IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel processo penale a carico di: 
    l. Afsari Farzad, nato a Teheran (Iran) il 13 luglio 1981, 
    2. Thillairasa Pakeerathan, nato a Jaffna (Sri Lanka) il 14 marzo
1979, 
    3. Mobaseri Alireza, nato A Tabriz (Iran) il 5 gennaio 1980, 
    4.  Heydarzadeh  Ali  Reza,  nato  a  Harat  (Afghanistan)  il  7
settembre 1987, 
    5. Rasoli Asef, nato a  Ghandehar  (Afghanistan)  il  7  dicembre
1970, 
    6. Rezaee Abdollatif, nata a  Harat  (Afghanistan)  il  15  marzo
1988, 
    7. Muhammad Bilal, nato a Sialkot (Pakistan) il 23 gennaio 1980. 
    Imputati tutti della contravvenzione di cui all'art.  10-bis  del
decreto  legislativo  n.  286/  1998  per  avere,   quali   cittadini
stranieri, fatto ingresso ed essersi trattenuti nel territorio  dello
Stato  in  violazione  delle  disposizioni   del   medesimo   decreto
legislativo e dell'art. 1 della legge n.  68/2007  essendo  privi  di
valido titolo di soggiorno; 
    Reato commesso il 18 gennaio 2010. 
    Premessi i fatti di cui al capo d'imputazione, sull'eccezione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/98 come
introdotto dall'art. 1,  comma  16,  legge  15  luglio  2009,  n.  94
formulata dal difensore degli  imputati,  tenuto  conto  della  varie
ordinanze gia'emesse da altri giudici sul medesimo tema, aderendo  in
particolare  alle  argomentazioni   dedotte   dalla   Procura   della
Repubblica del Tribunale di Torino che fa proprie Osserva e ribadisce
che: 
    l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/98 introdotto dall'art. 1,  comma
16 della legge 15 luglio 2009, n. 94  prevede  la  nuova  fattispecie
criminosa dell'«ingresso e soggiorno illegale  nel  territorio  dello
Stato» sanzionando con l'ammenda «lo straniero che fa ingresso ovvero
si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato  in   violazione   delle
disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle  dell'art.  1
della legge 28 maggio 2007, n. 68»; tale norma  appare  in  contrasto
con l'art. 3 della  Cost.,  sotto  il  profilo  dell'irragionevolezza
della scelta legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza
dei clandestini nello Stato italiano; pur riconoscendo che compete al
legislatore   un   generale   potere   «di   regolare   la    materia
dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici  interessi  pubblici
da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi ai  flussi  migratori
incontrollati» (Corte cost. sent.  5/2004)  facendo  buon  uso  della
sfera di  discrezionalita'  sua  propria,  l'azione  di  tale  organo
costituzionale trova limiti insuperabili nell'Osservanza dei principi
fondamentali  del  sistema  penale  stabiliti  dalla  Costituzione  e
nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e  di
razionalita' finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie
criminosa e'chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo
fondamento giustificativo: la penalizzazione di una condotta dovrebbe
intervenire come estrema ratio, in  tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo. 
    L'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice  e'
costituito  dall'allontanamento  dello   straniero   irregolare   dal
territorio  dello  Stato:  tale  misura  e'  prevista  come  sanzione
sostitutiva irrogabile dal giudice di pace  ai  sensi  dell'art.  16,
d.igs. n. 286/98 appositamente  modificato  per  comprendervi  tra  i
presupposti la sentenza di condanna per  il  reato  di  cui  all'art.
10-bis (cosi'alterando anche con  l'espressa  introduzione  dell'art.
62-bis il sistema sanzionatorio designato dal d.lgs. n. 274/2000  che
prescriveva all'art. 62  l'espresso  divieto  di  applicazione  delle
altre  misure  sostitutive  di  pene  detentive  brevi);  inoltre  la
effettiva  espulsione   dello   straniero   in   via   amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  evidente  quale  sia  l'interesse  primario   perseguito   dal
legislatore; infine non e' richiesto alcun nulla osta  dell'Autorita'
giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione, al chiaro scopo di  non
creare intralci alla predetta operazione. L'evidente finalita'  della
nuova  fattispecie  incriminatrice,  strumentale   all'allontanamento
dello straniero irregolare dal territorio dello Stato  ne  sottolinea
la  mancanza  di  una  ratio  giustificatrice,  perche'   lo   stesso
obbiettivo era perfettamente raggiungibile prima  della  introduzione
della nuova figura  di  reato,  mediante  l'adozione  dell'espulsione
coattiva in via amministrativa ai sensi  degli  artt.  13,  comma  4,
d.lgs. n. 286/98. L'ambito di applicazione  della  nuova  fattispecie
coincide  perfettamente  con   quella   della   preesistente   misura
amministrativa della espulsione, sia sotto il  profilo  dei  soggetti
destinatari, sia sotto quello  della  ratio  giustificativa.  Il  che
significa che c'era  gia'  nell'ordinamento  italiano  uno  strumento
ritenuto idoneo al raggiungimento  dello  scopo  (che  non  e'  stato
oggetto di alcuna modifica normativa) e  l'adozione  dello  strumento
penale resta privo di ogni giustificazione; l'irragionevolezza  della
nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio;
che comprende non solo la pena dell'ammenda da 5.000 a  10.000  euro,
ma anche il divieto di applicazione del beneficio  della  sospensione
condizionale della pena e della facolta' concessa al giudice di  pace
di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione piu'  grave,  quale
quella dell'espulsione dallo Stato per un  periodo  non  inferiore  a
cinque anni (unico  caso  di  misura  sostitutiva  piu'  grave  della
sanzione principale sostituita); l'art. 3 Cost. appare violato  sotto
un altro profilo specifico, concernente la irragionevole  disparitadi
trattamento tra la nuova fattispecie  e  quella  dell'art.  14  comma
5-ter, d.lgs. n. 286/98 che prevede la  punibilita'  dello  straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo  quando
lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato  oltre  il  termine
stabilito e «senza giustificato motivo». 
    Due condizioni che non si trovano nella nuova  figura  criminosa,
cosicche' e'  sufficiente  il  venir  meno  per  qualche  motivo  del
permesso di soggiorno perche' sia immediatamente  ed  automaticamente
integrata  una  ipotesi  di  trattenimento  illecito,  senza   alcuna
possibilita per l'interessato, di addurre una qualche giustificazione
o di usufruire di un termine per potersi allontanare.  Va  richiamata
al riguardo la sentenza della C. cost. n. 5/2004 che  ha  salvato  la
costituzionalita'dell'art. 14,  comma  5  d.lgs.  n.  286/98  proprio
grazie alla interpretazione costituzionale orientata  della  clausola
«senza giustificato motivo»  considerata  al  pari  di  altre  simili
rinvenibile  nell'ordinamento,  una  «valvola   di   sicurezza»   del
meccanismo repressivo atta ad evitare «che la sanzione penale  scatti
allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie  cause
di giustificazione - l'Osservanza del precetto  appaia  concretamente
inesigibile» per i piu' svariati motivi riconducibili  «a  situazioni
ostative  di  particolare  pregnanza  che   incidano   sulla   stessa
possibilita' soggettiva od oggettiva, di  adempiere  all'intimazione,
escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa».  Il  nuovo
reato  di  immigrazione  clandestina   non   appare   conforme   alla
Costituzione perche' punisce  indiscriminatamente  tutti  i  soggetti
irregolarmente presenti nel  territorio  dello  stato,  senza  tenere
conto della  eventuale  esistenza  di  situazioni  legittimanti  tale
presenza. 
    Il nuovo art. 10-bis d.lgs. n. 286/98  appare  in  contrasto  con
l'art. 3 cost. nonche' con l'art.  25,  secondo  comma  Cost.,  avuto
riguardo   alla   configurazione   di    una    fattispecie    penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta'  del  soggetto  attivo;   Infatti   la   nuova   fattispecie
incriminatrice sanziona solo apparentemente  una  condotta  (l'azione
dell'ingresso e l'omissione del mancato allontanamento) in realta' in
se' e per se' del tutto neutra agli effetti  penalistici,  mentre  il
vero oggetto dell'incriminazione  e'  la  mera  condizione  personale
dello  straniero,  costituita  dal   mancato   possesso   un   titolo
abilitativo all'ingresso e alla successiva permanenza nel  territorio
dello Stato, che e' poi la condizione tipica del migrante economico e
dunque anche una condizione sociale, cioe' propria di  una  categoria
di persone, una situazione  priva  di  una  qualche  significativita'
sotto  il  profilo   della   pericolosita'   sociale,   difficilmente
riconducibile  ad  una  condotta  volontaria  e   consapevole   dello
straniero migrante essendo costui di regola costretto a  fuggire  dal
proprio stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire
la sottrazione dei documenti (ove esistenti) da parte delle compagini
criminali   che   organizzano   i   viaggi   della    speranza.    La
criminalizzazione del migrante economico appare in contrasto sia  con
il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 cost. che vieta  ogni
discriminazione  fondata,  tra  l'altro  su  condizioni  personali  e
sociali, sia con la fondamentale garanzia costituzionale secondo  cui
si puo'essere puniti solo per fatti materiali (art. 25, secondo comma
Cost.).  La  Corte  costituzionale  si  e'  gia'  espressa  in   modo
inequivoco sul punto stabilendo nella sentenza n. 78  del.  2007,  in
tema di applicabilita' delle misure alternative alla detenzione  agli
stranieri  clandestini,  che  «il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva» «che  di  per  se'  non  e'  univocamente
sintomatica  di  una  particolare  pericolosita'  sociale»,  dal  che
consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di  rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in  detto  territorio
una  ragione  giustificativa  della  radicale  discriminazione  dello
straniero sul piano dell'accesso al  percorso  rieducativo,  cui   la
concessione  delle  misure  alternative  e'  funzionale».  La   nuova
fattispecie renderebbe inapplicabile  la  citata  sentenza  della  C.
Cost.  e  inaccessibili  le  misure  alternative  alla  detenzione  a
stranieri  clandestini   condannati   a   pene   detentive   perche',
sanzionando penalmente la clandestinita'dello straniero, essa collega
a tale condizione un implicito, quanto ingiustificato e  irrazionale,
giudizio di pericolosia' sociale, che di per se' e'  incompatibile  -
come ammesso dalla stessa Corte cost. - «con il perseguimento  di  un
percorso riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa». 
    La nuova fattispecie appare infine  in  contrasto  con  l'art.  2
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. Con parole lungimiranti  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita'  costituzionale  del  reato  di  mendicita'  di  cui
all'art. 670 c.p, non potendosi ritenere necessitato il ricorso  alla
regola penale per sanzionare la mera  mendicita'  non  invasiva  che,
risolvendosi in una semplice richiesta di  aiuto,  non  poteva  dirsi
porre seriamente in pericolo  i  beni  giuridici  della  tranquillita
pubblica  e  dell'ordine  pubblico.  Allo  stesso  modo  lo   spirito
solidaristico di cui e' impregnata la Carta  costituzionale  dovrebbe
impedire l'adozione di misure puramente repressive per risolvere,  il
problema dell'immigrazione, lo straniero  migrante  non  puo'  essere
considerato pericoloso per l'ordine e  la  tranquillita'  pubblica  e
colpevole per il solo fatto di esistere. 
    Le questioni di  costituzionalita'  sopra  enunciate  appaiono  a
questo giudice serie e comunque non  manifestamente  infondate:  esse
sono inoltre rilevanti  nel  processo  poiche'  se  accolte,  con  la
conseguente declaratoria di  illegittimita'  delle  norme  denunciate
comporterebbero  l'assoluzione  dell'imputato   essendo   lo   stesso
chiamata a rispondere del reato di ingresso e soggiorno illegale  nel
territorio dello Stato ai sensi dell'art.  10-bis  d.lgs.  n.  286/98
come introdotto dalla legge citata.