riassunto dinanzi al giudice ordinario, presso ii quale il processo riprendera' ex novo. Si ripropone, in definitiva, con riferimento ai giudizi pendenti dinanzi alla Corte dei conti, la situazione che ha spinto la Corte costituzionale ad affermare, con la sentenza n. 77/2007, il principio della conservazione degli effetti della domanda proposta innanzi al giudice sprovvisto di giurisdizione, ritenendo del tutto indifferente che il giudizio debba essere riassunto innanzi a questo o quel giudice e sancendo il principio della conservazione degli effetti sostanziali e processuali gia' prodotti nel passaggio da un rito all'altro, dal momento che ogni altra soluzione si sarebbe tradotta in una lesione del diritto di difesa ex art. 24 Cost. 4. Rimane assorbito ogni altro profilo di illegittimita' costituzionale prospettato.