Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 7,
terzo  periodo,  del  decreto-legge  15   novembre   1993,   n.   453
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14  gennaio  1994,
n. 19, come integrato dall'articolo  42,  comma  2,  della  legge  18
giugno 2009, n.  69  (Disposizioni  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), promosso dalla Corte dei  conti,  Sezioni  riunite  in  sede
giurisdizionale, nel giudizio avente ad oggetto l'esame di  questioni
di massima  deferito  dal  Presidente  della  Corte  dei  Conti,  con
ordinanza dell'8  aprile  2010,  iscritta  al  n.  195  del  registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010  il  Giudice
relatore Alfonso Quaranta. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.  -  La  Corte  dei  conti,   a   Sezioni   riunite   in   sede
giurisdizionale, con  ordinanza  dell'8  aprile  2010,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo  1,  comma  7,
terzo  periodo,  del  decreto-legge  15   novembre   1993,   n.   453
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14  gennaio  1994,
n. 19, come integrato dall'articolo  42,  comma  2,  della  legge  18
giugno 2009, n.  69  (Disposizioni  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), per asserita violazione degli articoli 24, 25  e  111  della
Costituzione. 
    1.1. - Il giudice a quo premette che con  atto  del  14  dicembre
2009, notificato ai Presidenti di tutte  le  sezioni  giurisdizionali
regionali e ai Presidenti  delle  sezioni  d'appello,  il  Presidente
della Corte dei conti ha deferito  l'esame  di  talune  questioni  di
massima alla Sezioni riunite in sede giurisdizionale, ai sensi  della
norma censurata, e in relazione ai  giudizi  formalmente  promossi  e
incardinati presso la terza sezione centrale  d'appello  della  Corte
dei conti recanti n. 36000, n. 36013, n. 36017, n. 36079,  n.  36094,
n. 36095,  n.  36181,  in  base  a  reclamo  proposto  dalla  procura
regionale per il Lazio, n. 36077 e  n.  36153,  in  base  ad  appello
proposto dalla parte privata, nonche' n. 36159,  in  base  a  reclamo
proposto dalla Procura regionale per le Marche.  In  particolare,  le
questioni di massima proposte attenevano tutte all'interpretazione da
dare, in presenza di orientamenti  oscillanti  della  giurisprudenza,
all'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio  2009,  n.  78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. 
    Con decreto n. 41 del 18 dicembre 2009 il Presidente della  Corte
dei conti ha fissato l'udienza  per  la  discussione  delle  predette
questioni. 
    Si aggiunge, inoltre, che «essendo  stato  il  predetto  atto  di
deferimento notificato ai Presidenti di tutte le sezioni territoriali
e centrali della Corte dei conti, e quindi anche al Presidente  della
terza sezione centrale d'appello, da parte di quest'ultimo sono stati
adottati  decreti  con  i  quali  le  camere  di  consiglio  per   la
trattazione dei giudizi relativi ai reclami e agli  appelli  pendenti
presso quella terza sezione centrale d'appello, in relazione ai quali
le questioni di massima in esame sono state rimesse a queste  Sezioni
riunite, gia' fissate con precedenti decreti in data 16 novembre 2009
e in data 9 dicembre 2009, sono state rinviate a data da stabilire». 
    Con ordinanza del 5 febbraio 2010 n. 8, il Presidente della Corte
dei conti ha stabilito la  composizione  del  Collegio,  provvedendo,
poi, con decreto n. 9 del 5 febbraio 2010, a nominare il relatore. 
    2. - Esposto cio', il collegio remittente,  in  via  preliminare,
pone la questione relativa alla legittimazione del  Presidente  della
Corte  di  conti  a   deferire   alle   Sezioni   riunite   in   sede
giurisdizionale le suddette questioni di massima. 
    La norma censurata prevede che: «il Presidente della  Corte  puo'
disporre che  le  Sezioni  riunite  si  pronuncino  sui  giudizi  che
presentano una questione di diritto gia'  decisa  in  senso  difforme
dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli  che
presentano una questione di massima di  particolare  importanza».  La
norma aggiunge, in una parte non oggetto di impugnazione, che «se  la
sezione  giurisdizionale,  centrale  o  regionale,  ritiene  di   non
condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni  riunite,
rimette a queste ultime, con ordinanza  motivata,  la  decisione  del
giudizio». 
    Il giudice a quo rileva come,  prima  della  modifica  introdotta
dall'art. 42 della legge n. 69 del 2009, il  giudizio  delle  Sezioni
riunite della Corte dei conti su questioni di massima e per contrasti
giurisprudenziali  avesse  carattere  «esclusivamente   incidentale»,
coinvolgendo tutte le sezioni giurisdizionali della Corte  di  conti,
regionali  e  centrali.  In  particolare,  il  nuovo  assetto   della
giustizia contabile, articolata in sezioni giurisdizionali  regionali
di primo grado e in sezioni centrali d'appello (e per la Sicilia, una
sezione regionale  anche  per  l'appello),  a  differenza  di  quanto
previsto per la giustizia  amministrativa,  non  differenzia,  «sotto
l'aspetto ordinamentale e dei  ruoli»,  le  sezioni  territoriali  da
quelle centrali (o comunque d'appello). Ne consegue, prosegue  sempre
il Collegio remittente, che le Sezioni riunite,  «organo  giudiziario
autonomo», devono essere «intese come la "riunione" a livello apicale
di tutte le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (ed e'  per
questa ragione che per la composizione del relativo albo  si  attinge
anche ai componenti delle sezioni territoriali)». 
    La modifica introdotta  dal  citato  art.  42  avrebbe  aggiunto,
rispetto al sistema previgente, il potere del Presidente della  Corte
dei conti di «deferire autonomamente e al di  fuori  di  un  giudizio
pendente questioni di massima alle Sezioni riunite». 
    Tale potere  sarebbe  diverso  dal  potere  di  rimessione  delle
questioni di diritto controverse o delle questioni  di  massima  alle
Sezioni unite  della  Corte  di  cassazione,  riconosciuto  al  Primo
Presidente della Corte  stessa  dall'art.  374,  secondo  comma,  del
codice di procedura civile, e dal potere di  rimessione  all'Adunanza
plenaria del  Consiglio  di  Stato  riconosciuto  al  Presidente  del
Consiglio stesso ai sensi dell'art.  45,  commi  2  e  3,  del  regio
decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo  unico  delle
leggi sul  Consiglio  di  Stato).  Per  effetto  di  tali  rimessioni
entrambi gli organi sopra indicati decidono la controversia nella sua
interezza, e quindi anche nel merito, ma  la  decisione  viene  resa,
puntualizza il  giudice  a  quo,  «nell'ambito  dello  stesso  organo
giurisdizionale,   con   competenza   ripartita   internamente».   Il
deferimento del Presidente della Corte  dei  conti  avviene,  invece,
«nei confronti di  organi  giurisdizionali  diversi  e  autonomi  per
competenza territoriale e funzionale, rispetto ai quali il Presidente
della Corte di conti e' del  tutto  estraneo».  Il  Presidente  della
Corte  dei  conti  potrebbe,  pertanto,  «di  sua  iniziativa   e   a
prescindere da qualsiasi impulso di parte,  "sottrarre"  un  giudizio
pendente presso una sezione giurisdizionale territoriale o d'appello,
per portarlo innanzi alle Sezioni riunite della Corte  dei  conti,  e
cioe' innanzi ad un giudice costituito "nominativamente" dallo stesso
Presidente della Corte dei conti». 
    Il remittente sottolinea,  inoltre,  come  non  potrebbe  neanche
essere assimilato il potere di deferimento  in  esame  a  quello  che
l'art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 453  del  1993  riconosce  al
Procuratore generale della Corte  dei  conti.  In  particolare,  tale
norma prevede che: «le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono
sui conflitti di competenza e sulle  questioni  di  massima  deferite
dalle  sezioni  giurisdizionali  centrali  o  regionali,   ovvero   a
richiesta del Procuratore generale».  Si  osserva  come  tale  potere
venga esercitato dal Procuratore generale non nella veste di "parte",
ma  di   «organo   che   partecipa   all'esercizio   della   funzione
nomofilattica mediante il potere  di  ricorrere  "in  via  principale
nell'interesse della legge"  ai  sensi  dell'art.  6,  comma  6,  del
decreto-legge n. 453 del 1993» (si cita la sentenza n. 375  del  1996
della Corte costituzionale). 
    Svolta  questa  premessa,  si  assume  che  la  norma   impugnata
violerebbe, in primo luogo, il principio  della  precostituzione  del
giudice naturale per legge di  cui  all'art.  25  Cost.,  in  quanto,
prevedendo che il Presidente della Corte  dei  conti  possa  deferire
d'ufficio la questione di massima alle Sezioni riunite, «al di  fuori
di un giudizio pendente»,  mediante  il  «prelievo»  di  un  giudizio
pendente innanzi  ad  altro  giudice,  consentirebbe  la  scelta  del
giudice dopo l'instaurazione della controversia. A tale proposito, si
deduce, inoltre, che la citata norma costituzionale prevedrebbe  «una
riserva assoluta di legge in materia di competenza del giudice, cosi'
vietando anche che la competenza stessa possa essere  determinata  da
fonti secondarie o da atti non legislativi». 
    In secondo luogo, verrebbe violato il principio di terzieta'  del
giudice di cui all'art. 111, secondo comma, Cost., che costituisce un
«necessario  corollario  del  principio  della  precostituzione   del
giudice naturale per  legge»,  cio'  perche'  lo  stesso  Presidente,
«mediante il potere di deferimento», finirebbe «per essere giudice in
una causa da  egli  stesso  promossa».  D'altronde,  «se  si  volesse
osservare», puntualizza il remittente, «che non trattasi, nel caso di
specie, di una causa propria  del  Presidente  della  Corte,  risulta
comunque violato il principio  del  divieto  della  ufficialita'  del
giudizio, non potendo il giudice giudicare una causa da  egli  stesso
promossa (...), o comunque  non  promossa  da  un  soggetto  (attore)
diverso dal giudice». Sempre in relazione al principio  di  terzieta'
si sottolinea come nella Costituzione la neutralita' del giudice  sia
garantita, oltre che dal principio del giudice naturale precostituito
per legge, anche dalle norme che prevedono: il divieto di  iniziativa
processuale d'ufficio (art. 24, primo comma, Cost.);  il  divieto  di
costituire giudici straordinari  o  speciali  (art.  102  Cost.);  la
soggezione dei giudici soltanto alla legge (art. 101, secondo  comma,
Cost.). Tali principi sarebbero ulteriormente  ribaditi  dall'art.  6
della Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo,  che  l'Italia  ha
recepito con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica  ed  esecuzione
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950  e  del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il
20 marzo 1952). 
    In terzo luogo, prevedendo  la  norma  impugnata  una  iniziativa
officiosa, sarebbe violato l'art.  24  Cost.,  il  quale  esprime  il
«principio secondo il quale  non  e'  possibile  porre  ai  cittadini
limitazioni od ostacoli alla loro difesa nel processo delle posizioni
sostanziali» che l'ordinamento gli riconosce. 
    In definitiva, si osserva come  la  norma  censurata  rappresenti
«l'unico caso in  cui  un  organo  totalmente  estraneo  al  giudizio
formula d'ufficio la domanda e nomina anche il collegio giudicante». 
    Per quanto attiene, poi,  al  potere  delle  Sezioni  riunite  di
sollevare la questione, il  Collegio  remittente  sottolinea  di  non
ignorare l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale che ritiene
non sussistente tale potere, in quanto le Sezioni riunite  dovrebbero
limitare il proprio giudizio soltanto al «punto di diritto su cui  si
basa la questione rimessa». Il Collegio ritiene, pero', condivisibile
l'altro orientamento, fatto proprio anche dalla Corte  costituzionale
con la sentenza n. 375 del 1996, secondo cui  esistono  questioni  di
costituzionalita' che possono trovare la loro sede di emersione e  di
concreta rilevanza solo nel giudizio innanzi  alle  Sezioni  riunite.
Inoltre, si deduce come la dedotta questione di costituzionalita' non
riguardi «il punto di diritto su cui si basa la  questione  rimessa»,
bensi' la stessa legittimazione del Presidente della Corte dei conti. 
    3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo, in primo luogo, che la questione  venga  dichiarata
inammissibile, in quanto le Sezioni riunite  della  Corte  dei  conti
possono sollevare questioni soltanto in relazione a norme diverse  da
quelle che sono utili a risolvere il quesito loro sottoposto. 
    In  secondo  luogo,  il  giudice  remittente  avrebbe  omesso  di
indagare se sia possibile interpretare la norma in senso  conforme  a
Costituzione. Infatti,  «partendo  dal  presupposto  che  le  sezioni
regionali costituiscono organi giudiziari autonomi,  il  testo  della
norma della cui costituzionalita' si dubita ben consente di escludere
che il  giudizio  instaurato  dinanzi  alla  Sezione  giurisdizionale
regionale rientri nel potere di deferimento alle Sezioni  riunite  di
una questione di massima». La  disposizione  censurata  «menziona  le
sezioni regionali  solo  per  significare  che  il  deferimento  alle
Sezioni  riunite  puo'  avvenire  anche  quando  la  difformita'   di
orientamento su una questione di  diritto  si  sia  manifestata  (non
nell'ambito del giudice di ultima istanza, come  ad  esempio  avviene
per i giudizi dinanzi la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato,
ma) nell'ambito delle sezioni regionali stesse». Si osserva  come  il
disposto testuale «appare chiarissimo in tale  senso».  Nulla,  nella
disposizione censurata, «lascia intendere  che  il  Presidente  possa
intervenire "avocando" alle  Sezioni  riunite  dei  giudizi  pendenti
dinanzi a quelle; cio' in specie considerando che, ancora in mancanza
di una decisione della sezione regionale, un reale conflitto  non  si
e' ancora manifestato». Diversa sarebbe la questione,  non  rilevante
in questa  sede,  relativa  alla  facolta'  riconosciuta  dall'ultimo
periodo della norma in esame alle sezioni regionali di  rimettere  la
questione nel momento in cui deve essere decisa la questione stessa. 
    In  definitiva,  la  rimessione  dovra'  avvenire   «laddove   la
questione sia comunque in quel  momento  sottoposta  al  giudizio  di
sezioni  centrali  o  comunque  di  un  giudice  contabile  di  grado
successivo al primo. La norma non facoltizza, invece, secondo  questa
lettura costituzionalmente orientata, il  Presidente  ad  intervenire
con la rimessione di cui si tratta ove la questione penda  dinanzi  a
sezione regionale». 
    Le  Sezioni  riunite  avrebbero   dovuto   conseguentemente,   in
alternativa,   «o   escludere   la   possibilita'   di   una   simile
interpretazione  (in  quanto  ad  esempio   smentita   dal   "diritto
vivente")» - e avrebbero allora  potuto  motivatamente  rimettere  la
questione   alla   Corte   costituzionale   -   «ovvero    dichiarare
inammissibili innanzi a se' le questioni eventualmente fatte  oggetto
di rimessione dal Presidente al di fuori dei  casi  consentiti  dalla
legge». 
    Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata. 
    Il potere del Presidente di rimettere alle Sezioni riunite  anche
le controversie pendenti dinanzi alle sezioni regionali «non puo' che
discendere  dalla   considerazione   delle   stesse   -   attesa   la
peculiarieta' del "sistema" della Corte dei conti -  quali  "sezioni"
dello stesso organo giudiziario decentrate sul territorio». Cio'  non
violerebbe il principio del giudice naturale precostituito per  legge
poiche' la rimessione alle Sezioni riunite e' pur sempre  prevista  e
regolamentata dalla legge. 
    Non violerebbe neanche i  principi  del  giusto  processo,  della
terzieta' del giudice e del divieto di iniziativa officiosa  «poiche'
l'iniziativa processuale che incardina il giudizio non puo' di  certo
farsi risalire al Presidente della Corte, cui e' riferibile  solo  la
scelta - regolamentata dalla legge - di risolvere  un  conflitto  tra
diversi orientamenti e la soluzione di questioni di  massima  in  una
determinata fase del  giudizio».  Inoltre,  «la  circostanza  che  le
Sezioni riunite siano (possano essere) presiedute dal Presidente  non
rende certamente quest'ultimo "parte" del giudizio». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con ordinanza dell'8 aprile 2010 la Corte dei conti, Sezioni
riunite,  in  sede  giurisdizionale,  ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 7, terzo  periodo,
del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni  in  materia
di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito,  con
modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994,  n.  19,  come  integrato
dall'articolo 42,  comma  2,  della  legge  18  giugno  2009,  n.  69
(Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche' in materia di processo civile),  per  asserita
violazione degli articoli 24, 25 e 111 della Costituzione. 
    La norma censurata prevede che «il Presidente  della  Corte  puo'
disporre che  le  Sezioni  riunite  si  pronuncino  sui  giudizi  che
presentano una questione di diritto gia'  decisa  in  senso  difforme
dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli  che
presentano una questione di massima di particolare importanza». 
    2. - In via preliminare, e' necessario  stabilire,  ai  fini  del
giudizio di ammissibilita' della questione sollevata con  l'ordinanza
sopra citata, se sussista,  nella  specie,  la  legittimazione  delle
Sezioni riunite della Corte  dei  conti  ad  introdurre  il  presente
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Nella specie, le Sezioni riunite dubitano della costituzionalita'
della   norma   che   consente   il   deferimento   della   questione
interpretativa alla loro cognizione. 
    E' evidente, dunque,  che  non  puo'  negarsi  al  remittente  la
legittimazione   a   sollevare   la   questione    di    legittimita'
costituzionale della norma che  ha  attribuito  al  Presidente  della
Corte dei conti il potere di devolvere la questione di massima a tale
particolare articolazione del giudice contabile. 
    D'altronde, questa Corte, con la sentenza n.  375  del  1996,  ha
avuto modo di affermare che sussiste la legittimazione delle  Sezioni
riunite della Corte dei conti a sollevare questioni  di  legittimita'
costituzionale collegate «al momento  della  verifica,  da  parte  di
queste ultime, dei presupposti della propria competenza». 
    3.  -  Ancora  sul  piano   dell'ammissibilita',   va   rilevato,
preliminarmente,   che   la   dedotta   questione   di   legittimita'
costituzionale deve essere riguardata  sotto  due  aspetti  correlati
alla  duplice  previsione  sostanzialmente  contenuta   nella   norma
censurata: a) la prima, che attribuisce al Presidente della Corte  il
potere di deferire, d'ufficio, alle Sezioni riunite le  questioni  di
massima che emergono in controversie pendenti (come quelle in  esame)
in sede di appello; b) la seconda, che conferisce lo stesso potere di
deferimento con riguardo a  questioni  di  massima  che  emergono  in
controversie pendenti davanti a sezioni giurisdizionali regionali. 
    La  valutazione  della  rilevanza,  nel  giudizio  a  quo,  della
questione deve essere effettuata, dunque, con  specifico  riferimento
alle due ipotesi innanzi precisate. 
    Orbene, partendo dal rilievo che, nella specie, le  questioni  di
massima  in  relazione  alle  quali  il  Presidente  della  Corte  ha
esercitato il potere di deferimento alle Sezioni riunite  sono  tutte
emerse in vari giudizi di appello pendenti presso  la  terza  sezione
giurisdizionale centrale  della  Corte,  non  vi  e'  dubbio  che  la
questione di legittimita' costituzionale  sollevata  con  riferimento
alla corrispondente previsione normativa sia rilevante nel giudizio a
quo e quindi sia ammissibile. 
    Ad opposta conclusione deve, invece, pervenirsi  per  la  seconda
ipotesi sopra prospettata, quella  cioe'  relativa  all'esercizio  da
parte del Presidente della Corte del medesimo potere  di  deferimento
delle questioni di massima che emergono in giudizi  pendenti  davanti
alle sezioni regionali. Cio' per l'ovvia ragione che, nel caso ora in
esame, non si verte in una ipotesi  di  tal  genere.  A  prescindere,
peraltro, dalla stessa  possibilita'  di  interpretare  la  normativa
vigente nel senso della  deferibilita'  alle  Sezioni  riunite  della
Corte di questioni di massima  o  nelle  quali  si  sono  determinati
contrasti  interpretativi  ad  opera  delle  sezioni  giurisdizionali
regionali. 
    A quanto sopra va aggiunto che le medesime Sezioni  riunite,  con
pronuncia successiva  alla  ordinanza  di  rimessione  in  esame,  in
ragione della difficolta' di coniugare con  i  principi  del  diritto
processuale la sussistenza di un "contrasto verticale" tra giudici di
primo  e  secondo  grado,  ha  ritenuto  che  -  all'esito   di   una
interpretazione  che  identifica  la  sezione   regionale,   indicata
nell'ultima parte del comma (non oggetto di censura in  questa  sede)
solo nella sezione d'appello esistente in Sicilia  -  l'accesso  alle
Sezioni   riunite   e'   consentito   esclusivamente   alle   sezioni
giurisdizionali d'appello  (Corte  dei  conti,  Sezioni  riunite,  13
ottobre 2010, n. 8). 
    4.  - Nel merito, nei limiti innanzi  precisati  nei  quali  puo'
essere ritenuta ammissibile, la questione proposta non e' fondata. 
    L'analisi  delle  specifiche  censure   formulate   dalla   Corte
remittente  presuppone  che  venga  delineato  il  quadro   normativo
generale entro il quale trova collocazione il particolare  potere  di
deferimento  alle  Sezioni  riunite  delle  questioni   di   massima,
attribuito dall'ordinamento all'organo di vertice della giurisdizione
contabile, vale a dire al Presidente della Corte dei conti. 
    4.1. - Al riguardo, va ricordato che, nel processo civile, l'art.
374, secondo comma, del  codice  di  procedura  civile  -  nel  testo
modificato dall'articolo 8 del decreto legislativo 2  febbraio  2006,
n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo
di cassazione in funzione  nomofilattica  e  di  arbitrato,  a  norma
dell'articolo 1, comma 2, della  legge  14  maggio  2005,  n.  80)  -
attribuisce al Primo Presidente della Corte di cassazione la facolta'
di «disporre che la Corte pronunci a Sezioni unite  sui  ricorsi  che
presentano una questione di diritto gia'  decisa  in  senso  difforme
dalle Sezioni semplici, e su quelli che presentano una  questione  di
massima di particolare importanza». Il  successivo  terzo  comma  del
medesimo articolo aggiunge che «se la sezione semplice ritiene di non
condividere il principio di diritto enunciato  dalle  Sezioni  unite,
rimette a queste ultime, con ordinanza  motivata,  la  decisione  del
ricorso». 
    Nel processo amministrativo l'articolo 45 del  regio  decreto  26
giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico  delle  leggi  sul
Consiglio di Stato), nel testo modificato dall'art. 15 della legge 21
dicembre 1950, n. 1018 (Modificazioni al testo unico delle leggi  sul
Consiglio di Stato), ha disposto, al secondo comma, che se la sezione
giurisdizionale  del  Consiglio  «rileva  che  il  punto  di  diritto
sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dar luogo  a  contrasti
giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle  parti  o
di ufficio puo'  rimettere  il  ricorso  all'Adunanza  plenaria».  Il
successivo terzo comma del medesimo articolo ha, poi,  precisato  che
«prima della decisione il  Presidente  del  Consiglio  di  Stato,  su
richiesta delle parti o d'ufficio puo' deferire all'Adunanza plenaria
qualunque ricorso che renda necessaria la risoluzione di questioni di
massima di particolare importanza». 
    La suindicata disciplina concernente il  processo  amministrativo
e' stata sostanzialmente  recepita  nel  nuovo  codice  del  processo
amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio  2010,  n.
104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009,  n.  69,
recante  delega   al   Governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo), con  l'articolo  99,  commi  1  e  2,  il  quale  ha
aggiunto, in linea con  quanto  stabilito  dal  codice  di  procedura
civile, che il deferimento all'Adunanza plenaria puo' essere disposto
dal Presidente del Consiglio di Stato anche per dirimere contrasti di
giurisprudenza. I successivi commi 3 e 4 del medesimo art. 99  hanno,
inoltre, cosi' disposto: «3.  Se  la  sezione  cui  e'  assegnato  il
ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto  enunciato
dall'Adunanza  plenaria,  rimette  a  quest'ultima,   con   ordinanza
motivata, la decisione del ricorso», «4. L'Adunanza  plenaria  decide
l'intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di
diritto e di  restituire  per  il  resto  il  giudizio  alla  sezione
remittente». 
    4.2. - Nella giurisprudenza contabile, la funzione nomofilattica,
come e' noto, e' attribuita alle Sezioni riunite della Corte. 
    Al  riguardo,  va  sottolineato  che  gia'  l'articolo  4   della
risalente legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al  testo  unico
delle leggi sulla Corte dei conti), al primo comma, cosi'  stabiliva:
«ove una sezione giurisdizionale della Corte dei conti rilevi che  il
punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato  luogo  a  contrasti
giurisprudenziali puo', con  ordinanza  emanata  su  richiesta  delle
parti o di ufficio, rimettere il giudizio alle Sezioni  riunite».  Il
secondo comma dello stesso  articolo  aveva  aggiunto  quanto  segue:
«prima della discussione il Presidente  della  Corte  dei  conti,  su
istanza delle parti o di ufficio, puo' rimettere alle Sezioni riunite
i giudizi che rendano  necessaria  la  risoluzione  di  questioni  di
massima  di  particolare  importanza».  Infine,  il  comma  3   cosi'
disponeva: «per i giudizi per  i  quali  e'  ammesso  l'appello  alle
Sezioni riunite ai sensi delle vigenti disposizioni,  il  deferimento
alle sezioni medesime previsto dai commi precedenti e' subordinato al
consenso delle parti». 
    Tale disciplina e' stata modificata dall'art.  1,  comma  7,  del
decreto-legge n. 453 del 1993, secondo il quale «le  Sezioni  riunite
della Corte dei conti decidono sui conflitti di  competenza  e  sulle
questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali  centrali
o regionali, ovvero a richiesta del procuratore generale.  Esse  sono
presiedute dal Presidente della Corte dei  conti»  e  «giudicano  con
sette magistrati. Ad esse sono assegnati due presidenti di sezione  e
un numero di consiglieri  determinato  dal  consiglio  di  presidenza
della Corte dei conti all'inizio dell'anno giudiziario». 
    Da ultimo, l'art. 42, comma 2, della legge  n.  69  del  2009  ha
aggiunto, al citato comma 7 dell'art. 1 del d.l. 453  del  1993,  due
periodi: il primo, oggetto di censura, prevede  -  come  si  e'  gia'
notato − che «il Presidente della Corte puo' disporre che le  Sezioni
riunite si pronuncino sui giudizi che  presentano  una  questione  di
diritto gia' decisa in senso difforme dalle sezioni  giurisdizionali,
centrali o regionali, e su quelli che  presentano  una  questione  di
massima di particolare importanza»; il  secondo,  non  investito  dal
dubbio  di  costituzionalita',  stabilisce   che   «se   la   sezione
giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere  il
principio di diritto  enunciato  dalle  Sezioni  riunite,  rimette  a
queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio». E'
bene aggiungere che l'articolo 17, comma  31,  del  decreto-legge  1°
luglio 2009, n.  78  (Provvedimenti  anticrisi,  nonche'  proroga  di
termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3  agosto  2009,
n. 102, ha previsto, nel diverso ambito della funzione di  controllo,
che il Presidente della Corte «puo' disporre che le  Sezioni  riunite
adottino pronunce di orientamento generale sulle questioni risolte in
maniera difforme dalle sezioni regionali  di  controllo  nonche'  sui
casi  che  presentano  una  questione  di  massima   di   particolare
rilevanza». 
    4.2.1. - In relazione  al  contenuto  della  vigente  disciplina,
relativa  al  potere   presidenziale   di   deferimento   in   ambito
giurisdizionale,  appare  opportuno  mettere  in  rilievo   come   il
legislatore  del  2009  abbia  inteso  reintrodurre,  sia  pure   con
modifiche, il potere presidenziale di accesso alle Sezioni riunite in
origine contemplato dall'art.  4  della  legge  n.  161  del  1953  e
successivamente disciplinato dall'art. 1, comma 7, del d.l. n 453 del
1993. Di seguito, da un lato, e' stato previsto  che  il  deferimento
possa avvenire anche per la risoluzione di questioni di diritto  gia'
decise in senso difforme dalle sezioni  giurisdizionali,  centrali  o
regionali; dall'altro, e' stata eliminata la condizione del  consenso
delle parti per i giudizi per i  quali  era  ammesso  l'appello  alle
Sezioni  riunite.  In  definitiva,  come  emerge  anche  dai   lavori
preparatori della norma censurata, la  ragione  che  ha  ispirato  la
scelta  legislativa  e'  stata  quella  di  aggiungere,  al  fine  di
potenziare   il   potere   nomofilattico   delle   Sezioni   riunite,
un'ulteriore forma di accesso alle  predette  sezioni  da  parte  del
Presidente della Corte, in linea con quanto  previsto  dall'art.  374
cod. proc. civ. L'introduzione del potere presidenziale  nel  diverso
ambito del giudizio sui controlli persegue, invece, la  finalita'  di
«garantire la coerenza nell'unitaria attivita' svolta dalla Corte dei
conti  per  le  funzioni  che  ad  essa  spettano   in   materia   di
coordinamento  della  finanza  pubblica,  anche   in   relazione   al
federalismo fiscale» (citato art. 17, comma  31,  primo  inciso,  del
d.l. n. 78 del 2009). 
    5. - Cosi' ricostruito, per grandi linee, il quadro normativo  in
cui si colloca la norma censurata, si puo' passare ad  analizzare  le
singole censure formulate dal remittente. 
    5.1. - Il giudice a quo lamenta la violazione dell'art. 24  Cost.
della  Costituzione,  sul  presupposto  che,  prevedendo   la   norma
censurata una iniziativa officiosa del  Presidente  della  Corte  dei
conti, non sarebbe osservato il «principio secondo il  quale  non  e'
possibile porre ai  cittadini  limitazioni  od  ostacoli  alla  (...)
difesa nel processo delle posizioni  sostanziali»  che  l'ordinamento
riconosce loro. 
    La censura non e' fondata. 
    La giurisprudenza costituzionale e'  costante  nel  ritenere  che
l'art. 24 Cost. e'  violato  qualora  le  norme  processuali  pongano
condizioni di «sostanziale impedimento all'esercizio del  diritto  di
azione» (sentenze n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006). 
    Nel  caso  in  esame  non  si  comprende,  a  prescindere   dalla
genericita' della censura prospettata, la ragione  per  la  quale  la
previsione del potere di deferimento attribuito al  Presidente  della
Corte dei conti possa recare un vulnus al diritto di difesa  tutelato
dall'evocata  norma  costituzionale.   La   disposizione   censurata,
infatti, non disciplina in alcun modo  il  diritto  di  azione  delle
parti private o  del  pubblico  ministero  contabile,  limitandosi  a
stabilire i criteri che presiedono all'accesso alle Sezioni  riunite.
Del resto, il potere di deferire d'ufficio  le  questioni  involgenti
problematiche   interpretative    di    massima    e'    riconosciuto
dall'ordinamento, come gia' sottolineato,  sia  al  Primo  Presidente
della Corte di cassazione, sia al Presidente del Consiglio di  Stato,
senza che mai sia stata contestata la loro naturale preordinazione  a
garantire la  retta  applicazione  della  legge,  quando  questa  sia
suscettibile, in astratto, di interpretazioni contrastanti. 
    In  definitiva,  il  dedotto  parametro  costituzionale  di   cui
all'art. 24 Cost. e' inconferente. 
    5.2. - Con la  seconda  censura  il  giudice  a  quo  lamenta  la
violazione dell'art. 25, primo comma, Cost. in quanto  la  previsione
secondo cui il Presidente della Corte puo'  deferire,  d'ufficio,  la
questione di massima alle Sezioni riunite, mediante il «prelievo»  di
un giudizio pendente innanzi ad una  sezione  semplice  della  Corte,
consentirebbe  la  scelta  del  giudice  dopo  l'instaurazione  della
controversia. 
    Strettamente  connessa  con  tale  censura  e'  quella   relativa
all'asserita violazione dell'art. 111 Cost. con riguardo al principio
di terzieta' del giudice, considerato  dall'ordinanza  di  rimessione
come il «necessario corollario del  principio  della  precostituzione
del giudice naturale per legge». Inoltre, il remittente rileva che lo
stesso Presidente della Corte, «mediante  il  potere  di  deferimento
(...), finisce per  essere  giudice  in  una  causa  da  egli  stesso
promossa». 
    A  questo  proposito,  il  giudice  a  quo  osserva,  sempre  con
riferimento agli indicati parametri costituzionali, che, a differenza
di quanto  l'ordinamento  stabilisce  per  i  poteri  di  deferimento
spettanti  al  Primo  Presidente  della  Corte  di  cassazione  e  al
Presidente del Consiglio di Stato, la previsione dell'analogo  potere
presidenziale nell'ambito del processo contabile non  avrebbe  tenuto
conto della inesistenza di differenze ordinamentali quanto  ai  ruoli
dei magistrati che compongono le Sezioni della Corte. In particolare,
il remittente deduce che il  deferimento  alle  Sezioni  riunite,  su
iniziativa del  Presidente  della  Corte,  di  questioni  di  massima
relative  a  controversie  di  competenza  delle  sezioni   regionali
avverrebbe  nei  confronti  di  «organi  giurisdizionali  diversi   e
autonomi per competenza territoriale e funzionale, rispetto ai  quali
il Presidente della Corte dei conti e' del tutto estraneo». 
    Anche tali censure non sono fondate. 
    Al riguardo, escluso, per le ragioni gia' dette  in  ordine  alla
delimitazione del thema decidendum,  che  venga  qui  in  rilievo  la
stessa  possibilita'  di  esercizio   del   potere   di   deferimento
presidenziale con riferimento a giudizi pendenti davanti agli  organi
di primo grado della magistratura  contabile,  va  osservato  che  la
giurisprudenza  costituzionale  e'  costante  nel  ritenere  che   il
principio di certezza del giudice, di cui all'art. 25,  primo  comma,
Cost., e' efficacemente espresso nel  concetto  di  «pre-costituzione
del  giudice»,  «vale  a  dire  nella  previa  determinazione   della
competenza, con riferimento a fattispecie  astratte  realizzabili  in
futuro, non gia', a posteriori, in relazione, come  si  dice,  a  una
regiudicanda gia' insorta». In altri  termini,  «il  principio  della
precostituzione del giudice tutela nel cittadino  il  diritto  a  una
previa non dubbia conoscenza del giudice competente  a  decidere,  o,
ancora piu' nettamente, il diritto alla certezza che a giudicare  non
sara' un giudice creato a posteriori in relazione  a  un  fatto  gia'
verificatosi» (sentenza n. 88 del 1962). Il  principio  in  esame  e'
osservato «purche' l'organo  giudicante  sia  stato  istituito  dalla
legge sulla base di criteri generali fissati in  anticipo  e  non  in
vista di singole controversie» (sentenza n. 452 del  1997).  Inoltre,
la Corte ha chiarito che l'art. 25 Cost. non viene violato  allorche'
«la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica
in generale i presupposti o i criteri in base ai  quali  deve  essere
individuato il  giudice  competente:  in  questo  caso,  infatti,  lo
spostamento della competenza dall'uno all'altro  ufficio  giudiziario
non avviene in conseguenza di una deroga  alla  disciplina  generale,
che sia adottata  in  vista  di  una  determinata  o  di  determinate
controversie, ma per effetto di un nuovo  ordinamento  -  e,  dunque,
della  designazione  di  un  nuovo  giudice  "naturale"  -   che   il
legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere  di  merito,
sostituisce a quello vigente» (cosi', da ultimo, la sentenza  n.  237
del 2007). Orbene, se queste affermazioni valgono a  giustificare  lo
spostamento di competenza da un organo giurisdizionale ad un altro, a
maggior ragione  consentono  di  superare  il  dubbio  relativo  alla
violazione dell'art. 25, primo comma, Cost., avanzato con riferimento
alla scelta compiuta dalla norma in esame. Tale  norma,  infatti,  si
limita a consentire il  deferimento  di  una  questione  di  diritto,
avente carattere incidentale, ad un'articolazione interna della Corte
dei conti, quali sono, in effetti, le Sezioni  riunite.  Dal  momento
che, secondo la giurisprudenza costituzionale (sent. 419  del  1998),
il principio di precostituzione del giudice naturale non puo' operare
nella  ripartizione,  tra  sezioni  interne,  «dei  compiti  e  delle
attribuzioni» spettanti  ad  un  determinato  ordine  giurisdizionale
(ordinanza n. 181 del 2001), e' evidente come la  norma  censurata  -
stabilendo  a  priori  dei  criteri  generali  di  risoluzione  delle
questioni idonei ad individuare il giudice munito della  potesta'  di
fissare, in via incidentale, il principio di diritto relativo ad  una
questione di massima di dubbia interpretazione - si sottragga ai vizi
di costituzionalita' denunciati. In altri termini, il legislatore  ha
ritenuto, nell'esercizio della sua discrezionalita', che, in presenza
di determinati presupposti puntualmente indicati, il Presidente della
Corte  possa,  al  fine  di   assicurare   il   fondamentale   valore
rappresentato     dalla     omogeneita'      nell'applicazione      e
nell'interpretazione del diritto, esercitare il potere di deferimento
alle Sezioni riunite delle questioni di massima. 
    E deve anche  rilevarsi  come,  contrariamente  a  quanto  sembra
sostenere  il  giudice  remittente,  le  Sezioni  riunite,  in   sede
giurisdizionale, nell'esercizio della loro funzione nomofilattica, si
limitino a fissare il principio di diritto, demandando  la  decisione
nel merito della controversia alle singole sezioni, salvo  il  potere
di queste di non condividere il  principio  enunciato  dalle  Sezioni
riunite e rimettere ad esse la decisione del giudizio. 
    Non e', pertanto, esatto che il Presidente della Corte dei  conti
possa d'ufficio, e dunque  a  prescindere  da  qualsiasi  impulso  di
parte,  "prelevare"  un  giudizio   pendente   presso   una   sezione
giurisdizionale e portarlo, per la decisione,  innanzi  alle  Sezioni
riunite. Il Presidente della Corte non  ha,  infatti,  il  potere  di
"trasferire" il giudizio da una sezione giurisdizionale alle  Sezioni
riunite;  puo'  soltanto  deferire  a  queste  ultime  l'esame  della
questione di massima, fermo restando, tuttavia, che il giudizio resta
incardinato nella sezione davanti alla quale pende  e  alla  quale  -
dopo la pronuncia delle Sezioni riunite - gli atti  devono  ritornare
per l'ulteriore seguito, con la specificazione innanzi illustrata. 
    Non possono, quindi,  ritenersi  violati  da  parte  della  norma
censurata i principi di precostituzione e  quello  di  terzieta'  del
giudice. 
    Ne' puo' ritenersi, come sostenuto dal remittente, che il  potere
di deferimento sia esercitato da una parte del processo. Sul punto e'
agevole rilevare come debba escludersi che al Presidente della  Corte
dei conti, quando esercita tale potere, possa  essere  attribuita  la
qualita' "di parte" del processo. Al Presidente  della  Corte,  anche
nell'esercizio di detto peculiare potere di deferimento, deve  essere
riconosciuto  senza  dubbio  la  qualita'   di   "giudice   terzo   e
imparziale", la cui attivita' e' esclusivamente diretta ad assicurare
l'esatta osservanza della legge, nell'interesse, in definitiva, degli
utenti del "servizio giustizia". 
    Quanto,   infine,   alla   dedotta   violazione   dei   parametri
costituzionali in esame, in ragione della asserita "autonomia"  delle
sezioni giurisdizionali della Corte, deve ribadirsi come sia fuori di
dubbio che, quanto alle sezioni centrali di appello della Corte,  che
vengono in rilievo nel presente giudizio per le ragioni  gia'  dette,
le Sezioni  riunite  non  si  trovano  affatto  nella  situazione  di
differenziazione   ordinamentale   richiamata    dall'ordinanza    di
rimessione. Dette  sezioni,  infatti,  come  si  e'  gia'  precisato,
rappresentano  una  articolazione  interna  della  Corte  nella  sede
giurisdizionale di appello avverso le sentenze rese dai primi giudici
in sede regionale. 
    Ne',  agli  indicati  effetti,  assume  un  particolare   rilievo
significativo la circostanza che la questione di massima sia  portata
all'esame di «un  giudice  costituito  nominativamente  dallo  stesso
Presidente della Corte ai sensi dell'art. 11, comma 7, della legge  4
marzo 2009, n. 15» (Delega al Governo finalizzata  all'ottimizzazione
della  produttivita'  del  lavoro  pubblico  e  alla   efficienza   e
trasparenza  delle  pubbliche  amministrazioni  nonche'  disposizioni
integrative  delle  funzioni  attribuite   al   Consiglio   nazionale
dell'economia e del lavoro e alla Corte dei  conti).  E'  sufficiente
considerare, una volta ammesso che le Sezioni riunite rivestono, come
si e' sopra chiarito, la natura di articolazione interna  del  plesso
giurisdizionale  centrale  della  magistratura  contabile,  che   non
sussiste alcuna  differenziazione  nelle  modalita'  di  composizione
delle Sezioni riunite con specifico riguardo alla ipotesi in  cui  il
deferimento  delle  questioni   di   massima   involga   controversie
rientranti nella competenza del giudice di appello. 
    In definitiva,  anche  in  relazione  alla  doglianza  da  ultimo
esaminata, la norma  censurata  si  sottrae  ai  denunciati  vizi  di
costituzionalita'.