IL GIUDICE DI PACE Visti gli atti del procedimento penale n. 46/10 R.G. G.d.P. (n. 247/10 R.G.N. R. P.M.), contro Hu Yun Cheng, nato a Zhejang (Cina) il 10 ottobre 1971, senza fissa dimora, domicilio eletto in Sondrio, Via Mazzini n. 69 presso il difensore d'ufficio Avv. Maurizio Carlo Scala, assistito e difeso dall'Avv. Maurizio Carlo Scala, difensore d'ufficio, dei Foro di Sondrio; imputato del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 perche' si tratteneva ne; territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni dei predetto testo unico nonche' di quelle di cui all'1 della legge 28 maggio 2007, n. 68. Accertato in Aprica il 12 maggio 2010. Ha sollevato, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, emettendo la seguente ordinanza: l'art. 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94 ha introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/1998, l'art. 10-bis, il quale prevede la nuova fattispecie criminosa dell'«ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato», sanzionando con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68»; tale reato, introdotto per la prima volta nell'ordinamento italiano dopo l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, appare in palese contrasto con alcuni fondamentali principi accolti dalla Carta costituzionale, si' che non puo' dirsi palesemente infondata la questione di costituzionalita' della norma che lo prevede, sotto vari profili, di seguito illustrati. Tale norma appare, anzitutto, in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza dei clandestini nello Stato italiano; infatti, pur riconoscendo che compete al legislatore un generale potere «di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti e ai gravi problemi connessi ai flussi migratori incontrollati» (v. C. cost. sent. n. 5/2004), facendo buon uso della sfera di discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo costituzionale trova limiti insuperabili nell'osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica; l'irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e' chiaramente evidenziata dalla carenza di un pur minimo fondamento giustificativo: la penalizzazione di una condotta dovrebbe intervenire, come extrema ratio, in tutti i casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ora l'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice e' costituito dall'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato. Esso e' chiaramente desumibile dalle svariate previsioni, accessorie alla fattispecie incriminatrice, aventi ad oggetto proprio l'espulsione dello straniero: tale misura e', infatti, prevista come sanzione sostitutiva irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell'art. 16 d.lgs. n. 286/1998, appositamente modificato per comprendervi, tra i presupposti, la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10-bis (cosi' alterando, anche con l'espressa introduzione dell'art. 62-bis, il sistema sanzionatorio disegnato dal d.lgs. n. 274/2000, che prescriveva, all'art. 62, dopo la descrizione delle sanzioni tipiche di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione delle altre misure sostitutive di pene detentive brevi); inoltre, la effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa costituisce causa di non procedibilita' dell'azione penale, il che rende plasticamente evidente quale sia l'interesse primario perseguito dal legislatore; infine, non e' richiesto alcun nulla osta dell'Autorita' Giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione in via amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla predetta operazione. Orbene, l'evidente finalita' della nuova fattispecie incriminatrice, strumentale all'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato, ne sottolinea l'assoluta inutilita' e, dunque, la mancanza di una ratio giustificatrice, perche' lo stesso obiettivo era perfettamente raggiungibile prima dell'introduzione della nuova figura di reato, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4, d.lgs. n. 286/1998. Ne' la nuova norma modifica in alcun modo i presupposti necessari per l'espulsione, perche' anche la misura sostitutiva eventualmente disposta dal giudice di pace, eseguibile con le modalita' di cui all'art. 13, comma 4, puo' essere adottata soltanto quando non ricorrano le cause ostative indicate nell'art. 14, comma 1; e le difficolta' di carattere amministrativo ed organizzativo che fino ad oggi hanno ostacolato la piena applicazione dell'espulsione «manu militari» non verranno certo meno con l'introduzione della nuova figura di reato. Dunque l'ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa dell'espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenutisi irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa che c'era gia' nell'ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e' stato oggetto di alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale resta priva di ogni giustificazione. Ma la evidenziata irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio, comprensivo non solo della pena dell'ammenda, ma anche del divieto di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, per effetto dell'attribuzione della competenza al Giudice di pace ex art. 4, comma 2, lett. s-bis) d.lgs. n. 274/2000, e dalla facolta' concessa al Giudice onorario di sostituire la pena principale con quella sostitutiva dell'espulsione dallo Stato, per un periodo non inferiore a cinque anni, che oggettivamente e' piu' grave della sanzione principale. Violazione dell'art. 3 Cost. per irragionevole disparita' di trattamento tra il reato di cui all'art. 10-bis e la fattispecie di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, che prevede la punibilita' dello straniero che non ottempera all'ordine di allontanamento del Questore, solo quando costui si trattenga sul territorio italiano «oltre il termine stabilito» e «senza giustificato motivo». Nella nuova figura criminosa, introdotta dall'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998, queste due condizioni non sono presenti; basta quindi che all'interessato venga meno, per qualsivoglia motivo, il permesso di soggiorno, per concretizzarsi la fattispecie criminosa, senza possibilita' alcuna per l'interessato di far valere una qualche causa di giustificazione. Violazione degli artt. 3 e 25, comma 2, Cost., da parte dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998, in relazione alla punibilita' collegata a condizioni personali del soggetto attivo anziche' a fatti e comportamenti riconducibili alla volonta' dello stesso. La nuova fattispecie criminosa introdotta con l'art. 10-bis colpisce una mera condizione personale dello straniero: cioe' a dire la condizione di «migrante». A costui, infatti, si imputa il reato per il sol fatto che e' privo di un titolo abilitativo all'ingresso e/o alla permanenza nel territorio dello Stato. Tale situazione, che non implica di per se' pericolosita' sociale, non sempre e' riconducibile a una condotta volontaria dello straniero, il quale spesso e' costretto a fuggire dal suo Paese per ragioni di sopravvivenza. E tanta e' la sua disperazione che non esita ad affrontare viaggi estremamente pericolosi, spesso con esiti mortali, ovvero a mettersi nelle mani di criminali senza scrupoli. Sul punto e' stato osservato che, «l'ingresso o la permanenza illegale del singolo straniero non rappresentano, di per se', fatti lesivi di beni meritevoli di tutela, ma sono l'espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti, contrastante non solo col principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si puo' essere puniti solo per fatti materiali». Violazione dell'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale. Gia' dal 1995 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 519, affermava che «gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione e... l'affiorare di tendenze, anche soltanto tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le persone in condizioni di poverta' come pericolosi colpevoli». Soggiungeva la Corte che «la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata convivenza e la societa' civile - consapevole dell'insufficienza dell'azione dello Stato - ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato cha hanno tratto la loro ragion di essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarieta'». Con queste parole lungimiranti, perfettamente applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 591 del 1995, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del reato di mendicita' di cui all'art. 670 c.p., non potendosi ritenere in alcun modo necessitato il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera mendicita' non invasiva che, risolvendosi in una semplice richiesta di aiuto, non poteva dirsi porre seriamente in pericolo i beni giuridici della tranquillita' pubblica e dell'ordine pubblico. Allo stesso modo lo spirito solidaristico di cui e' impregnata la Carta costituzionale dovrebbe impedire l'adozione di misure puramente repressive per risolvere il problema dell'immigrazione; lo straniero migrante non puo' essere considerato pericoloso per l'ordine e la tranquillita' pubblica e colpevole per il solo fatto di esistere; e il fenomeno dell'immigrazione di massa nei paesi c.d. industrializzati non puo' essere affrontato in via generale ed indiscriminata con lo strumento penale. Violazione dell'art. 117 Cost. con riferimento agli obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di trattamento dei migranti. La richiamata norma costituzionale e' violata ogniqualvolta il legislatore ordinario non rispetti le norme poste dai trattati e dalle convenzioni internazionali. Sotto questo profilo viene in rilievo il «Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti» sottoscritto nel corso della conferenza di Palermo del 12-15 dicembre 2000. In particolare l'art. 6 del Protocollo prevede che ogni Stato Parte adotti misure legislative per conferire il carattere di reato ad alcune condotte, quali ad esempio il traffico di migranti e la fabbricazione di falsi documenti di viaggio, ma l'art. 5 di detto protocollo stabilisce che i migranti non diventano assoggettati all'azione penale fondata su tale protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all'art. 6, articolo questo che impone pure agli Stati di adottare le misure legislative atte a preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto di quelle condotte criminose e di fornire «un'assistenza adeguata ai migranti la cui vita, o incolumita', e' in pericolo dal fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all'art. 6». Ne consegue che, siccome il nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale nei territorio dello Stato persegue i migranti che si trovano in una condizione rispetto alla quale lo Stato si e' assunto l'impegno ad assisterli e proteggerli, l'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 e' in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia e quindi viola il precetto costituzionale dell'art. 117 Costituzione. La questione sollevata e' sicuramente rilevante nel caso di specie, l'imputato essendo chiamato a rispondere del reato di ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dalla citata legge n. 94/2009, e non manifestamente infondata.