Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  251,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato -  legge  finanziaria
2007), promosso dal Tribunale di Sanremo, con ordinanza del 5 gennaio
2009, iscritta al numero 229 del registro ordinanze 2009 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2009. 
    Visti l'atto di costituzione della Living Garden  s.r.l.  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  6  ottobre  2010  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri; 
    Uditi gli avvocati Lorenzo Acquarone e Giovanni Acquarone per  la
Living Garden s.r.l. e l'avvocato dello Stato Giuseppe  Albenzio  per
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 5 gennaio 2009, il Tribunale di Sanremo ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
251, della legge 27  dicembre  2006,  n.  296  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2007), per violazione  degli  artt.  3,  53  e  97  della
Costituzione. 
    1.1. - In punto di fatto, il giudice a quo  riferisce  di  essere
investito di un ricorso, proposto dalla Living Garden s.r.l. ai sensi
dell'art. 700 del codice di procedura civile, per ottenere una misura
cautelare utile ad evitare il  pagamento  della  somma  richiesta  da
Comune di Sanremo, con atto del 10 ottobre 2007, n. 53894, a  seguito
del nuovo computo del canone demaniale marittimo dovuto dalla  stessa
Living Garden per l'anno 2007. 
    La societa' ricorrente e' titolare di una  concessione  demaniale
marittima per l'occupazione e la conduzione di un  bar  gelateria  su
un'area di complessivi mq. 922 (comprendenti un'area scoperta di  mq.
259, un'area coperta con opere di facile rimozione di mq. 46, un'area
coperta con impianti  di  difficile  rimozione  di  mq.  142  ed  una
pertinenza demaniale di circa mq. 475, costituita  da  un  fabbricato
incamerato). Per l'intero compendio immobiliare la predetta  societa'
ha pagato, fino al 2007, un canone annuo di importo poco superiore  a
2.500 euro, periodicamente aggiornato. Per l'anno 2007, il Comune  di
Sanremo  ha   richiesto   un   canone   di   2.663,09   euro,   oltre
all'addizionale regionale del 10% (per un totale di 2.929,40 euro). 
    Nel giudizio a quo, la societa' ricorrente ha evidenziato come la
norma censurata abbia introdotto nuovi criteri di calcolo dei  canoni
demaniali  (quanto  meno  per  le  cosidette  pertinenze  demaniali),
determinando spropositati aumenti degli stessi, addirittura superiori
alla misura del 300%, gia' prevista dal  decreto-legge  30  settembre
2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per  la
correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito  in  legge,
con modificazioni, dall'art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326. 
    In particolare, il censurato art. 1, comma 251,  della  legge  n.
296 del 2006 -  che  ha  sostituito  il  comma  1  dell'art.  03  del
decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.   400   (Disposizioni   per   la
determinazione  dei   canoni   relativi   a   concessioni   demaniali
marittime), convertito in  legge,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 4 dicembre 1993,  n.  494  -  ha,  tra  l'altro,
stabilito che «per le concessioni comprensive di pertinenze demaniali
marittime si applicano, a decorrere dal 1° gennaio 2007,  i  seguenti
criteri: 2.1) per le pertinenze destinate ad  attivita'  commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, il canone e'
determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per
la media  dei  valori  mensili  unitari  minimi  e  massimi  indicati
dall'Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento.
L'importo ottenuto e' moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5. Il
canone  annuo  cosi'  determinato  e'  ulteriormente  ridotto   delle
seguenti percentuali,  da  applicare  per  scaglioni  progressivi  di
superficie del manufatto: fino a 200 metri  quadrati,  0  per  cento;
oltre 200 metri quadrati e fino a 500 metri quadrati, 20  per  cento;
oltre 500 metri quadrati e fino a 1.000 metri quadrati, 40 per cento;
oltre  1.000  metri  quadrati,  60  per  cento.  Qualora   i   valori
dell'Osservatorio del mercato immobiliare non siano  disponibili,  si
fa riferimento a quelli del piu' vicino comune costiero  rispetto  al
manufatto nell'ambito territoriale della medesima regione». 
    Ai  sensi  dell'art.  29  del  codice  della  navigazione,   sono
considerate pertinenze del demanio marittimo  «le  costruzioni  e  le
altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti  del
demanio marittimo e del mare territoriale». 
    Con il provvedimento impugnato nel giudizio principale il  Comune
di Sanremo, in applicazione del citato  comma  251  dell'art.  1,  ha
ricalcolato il canone per l'anno 2007 nella misura di 41.878,92  euro
ed ha invitato la societa' ricorrente a provvedere al pagamento delle
somme non corrisposte. 
    A fronte della nuova quantificazione del canone annuo, la  Living
Garden s.r.l. ha adito il Tribunale di Sanremo  chiedendo  l'adozione
di una misura cautelare  idonea,  come  accennato,  a  ricondurre  il
canone demaniale al precedente  importo  o  comunque  ad  un  livello
ragionevole, «tale da consentire la prosecuzione dell'attivita'». 
    Nel giudizio a quo, la societa' ricorrente ha dedotto,  in  primo
luogo, la violazione e falsa applicazione  dell'art.  1,  comma  251,
della legge n. 296 del 2006, in quanto  la  pertinenza  demaniale  in
concessione  alla  Living  Garden  s.r.l.  non   rientrerebbe   nelle
categorie di destinazione soggette al disposto  aumento,  trattandosi
di  un  fabbricato  destinato  ad  attivita'  di  bar  gelateria.  In
subordine,  e'  stata  dedotta  l'illegittimita'  costituzionale  del
richiamato comma 251, in quanto il nuovo criterio di  quantificazione
del canone demaniale marittimo violerebbe gli artt. 3, 41 e 97 Cost. 
    1.2. - Il giudice  rimettente  ha  escluso  il  fondamento  della
proposta  distinzione  tra  gli  esercizi  di   ristorazione   e   di
somministrazione  di  alimenti  e  bevande  e  le   altre   attivita'
commerciali, ed ha  invece  ritenuto  non  manifestamente  infondata,
oltre  che  rilevante,  la  prospettata  questione  di   legittimita'
costituzionale. 
    Per quanto riguarda la rilevanza,  il  Tribunale  assume  che  la
stessa sarebbe in re  ipsa,  in  quanto  il  provvedimento  impugnato
costituirebbe «pedissequa applicazione delle nuove norme che regolano
i contestati canoni demaniali». 
    In  merito  alla  non  manifesta  infondatezza,   il   rimettente
sottolinea  come  l'«ampia  discrezionalita'»,   di   cui   gode   il
legislatore nell'adottare norme modificatrici dei rapporti  giuridici
di durata, sia censurabile  ogni  qual  volta  «emergano  profili  di
manifesta irragionevolezza tali da ledere  il  buon  andamento  della
pubblica   amministrazione   o   da   determinare    situazioni    di
disuguaglianza». 
    Nel caso di specie, la lesione del principio di ragionevolezza  e
di uguaglianza sarebbe ravvisabile  nel  fatto  che  le  nuove  norme
«determinano immotivate discriminazioni  all'interno  della  medesima
categoria  delle  pertinenze  demaniali»,  assoggettando   al   nuovo
criterio  di  calcolo  dei  canoni  le  sole  pertinenze  adibite   a
specifiche        destinazioni        («attivita'        commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi») e non anche
le altre. 
    Ad avviso del giudice a quo, il nuovo criterio di calcolo,  oltre
che discriminatorio, risulterebbe «in  netta  contraddizione»  con  i
provvedimenti legislativi che, al fine di ricondurre il canone ad una
misura equa e ragionevole, avevano  dapprima  rinviato  l'entrata  in
vigore dell'incremento del canone del 300%, previsto dal d.l. n.  269
del  2003   per   le   concessioni   turistico-balneari,   e   quindi
successivamente abrogato le norme che lo avevano istituito. 
    Il Tribunale  di  Sanremo  richiama,  a  sostegno  delle  proprie
argomentazioni, la sentenza della Corte  costituzionale  n.  264  del
2005, secondo cui «nel nostro sistema costituzionale non  e'  affatto
interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano  a
modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei
rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi  sia  costituito  da
diritti soggettivi perfetti (salvo,  ovviamente,  in  caso  di  norme
retroattive, il  limite  imposto  in  materia  penale  dall'art.  25,
secondo comma, della Costituzione). Unica  condizione  essenziale  e'
che tali disposizioni non trasmodino in un  regolamento  irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto». 
    Secondo il rimettente, i dubbi non manifestamente infondati circa
la compatibilita' della disciplina  censurata  con  il  principio  di
ragionevolezza si risolverebbero,  per  se  stessi,  anche  in  dubbi
riguardo alla piena osservanza del canone  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 
    Ancora, le norme censurate si porrebbero in contrasto con  l'art.
53 Cost., in quanto il canone demaniale  non  sarebbe  predeterminato
con atto legislativo ma rimesso  alle  valutazioni  dell'Osservatorio
del  mercato  immobiliare  (OMI),   cosi'   violando   il   principio
costituzionale di capacita' contributiva. 
    Il Tribunale di Sanremo,  inoltre,  facendo  proprie  le  censure
prospettate  dalla  societa'  ricorrente  nel  giudizio   principale,
sottolinea come l'importo del canone delle pertinenze  sia  di  fatto
equiparato al valore  di  mercato  del  canone  di  locazione  di  un
corrispondente immobile  di  proprieta'  privata.  Cio'  risulterebbe
irragionevole e non conforme ai principi dell'art. 3 Cost., visto che
sussisterebbero   «plurimi    motivi»    per    escludere    siffatta
equiparazione. In particolare, il concessionario demaniale,  oltre  a
non poter disporre dell'immobile «per natura incommerciabile e dunque
fuori  mercato»,  sarebbe  svantaggiato  rispetto  al  conduttore  di
immobili privati  in  quanto:  e'  soggetto  al  pagamento  integrale
dell'ICI; non ha garanzie di durata del rapporto, che e'  soggetto  a
risoluzione in qualsiasi momento, senza necessita' di giusta causa ma
«per ragioni di interesse  pubblico  difficilmente  sindacabili»  (ex
art. 42 cod. nav.); e' soggetto all'obbligo della manutenzione  anche
straordinaria dell'immobile demaniale e, secondo le norme  censurate,
le spese e gli investimenti sostenuti non possono essere computati al
fine della determinazione del canone; e'  soggetto  all'assicurazione
obbligatoria dell'immobile per il valore commerciale ed al versamento
di una cauzione maggiore di quella  richiesta  al  conduttore  di  un
immobile privato (tre mensilita' invece di due). 
    Il giudice a quo aggiunge che, proprio in considerazione di  tali
elementi, i canoni demaniali sono sempre risultati inferiori rispetto
ai canoni di locazione degli immobili di proprieta' privata. 
    Un ulteriore motivo di illegittimita' della  norma  impugnata  e'
individuato nel fatto che  quest'ultima  assoggetterebbe  «del  tutto
illogicamente» a diverso  canone  demaniale  pertinenze  di  identico
valore, come ad esempio immobili su aree  confinanti  di  uno  stesso
lungomare ricadenti pero' nel territorio di Comuni diversi  e  quindi
aventi diverso valore immobiliare medio. 
    Per le anzidette ragioni il Tribunale  di  Sanremo  ha  sollevato
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  251,
della legge  n.  296  del  2006,  «nella  parte  in  cui  prevede  un
immotivato incremento (di oltre il 300%) del canone  demaniale  delle
pertinenze demaniali». 
    2. - Nel giudizio  si  e'  costituita  la  Living  Garden  s.r.l.
chiedendo l'accoglimento della sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    In particolare la societa' interveniente, dopo aver riassunto  il
quadro normativo in materia, svolge le medesime  argomentazioni  gia'
sviluppate  dal  giudice  a   quo   nell'ordinanza   di   rimessione,
sottolineando l'irragionevolezza della  norma  censurata  che,  nelle
intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto perseguire  gli  obiettivi
di equita' e di razionalita' nella determinazione  dei  canoni  delle
pertinenze demaniali marittime. 
    Quanto all'asserita violazione  dell'art.  97  Cost.,  la  Living
Garden s.r.l., oltre a riprendere il contenuto dell'atto introduttivo
del presente giudizio, richiama le sentenze n. 393 del 2000 e n.  264
del 2005 della Corte costituzionale e  la  sentenza  della  Corte  di
Giustizia delle Comunita'  europee  del  29  aprile  2004,  in  cause
C-487/01 e C-7/02. 
    In merito alla  censura  prospettata  in  relazione  all'art.  53
Cost., la societa' interveniente osserva che  la  determinazione  dei
canoni sulla base delle  valutazioni  di  mercato  affidate  all'OMI,
«anziche'  su  criteri   fissati   normativamente»,   darebbe   luogo
all'«assegnazione di un  canone  astratto  e  virtuale,  destinato  a
discostarsi, ed anche in larga misura come nel caso di specie,  dalle
possibilita' reddituali del concessionario». 
    3. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente
infondata. 
    3.1. - La difesa statale sottolinea come la norma  denunciata  si
inserisca in «un  complesso  percorso  legislativo  finalizzato  alla
tutela e alla valorizzazione di tutti i beni di proprieta'  statale».
Questo percorso e' iniziato  con  la  legge  3  aprile  1997,  n.  94
(Modifiche  alla  legge  5  agosto  1978,  n.   468,   e   successive
modificazioni e integrazioni, recante norme di contabilita'  generale
dello  Stato  in  materia  di  bilancio.  Delega   al   Governo   per
l'individuazione delle unita' previsionali di base del bilancio dello
Stato) ed e' proseguito con il decreto legislativo 7 agosto 1997,  n.
279 (Individuazione delle unita' previsionali di  base  del  bilancio
dello  Stato,   riordino   del   sistema   di   tesoreria   unica   e
ristrutturazione del rendiconto generale  dello  Stato).  Entrambi  i
citati  provvedimenti,  nell'ambito  della  revisione  generale   del
sistema di bilancio e del rendiconto  generale,  hanno  previsto  nel
conto la  rappresentazione  del  patrimonio  pubblico,  con  una  sua
valutazione  di  mercato  comprensiva  del  demanio,  in   precedenza
escluso. 
    Siffatta evoluzione legislativa avrebbe interessato, tra l'altro,
il  demanio  marittimo,  ormai  considerato  come  uno  strumento  da
valorizzare e da preservare, non solo dal punto di vista ambientale e
paesaggistico, ma anche da  quello  relativo  alla  sua  idoneita'  a
produrre reddito. La ratio  della  norma  censurata  sarebbe  proprio
quella di consentire il superamento del precedente  regime  tabellare
di quantificazione del canone, prima considerato quale  corrispettivo
riferito al mero  utilizzo  del  bene,  senza  alcun  legame  con  la
tipologia di attivita' effettivamente svolta dal concessionario e con
la redditivita' economica della stessa. 
    Pertanto, il peculiare  trattamento  riservato  alle  concessioni
comprensive  di  pertinenze  demaniali  marittime  (cioe'  di   opere
inamovibili divenute di proprieta' dello Stato alla scadenza naturale
della   concessione),    destinate    ad    attivita'    commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e  servizi,  troverebbe
fondamento nella loro capacita' di produrre reddito. 
    D'altra parte, l'introduzione di nuovi criteri di  determinazione
del canone con riguardo  alle  sole  pertinenze  demaniali  marittime
aventi   la   specifica   destinazione   sopra   descritta    sarebbe
giustificabile in ragione della loro maggiore idoneita', rispetto  ad
altri beni di proprieta' statale, a produrre un reddito.  In  merito,
l'Avvocatura generale  evidenzia  come  esclusivamente  nei  casi  in
questione  (trattandosi  di  opere  non  amovibili)  lo  Stato  possa
legittimamente pretendere un canone relativo anche al manufatto e non
soltanto al suolo. Al contrario, ove le opere  insistenti  sul  suolo
risultino  suscettibili  di  rimozione  al  termine  della   stagione
balneare e quindi non di proprieta'  dello  Stato,  il  canone  viene
applicato  secondo  parametri  tabellari  diversi,  che  prendono  in
considerazione  esclusivamente  il  suolo  e  non  gia'  i  manufatti
(rimossi). 
    Le suesposte considerazioni inducono la difesa statale a ritenere
la norma censurata del tutto ragionevole, in quanto finalizzata  alla
valorizzazione  di  un  bene  pubblico  produttivo  di  entrate   per
l'erario, e priva dei denunciati profili discriminatori rispetto alle
altre concessioni demaniali, che hanno una  differente  potenzialita'
economica e caratteristiche diverse. 
    3.2.  -  L'Avvocatura  generale  ritiene,  poi,   destituite   di
fondamento le censure relative all'eccessiva onerosita' dei canoni  e
alla loro riconducibilita' ai corrispettivi praticati  in  regime  di
libero mercato. 
    Secondo la difesa statale,  la  norma  denunciata,  ancorando  il
canone alla redditivita' economica del bene oggetto  di  concessione,
«non poteva non avere l'effetto di un aumento (anche considerevole, a
fronte   degli   importi   irrisori   precedenti)   del   canone   da
corrispondere». 
    Peraltro, osserva l'Avvocatura, i nuovi canoni sono comunque  ben
lontani dai corrispettivi  praticati  nel  libero  mercato.  Infatti,
l'art. 1, comma 251, della legge n. 296  del  2006  prevede,  per  un
verso, che si tenga conto nel calcolo della «media dei valori mensili
unitari minimi  e  massimi  indicati  dall'osservatorio  del  mercato
immobiliare per la zona di riferimento»; per altro  verso,  l'importo
cosi'  ottenuto  e'  «oggetto  di  una  serie   di   temperamenti   e
abbattimenti» riferiti, da un lato, alla  superficie  del  manufatto,
dall'altro,   al   carattere   stagionale   (e   non    continuativo)
dell'attivita' ed ai lavori di manutenzione  straordinaria  a  carico
del concessionario. Di conseguenza, l'importo del canone non potrebbe
ritenersi equiparato al valore  di  mercato  della  locazione  di  un
corrispondente immobile di proprieta' privata. 
    Sul punto, la  difesa  statale  precisa  che  l'utilizzazione  di
parametri tecnico-estimativi elaborati dall'osservatorio del  mercato
immobiliare, cioe' da un «organismo super partes gestito dall'Agenzia
del Territorio, avente specifica competenza nel  campo  dei  processi
estimali riferiti al mercato immobiliare», garantisce «la sostanziale
equita' dei criteri di determinazione dei canoni in questione ed  una
definizione sufficientemente equilibrata della redditivita' del  bene
pubblico». 
    3.3.  -  In   definitiva,   la   norma   censurata   risulterebbe
ragionevole,  rispettosa  dei  principi  costituzionali  evocati  dal
giudice a quo e  «correttamente  attuativa  del  principio  di  buona
amministrazione di cui all'art. 97 Cost.», in  quanto  valorizzerebbe
la redditivita' di beni demaniali dai quali il concessionario trae un
profitto commerciale. 
    L'entita' del canone sarebbe, poi, determinata con una «procedura
trasparente ed oggettiva, ancorata ai valori di mercato», e  potrebbe
essere  «inglobata  nel  prezzo  del  servizio  fornito  all'utenza»,
sicche' non sarebbero violati gli artt. 3 e 53 Cost. 
    4. - In prossimita' dell'udienza il Presidente del Consiglio  dei
ministri  ha  depositato  una  memoria  con  la  quale  ribadisce  le
argomentazioni gia' sviluppate nell'atto di intervento, soffermandosi
ampiamente sulla sentenza n. 264 del 2005 della Corte costituzionale. 
    4.1. - La difesa statale precisa inoltre come la norma  censurata
sia rispettosa anche del  principio  comunitario  della  concorrenza,
inteso nella sua accezione dinamica;  in  particolare,  l'adeguamento
dei  canoni  di  concessione  dei   beni   demaniali   in   questione
realizzerebbe  quell'intervento  dinamico  nel  mercato  imposto  dai
precetti  comunitari.  Al  contrario,  il  pagamento  di  canoni   di
concessione  (relativamente   a   pertinenze   demaniali   marittime)
notevolmente inferiori a quelli correnti nel mercato delle  locazioni
private potrebbe essere  censurato  dalla  Commissione  europea  come
misura di effetto equivalente ad un aiuto di Stato. 
    4.2. - Quanto all'art. 53 Cost., che il  rimettente  ha  compreso
tra le norme costituzionali violate dalla  disciplina  in  esame,  la
difesa statale ritiene che esso sia  stato  «malamente»  evocato,  in
quanto, nel caso di specie, non si tratta di imposte o di tasse ma di
meri  corrispettivi  dell'uso  di   un   bene.   Peraltro,   aggiunge
l'Avvocatura generale, la norma censurata stabilisce compiutamente  i
criteri da  seguire  per  l'aggiornamento  dei  canoni  ed  individua
nell'osservatorio del mercato immobiliare l'organismo pubblico cui e'
demandato l'accertamento di fatto. 
    In proposito, l'interveniente evidenzia come  l'osservatorio  del
mercato immobiliare, istituito presso l'Agenzia del territorio, abbia
il duplice obiettivo  di  concorrere  alla  trasparenza  del  mercato
immobiliare e di fornire elementi informativi per le attivita'  della
stessa Agenzia nel campo dei processi estimali, mediante la  gestione
di una banca dati delle quotazioni immobiliari e la realizzazione  di
analisi e di studi di settore. Questa attivita' di rilevazione  e  di
elaborazione di  informazioni  relative  ai  valori  immobiliari  e',
inoltre, pubblicata con cadenza semestrale. 
    La difesa statale ritiene, pertanto, assolutamente  condivisibile
la scelta del  legislatore  di  affidare  ad  un  siffatto  organismo
pubblico la rilevazione dei valori immobiliari medi cui parametrare i
nuovi canoni di concessione demaniale. 
    4.3. - L'Avvocatura generale contesta,  ancora,  le  affermazioni
contenute nell'ordinanza di rimessione secondo  cui  i  concessionari
pubblici sarebbero gravati di maggiori oneri  economici  rispetto  ai
locatari di immobili privati, ed il loro  rapporto  non  godrebbe  di
adeguate garanzie di durata. 
    Quanto al primo aspetto,  si  osserva  come  la  norma  censurata
preveda  una  serie  di  meccanismi  riduttivi  dei  valori  rilevati
dall'Osservatorio del  mercato  immobiliare,  tali  da  compensare  i
maggiori oneri. Quanto al secondo aspetto, la difesa statale  precisa
che la durata delle concessioni demaniali non e'  affatto  minore  di
quella delle locazioni  private  ed  e'  anzi  sorretta  da  maggiori
garanzie di rinnovo. 
    4.4. - Infine, in merito alla denunciata violazione del principio
dell'affidamento  in  conseguenza  della  modifica  delle  condizioni
economiche del rapporto concessorio, l'interveniente osserva che,  in
generale, l'adeguamento dei relativi canoni ai valori di  mercato  e'
in corso da circa venti anni e che, comunque, un aumento  dei  canoni
in parola era stato gia' disposto dal d.l. n. 269 del 2003.  Inoltre,
stante la decorrenza dell'aumento del canone di  concessione  dal  1°
gennaio 2007, i concessionari avrebbero ben potuto adeguare i  prezzi
delle attivita' da offrire al pubblico al sopravvenuto incremento del
canone medesimo. 
    L'Avvocatura  generale  conclude  richiamando  la  giurisprudenza
della Corte  di  Giustizia  delle  Comunita'  europee  sul  principio
dell'affidamento e sottolineando come siffatto  principio  non  possa
certo giustificare la permanenza di una situazione  illegittima,  sia
sotto  il  profilo  del  sinallagma  contrattuale  con  la   pubblica
amministrazione sia sotto quello del rispetto del principio di libera
concorrenza con gli altri operatori commerciali del settore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con ordinanza del 5 gennaio 2009, il Tribunale di Sanremo ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
251, della legge 27  dicembre  2006,  n.  296  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato -  legge
finanziaria 2007), per violazione  degli  artt.  3,  53  e  97  della
Costituzione. 
    2. - Preliminarmente si deve precisare che il giudice  rimettente
ha motivato in modo non implausibile la rilevanza della questione nel
processo  principale.  Difatti  il  Tribunale  ha  ritenuto  che   la
disposizione  censurata  si   applichi   anche   agli   esercizi   di
ristorazione  e  di  somministrazione  di  alimenti  e  bevande,   da
considerarsi     compresi      nelle      attivita'      commerciali,
terziario-direzionali e di produzione  di  beni  e  servizi,  cui  la
stessa disposizione esplicitamente si riferisce. In coerenza con tale
interpretazione, il giudice a quo ha operato una «previa declaratoria
di infondatezza del vizio dedotto con il primo motivo  del  ricorso»,
basato appunto sulla asserita non applicabilita' della norma  di  cui
sopra alla fattispecie oggetto del suo esame. 
    3. - La questione non e' fondata. 
    3.1. - Innanzitutto si deve prendere in esame la  censura  basata
sulla presunta lesione dell'affidamento dei cittadini nella sicurezza
dei rapporti giuridici, che deriverebbe dall'incidenza  sui  rapporti
in corso dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori. A
tal proposito, giova ricordare come questa Corte abbia  chiarito  che
«nel nostro sistema  costituzionale  non  e'  affatto  interdetto  al
legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare  in
senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive,
il limite imposto in materia  penale  dall'art.  25,  secondo  comma,
della  Costituzione).  Unica  condizione  essenziale  e'   che   tali
disposizioni  non   trasmodino   in   un   regolamento   irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi  quale  elemento  fondamentale  dello  stato  di  diritto»
(sentenza n. 264 del 2005; in senso conforme, ex  plurimis,  sentenze
n. 236 e n. 206 del 2009). 
    Nel caso oggetto del presente giudizio, la variazione dei criteri
di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali,  in
particolare di beni appartenenti al demanio marittimo, non e'  frutto
di una decisione improvvisa ed  arbitraria  del  legislatore,  ma  si
inserisce  in  una   precisa   linea   evolutiva   della   disciplina
dell'utilizzazione  dei  beni  demaniali.  Alla  vecchia  concezione,
statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta  del  valore
del bene, si e' progressivamente  sostituita  un'altra,  tendente  ad
avvicinare i valori di tali beni a  quelli  di  mercato,  sulla  base
cioe' delle potenzialita' degli stessi  di  produrre  reddito  in  un
contesto specifico. 
    Tale processo evolutivo e' in corso  da  diversi  decenni  ed  ha
indotto questa Corte ad osservare  che  gli  interventi  legislativi,
volti ad adeguare i canoni di godimento dei beni pubblici,  hanno  lo
scopo, conforme agli artt. 3 e 97 Cost., di consentire allo Stato una
maggiorazione delle entrate e di rendere i  canoni  piu'  equilibrati
rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati  (sentenza  n.
88 del 1997). 
    Del resto, un consistente aumento dei  canoni  in  questione  era
gia'  stato  disposto  dall'art.  32,  commi  21,  22   e   23,   del
decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269  (Disposizioni  urgenti  per
favorire lo sviluppo e per la  correzione  dell'andamento  dei  conti
pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1  della
legge 24 novembre  2003,  n.  326.  La  concreta  applicazione  degli
aumenti disposti dalle norme citate e' stata successivamente rinviata
sino a quando la legge finanziaria del 2007 (art. 1,  comma  256)  ha
disposto la loro abrogazione, mentre  contestualmente  introduceva  i
nuovi criteri di calcolo. Questi ultimi hanno sostituito gli  aumenti
generalizzati dei canoni annui per concessioni  demaniali  marittime,
disposti con il citato d.l. n. 269 del 2003, con un nuovo meccanismo,
che incide soprattutto sulle aree maggiormente produttive di reddito,
cioe' quelle su  cui  insistono  pertinenze  destinate  ad  attivita'
commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi. 
    Non si puo' dire pertanto  che  l'aumento  dei  canoni,  disposto
dalla  previsione  legislativa  censurata,  sia  giunto  inaspettato,
giacche' esso si e' sostituito ad un precedente aumento, di  notevole
entita', non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto
tuttavia in vigore  sino  ad  essere  rimosso,  a  favore  di  quello
vigente, dalla norma oggetto di censura. Ne' l'incremento puo' essere
considerato frutto di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da
indurre  questa  Corte  a   sindacare   una   scelta   di   indirizzo
politico-economico, che sfugge, in via generale, ad  una  valutazione
di legittimita' costituzionale. Si tratta infatti  di  una  linea  di
valorizzazione dei beni pubblici,  che  mira  ad  una  loro  maggiore
redditivita' per lo  Stato,  vale  a  dire  per  la  generalita'  dei
cittadini,  diminuendo  proporzionalmente  i  vantaggi  dei  soggetti
particolari che assumono la veste di concessionari. 
    Si deve ricordare in proposito la giurisprudenza della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, laddove sottolinea che  una  mutazione
dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli
stessi «in modo improvviso  e  imprevedibile»,  senza  che  lo  scopo
perseguito dal legislatore ne  imponesse  l'intervento  (sentenza  29
aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02).  Per  i  motivi  illustrati
sopra, l'intervento del legislatore non e'  stato  ne'  improvviso  e
imprevedibile, ne' ingiustificato rispetto allo scopo  perseguito  di
assicurare maggiori entrate all'erario e di perequare  le  situazioni
dei soggetti che svolgono attivita' commerciali, avvalendosi di  beni
pubblici, e quelle  di  altri  soggetti  che  svolgono  le  identiche
attivita',  ma   assoggettati   ai   prezzi   di   mercato   relativi
all'utilizzazione di beni di proprieta' privata. 
    3.2. - Quanto detto al paragrafo  precedente  porta  alla  logica
conseguenza che non si puo'  accogliere  la  censura  basata  su  una
presunta discriminazione tra  utilizzatori  di  pertinenze  demaniali
marittime e soggetti locatari di aree di proprieta' privata. Non solo
non vi e' discriminazione nel  tendenziale  avvicinamento  delle  due
situazioni, dal punto di vista del costo  dell'utilizzazione,  ma  si
deve  riconoscere  che  l'intervenuto  aumento  dei   canoni   riduce
l'ingiustificata posizione di vantaggio di chi  possa,  nel  medesimo
contesto territoriale, usufruire di concessioni demaniali rispetto  a
chi, invece, sia costretto a rivolgersi al mercato immobiliare. 
    Ne' vale mettere in rilievo - come fanno il rimettente e la parte
privata interveniente - che sul concessionario  pesano  alcuni  oneri
che non gravano sui locatari privati,  giacche'  la  norma  censurata
prevede un metodo di  calcolo  dei  canoni  che  non  fa  coincidere,
puramente e semplicemente, i canoni stessi ed i prezzi praticati  nel
mercato.  Infatti  «il  canone  e'   determinato   moltiplicando   la
superficie complessiva del manufatto per la media dei valori  mensili
unitari minimi  e  massimi  indicati  dall'Osservatorio  del  mercato
immobiliare  per  la  zona  di  riferimento.  L'importo  ottenuto  e'
moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5». Il canone  annuo  cosi'
ottenuto   e'   ulteriormente   ridotto   in   misura    inversamente
proporzionale alla superficie del manufatto. Le due  situazioni  sono
da ritenersi pertanto equilibrate; anzi, puo' dirsi che  viene  posto
rimedio ad un precedente squilibrio, senza tuttavia arrivare  ad  una
completa parificazione. 
    3.3. - Non e' condivisibile neppure l'osservazione, formulata dal
rimettente e dalla parte privata, che vi sarebbe una  discriminazione
tra concessionari di  pertinenze  demaniali  marittime  destinate  ad
attivita' commerciali, terziario-direzionali e di produzione di  beni
e  servizi  e  concessionari  di  beni  pubblici  dello  stesso  tipo
destinati ad altre utilizzazioni, ad esempio abitative. 
    La differenza di trattamento trova giustificazione nella  diversa
attitudine dei beni pubblici a produrre reddito per i  concessionari,
che certamente e' maggiore  se  gli  stessi  vengono  destinati  alle
attivita'  considerate  dalla  norma  censurata,  piuttosto   che   a
destinazioni diverse, che ne implicano il mero  godimento,  senza  un
attivo sfruttamento economico. 
    3.4. - Occorre infine rimarcare che la determinazione del  canone
per  le  pertinenze  demaniali  marittime  e'  affidata  alle   stime
dell'Osservatorio del mercato immobiliare, organismo tecnico, gestito
dall'Agenzia del territorio, ai sensi  dell'art.  64,  comma  3,  del
decreto   legislativo   30   luglio    1999,    n.    300    (Riforma
dell'organizzazione del Governo, a norma dell'art. 11 della legge  15
marzo 1997, n. 59), che offre le necessarie garanzie di obiettivita'. 
    4. -  La  censura  riferita  all'art.  53  Cost.,  contenuta  sia
nell'atto introduttivo del giudizio, sia nella  memoria  della  parte
privata interveniente, e' del  tutto  infondata,  giacche'  i  canoni
demaniali  marittimi   non   hanno   natura   tributaria,   ma   sono
corrispettivi dell'uso  di  un  bene  di  proprieta'  dello  Stato  e
costituiscono quindi un prezzo pubblico calcolato in base  a  criteri
stabiliti dalla legge (ex plurimis, sentenze n. 174 del 1998 e n. 311
del 1995).