Ordinanza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Fabriano con ordinanza del 18 novembre 2009, dal Giudice di  pace  di
Alessandria con ordinanza del 18 novembre 2009, dal Giudice  di  pace
di Citta' della Pieve con ordinanza del 9 dicembre 2009, dal  Giudice
di pace di Ivrea con ordinanza del 23 dicembre 2009 e dal Giudice  di
pace  di  Casale  Monferrato  con  ordinanza  del  17  dicembre  2009
rispettivamente iscritte ai nn. 77, 111, 113, 138 e 139 del  registro
ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 12, 16, 17 e 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che, con ordinanza in data 18 novembre 2009 (r. o. n. 77
del  2010),  il  Giudice  di  pace  di  Fabriano  ha  sollevato,   in
riferimento agli artt. 2,  3,  10,  25  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione  questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.
10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art. 1,  comma
16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica); 
    che il giudice a quo premette, in fatto, di  dover  giudicare  un
cittadino straniero extracomunitario accusato del nuovo reato di  cui
all'art.10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 in  quanto  «si  tratteneva
nel territorio dello Stato italiano in violazione» delle disposizioni
di cui al citato decreto; 
    che, a parere del rimettente, la  condotta  dell'imputato,  cosi'
come contestata nel capo di imputazione,  configurerebbe  la  seconda
ipotesi di cui all'art. 10-bis del decreto citato, integrandone tutti
gli elementi, vale a dire il trattenersi illegalmente nel  territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni del d.lgs.  n.  286  del
1998, precisamente dell'art. 5 che prevede la necessita' del permesso
di soggiorno o di altro titolo legalmente rilasciato; 
    che, secondo il Giudice di pace di Fabriano, la  norma  censurata
violerebbe il principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3  Cost.,
essendo  una  norma  incriminatrice  del   tutto   priva   di   ratio
giustificatrice,  non   potendo   questa   essere   ricercata   nella
«valutazione  di  pericolosita'  sociale  delle  condotte  penalmente
perseguite che si risolvono in un "modo di essere", in una condizione
della persona: quella di migrante irregolare»; 
    che,  inoltre,  l'irragionevolezza  discenderebbe   anche   dalla
finalita' della  norma  diretta  all'allontanamento  dello  straniero
clandestino dal territorio  nazionale,  finalita'  gia'  conseguibile
tramite l'istituto dell'espulsione amministrativa; 
    che un ulteriore profilo  di  irragionevolezza  risiederebbe  nel
fatto che la norma e' destinata a restare priva di  effetti  concreti
nei confronti della stragrande maggioranza degli immigrati irregolari
in quanto la pena pecuniaria sarebbe inesigibile in  concreto  avendo
come destinatarie persone nullatenenti; 
    che il rimettente lamenta anche la violazione dell'art.  3  Cost.
sotto  il  profilo  della  disparita'  di  trattamento  in  relazione
all'ipotesi di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs.  n.  286  del
2000  a  causa  della  mancata  previsione  della  esclusione   della
colpevolezza in caso di «giustificato motivo»; 
    che sarebbe leso anche l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce
i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento  dei  doveri
di solidarieta' politica, economica e sociale; 
    che, infine, secondo il Giudice di pace di Fabriano, la norma  in
esame violerebbe anche gli  artt.  10  e  117,  primo  comma,  Cost.,
ponendosi in  contrasto  con  i  principi  affermati  in  materia  di
immigrazione nel diritto  internazionale  generalmente  riconosciuto,
tra  i  quali  la  Dichiarazione  universale  dei  diritti  dell'uomo
adottata dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10  dicembre
1948 e la convenzione dell'Organizzazione internazionale  del  lavoro
(OIL) n. 143 del 1975 sui lavoratori migranti, ratificata  con  legge
10 aprile 1981, n. 158  (Ratifica  ed  esecuzione  delle  convenzioni
numeri 92, 133 e 143 dell'Organizzazione internazionale del lavoro); 
    che si avrebbe anche la violazione dell'art.  117,  primo  comma,
Cost. per il contrasto della nuova fattispecie incriminatrice con  le
norme internazionali pattizie di cui agli artt. 5 e 16 del Protocollo
addizionale  della  Convenzione  delle  Nazioni   Unite   contro   la
criminalita' organizzata transnazionale per  combattere  il  traffico
illecito di migranti, adottato il 15 novembre 2000; 
    che il Giudice di pace  di  Alessandria,  con  ordinanza  del  18
novembre 2009 (r. o. n. 111 del  2010),  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3 e 25, secondo  comma,
Cost.; 
    che il giudice a quo premette in  fatto  di  dover  giudicare  un
cittadino straniero extracomunitario  imputato  del  nuovo  reato  di
ingresso o soggiorno illegale  nel  territorio  dello  Stato  di  cui
all'art.10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che la norma incriminatrice sarebbe, anzitutto, in contrasto  con
l'art. 3 Cost. sotto il profilo  dell'irragionevolezza  della  scelta
legislativa  di  criminalizzare  l'ingresso  e  la   permanenza   dei
clandestini nello Stato italiano,  in  quanto  l'obiettivo  con  essa
perseguito - espellere lo  straniero  illegittimamente  presente  nel
territorio dello Stato - sarebbe gia' conseguibile con  la  procedura
di espulsione amministrativa, avente il medesimo  ambito  applicativo
ai sensi dell'art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che l'irragionevolezza della nuova fattispecie penale emergerebbe
anche  sotto  il  profilo  sanzionatorio  caratterizzato,   nel   suo
complesso, dalla comminatoria di una pena pecuniaria  priva  di  ogni
efficacia deterrente nei confronti di soggetti di regola impossidenti
quali gli stranieri clandestini, dal divieto  di  applicazione  della
sospensione condizionale della pena  e  dalla  facolta'  concessa  al
giudice di pace di sostituire la pena  pecuniaria  con  una  sanzione
piu' grave, quale l'espulsione per un periodo non inferiore a  cinque
anni; 
    che l'art. 3 Cost. risulterebbe  violato  anche  sotto  un  altro
specifico  profilo,  concernente  la  irragionevole   disparita'   di
trattamento tra la nuova fattispecie e quella  di  cui  all'art.  14,
comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, che prevede  la
punibilita'   dello   straniero    inottemperante    all'ordine    di
allontanamento del questore solo quando lo stesso  si  trattenga  nel
territorio  dello  Stato  oltre  il  termine   stabilito   e   «senza
giustificato motivo»; 
    che, ritiene il rimettente,  a  causa  del  mancato  richiamo  al
giustificato motivo potrebbe accadere  che  il  venir  meno,  per  un
qualunque motivo, del permesso di soggiorno, integri  automaticamente
l'ipotesi di reato, senza alcuna possibilita', per l'interessato,  di
addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine  per
potersi allontanare; 
    che, secondo il Giudice di pace di Alessandria, sarebbero violati
anche gli artt. 3 e 25, secondo comma,  Cost.,  in  quanto  la  norma
censurata darebbe vita ad  una  fattispecie  penale  discriminatoria,
volta a colpire non gia' un condotta, ma una condizione  personale  e
sociale - il mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso o
alla  permanenza  nel  territorio  dello  Stato   -   arbitrariamente
considerata come indice di pericolosita' sociale; 
    che, in tal senso, dovrebbero valere le  considerazioni  espresse
nella  sentenza  di  questa  Corte  n.  78  del  2007,  in  tema   di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri clandestini, laddove si e' detto che «il  mancato  possesso
di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»
costituisce «una condizione soggettiva»  «che,  di  per  se'  non  e'
univocamente  sintomatica  [...]  di  una  particolare  pericolosita'
sociale»; 
    che, infine, il  reato  di  ingresso  e  soggiorno  illegale  nel
territorio dello  Stato  contrasterebbe  anche  con  l'art.  2  Cost.
perche', sanzionando penalmente anche la mera  presenza  clandestina,
si metterebbe  lo  straniero  nell'impossibilita'  di  regolarizzare,
sussistendone i presupposti, la propria posizione in modo tale che, a
titolo esemplificativo, il figlio di  genitori  stranieri  irregolari
potrebbe essere condannato ad essere privato della propria  identita'
e della cittadinanza; 
    che,  conclude  il  rimettente,   la   questione   sollevata   e'
sicuramente rilevante, essendo l'imputato chiamato a  rispondere  del
reato di «ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato»  ai
sensi dell'art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998,  come
introdotto dalla legge citata; 
    che il Giudice di pace di Citta' della Pieve, con ordinanza del 9
dicembre 2009 (r. o. n. 113 del  2010),  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3,  10  e  25,  secondo
comma, Cost.; 
    che, anche in questo caso, il rimettente premette, in  fatto,  di
dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario imputato  del
nuovo reato di ingresso o soggiorno  illegale  nel  territorio  dello
Stato; 
    che, a parere  del  giudicante,  la  norma  censurata  violerebbe
l'art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, trattandosi di
norma  incriminatrice  priva  di  fondamento  razionale,  in   quanto
l'obiettivo  con   essa   perseguito   -   espellere   lo   straniero
illegittimamente presente nel territorio dello Stato -  sarebbe  gia'
conseguibile con la procedura di espulsione amministrativa, avente il
medesimo ambito applicativo; 
    che, inoltre, risulterebbero violati gli artt. 3  e  25,  secondo
comma, Cost.,  perche'  si  tratterebbe  di  una  fattispecie  penale
discriminatoria, volta a colpire,  non  gia'  una  condotta,  ma  una
condizione personale e sociale - il mancato  possesso  di  un  titolo
abilitativo all'ingresso o alla permanenza nel territorio dello Stato
- arbitrariamente considerata come indice di pericolosita' sociale; 
    che nell'ordinanza di rimessione e' richiamata la sentenza  della
Corte costituzionale n. 78 del 2007, nella parte in  cui  si  afferma
che «il mancato possesso del titolo abilitativo alla permanenza nello
Stato, da parte dello  straniero  non  puo'  considerarsi  reato,  in
quanto  non  e'  di  per  se'  idoneo  a  produrre  una   particolare
pericolosita' sociale; la mera condizione  di  clandestino  non  puo'
considerarsi idonea a  porre  seriamente  in  pericolo  la  sicurezza
pubblica»; 
    che, secondo il rimettente, la punizione di comportamenti innocui
sotto il  profilo  dell'offensivita'  sarebbe  in  contrasto  con  il
principio cosiddetto del doppio binario, in base al quale  le  misure
di sicurezza sono destinate  a  contrastare  i  soggetti  socialmente
pericolosi, mentre l'inflizione di una pena corrisponde ad una  serie
di finalita' non indirizzate alla prevenzione generale e speciale; 
    che, dunque, l'ingresso o  la  permanenza  illegale  del  singolo
straniero non rappresenterebbero, di per se', fatti  lesivi  di  beni
meritevoli  di  tutela  penale,  ma  sarebbero  espressione  di   una
condizione individuale - quella di migrante -  che  trova  tutela  in
numerose convenzioni internazionali, cui l'Italia ha  aderito,  donde
pure la violazione dell'art. 10 Cost.; 
    che il Giudice di pace di Citta' della Pieve ritiene che la norma
censurata contrasti con l'art. 25, secondo comma, Cost., in quanto la
sanzione  si  estenderebbe  a  condotte   poste   in   essere   prima
dell'entrata in vigore della legge medesima; 
    che, infine, sarebbe violato  l'art.  2  Cost.  che  riconosce  e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo quali, in particolare,  il
diritto alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin  dal
momento della nascita, e l'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza per la irrazionalita' del trattamento sanzionatorio da
essa complessivamente  prefigurato,  caratterizzato  dal  divieto  di
poter utilizzare l'istituto dell'oblazione di cui  all'art.  162  del
codice penale, nonche' per la irragionevole disparita' di trattamento
rispetto all'ipotesi criminosa di cui all'art. 14, comma  5-ter,  del
d.lgs. n. 286  del  1998,  connessa  alla  mancata  previsione  della
«scriminante» del «giustificato motivo»; 
    che, quanto alla rilevanza, il rimettente si limita ad  osservare
che la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  si  pone
come una vera  e  propria  questione  pregiudiziale,  un  antecedente
logico-giuridico necessario per la decisione della causa; 
    che il Giudice di pace di Ivrea, con ordinanza  del  23  dicembre
2009 (r. o. n. 138 del 2010), ha sollevato questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  per
violazione degli artt. 2, 3, 25 e 97 Cost.; 
    che il giudice a quo premette, in fatto, di  dover  giudicare  un
cittadino straniero extracomunitario imputato del reato di ingresso o
soggiorno illegale nel territorio dello Stato; 
    che l'art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,  sarebbe  in
netto contrasto con i principi fondamentali della Costituzione ed, in
particolare, con il principio della solidarieta' politica,  economica
e sociale, oltre  che  con  il  principio  dell'uguaglianza,  perche'
colpevolizza coloro i quali, nella loro condizione di stranieri privi
di  autorizzazione  ad  entrare  nel  territorio  dello  Stato  o   a
permanervi, fuggono  dai  loro  paesi  di  origine  per  le  precarie
condizioni economiche e cercano nel nostro Paese l'affermazione della
loro personalita'; 
    che la norma  censurata  violerebbe  l'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo della ragionevolezza,  trattandosi  di  norma  incriminatrice
priva  di  fondamento  razionale,  in  quanto  l'obiettivo  con  essa
perseguito - espellere lo  straniero  illegittimamente  presente  nel
territorio dello Stato - sarebbe gia' conseguibile con  la  procedura
di espulsione amministrativa avente il medesimo ambito applicativo; 
    che ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  dovrebbe  ricavarsi
dalla irrazionalita' del  trattamento  sanzionatorio,  caratterizzato
dalla comminatoria di una pena pecuniaria  priva  di  ogni  efficacia
deterrente nei confronti di soggetti di  regola  impossidenti,  quali
gli stranieri clandestini; 
    che, inoltre, la  fattispecie  incriminatrice  sarebbe  priva  di
fondamento   giustificativo   perche'   il   bene   giuridico   della
tranquillita' e della sicurezza pubblica, che il legislatore  intende
tutelare, non puo' essere offeso o messo in pericolo  dalla  semplice
condizione di straniero clandestino e, pertanto, la norma oggetto  di
censura si  tradurrebbe  nell'incriminazione  della  mera  condizione
soggettiva  di  migrante  privo  dell'autorizzazione  a  soggiornare,
mancando un fatto oggettivo di pericolosita' sociale; 
    che in tal senso dovrebbero  valere  le  considerazioni  espresse
nella sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007, in tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri clandestini, ove si e' detto che «il mancato possesso di un
titolo  abilitativo  alla  permanenza  nel  territorio  dello  Stato»
costituisce «una condizione soggettiva»  «che,  di  per  se'  non  e'
univocamente  sintomatica  [...]  di  una  particolare  pericolosita'
sociale»; 
    che il rimettente lamenta anche la disparita' di  trattamento  in
relazione all'ipotesi di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs.  n.
286 del 2000, a causa della mancata previsione della esclusione della
colpevolezza  in  caso  di  «giustificato  motivo»   per   un   reato
contravvenzionale che  certamente  si  caratterizza  per  una  minore
gravita'; 
    che, da ultimo, e' ipotizzata anche la violazione  dell'art.  97,
primo  comma,  Cost.,  in  quanto  la  previsione  di  due   distinti
procedimenti - amministrativo e penale -  diretti  allo  stesso  fine
(l'espulsione  dello  straniero)  influirebbe   negativamente   sulla
ragionevole durata dei processi, oltre  a  provocare  un  aumento  di
costi e di «incombenti»; 
    che il Giudice di pace di Casale Monferrato, con ordinanza del 17
dicembre 2009 (r. o. n. 139 del  2010),  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998 per violazione degli artt. 2, 3, 10, 25, 27 e 117, primo  comma,
Cost.; 
    che il giudice a quo premette, in fatto, di  dover  giudicare  un
cittadino straniero extracomunitario imputato del reato di ingresso o
soggiorno illegale nel territorio dello Stato; 
    che l'art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 ha  introdotto
una  fattispecie  incriminatrice  di  natura  contravvenzionale   che
prevede due tipi di  condotta  illecita:  l'ingresso  sul  territorio
dello  Stato  in  violazione  delle  norme  del  «testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello  straniero»  e  il  soggiorno  sul  territorio
italiano in violazione delle medesime norme e dell'art. 1 della legge
28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli
stranieri per visite, affari, turismo e studio); 
    che il rimettente precisa che le due ipotesi  di  reato  sono  in
rapporto di alternativita' tra di loro e che, pertanto,  non  sarebbe
rilevante, nel caso  di  specie,  la  modalita'  dell'ingresso  dello
straniero  nel  territorio,  ingresso   avvenuto,   in   ogni   caso,
anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009; 
    che la norma censurata si porrebbe in primo  luogo  in  contrasto
con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,  perche'  la
permanenza  dello  straniero   nel   territorio   dello   Stato   non
rappresenterebbe di per se' un fatto lesivo  di  beni  meritevoli  di
tutela penale ma solo espressione di una condizione individuale; 
    che sarebbero, altresi', violati gli artt. 3 e 25, secondo comma,
Cost., in relazione ai principi di inesigibilita' della condotta,  di
tassativita'  e  determinatezza  della  fattispecie   penale,   della
irragionevole  disparita'  di  trattamento   e   del   principio   di
irretroattivita' della norma penale; 
    che non sarebbe sufficientemente descritta la  condotta  omissiva
incriminata e che, in particolare, non sarebbe possibile  individuare
il termine alla  cui  scadenza  il  "trattenersi"  in  condizione  di
irregolarita' (amministrativa) nel territorio  dello  Stato  acquisti
(anche) rilevanza penale; 
    che, a tal proposito, il rimettente  richiama  le  argomentazioni
svolte da questa Corte con la sentenza n. 34  del  1995,  ove  si  e'
detto che «il comando d'agire, per  essere  conforme  alla  chiarezza
imposta dal principio  di  legalita',  deve  riferirsi  a  situazioni
tipiche ben profilate e  di  significato  pregnante,  tali  cioe'  da
evocare immediatamente il problema dell'attivarsi in  un  certo  modo
per la salvaguardia  di  riconoscibili  interessi,  e  da  costituire
percio',  ad  un  tempo,  il  fondamento  del   carattere   offensivo
dell'omissione, e un solido punto  di  riferimento  per  il  giudizio
sulla colpevolezza dell'omittente»; 
    che la norma censurata  sanzionerebbe  anche  condotte  poste  in
essere  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  medesima,   in
violazione del principio di irretroattivita' della norma penale; 
    che il rimettente lamenta anche la violazione dell'art.  3  Cost.
per la irragionevole disparita' di trattamento  rispetto  all'ipotesi
criminosa di cui all'art. 14, comma 5-ter,  del  d.lgs.  n.  286  del
1998,  connessa  alla  mancata  previsione  della  «scriminante»  del
«giustificato motivo»; 
    che  mentre  l'art.  14,  comma  5-ter,  sopra  citato   consente
all'irregolare che non ha ottemperato all'ordine di allontanamento di
addurre giustificazioni in termini di impossibilita'  a  provvedervi,
per difficolta' oggettive o soggettive, tale facolta' non e' prevista
per  l'irregolare  per  il  quale  non  sia  gia'  stato  emesso   il
provvedimento di espulsione; 
    che, a parere del rimettente, non sarebbe ne'  comprensibile  ne'
ragionevole il diverso trattamento delle  due  fattispecie,  entrambe
omissive ed anzi tali da realizzare in concreto una  stessa  condotta
di illecito amministrativo; 
    che il Giudice di Pace  di  Casal  Monferrato,  avanza  ulteriori
dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis  per  contrasto
con l'art. 3 Cost., in ragione dell'esclusione  della  applicabilita'
dell'oblazione di cui all'art. 162 cod. pen.; 
    che non sarebbe possibile cogliere il  fondamento  giustificativo
della opzione legislativa, se non attribuendo alla stessa lo scopo di
favorire ad ogni costo l'applicazione della sanzione sostitutiva, che
l'istituto dell'oblazione vedrebbe ridimensionato; 
    che la norma oggetto di censura si porrebbe  in  contrasto  anche
con l'art. 27, secondo e terzo comma, Cost.,  per  la  finalizzazione
della pena a  fini  diversi  da  quelli  rieducativi,  in  quanto  la
previsione della pena pecuniaria sembrerebbe assolutamente  priva  di
qualsiasi  efficacia  preventiva,  essendo   destinata   a   rimanere
ineseguita e insuscettibile di esecuzione forzata per  la  condizione
di estrema indigenza degli immigrati irregolari; 
    che, inoltre, nell'ordinanza di rimessione si evidenzia come, nei
confronti  dello  straniero  di  cui  si  accerti  la  condizione  di
soggiorno illegale, si debbano aprire due distinti procedimenti:  uno
amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di
espulsione da eseguirsi a cura del questore, e  l'altro  giudiziario,
nelle forme del citato art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. del 28  agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza  penale  del  giudice  di
pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468); 
    che tale duplicazione, in sede penale, della procedura  esistente
in via amministrativa, violerebbe il principio di  ragionevolezza  di
cui all'art. 3 Cost.; 
    che la nuova fattispecie si porrebbe in contrasto gli artt.  2  e
3, primo e secondo comma, Cost., venendo a colpire tramite l'istituto
del concorso di persone nel reato tutte le  condotte  che,  anche  se
animate da mero spirito  solidaristico,  si  risolvano  in  un  aiuto
all'ingresso o al trattenimento  dello  straniero  «clandestino»  nel
territorio dello Stato, cosi' impedendo l'adempimento dei  doveri  di
solidarieta' sociale  nei  confronti  di  persone  in  condizioni  di
indigenza; 
    che, infine, la  configurazione  come  reato  del  soggiorno  non
regolare dello straniero nel territorio  dello  Stato  contrasterebbe
con i principi affermati  in  materia  di  immigrazione  dal  diritto
internazionale e dalle convenzioni internazionali, tra  le  quali  la
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e la convenzione  OIL
n. 143 del 1975 sui lavoratori migranti, ratificata con legge n.  158
del 1981, comportando la violazione  degli  artt.  10  e  117,  primo
comma, Cost.; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto  soltanto
nei giudizi promossi con ordinanze iscritte al r. o. n. 77 e  n.  111
del 2010, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili
per difetto di motivazione sulla rilevanza  e  sulla  violazione  dei
parametri costituzionali invocati o, comunque, infondate. 
    Considerato che le ordinanze di rimessione, indicate in epigrafe,
sollevano questioni identiche o analoghe,  onde  i  relativi  giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione; 
    che i  giudici  a  quibus  dubitano,  in  riferimento  a  plurimi
parametri, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000  a
10.000 euro, salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel  territorio
dello Stato; 
    che le questioni di costituzionalita' sollevate con le  ordinanze
di rimessione n. 111, n. 113, n. 138 e  n.  139  sono  manifestamente
inammissibili per carenze, in punto di descrizione della  fattispecie
concreta e di motivazione sulla  rilevanza,  tali  da  precludere  lo
scrutinio nel merito delle questioni; 
    che  le  ordinanze  n.  111,  n.  113  e  n.   139,   provenienti
rispettivamente dai Giudice di  pace  di  Alessandria,  Citta'  della
Pieve e Casal Monferrato, si limitano, quanto alla descrizione  della
fattispecie, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si
procede per il reato di cui all'art. 10-bis del  d.lgs.  n.  286  del
1998, cosi' che la declaratoria di  incostituzionalita'  della  norma
comporterebbe l'assoluzione dell'imputato; 
    che,  in  mancanza  di  qualsiasi  riferimento  alla  fattispecie
concreta che ha  dato  origine  all'imputazione,  resta  inibita  per
questa Corte la necessaria verifica circa l'influenza della questione
di legittimita' sulla decisione richiesta al rimettente; 
    che anche l'ordinanza del Giudice di pace di  Ivrea  presenta  il
medesimo  difetto  di  descrizione  della  fattispecie   perche'   il
rimettente, pur riportando il capo d'imputazione, non aggiunge  nulla
quanto alla descrizione del fatto; 
    che  lo  stesso  capo  d'imputazione   e'   formulato   in   modo
alternativo, senza sciogliere il dubbio in ordine a quale  delle  due
diverse ipotesi di reato, ingresso illegale o indebito trattenimento,
sia stata posta in essere dall'imputato e, pertanto, anche in  questo
caso  manca  ogni  concreta  indicazione  sulla  vicenda  oggetto  di
giudizio e sulla sua effettiva riconducibilita' al paradigma punitivo
considerato; 
    che l'ordinanza n. 77 del 2010 del Giudice di pace di Fabriano e'
sufficientemente motivata quanto alla descrizione della fattispecie; 
    che, tuttavia, le  censure  ivi  proposte  sono  inammissibili  o
manifestamente infondate; 
    che,  in  particolare,  e'  manifestamente  infondata  la   prima
censura, relativa alla violazione del principio di ragionevolezza  di
cui all'art. 3 Cost., motivata sull'assunto che  l'incriminazione  e'
del  tutto  priva  di  ratio  giustificatrice,  giacche'  l'obiettivo
dell'allontanamento  dello  straniero  clandestino   dal   territorio
nazionale ad essa sotteso e'  gia'  conseguibile  tramite  l'istituto
dell'espulsione amministrativa, mentre  la  comminatoria  della  pena
pecuniaria risulterebbe puramente «teorica», avendo come destinatarie
persone nullatenenti e prive, in genere, di «sicura domiciliazione»; 
    che, infatti, la Corte ha gia' avuto modo di affermare  come  «il
bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice [sia], in realta',
agevolmente identificabile nell'interesse dello Stato al controllo  e
alla gestione dei flussi migratori, secondo  un  determinato  assetto
normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto  di  tutela  penale
non puo' considerarsi irrazionale ed arbitraria  -  trattandosi,  del
resto, del bene giuridico "di categoria", che  accomuna  buona  parte
delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998 - e  che
risulta,  altresi',  offendibile  dalle  condotte   di   ingresso   e
trattenimento illegale dello straniero» (sentenza n. 250 del 2010); 
    che, in  tale  occasione,  si  e'  evidenziato  che  le  condotte
integranti il reato di  cui  si  discute,  costituendo  nel  contempo
violazioni  della  disciplina  sull'ingresso  e  il  soggiorno  dello
straniero nello Stato, sono anche sanzionate, in via  amministrativa,
con l'espulsione disposta dal prefetto ai sensi dell'art.  13,  comma
2, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che, se e'  vero  che  si  riscontra  una  sovrapposizione  della
disciplina penale a quella amministrativa, e' altrettanto  vero  che,
alla luce della complessiva configurazione della norma in  esame,  il
legislatore  mostra  di  considerare  l'applicazione  della  sanzione
penale  come  un  esito   "subordinato"   rispetto   alla   materiale
estromissione  dal   territorio   nazionale   dello   straniero   ivi
illegalmente presente; 
    che tale subordinazione trova la  sua  ratio  precipuamente  «nel
diminuito interesse dello Stato  alla  punizione  di  soggetti  ormai
estromessi dal proprio territorio» (con riferimento  alla  previsione
dell'art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del  1998,  ordinanze
n. 143 e n. 142 del 2006), tanto piu'  avvertibile  quando  il  fatto
penalmente  rilevante  si  sostanzi  nella  mera   violazione   della
disciplina sull'ingresso e la permanenza nel territorio stesso; 
    che «cio' non consente di ritenere che il procedimento penale per
il reato in esame sia destinato, a priori, a  rappresentare  un  mero
"duplicato" del procedimento amministrativo di espulsione (di  norma,
per giunta, piu' celere): e cio', a tacer d'altro, per la ragione che
- come l'esperienza attesta - in un  largo  numero  di  casi  non  e'
possibile, per la pubblica amministrazione, dare corso all'esecuzione
dei provvedimenti espulsivi» (sentenza n. 250 del 2010); 
    che la scelta di prevedere una pena di tipo  pecuniario  con  una
minore capacita' dissuasiva attiene ad una  valutazione  di  politica
criminale  e  giudiziaria  rientrante  nella   discrezionalita'   del
legislatore non sindacabile da questa Corte; 
    che,   in   ogni   caso,   e'    opportuno    evidenziare    come
l'assoggettamento a sanzioni pecuniarie  dei  fatti  di  immigrazione
irregolare sia tutt'altro che ignoto  all'esperienza  comparatistica;
ad  esempio  pene  pecuniarie,  alternative  o  congiunte  alla  pena
detentiva, sono previste dalle legislazioni tedesca, francese  e  del
Regno Unito, mentre la legge spagnola  contempla,  per  il  soggiorno
irregolare, la sola sanzione amministrativa pecuniaria; 
    che e' manifestamente inammissibile la  questione  sollevata  dal
Giudice di pace  di  Fabriano  in  riferimento  alla  violazione  del
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. in ragione  della
facolta' del giudice di sostituire, nel caso  di  condanna,  la  pena
pecuniaria comminata per il reato di cui all'art. 10-bis  del  d.lgs.
n. 286 del 1998 con la misura dell'espulsione; 
    che la facolta'  di  sostituzione  denunciata  non  deriva  dalla
disposizione impugnata, ma da norme  distinte,  non  coinvolte  nello
scrutinio di costituzionalita': in specie, dall'art. 16, comma 1, del
d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui - a seguito della modifica
operata dalla  legge  n.  94  del  2009  -  estende  l'applicabilita'
dell'espulsione come sanzione sostitutiva alla contravvenzione di cui
all'art. 10-bis  del  medesimo  decreto  legislativo;  nonche'  dalla
disposizione correlata dell'art. 62-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n.
274 (Disposizioni sulla competenza penale  del  giudice  di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.  468),  in
forza della quale - diversamente da quanto stabilito  dal  precedente
art. 62 con riferimento  alle  sanzioni  sostitutive  previste  dalla
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)  -  «nei
casi stabiliti dalla legge, il giudice  di  pace  applica  la  misura
sostitutiva di cui all'art. 16 del testo  unico  di  cui  al  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286»; 
    che  altrettanto  manifestamente  inammissibile  e'  la   censura
dell'art.  10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998   prospettata   in
riferimento all'art. 3 Cost. per il divieto, asseritamente del  tutto
ingiustificato, della possibilita'  di  usufruire  della  sospensione
condizionale della pena; 
    che la preclusione della sospensione condizionale non scaturisce,
infatti, neppure essa dall'art. 10-bis del d.lgs. n.  286  del  1998,
quanto piuttosto dalla nuova lettera s-bis) dell'art. 4, comma 2, del
d.lgs. n. 274 del 2000, che attribuisce la competenza per il reato in
esame al  giudice  di  pace,  rendendo  cosi'  operante  il  disposto
dell'art. 60 del medesimo decreto legislativo: norme non sottoposte a
scrutinio; 
    che, inoltre, manca ogni motivazione  in  ordine  alla  rilevanza
della questione in quanto non si afferma che,  nel  caso  di  specie,
l'imputato potrebbe fruire della sospensione condizionale  alla  luce
delle generali regole codicistiche; 
    che  e'  manifestamente  infondata  la  questione  sollevata  dal
Giudice di pace di Fabriano,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  25,
secondo  comma,  Cost.,  perche'  la  norma  darebbe  vita   ad   una
fattispecie penale  discriminatoria  volta  a  colpire  non  gia'  un
condotta, ma una condizione personale; 
    che, anche in questo caso, la  Corte  ha  gia'  evidenziato  come
oggetto dell'incriminazione  della  contravvenzione  di  «ingresso  e
soggiorno illegale nel territorio dello Stato»  introdotta  dall'art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, non sia un «modo di essere»  della
persona,  ma  uno  specifico  comportamento  trasgressivo  di   norme
vigenti,  come  si  ricava  dal  testo  stesso  della  norma  che  fa
riferimento alle condotte di  «fare  ingresso»  e  «trattenersi»  nel
territorio dello Stato in violazione  delle  disposizioni  del  testo
unico sull'immigrazione o della disciplina in tema  di  soggiorni  di
breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all'art.  1
della legge 28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di  breve
durata  degli  stranieri  per  visite,  affari,  turismo  e  studio),
(sentenza n. 250 del 2010); 
    che, pertanto, al contrario di quanto affermato nell'ordinanza di
rimessione,  la  norma  oggetto  di  censura  incrimina  due  diverse
condotte: la prima  attiva  e  istantanea,  consistente  nel  varcare
illegalmente i confini nazionali, e la seconda a carattere permanente
il cui nucleo antidoveroso e'  di  tipo  omissivo  e  si  concretizza
nell'omettere di lasciare il territorio nazionale pur non essendo  in
possesso di un titolo che renda legittima la permanenza; 
    che  e'  manifestamente  infondata  la  questione  sollevata   in
riferimento alla violazione dei diritti inviolabili dell'uomo  e  dei
doveri di solidarieta' politica, economica e sociale di cui  all'art.
2 Cost.; 
    che la Corte, con la piu' volte citata sentenza n. 250 del  2010,
ha gia' ritenuto infondata tale questione affermando che «le  ragioni
della solidarieta' umana non sono di per  se'  in  contrasto  con  le
regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato
flusso migratorio e di un'adeguata accoglienza ed integrazione  degli
stranieri» (ordinanze n. 192 e n. 44 del 2006, n. 217  del  2001):  e
cio' nella cornice di un «quadro normativo [...] che vede regolati in
modo diverso - anche a livello costituzionale (art. 10, terzo  comma,
Cost.) - l'ingresso e la permanenza  degli  stranieri  nel  Paese,  a
seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo o rifugiati,
ovvero di  c.d.  "migranti  economici"»  (sentenza  n.  5  del  2004;
ordinanze n. 302 e n. 80 del 2004); 
    che, in materia, il legislatore fruisce di ampia discrezionalita'
nel porre limiti all'accesso degli  stranieri  nel  territorio  dello
Stato, all'esito di  un  bilanciamento  dei  valori  che  vengono  in
rilievo: discrezionalita' il cui esercizio e' sindacabile  da  questa
Corte  solo  nel  caso  in  cui  le  scelte   operate   si   palesino
manifestamente irragionevoli (ex plurimis, sentenze n. 148 del  2008,
n. 361 del 2007, n. 224 e n. 206 del 2006) e che si estende,  secondo
quanto in precedenza osservato, anche  al  versante  della  selezione
degli strumenti repressivi degli illeciti perpetrati; 
    che le ragioni della solidarieta' trovano espressione - oltre che
nella vigente disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento
e  del  ricongiungimento  familiare   -   nell'applicabilita',   allo
straniero irregolare, della normativa sul soccorso al rifugiato e  la
protezione internazionale, di cui al decreto legislativo 19  novembre
2007, n. 251 (Attuazione della  direttiva  2004/83/CE  recante  norme
minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della
qualifica  del  rifugiato  o  di  persona  altrimenti  bisognosa   di
protezione internazionale, nonche' norme minime sul  contenuto  della
protezione riconosciuta), fatta espressamente salva dal comma 6 dello
stesso art. 10-bis del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  che  prevede  la
sospensione del procedimento penale per il reato in esame nel caso di
presentazione  della  relativa  domanda   e   nell'ipotesi   di   suo
accoglimento; 
    che e' manifestamente inammissibile  la  questione  sollevata  in
riferimento agli artt. 10 e 117, primo comma,  Cost.,  in  quanto  la
configurazione come reato del soggiorno non regolare dello  straniero
nel territorio dello Stato contrasterebbe con i principi affermati in
materia  di  immigrazione  dal   diritto   internazionale   e   dalle
convenzioni internazionali, tra le quali la dichiarazione  universale
dei diritti dell'uomo, e la convenzione  OIL  n.  143  del  1975  sui
lavoratori migranti ratificata con legge n. 158 del 1981; 
    che il richiamo ai principi affermati in materia di  immigrazione
dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali operato
dal  rimettente  e'  del  tutto  generico  mentre  le  uniche   norme
internazionali specificamente  citate  sono  del  tutto  inconferenti
rispetto all'obbligo che il rimettente vorrebbe individuare; 
    che,  infine,  e'  manifestamente  inammissibile   la   questione
relativa alla violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  per
l'asserito contrasto dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998  con
le norme internazionali pattizie  di  cui  agli  artt.  5  e  16  del
Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni  Unite  contro
la criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico
illecito di migranti adottato il 15 novembre 2000; 
    che, infatti, a prescindere da ogni valutazione di  merito  circa
l'infondatezza della censura,  il  rimettente  non  riferisce  alcuna
circostanza utile a far  ritenere  che  l'imputato  sia  stato  fatto
oggetto delle condotte di cui all'art. 6 della convenzione,  ne'  che
sia accusato di una delle condotte cui fa riferimento  il  protocollo
medesimo.