Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  15,  comma
3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195  (Disposizioni  urgenti
per la cessazione dello stato di  emergenza  in  materia  di  rifiuti
nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale  nel
territorio  della  regione  Abruzzo  ed  altre  disposizioni  urgenti
relative  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri   ed   alla
protezione  civile),  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  26
febbraio 2010, n. 26, promosso dal Collegio  arbitrale  di  Roma  nel
procedimento vertente tra l'Arcadia Costruzioni  s.r.l.  e  l'Ufficio
del Commissario delegato per  l'emergenza  ambientale  nella  Regione
Calabria con ordinanza del 24 maggio 2010  iscritta  al  n.  203  del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 27, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti l'atto di costituzione  della  Arcadia  Costruzioni  s.r.l.
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  14  dicembre  2010  il  giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Uditi l'avvocato Maurizio  Zoppolato  per  l'Arcadia  Costruzioni
s.r.l. e l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che il Collegio arbitrale di Roma, costituitosi in  data
27 ottobre 2009 per decidere (in virtu' della clausola compromissoria
contenuta in un contratto di  appalto  per  la  realizzazione  di  un
depuratore, stipulato il 3 novembre 2003) una  controversia  tra  una
societa' di costruzioni e  l'Ufficio  del  Commissario  delegato  per
l'emergenza ambientale della Regione Calabria, con ordinanza  del  24
maggio 2010 ha sollevato - in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25,
41,  111,  primo  e  secondo  comma,  e  117,  primo   comma,   della
Costituzione,  «nonche'  al  principio   comunitario   di   legittimo
affidamento» - questione di legittimita' costituzionale dell'articolo
15, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni
urgenti per la cessazione dello stato  di  emergenza  in  materia  di
rifiuti  nella  regione  Campania,  per  l'avvio  della   fase   post
emergenziale  nel  territorio  della   regione   Abruzzo   ed   altre
disposizioni urgenti  relative  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri ed alla protezione civile), convertito,  con  modificazioni,
in legge 26 febbraio 2010, n. 26,  in  base  al  quale  «Al  fine  di
assicurare  risparmi  di  spesa,  i   compromessi   e   le   clausole
compromissorie inserite nei contratti stipulati per la  realizzazione
d'interventi connessi alle dichiarazioni di  stato  di  emergenza  ai
sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n.  225,  e
di grande evento di cui all'art. 5-bis del decreto-legge 7  settembre
2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge  9  novembre
2001, n. 401, sono nulli. Sono fatti salvi i collegi arbitrali presso
cui pendono i giudizi per i quali la controversia abbia completato la
fase  istruttoria  alla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto»; 
    che,  affermata  la  necessita'  di  valutare   pregiudizialmente
l'eccezione di nullita' della clausola compromissoria, proposta dalla
difesa della parte pubblica in  ragione  appunto  della  operativita'
della previsione  in  esame,  il  Collegio  ritiene,  in  termini  di
rilevanza della questione, che la sopravvenuta  normativa  -  che  il
rimettente  reputa  non   direttamente   disapplicabile,   nonostante
l'invocata  contrarieta'   della   stessa   ai   principi'   espressi
dall'articolo 6 della Convenzione Europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e dall'art. 47  della  Carta  Europea  dei  diritti
fondamentali - trovi applicazione anche nel giudizio arbitrale a quo,
non ancora pervenuto alla conclusione della fase istruttoria; 
    che, nel merito, il Collegio rimettente denuncia innanzitutto  la
violazione dei principi' costituzionali del giusto processo  e  della
ragionevole durata del processo, con riferimento agli artt. 2, 3,  24
e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto - a parte
il generico  fine  di  risparmio  di  spesa  -  la  previsione  della
decadenza di  giudizi  arbitrali  correttamente  instaurati  e  della
attribuzione del contendere alla giurisdizione ordinaria,  oltre  che
violare il principio codificato dall'art. 5 del codice  di  procedura
civile,  si   tradurrebbe   necessariamente   in   un   notevole   ed
ingiustificato prolungamento del contendere,  derivante  anche  dalla
necessita'  di  ripetere  un'attivita'  processuale  gia'  svolta,  a
cagione dell'impossibilita' (stante il disposto dell'articolo 819-ter
cod. proc. civ.) di dar luogo ad una translatio iudicii dal  processo
arbitrale al processo giurisdizionale; 
    che, sotto altro profilo,  il  Collegio  denuncia  la  violazione
dell'art.  25  Cost.,  in  quanto  -  poiche'   la   norma   sancisce
retroattivamente la decadenza di un giudizio regolarmente instaurato,
quale quello a quo (profilandosi quindi «conseguenze che  contrastano
con l'applicazione della norma generale di cui all'art. 5 c.p.c.»)  -
«si  impone  di  chiarire  se,  essendo   la   competenza   arbitrale
cristallizzata in un contratto avente forza di legge tra le parti  ed
essendo il Collegio arbitrale gia' costituito  questo  potra'  essere
ritenuto giudice naturale»; 
    che, il rimettente  -  rilevando  che  la  decadenza  retroattiva
riguarda  unicamente  le  clausole  compromissorie  che  accedono   a
contratti stipulati a norma dell'art. 5, comma  1,  della  richiamata
legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione  del  Servizio  nazionale
della protezione civile), la  cui  ratio  e'  quella  di  porre  fine
celermente a situazioni di emergenza ed alle relative controversie  -
ritiene che la norma contrasti anche con l'art. 3 Cost.,  in  ragione
della irragionevole contraddizione tra le finalita'  della  normativa
dell'emergenza e l'obiettivo di contenimento della  spesa  perseguito
dalla   norma   medesima,   nonche'   della   altrettanto    illogica
discriminazione tra le  parti  degli  arbitrati  in  corso,  giacche'
l'azzeramento di un giudizio gia' inoltrato sarebbe  condizionato  da
un  elemento  (il  «completamento»  della   fase   istruttoria)   non
uniformemente disciplinato dalla legge; 
    che, ancora, il Collegio denuncia la violazione degli artt.  3  e
24 Cost. e del «principio comunitario di legittimo  affidamento»,  in
quanto l'applicazione della norma vanificherebbe retroattivamente  un
processo ritualmente avviato  da  mesi  e  legittimamente  coltivato,
sacrificando  in  termini  irragionevoli   il   diritto   di   difesa
dell'attore; 
    che, inoltre,  il  rimettente  deduce  che  la  previsione  della
decadenza di  giudizi  ritualmente  instaurati,  comporterebbe  anche
un'irragionevole  lesione  dell'autonomia  privata   (e   quindi   la
violazione dell'art. 41, nonche' degli artt. 24 e 25 Cost.); 
    che, infine, il Collegio denuncia la  violazione  dell'art.  117,
primo  comma,  Cost.,  «in  quanto  sia  il  principio  del   giudice
precostituito per legge che quello di ragionevole durata del processo
sono sanciti, oltre  che  direttamente  dalla  Carta  Costituzionale,
anche dall'art. 6 della Convenzione Europea per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo, nonche'  dall'art.  47  della  Carta  Europea  dei
diritti fondamentali»; 
    che si e' costituita la societa' appaltatrice la quale,  aderendo
integralmente   alle   argomentazioni   svolte   nell'ordinanza    di
rimessione,   ha    concluso    chiedendo    la    declaratoria    di
incostituzionalita' della norma  censurata,  per  i  medesimi  motivi
esposti dal Collegio; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  del
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per  la  declaratoria  di  inammissibilita'  o  di
infondatezza della questione,  contestando  innanzitutto  le  censure
riferite agli artt. 2, 3, 24 e 111  Cost.,  in  quanto  gli  asseriti
inconvenienti  derivanti  dall'azzeramento  del  processo  potrebbero
semmai esser fatti valere davanti al tribunale ordinario, ove  questo
dovesse negare l'operativita' delle regole della translatio  iudicii,
sancite da norme diverse da quella oggetto di censura; 
    che, inoltre, in relazione alla denunciata  violazione  dell'art.
25 Cost., la difesa erariale sostiene l'inconferenza del richiamo  ai
principi' di cui  all'art.  5  cod.  proc.  civ.,  attesa  la  natura
sostanziale della nullita' sancita dalla norma  censurata,  e  deduce
altresi' come il parametro  evocato  non  si  riferisca  al  giudizio
arbitrale, che e' di per se'  un'eccezione  al  sistema  del  giudice
naturale; mentre poi -  negata  altresi'  la  configurabilita'  della
dedotta  irragionevolezza  della  norma  denunciata,  che   viceversa
soddisferebbe il fine del notevole risparmio di  spesa  per  la  P.A.
sugli onorari degli arbitri -  l'Avvocatura  sostiene  l'infondatezza
della censura riferita alla violazione del principio dell'affidamento
(ex art. 3 Cost.), giacche' il menzionato art. 5 cod. proc. civ.  non
gode di copertura costituzionale; 
        che, infine - affermato che  l'autonomia  privata  (garantita
dall'art. 41 Cost.) non e' incompatibile con la prefissione di limiti
a tutela di interessi  generali  -,  l'Avvocatura  dello  Stato,  con
riferimento alla denunciata violazione dei  vincoli  derivanti  dalle
convenzioni internazionali e dalla  disciplina  comunitaria,  osserva
che la norma censurata sarebbe  conforme  al  principio  del  giudice
naturale precostituito (rafforzandolo anzi in ragione del venir  meno
della  operativita'  di  una  eccezione  a  tale  principio)  e   non
inciderebbe  sulla  durata  del   processo   che   non   diventerebbe
irragionevole per il sol fatto che debba  essere  adito  ex  novo  il
giudice ordinario. 
    Considerato che  il  Collegio  arbitrale  di  Roma  dubita  -  in
riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 41, 111, primo e secondo  comma,
e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  «nonche'  al  principio
comunitario  di   legittimo   affidamento»   -   della   legittimita'
costituzionale  dell'articolo  15,  comma  3,  del  decreto-legge  30
dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la  cessazione  dello
stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania,  per
l'avvio della fase post emergenziale  nel  territorio  della  regione
Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative  alla  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri ed alla protezione  civile),  convertito,  con
modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 26; 
    che la disposizione prevede che: «Al fine di assicurare  risparmi
di spesa, i compromessi e le  clausole  compromissorie  inserite  nei
contratti stipulati per la realizzazione d'interventi  connessi  alle
dichiarazioni di stato di emergenza ai sensi dell'art.  5,  comma  1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225,  e  di  grande  evento  di  cui
all'art.  5-bis  del  decreto-legge  7  settembre   2001,   n.   343,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001,  n.  401,
sono nulli. Sono fatti salvi i collegi arbitrali presso cui pendono i
giudizi  per  i  quali  la  controversia  abbia  completato  la  fase
istruttoria alla data di entrata in vigore del presente decreto»; 
    che, preliminarmente  -  dal  contenuto  delle  doglianze,  dalla
natura dei parametri evocati e dalle argomentazioni svolte a sostegno
della non manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalita' -  e'
agevole desumere che il rimettente richiede una pronuncia  che  venga
ad estendere la portata della  clausola  di  salvezza  contenuta  nel
secondo periodo di tale disposizione, attraverso  una  applicabilita'
della medesima a tutti i  giudizi  arbitrali  instaurati  al  momento
dell'entrata in vigore del decreto-legge in oggetto; 
    che, cio' premesso in termini di  individuazione  del  petitum  e
venendo al merito, il rimettente censura innanzitutto  la  norma  per
violazione degli articoli 2, 3, 24 e  111,  primo  e  secondo  comma,
della Costituzione, in quanto - a parte il generico fine di risparmio
di spesa  -  la  previsione  della  decadenza  di  giudizi  arbitrali
correttamente instaurati e della  attribuzione  del  contendere  alla
giurisdizione ordinaria, oltre che violare  il  principio  codificato
dall'art.  5  del  codice  di  procedura   civile,   si   tradurrebbe
necessariamente in un notevole ed  ingiustificato  prolungamento  del
contendere, derivante anche dalla necessita' di ripetere un'attivita'
processuale gia' svolta, a cagione dell'impossibilita' di  dar  luogo
ad  una  translatio  iudicii  dal  processo  arbitrale  al   processo
giurisdizionale; 
    che questa Corte (con la sentenza  n.  376  del  2001  e  con  le
ordinanze n. 169 del 2009, n. 122 e  n.  11  del  2003)  si  e'  gia'
pronunciata, con riferimento a  profili  in  parte  coincidenti,  nel
senso della infondatezza dei dubbi a  suo  tempo  espressi  circa  la
legittimita'  costituzionale   della   analoga   normativa   di   cui
all'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 11  giugno  1998,  n.  180
(Misure urgenti per la prevenzione del  rischio  idrogeologico  ed  a
favore  delle  zone  colpite  da  disastri  franosi   nella   regione
Campania),  secondo  la  quale:  «Le   controversie   relative   alla
esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di  ricostruzione
di  territori  colpiti  da  calamita'  naturali  non  possono  essere
devolute a collegi arbitrali. Sono fatti salvi i lodi gia'  emessi  e
le controversie per le quali sia stata gia' notificata la domanda  di
arbitrato alla data di entrata in vigore del presente decreto»; 
    che,  anche  nel   presente   giudizio   -   premesso   che   «la
discrezionalita' di cui il legislatore gode nell'individuazione delle
materie sottratte alla possibilita' di compromesso incontra  il  solo
limite della manifesta irragionevolezza» (citata sentenza n. 376  del
2001) -, va escluso che (come gia' allora rilevato per  le  opere  di
ricostruzione dei territori colpiti da calamita'  naturali)  siffatto
limite  possa  dirsi  superato  dalla  normativa   oggi   in   esame,
considerata l'identita' del «rilevante  interesse  pubblico»  di  cui
risulta  permeata  anche  la  materia  relativa  alla   realizzazione
d'interventi connessi alle dichiarazioni di stato di  emergenza,  «in
ragione dell'elevato  valore  delle  relative  controversie  e  della
conseguente  entita'  dei  costi  che   il   ricorso   ad   arbitrato
comporterebbe   per   le   pubbliche   amministrazioni   interessate»
(ordinanza n. 162 del 2009); 
    che, pertanto - poiche' «le  scelte  legislative  in  materia  di
arbitrato nei lavori  pubblici  necessariamente  si  giustificano  in
funzione delle specifiche contingenze che caratterizzano  le  singole
iniziative della pubblica amministrazione (cfr. sentenza n.  152  del
1996)» - va ribadito, in termini generali,  che  la  valutazione  del
legislatore di  escludere  la  compromettibilita'  in  arbitri  delle
controversie in questione, mediante la declaratoria di nullita' delle
relative clausole compromissorie, «deve essere apprezzata, sul  piano
della relativa non manifesta irragionevolezza, in funzione  di  tutte
le singole componenti (siano esse  di  ordine  economico,  di  ordine
funzionale, o di opportunita') che concorrono ad orientare la  scelta
di riservarle al controllo giurisdizionale»  (ordinanza  n.  162  del
2009); mentre, la sottolineata  rilevante  entita'  dei  costi  degli
arbitrati gravanti sulla P.A. conferma  che  la  previsione  di  tale
esclusione   non   appare   certamente   incongrua    (e    tantomeno
manifestamente  irragionevole)  rispetto  allo  specifico  fine   del
risparmio di spesa esplicitato dalla norma impugnata; 
    che,  dunque,  la  conseguenza  della  perdita  di  un  parte  di
attivita' concretamente espletata negli arbitrati in corso (che,  pur
sempre,  traggono  origine  dalla  libera  scelta  delle   parti   di
rinunciare alla giurisdizione, attraverso un atto di disposizione  in
senso negativo del diritto di azione:  sentenza  n.  221  del  2005),
appare ampiamente giustificata nel contesto del bilanciamento con  le
esigenze, tanto piu'  sentite  in  un  contesto  di  crisi  economica
globale, di contenimento della spesa pubblica; 
    che,  poi,  con  riguardo  alla  argomentazione   riferita   alla
necessita' (incidente in senso negativo sul principio di  ragionevole
durata del processo e su quello di cui all'art. 5  cod.  proc.  civ.)
per i soggetti interessati di avviare ex  novo  l'azione  davanti  al
giudice ordinario, senza potersi dar luogo  alla  translatio  iudicii
dal processo arbitrale a quello giurisdizionale (che per il  Collegio
non sarebbe consentita ex art. 819-ter,  secondo  comma,  cod.  proc.
civ.), va ritenuto che - anche a voler ritenere  rilevante  una  tale
problematica per il giudice a quo, considerato che  questa  Corte  ha
affermato che «la conservazione degli effetti prodotti dalla  domanda
originaria discende non gia' da una  dichiarazione  del  giudice  che
declina la propria giurisdizione, ma  direttamente  dall'ordinamento»
(sentenza  n.  77  del  2007)  -  il  rimettente,  in  ragione  della
interpretazione ad essa data, avrebbe dovuto, semmai, censurare  tale
ultima previsione codicistica; 
    che - quanto alla denunciata violazione dell'art. 25 Cost.,  che,
secondo il rimettente deriverebbe dalla previsione di  una  decadenza
retroattiva di un giudizio regolarmente instaurato,  quale  quello  a
quo,   profilandosi   quindi   «conseguenze   che   contrastano   con
l'applicazione della norma generale di cui all'art. 5  c.p.c.»  -  va
innanzitutto  ribadito  che  il  testo  dell'evocato   parametro   fa
riferimento al giudice naturale precostituito per legge (ordinanze n.
162 del 2010 e n. 11 del 2003) e non a quello, derogatorio,  previsto
contrattualmente dalle parti; 
    che, peraltro, questa Corte ha ritenuto che - nel contesto  della
ricordata ampia  discrezionalita'  di  cui  gode  il  legislatore  in
materia - gli interventi legislativi  modificativi  della  competenza
aventi incidenza anche sui processi in corso non sono necessariamente
lesivi dell'art. 25 Cost. (sentenze n. 417 e n. 237 del 2007), e  che
«il principio costituzionale del giudice  naturale  viene  rispettato
allorche' la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso,
modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali  deve
essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo
spostamento della competenza dall'uno all'altro  ufficio  giudiziario
non avviene in conseguenza di una deroga  alla  disciplina  generale,
che sia adottata  in  vista  di  una  determinata  o  di  determinate
controversie, ma per effetto di un nuovo  ordinamento  -  e,  dunque,
della designazione di un nuovo giudice naturale - che il legislatore,
nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce  a
quello vigente» (sentenza n. 237 del 2007); 
    che tale affermazione  consente  anche  di  superare  il  profilo
riguardante l'asserita violazione dell'art. 5 cod. proc.  civ.,  che,
quale norma processuale avente lo scopo di  favorire  la  perpetuatio
iurisdictionis  (ordinanza  n.  363  del  2008),  e'  servente   alla
realizzazione dei singoli principi' costituzionali in materia, ma non
puo'   assurgere   ad   autonomo    parametro    di    giudizio    di
costituzionalita'; 
    che, il rimettente denuncia altresi' la  violazione  dell'art.  3
Cost., in considerazione della asserita irragionevole  contraddizione
tra le finalita'  della  normativa  dell'emergenza  richiamata  dalla
disposizione impugnata e  l'obiettivo  di  contenimento  della  spesa
perseguito dalla disposizione  medesima,  nonche'  della  altrettanto
illogica discriminazione tra  le  parti  degli  arbitrati  in  corso,
giacche'  l'azzeramento  di  un  giudizio  gia'   inoltrato   sarebbe
condizionato  da  un  elemento   (il   «completamento»   della   fase
istruttoria) non uniformemente disciplinato dalla legge; 
    che,  in  proposito,  va  rimarcato  che   -   ritenuta   congrua
l'esclusione del ricorso ad arbitri rispetto al fine del risparmio di
spesa, esplicitato dalla norma  in  esame  (in  un  contesto  in  cui
necessita  di  affermazione  l'esigenza,  globalmente   sentita,   di
contenimento della spesa pubblica) - viene meno qualsiasi  dubbio  di
irragionevolezza della norma censurata; laddove, peraltro, non appare
possibile   operare   una   comparazione    (onde    evincerne    una
contraddizione, come asserito dal rimettente) tra lo scopo perseguito
(con misure ritenute adeguate)  dalla  disposizione  in  esame  e  la
teleologicamente  del  tutto  eterogenea  ratio  della   legislazione
riguardante gli interventi connessi alle dichiarazioni  di  stato  di
emergenza (di cui all'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del  1992),
che la norma impugnata richiama solo al fine di  delimitare  l'ambito
di operativita'  della  nullita'  delle  clausole  compromissorie  de
quibus; 
    che, d'altra parte, questa Corte ha  gia'  chiarito  che  nessuna
lesione del principio di eguaglianza puo' ravvisarsi  nel  fatto  che
controversie di uguale natura ed oggetto siano assoggettate o meno al
divieto di arbitrato a seconda della fase in cui si trova il giudizio
al momento dell'intervento  del  legislatore;  infatti,  il  naturale
fluire del tempo  costituisce  idoneo  elemento  di  differenziazione
delle  situazioni   soggettive,   cosicche'   non   sussiste   alcuna
ingiustificata disparita'  di  trattamento  per  il  solo  fatto  che
situazioni pur identiche siano soggette a diversa disciplina  ratione
temporis (sentenza n. 376 del 2001 ed ordinanza  n.  162  del  2009),
mentre costituisce esercizio della discrezionalita'  del  legislatore
la scelta (in se' non arbitraria) di collegare  l'operativita'  della
clausola  di  salvezza  all'intervenuto  completamento   della   fase
istruttoria (regolamentata  dall'art.  816-ter  cod.  proc.  civ.)  e
quindi ad un determinato formale stato di  avanzamento  del  giudizio
arbitrale; 
    che altra censura e' sollevata in riferimento agli artt. 3  e  24
Cost. ed al «principio  comunitario  di  legittimo  affidamento»,  in
quanto l'applicazione della norma vanificherebbe retroattivamente  un
processo ritualmente avviato  da  mesi  e  legittimamente  coltivato,
sacrificando  in  termini  irragionevoli   il   diritto   di   difesa
dell'attore; 
    che  -  premessa  la  assoluta  genericita'  del  riferimento  al
«principio comunitario di legittimo affidamento», che  il  rimettente
si limita ad associare  in  combinato  disposto  con  gli  altri  due
evocati principi' costituzionali  -  la  giurisprudenza  costante  di
questa Corte ritiene che «nel nostro sistema  costituzionale  non  e'
affatto interdetto al legislatore di emanare  disposizioni  le  quali
vengano a modificare  in  senso  sfavorevole  per  i  beneficiari  la
disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di  questi  sia
costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso
di norme retroattive, il limite imposto in materia  penale  dall'art.
25, secondo comma, della  Costituzione)»;  unica  condizione  essendo
«che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento  irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi  quale  elemento  fondamentale  dello  stato  di  diritto»
(sentenze a n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009); 
    che, invero, come gia' ritenuto, l'intervento sugli arbitrati, in
quanto  finalizzato  al  risparmio   di   spesa,   non   puo'   dirsi
irragionevole, giacche' tra l'altro  «l'assetto  recato  dalla  norma
denunciata riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse e
non puo', pertanto,  [essa]  non  essere  attenta  alle  esigenze  di
bilancio»  (sentenza  n.  228  del  2010);  ed,   inoltre,   la   non
configurabilita'  di  una  regolamentazione   irrazionale   determina
l'infondatezza anche dell'ulteriore profilo di censura riferito  alla
asserita violazione del diritto di difesa dell'attore, che - al  pari
della controparte - e' libero di proporre in ogni tempo  il  processo
davanti all'autorita' giudiziaria; 
    che il rimettente denuncia, inoltre, la  violazione  degli  artt.
24, 25 e 41 Cost., in quanto la previsione della decadenza di giudizi
ritualmente instaurati comporterebbe anche  un'irragionevole  lesione
dell'autonomia privata; 
    che,  tuttavia,  questa  Corte  ha  gia'  sottolineato   che   la
riconosciuta sussistenza del «rilevante interesse  pubblico,  di  cui
risulta permeata la materia relativa alle opere di ricostruzione  dei
territori colpiti da calamita' naturali» (considerazione che si  deve
estendere   alla   analoga   materia   afferente   la   realizzazione
d'interventi connessi alle  dichiarazioni  di  stato  di  emergenza),
consente di disattendere anche la censura  riguardante  una  asserita
irragionevole  limitazione  della  autonomia  privata  derivante  dal
contestato divieto di devoluzione ad arbitri  delle  controversie  de
quibus  (ordinanza  n.  162  del  2009),  poiche'  l'art.  41   Cost.
espressamente «tutela l'autonomia contrattuale  in  quanto  strumento
della  liberta'  di  iniziativa  economica,  il  cui  esercizio  puo'
tuttavia essere limitato per ragioni di  utilita'  economico-sociale,
che assumono anch'esse rilievo a livello costituzionale (sentenze  n.
279 del 2006 e n. 264 del 2005)» e  coerentemente  anche  l'art.  806
cod. proc. civ. prevede la possibilita'  di  devoluzione  ad  arbitri
delle controversie «salvo espresso divieto di legge»; 
    che,  per  i  vari  motivi  espressi,  tutte  le  censure  finora
esaminate sono manifestamente infondate; 
    che, infine - quanto alla questione riferita all'art. 117,  primo
comma, Cost., per violazione del principio del giudice  precostituito
per legge e di quello di ragionevole  durata  del  processo  sanciti,
oltre che direttamente dalla Carta Costituzionale, anche dall'art.  6
della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo,
nonche' dall'art. 47 della Carta Europea dei diritti  fondamentali  -
va rilevato che la  prospettazione  di  tale  ultima  censura  appare
basata apoditticamente sulla mera  affermazione  che  tali  principi'
risultino «sostanzialmente corrispondenti» a quelli  «espressi  dalla
Costituzione italiana»; 
    che cosi' argomentando il Collegio rimettente -  che,  quanto  al
richiamo  alla  Carta  di  Nizza,  neppure  si   pone   il   problema
pregiudiziale dell'applicabilita' della  normativa  comunitaria  alla
controversia in esame  -  non  da',  altresi',  contezza  alcuna  ne'
dell'esistenza di specifiche interpretazioni nel senso  auspicato  da
parte della Corte di Strasburgo dell'evocato  principio  della  CEDU,
ne' di una valenza della norma della Carta recepita nel  Trattato  di
Lisbona che consentano di configurare (almeno in tesi)  la  eventuale
operativita'  di  un  plus  di  tutela  convenzionale  o  comunitaria
rispetto a quella interna (sentenza n. 317 del 2009); 
    che,   pertanto,   tale   ultima   censura   e'    manifestamente
inammissibile.