IL TRIBUNALE letta la richiesta di sequestro preventivo del Pubblico Ministero esaminati gli atti del procedimento penale a carico di Boni Alessandra, nata a Oristano il 2 aprile 1976 indagata in qualita' di committente, per il reato previsto dall'art. 44 lettera A decreto del Presidente della Repubblica 380/01, per avere iniziato opere di ristrutturazione edilizia - finalizzata a ricavare tre appartamenti in luogo dei due esistenti al piano attico del condominio residenziale in via Segni n. 5 di Oristano - con incremento di volume e di superficie coperta (ottenuto mediante l'abbattimento di parte della muratura perimetrale, ricostruita in modo da inglobare e trasformare in volume coperto la superficie occupata in precedenza dalle terrazze) in violazione degli indici di fabbricabilita' previsti dagli strumenti urbanistici del Comune di Oristano. In Oristano, il 3 novembre 2010. PREMESSO Il fumus commissi delicti relativo ai reati ipotizzati dal p.m. si desume dalla CNR in data 23 novembre 2010 e dal verbale di sequestro dell'opera in data 3 novembre 2010. Da tali atti, infatti. risulta che al momento del sequestro eseguito dalla Polizia Municipale nella proprieta' dell'indagata (e del qua le decaduti gli effetti viene chiesto oggi autonomo provvedimento cautelare) erano in corso opere tendenti a trasformare completamente la geometria del piano attico, il cui volume era stato gia' incrementato con inglobamento delle terrazze nella superficie coperta, diretta a ricavare tre unita' immobiliari in luogo delle due preesistenti. L'unico titolo in possesso della committente per l'esecuzione dei lavori era una D.I.A. presentata ai sensi degli arti. 2 e 10 della LRS 23 ottobre 2009 n. 4 (c.d. Piano Casa). sulla base della quale erano stati iniziate le opere di ristrutturazione senza pero' attendere lo spirare del termine di trenta giorni previsto dall'art. 23 decreto del Presidente della Repubblica 380/01. Il quadro normativo e' il seguente. La legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4, recante "Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo" all'art. 2 (Interventi di adeguamento e ampliamento del patrimonio edilizio esistente) consente "anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilita' previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l'adeguamento e l'incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attivita' produttive, nella misura massima, per ciascuna unita' immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente, nel rispetto delle previsioni di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia) e successive modifiche ed integrazioni". Il successivo art. 10 (Norme sulla semplificazione delle procedure amministrative in materia edilizia) al comma 3 specifica che "gli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono assoggettati alla procedura di denuncia di inizio attivita' (DIA), ad eccezione di quelli ricadenti nella zona omogenea A, nelle zone omogenee E ed E localizzate nella «fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori e di quelli previsti all'art. 5, per i quali deve essere ottenuta la concessione edilizia" Il comma 4-bis dell'ari 49 della legge 30.07.2010 n.122 ha sostituito l'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n.241. La disposizione aveva previsto il meccanismo della Dichiarazione di inizio attivita' con la quale, in luogo dell'autorizzazione, l'interessato poteva produrre un'autodenuncia di inizio attivita', rispetto alla quale l'amministrazione doveva effettuare i suoi controlli autoritativi entro un termine certo. La sostituzione ope legis della DIA con la SCIA (segnalazione certificata di inizio attivita') operata con l'art. 49 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 comporta l'eliminazione della sequenza procedimentale "dichiarazione > decorso del termine > inizio dell'attivita'" e la sua sostituzione con un modulo in cui vi e' coincidenza cronologica tra denuncia ed inizio dell'attivita'. Cio' porta a ritenere irrilevante la circostanza dell'inizio dei lavori prima della scadenza del termine ex art. 23 decreto del Presidente della Repubblica 380/01, in quanto il soggetto e' legittimato ad eseguire i lavori gia' con la presentazione della Denuncia, da intendersi sostituita, per effetto della novella, nella SCIA. Questa circostanza e' rilevante allora nella qualificazione della fattispecie, non potendosi contestare il reato ex art. 44 lettera B decreto del Presidente della Repubblica 380/01 sub specie di esecuzione di interventi in mancanza di concessione / D.I.A. Occorre, pero', considerare anche la circostanza di fatto specificata dalla Polizia municipale nella informativa in data 23 novembre 2010, nella quale si evidenzia la difformita' del progetto dalle previsioni degli strumenti urbanistici, ed in particolare dall'indice di fabbricabilita' dell'area, andando i lavori ad aumentare la cubatura di un lotto che gia' aveva esaurito integralmente la sua capacita' edificatoria. Il reato configurabile e' quello previsto dalla lettera A) dell'art. 44 decreto del Presidente della Repubblica 380/01 la cui integrazione non sembra potere essere esclusa dalla possibilita' di deroga agli strumenti urbanistici prevista dell'art. 2 della LRS 4/2009 (Piano casa). Si sostiene nella richiesta del pubblico ministero che detta disposizione violi infatti il dettato Costituzionale sotto il profilo della riserva di legge in favore dello Stato in materia penale che escluderebbe la legittimita' di una legge regionale che intervenga sulla norma incriminatrice ampliandone o (come nel caso in esame) riducendone l'ambito di applicazione, e sotto l'ulteriore profilo della incidenza della norma sulla autonomia regolamentare riconosciuta ai Comuni dall'art. I 17 Cost., che detta norma eliminerebbe. Gli aspetti appaiono a parere di chi scrive fondati se ponderati nei termini che si esporranno appresso, dovendosi privilegiare l'ultimo aspetto, che condiziona il primo sotto un profilo concorrente che verra' sotto evidenziato. A) Depianificazione e corrispondente Violazione dell'art.li 3, 117 118 della Costituzione e 3 legge Cost. 26 febbraio 1948 ( Statuto Speciale per la Sardegna) Occorre considerare che la norma della cui costituzionalita' si dubita facoltizza gli ampliamenti volumetrici in un rapporto di interlocuzione diretta Regione/cittadino, senza la mediazione del competente organo pianificatorio. Detta norma si pone come elemento positivo di rottura che evolve (o involve) il sistema edilizio/urbanistico verso una impronta di tipo verticistica ma sopratutto, per cio' che ora rileva, essenzialmente depianificata. Il sistema della pianificazione, attualmente vigente per le scelte urbanistico/edilizie, assegna eminentemente la valutazione generale degli interessi coinvolti ad Enti Locali prossimi all'oggetto della disciplina del territorio e dotati delle rispettive competenze: i Comuni. Questi sono, e rimangono, i soggetti pubblici che esercitano le competenze di pianificazione urbanistica del territorio, ovviamente nel tracciare le quali rispettano le prescrizioni regionali, che a loro volta pero' non possono esautorare tale espressione di potesta' Comunale mediante norme che, in rigida generalita' ed astrattezza per tutto il territorio della Regione, disciplinino direttamente le concrete scelte urbanistiche con un carattere immediatamente precettivo e non permeabile alle valutazioni dell'organo competente per la disciplina del territorio. Cio' accade in una copertura Costituzionale che non puo' ignorarsi e che la norma impugnata viola sotto piu' profili: in particolare da un lato violando i limiti della legislazione regionale e dall'altro ledendo le competenze che lo Stato assegna direttamente ai comuni nelle norme di cui agli articoli 117 e 118 della Cost. Infatti il principio della operativita' del governo del territorio attraverso una pianificazione urbanistica comunale e' ormai riconosciuta un plesso normativo di principio dell'ordinamento giuridico della Repubblica e degli interessi nazionali rappresentati dal sistema di composizione degli interessi del territorio, ed anzi addirittura principio comunitario desumibile dalla direttiva comunitaria 2001/42CE del 27 giugno 2001, recepita con legge 152 del 2006 su cui ci si soffermera' oltre. Si noti che la qualificazione della attivita' di pianificazione comunale, ponendosi sul crinale tra norma e provvedimento ( come del resto puo' evincersi dalla sua interpretazione nei termini di "atto generale a contenuto precettivo con effetti di conformazione concernenti i beni immobili"), ha la sua diretta tutela Costituzionale della funzione programmatoria negli articoli 117 e 118 della Carta. Quindi, la norma regionale sul Piano casa della Sardegna oggetto di applicazione in questo procedimento opera in maniera completamente avulsa dal sistema della pianificazione, ponendosi quale norma immediatamente precettiva verso il privato che ne esercita direttamente le facolta' da essa derivanti a prescindere (ed anzi eventualmente e frequentemente contro) gli assetti e le conformazioni pianificatorie di competenza del, Comune. Questi nel ( nuovo) sistema della legge impugnata si limita ad assistere agli ampliamenti edificatori e non opera alcuna mediazione valutativa, e insomma nessun potere ha di conformare gli aumenti volumetrici alle concrete esigenze o scelte di programmazione del territorio. Il Comune in conclusione non puo' limitare. condizionare, modificare i presupposti di concreta operativita' ( in relazione ad esempio al rapporto con aree di parcheggio, ai servizi connessi, variando le localizzazioni degli interventi) dell'aumento volumetrico verticisticamente imposto ex lege. Cio' fino alla estrema conseguenza che gli aumenti volumetrici gia' espressione di una precedente valutazione pianificatoria (eventualmente corrispondente ed anzi omologa a quella della norma regionale impugnata) si vedono irragionevolmente duplicati: prevede infatti il comma terzo dell'art. 8 legge regionale 4-09 il principio del cumulo degli aumenti volumetrici previsti dalla legge con quelli altrove previsti da leggi, regolamenti e pianificazione comunale, a prescindere, si ripete, perfino dalla identita' di rullo del provvedimento pianificatorio con quello della legge sul Piano casa: cio' che vizia la norma innanzitutto di irragionevolezza nella misura in cui consente la realizzazione volumetrie eccedenti l'esigenza a seconda che un Comune abbia disciplinato o meno prima del "piano casa"gli aumenti volumetrici con le stesse finalita' del piano, essendovi nel secondo caso un cumulo tra aumenti volumetrici derivanti dalla legge e quelli derivanti dalla precedente pianificazione. La rigidita' e' insomma evidente perche' puo' comportare un-bis in idem" valutativo, ovvero un intervento "amplificativo" complessivo di portata perfino ulteriore e plurima alla esigenza, eventualmente gia' valutata e che comunque il Comune non puo' autonomamente ri-valutare per una legge regionale lo esautora da tale prorogativi. Traendo le conclusioni la norma oggetto del presente procedimento: 1) Si pone in contrasto con la potesta' legislativa Regionale, nel caso di specie a atuto Speciale nella misura in cui attua un intervento di sistema in modalita' o erativa completamente avulsa dalla pianificazione urbanistica che costituisce ce tamente normativa di principio dell'ordinamento giuridico della Repubblica e degli interessi nazionali rappresentati dal sistema di composizione degli interessi del territorio. venendosi cosi' a violare gli articoli 117 Cost. e 3 comma primo dello statuto regionale sardo (L.Cost.26 febbraio 1948 n.3). 2) La norma viola sotto altro profilo l'art. 117 primo comma Cost.nella misura in cui consente deroghe generalizzate ed al "buio" della pianificazione comunale in assenza di quella necessaria Valutazione Ambientale Strategica richiesta dalla direttiva comunitaria 2001/42CE DEL 27 giugno 2001, recepita con legge 152 del 2006 costituente quindi vincolo comunitario, ovvero un limite alla potesta' legislativa comunale. 3) Posto che la pianificazione urbanistica e' funzione fondamentale dei comuni e come tale e' oggetto di legislazione esclusiva dello Stato, la norma regionale, si pone in contrasto con le competenze comunali in tema di pianificazione e previste dagli articoli 117 comma sesto ultimo capoverso e 118 della Costituzione, nella misura in cui detta funzione Comunale e' completamente esautorata, cio' essendo evidente quand'anche le esigenze poste alla base della norma siano gia' state oggetto di valutazione, o nella misura in cui non possano esser diversamente valutate dall'organo competente. 4) Si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, di cui all'art.3 COST. nella misura in cui la depianificazione consente aumenti volumetrici su tutto il territorio a prescindere dalla verifica delle concrete esigenze. Cio' fa conseguire che situazioni eventualmente diverse ricadono sotto la stessa disciplina. Una zona della quale gli ordinari poteri pianificatori hanno gia' valutato e normato le medesime esigenze poste a base del Piano Casa, e per la quale non esiste alcune esigenza urbanistica non soddisfatta, e' soggetta agli stessi aumenti volumetrici possibili per zone in cui dette esigenze vi sarebbero, in cui rispondono effettivamente ad un-bisogno collettivo. Insomma la norma prevede la medesima conseguenza a prescindere dalla valutazione che quella esigenza sia stata o meno soddisfatta, e che quindi diventa quasi una ratio apparente della legge. Detta norma impugnata, a parere di scrive, finisce infine con il far prevalere le esigenze singole su quelle della collettivita' senza una ragionevole ponderazione tra le prime e le seconde, tra caso e caso. Infine si crea una irragionevole "zona bianca" corrispondente al territorio della Regione Sardegna non soggetta alla perdurante valenza della Pianificazione rispetto al rimanente territorio delle altre Regioni dello Stato che abbiano disciplinato il C.D. "piano casa" nel rispetto delle prerogative comunali. B) Depianificazione e legge penale. Tutto cio' ha delle ulteriori conseguenze se si bada alle sanzioni penali della violazione delle norme urbanistiche ed edilizie. 1) Sotto un primo motivo puo' affermarsi che gli stessi profili connessi alla violazione dell'art.3 della Costituzione evidenzino aspetti di incostituzionalita' ulteriori se si ha riguardo alla legge penale e ai suoi principi. Infatti, a fronte di una tutela penale dei valori oggetto della sfera urbanistico edilizia, che sanzionano proprio quelle attivita' che si pongono in diretto contrasto con gli strumenti pianificatori, nella sola regione Sardegna e' consentita, per effetto della sola legge regionale oggi impugnata, una attivita' edilizia in contrasto con gli strumenti urbanistici, che in tutto il resto del territorio statale sono oggetto di tutela penale sia sotto il profilo urbanistico che sotto il profilo edilizio. Vi e' quindi violazione dell'art. 3 della Costituzione nella misura in cui condotte identiche di interventi contrastanti con la pianificazione siano legittimi in Sardegna e penalmente illegittimi nelle rimanente Regioni. 2 ) Una norma regionale violala riserva di legge penale, allorche' intervenga illegittimamente in funzione ampliativi o restrittiva della norma incriminatrice. Ebbene, anche a prescindere da quanto tutto sopra esposto e che ruota intorno all'effetto di depianificazione, la norma in oggetto, mediante legittimazione di una potesta' edificatoria opera una corrispondente riduzione dell'ambito di efficacia della norma penale incriminatrice, che a sua volta comporta una lesione della uniformita' delle conseguenze penali del medesimo fatto nel territorio dello Stato, sia sotto il, gia' visto, profilo della depenalizzazione dell'intervento edilizio che prescinde dalla conformita' dalla pianificazione, sia sotto il mero profilo della depenalizzazione dello sforamento della volumetria massima, ora penalmente irrilevante nei termini peculiarmente previsti solo in Sardegna. La riduzione dell'ambito di rilevanza penale di una condotta e' per costante giurisprudenza della stessa Corte ravvisabile ogni qualvolta la previsione normativa regionale abbia operato nel senso di una restrizione della sfera della rilevanza penale di una determinata condotta rispetto ad analoga condotta se commessa nell'ambito territoriale di una diversa regione. Negli stessi termini, la Corte, con la sentenza 0122 del 2010 24/02/2010, ha dichiarato la illegittimita' per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera 1 ), Cost., l'art. 1, comma 3, della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 9, in quanto la prevista inapplicabilita' alla cessione di software libero delle disposizioni penali di cui all'art. 171--bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, come sostituito dall'art. 13 della legge 18 agosto 2000. n. 248, supera il limite inderogabile dell'ordinamento penale, ledendo la competenza esclusiva dello Stato in tale materia. Ha ritenuto infatti la Corte che l'ampia formula adottata al legislatore regionale, con riguardo alla cessione, in qualsiasi forma, di software li ero, esclude dall'ambito applicativo del precetto penale condotte suscettibili di essere qualificate come abusive, sia per invalidita' della licenza sia per contrasto con eventuali limiti o prescrizioni dalla medesima licenza previsti. Con le stesse motivazioni si e' pronunciata la medesima Corte con riguardo alla 0185 del 23/03/2004 aula legge della Regione Friuli- Venezia Giulia 17 luglio 2002, n. 17, che disciplina l'istituzione di case da gioco nel territorio regionale, in quanto le Regioni non dispongono di alcuna competenza che le abiliti ad introdurre, rimuovere o variare con proprie leggi le pene previste dalle leggi dello Stato. cui spetta la competenza esclusiva in materia di ordinamento. Sull'impossibilita' per le Regioni di considerare lecita un'attivita' penalmente sanzionata nell'ordinamento nazionale, possono ancor esser citate le sentenze n. 234/1995, n. 117/1991, n. 309/1990, n. 487/1989. Deve quindi concludersi che l'art. 2 della legge regionale 23 ottobre 2009 n. 4 violi sotto un ulteriore duplice profilo la carta Costituzionale, sia sulla base degli art.li 25 e 117 della Carta Costituzionale, perche' depenalizzando una condotta si incide nell'ambito normativo penale riservato alla sola legge statale, sia perche' contemporaneamente cio' implica una irragionevole violazione dell'art. 3 della Costituzione nella misura in cui consenta una diversita' di conseguenze penali per condotte identiche( costruzione in difformita' dalla pianificazione) a seconda della Regione in cui queste vengano poste in essere. Sulla rilevanza della questione La questione e' certamente rilevante nel presente giudizio non solo perche' evidentemente l'esaurimento della potenzialita' edilizia dell'immobile e' conseguente alla valutazione di legittimita' Costituzionale dell'unica norma che ne prevede la possibilita' di ampliamento, ma anche perche', come sopra visto appare del tutto legittimo il percorso interpretativo diretto a sostituire il regime DIA con quello SCIA e conseguentemente a sbarrare la strada alla diversa interpretazione che porti a veder assorbito il rilievo penale della vicenda nella diversa configurabilita' nella lettera b) della 380 del 2001. In ogni caso ai fini della rilevanza sara' appena il caso di richiamare le sentenze 458 del 2006 ed ancor prima la 148 del 1983 con le quali la Corte ha riconosciuto la rilevanza e l'ammissibilita' delle questioni di costituzionalita' delle norme penali di favore sulla base delle considerazioni che l'accoglimento verrebbe a incidere sulle formule di proscioglimento, o sul dispositivo, sul percorso argomentativo o sull'effetto di ciste a. Sara' poi appena sufficiente richiamare infine le esigenze cautelari come esposte dal p.m. che imporrebbero il sequestro al fine di evitare l'aggravarsi di una condotta (conclusione dei lavori) contraria all'ordinamento, proprio perche' possibile solo per espressione di una norma ritenuta incostituzionale.