Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  19,  comma
1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n.  69  (Disposizioni  per
conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso dalla  Corte
d'appello di Bari nel  procedimento  penale  a  carico  di  B.D.  con
ordinanza del 1°  aprile  2010,  iscritta  al  n.  182  del  registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto che la Corte d'appello di Bari,  con  ordinanza  del  1°
aprile 2010, iscritta al r.o. n.  182  del  2010,  ha  sollevato,  in
riferimento all'articolo 20  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, approvata a Nizza il  7  dicembre  2000  (infra:
Carta di Nizza) ed all'articolo 3 della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 19, comma  1,  lettera  c),
della legge 22 aprile 2005, n. 69  (Disposizioni  per  conformare  il
diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del
13  giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto  europeo  e  alle
procedure di consegna tra Stati  membri),  nella  parte  in  cui  non
attribuisce la facolta' di chiedere l'espiazione della pena in Italia
allo straniero cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea, che
ivi sia residente, nel caso in cui il mandato d'arresto europeo abbia
ad oggetto l'esecuzione di una pena; 
        che il giudice a quo espone che B.D.,  cittadino  romeno,  e'
stato attinto da un mandato di arresto, in esecuzione della  sentenza
di condanna alla pena di anni due di  reclusione,  per  il  reato  di
falso in scrittura privata e concorso in truffa, pronunciata in  data
21 febbraio 2007; 
        che, a suo avviso, la consegna di  B.D.  «e'  consentita  sul
piano  formale,  essendo  stata  allegata  copia  della  sentenza  di
condanna a pena detentiva, che ha dato luogo  alla  richiesta  stessa
(art. 6, comma 3, legge n. 50 del 2005)», rientrando il reato per  il
quale e' stata pronunciata la condanna tra  quelli  per  i  quali  e'
prevista    la    consegna,    in    ragione    della    reciprocita'
dell'incriminazione; 
        che  B.D.  si  e',  pero',  opposto  alla  consegna  e,   con
dichiarazione resa in data  9  marzo  2010,  ha  chiesto,  in  quanto
residente da tempo in Italia, ove lavora,  di  espiare  la  pena  nel
nostro  Paese,  reiterando  tale  istanza  nelle  successive  memorie
difensive, invocando a conforto la tutela del lavoro, della  famiglia
e della salute, in considerazione  delle  patologie  dalle  quali  e'
affetto; 
        che, a giudizio del rimettente, l'art. 19, comma  1,  lettera
c), della legge n. 69 del 2005,  prevedrebbe  per  il  cittadino  non
italiano, ma ivi residente, la possibilita' di espiare  la  pena  nel
nostro Paese, «nel solo caso di condanna non ancora pronunciata» e di
mandato d'arresto europeo cosiddetto «processuale»,  quindi  non  nel
caso  in  cui  detto  mandato  concerna  una  sentenza  di   condanna
definitiva gia' intervenuta, con la conseguenza  che  la  domanda  di
B.D. non puo' essere accolta; 
        che siffatta disciplina  sarebbe  ingiustificata,  alla  luce
della  decisione  quadro  del  Consiglio  del  13  giugno  2002,   n.
2002/584/GAI, «Decisione quadro del  Consiglio  relativa  al  mandato
d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri»  (in
seguito  denominata  decisione  quadro)  e  dei   principi   generali
dell'ordinamento italiano e comunitario di eguaglianza,  di  liberta'
di circolazione e di stabilimento dei cittadini  comunitari,  nonche'
di quelli che tutelano l'unita'  della  famiglia  ed  i  diritti  del
bambino a mantenere rapporti stabili con entrambi i genitori; 
        che, infatti, prosegue  la  Corte  d'appello,  l'articolo  4,
punto 6, della citata decisione  quadro  stabilisce  che  l'autorita'
giudiziaria dell'esecuzione puo' rifiutare di eseguire il mandato  di
arresto europeo, se esso «e' stato rilasciato ai fini dell'esecuzione
di una pena o di una misura di sicurezza  privative  della  liberta',
qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione,
ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si  impegni  a  eseguire
esso stesso tale pena o misura  di  sicurezza  conformemente  al  suo
diritto interno»; 
        che, nondimeno, secondo  il  rimettente,  qualora  uno  Stato
«decida di recepire  il  principio  di  rifiuto  della  consegna  per
esecuzione della pena o misura di sicurezza nel proprio territorio ed
alla stregua del proprio ordinamento,  appare  doverosa  l'attuazione
del recepimento con riferimento ad ogni caso  previsto  dalla  stessa
decisione-quadro, evitando disparita' di  trattamento  che  risultino
ingiustificate alla luce  del  principio  di  eguaglianza»  e  «senza
ledere gli altri diritti fondamentali» della persona, quali  tutelati
dalle norme dell'Unione europea e dell'ordinamento interno; 
        che, ad avviso del rimettente,  la  norma  impugnata  avrebbe
dato attuazione solo in parte  all'art.  4  della  decisione  quadro,
limitando la possibilita' di rifiutare la  consegna  dello  straniero
residente nello Stato nel solo caso di mandato d'arresto processuale,
realizzando in tal modo una ingiustificata disparita' di trattamento; 
        che, tra i  diritti  fondamentali  recepiti  e  tutelati  nel
Trattato europeo e, per il richiamo da esso effettuato  nell'articolo
6, «appaiono significativi e vincolanti ai  fini  del  riconoscimento
indifferenziato del diritto di espiare la pena nello Stato di dimora,
come indicato dalla decisione-quadro», in primo luogo, il diritto  di
liberta' di stabilimento (artt. 49 e seguenti del  Trattato  UE),  in
virtu' del quale ogni cittadino comunitario puo' stabilire il proprio
centro  di   interessi   lavorativi   (per   attivita'   industriali,
commerciali, artigianali o professionali, art. 57  del  Trattato)  in
qualunque Stato dell'Unione, essendo vietato  agli  Stati  membri  di
frapporre ostacoli o restrizioni al suo esercizio (salvo per  ragioni
di ordine  pubblico,  sicurezza  pubblica  o  sanita'  pubblica,  non
pertinenti nel caso in esame); 
        che,  tale   diritto   sarebbe,   peraltro,   sancito   anche
dall'articolo 15, comma 2, della Carta di Nizza e tutelato  dall'art.
16 Cost.; 
        che, a giudizio della Corte d'appello,  nel  caso  di  specie
vengono in rilievo anche: il diritto di costituirsi una famiglia e di
stabilirsi  con  questa  in  qualunque  Stato  dell'Unione   europea,
risultando la famiglia tutelata  dalla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  delle  liberta'  fondamentali,  e
successive modificazioni, ratificata e resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo  addizionale  alla
Convenzione stessa,  firmato  a  Parigi  il  20  marzo  1952),  dagli
articoli 7 e 9 della Carta di Nizza e  dagli  articoli  da  29  a  31
Cost., nonche' il diritto del bambino a mantenere rapporti  affettivi
con entrambi i genitori, previsto e tutelato dall'art. 24 della Carta
di Nizza; 
        che l'impugnato art. 19, comma 1, lettera c), della legge  n.
69 del 2005, nella parte in  cui,  non  attribuendo  la  facolta'  di
chiedere l'espiazione della pena in Italia allo  straniero  cittadino
di uno Stato membro dell'Unione europea, che ivi sia  residente,  nel
caso  in  cui  il  mandato  d'arresto  europeo   abbia   ad   oggetto
l'esecuzione di una pena, violerebbe l'art. 20 della Carta di Nizza e
l'art. 3 Cost.; 
        che nel giudizio e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente
inammissibile, alla luce dell'ordinanza di questa Corte  n.  237  del
2010. 
    Considerato che la questione di legittimita' costituzionale ha ad
oggetto l'art. 19, comma 1, lettera c), della legge 22  aprile  2005,
n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla  decisione
quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno  2002,  relativa  al
mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna  tra  Stati
membri), nella parte in cui non attribuisce la facolta'  di  chiedere
l'espiazione della pena in Italia allo  straniero  cittadino  di  uno
Stato membro dell'Unione europea, che ivi sia residente, nel caso  in
cui il mandato d'arresto europeo abbia ad oggetto l'esecuzione di una
pena; 
        che   questa   Corte,   gia'   investita   del   vaglio    di
costituzionalita'  di  identica  questione,  sollevata  dal  medesimo
giudice, ne ha dichiarato la manifesta inammissibilita', in quanto il
censurato art. 19 della citata legge n. 69 del 2005 concerne soltanto
la persona «giudicanda», per la quale e' in  corso  l'azione  penale,
sicche' la questione ha ad oggetto una  norma  che  non  deve  essere
applicata   nel   giudizio   principale,   nel   quale   si    tratta
dell'esecuzione di una sentenza di condanna; 
        che anche  la  presente  questione,  fondata  sulle  medesime
argomentazioni,  mostra  lo   stesso   difetto   di   ammissibilita',
trattandosi anche  in  questo  caso  di  un  mandato  di  arresto  in
executivis. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.