Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 51, 52
e 53, della legge della Regione  Friuli-Venezia  Giulia  30  dicembre
2009, n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio  pluriennale
e annuale della  Regione  -  Legge  finanziaria  2010),  modificativi
dell'art. 4 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31  marzo
2006, n.  6  (Sistema  integrato  di  interventi  e  servizi  per  la
promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  in
data 8-11 marzo 2010, depositato in cancelleria il 16 marzo  2010  ed
iscritto al n. 46 del registro ricorsi 2010. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2010  il  giudice
relatore Maria Rita Saulle; 
    Uditi l'avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del
Consiglio dei  ministri  e  l'avvocato  Giandomenico  Falcon  per  la
Regione Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato in data 8-11 marzo 2010 e  depositato
il successivo 16 marzo, il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha
impugnato l'art. 4 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31
marzo 2006, n. 6 (Sistema integrato di interventi e  servizi  per  la
promozione e la tutela dei diritti di  cittadinanza  sociale),  cosi'
come modificato dall'art. 9, commi 51, 52 e 53, della legge regionale
30 dicembre 2009, n. 24 (Disposizioni per la formazione del  bilancio
pluriennale e annuale della Regione - Legge  finanziaria  2010),  per
violazione degli articoli 2, 3, 38 e 97 della Costituzione. 
    1.1. - Il ricorrente  premette  che,  nel  testo  antecedente  la
modifica citata, l'art.  4  della  legge  regionale  n.  6  del  2006
disponeva, al primo comma, che il  diritto  ad  accedere  al  sistema
regionale integrato di interventi e servizi per la  promozione  e  la
tutela dei diritti di  cittadinanza  sociale  spettava  a  «tutte  le
persone residenti nella Regione», e, al comma successivo,  che  detti
servizi dovevano  essere  garantiti  anche  ad  alcune  categorie  di
persone comunque presenti  nel  territorio  della  Regione,  quali  i
cittadini italiani temporaneamente presenti, gli stranieri legalmente
soggiornanti ai sensi del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello  straniero),  i
richiedenti asilo, rifugiati e apolidi, nonche' i minori e  le  donne
straniere in stato di gravidanza  e  nei  sei  mesi  successivi  alla
nascita del figlio cui provvedono. 
    Ebbene, il ricorrente evidenzia, da un lato, che l'art. 4,  comma
1, della legge  regionale  n.  6  del  2006,  cosi'  come  modificato
dall'art. 9, comma 51, della legge regionale n. 24 del 2009,  prevede
invece che il «diritto ad accedere agli interventi e ai  servizi  del
sistema integrato» sia riconosciuto soltanto  a  «tutti  i  cittadini
comunitari  residenti  in  Regione   da   almeno   trentasei   mesi»;
dall'altro, che l'originario secondo comma del medesimo art. 4  -  il
quale riconosceva ad alcune categorie di persone,  a  diverso  titolo
presenti sul territorio regionale, l'accesso agli  interventi  ed  ai
servizi del sistema integrato - risulta abrogato dall'art.  9,  comma
52, della medesima  legge  regionale  n.  24  del  2009.  Secondo  il
ricorrente,  la  disposizione  regionale,  «nella  nuova  complessiva
formulazione   risultante   dalle    modifiche»    citate,    sarebbe
«ingiustificatamente discriminatoria», in primo luogo, «nei confronti
degli extracomunitari residenti o  non»,  posto  che  l'accesso  agli
interventi e servizi e'  espressamente  limitato  ai  soli  cittadini
dell'Unione europea; in secondo luogo, nei  confronti  dei  cittadini
europei, inclusi gli stessi cittadini italiani,  i  quali  non  siano
comunque residenti da almeno trentasei mesi. Secondo  il  ricorrente,
infatti, un tale lasso temporale risulterebbe, in ragione  della  sua
ampiezza, «eccessivamente limitativo» del godimento di prestazioni  e
servizi che, «in quanto strettamente inerenti alla tutela del  nucleo
irrinunciabile della  dignita'  della  persona  umana»  e  dunque  al
soddisfacimento di diritti  fondamentali,  dovrebbero  invece  essere
garantiti, con carattere di generalita' e uniformita' sul  territorio
nazionale, «a tutti gli aventi diritto»  (cosi'  come  sarebbe  stato
affermato da questa Corte nelle sentenze n. 10 del 2010, n.  166  del
2008 e n. 94 del 2007). 
    1.2. - Del resto, osserva  sempre  il  ricorrente,  l'evidenziata
irragionevolezza delle «limitazioni nell'accesso al sistema integrato
di  interventi  e  servizi  presenti  nella  Regione»  non   potrebbe
ritenersi superata dalla norma di salvaguardia  introdotta  dall'art.
9, comma 53, della legge regionale n. 24 del 2009 che, modificando il
terzo comma  dell'art.  4  della  legge  regionale  n.  6  del  2006,
riconosce a  «tutte  le  persone  comunque  presenti  sul  territorio
regionale il diritto agli interventi  di  assistenza  previsti  dalla
normativa statale e comunitaria  vigente».  Osserva  al  riguardo  il
ricorrente che, in forza di tale disposizione, rimarrebbero di  fatto
ingiustificatamente  escluse  dall'accesso  all'intero  complesso  di
interventi e di servizi facenti parte del sistema integrato regionale
- di cui beneficiano, invece, tutti i cittadini europei residenti  da
almeno trentasei mesi - «intere categorie  di  persone»,  alle  quali
spetterebbe il diritto «ai soli  interventi  di  assistenza  previsti
dalla normativa statale e comunitaria». 
    In particolare, la tipologia degli interventi regionali  preclusi
si ricaverebbe, secondo il ricorrente, in primo  luogo  dall'art.  1,
comma 1, della legge 8 novembre 2000, n. 328  (Legge  quadro  per  la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali),
il quale dispone che «la Repubblica  assicura  alle  persone  e  alle
famiglie un  sistema  integrato  di  interventi  e  servizi  sociali,
promuove interventi  per  garantire  la  qualita'  della  vita,  pari
opportunita',  non  discriminazione  e   diritti   di   cittadinanza,
previene, elimina o riduce le condizioni di disabilita', di bisogno e
di disagio individuale e familiare,  derivanti  da  inadeguatezza  di
reddito, difficolta'  sociali  e  condizioni  di  non  autonomia,  in
coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione».  In  secondo
luogo, essa si desumerebbe dal successivo art. 2, comma 1, in base al
quale «hanno diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi del
sistema  integrato  di  interventi  e  servizi  sociali  i  cittadini
italiani  e,  nel  rispetto  degli  accordi  internazionali,  con  le
modalita' e nei  limiti  definiti  dalle  leggi  regionali,  anche  i
cittadini  di  Stati  appartenenti  all'Unione  europea  ed  i   loro
familiari, nonche' gli stranieri, individuati ai sensi  dell'articolo
41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.
286. Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi  sono  garantite  le
misure di prima assistenza, di cui all'articolo 129, comma 1, lettera
h), del d.lgs. 31 marzo 1998, n.  112  (Conferimento  di  funzioni  e
compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti  locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59)». 
    Tali prestazioni, precisa ancora il ricorrente, sarebbero «quelle
individuate dall'art. 128 del d.lgs. n. 112 del  1998»  che,  con  la
locuzione «interventi e servizi sociali»,  intenderebbe  riferirsi  a
«tutte le attivita' relative alla predisposizione  ed  erogazione  di
servizi,  gratuiti  ed  a  pagamento,  o  di  prestazioni  economiche
destinate a rimuovere e  superare  le  situazioni  di  bisogno  e  di
difficolta' che la persona umana incontra nel corso della  sua  vita,
escluse soltanto quelle assicurate dal  sistema  previdenziale  e  da
quello   sanitario,   nonche'   quelle   assicurate   in   sede    di
amministrazione della giustizia». 
    1.3. - Cosi' ricostruito  il  quadro  normativo  di  riferimento,
l'art. 4 della legge regionale  n.  6  del  2006  -  come  modificato
dall'art. 9, commi 51, 52 e 53 della legge regionale n. 24 del 2009 -
si porrebbe in contrasto, ad avviso del Presidente del Consiglio  dei
ministri, sia con gli artt. 2, 3  e  38  Cost.,  sia  con  la  citata
«normativa di delega statale», «traducendosi in una ingiustificata ed
indiscriminata  esclusione  di  intere  categorie   di   persone»   -
extracomunitarie ovvero europee ma non residenti ovvero non residenti
da almeno  trentasei  mesi  -  «dal  godimento  di  quelle  rilevanti
prestazioni sociali che, in quanto volte a  rimuovere  situazioni  di
bisogno, di precarieta' economica, di disagio individuale o sociale»,
rientrerebbero «nella categoria dei diritti  inviolabili  dell'uomo».
Infatti,  secondo  il  ricorrente,  la  evidenziata   discriminazione
violerebbe,  in  primo  luogo,  l'art.  2  Cost.,  «che  riconosce  e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, e richiede  l'adempimento
dei doveri inderogabili di solidarieta' politica economica e  sociale
- richiesti anche al legislatore  regionale  -»;  in  secondo  luogo,
l'art. 38 Cost. «che assicura ad ogni cittadino inabile al  lavoro  e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere il diritto al  mantenimento
e all'assistenza sociale [...]». 
    Il legislatore regionale, infatti, «abrogando, con  il  comma  52
dell'art. 9, il secondo comma dell'art. 4 della legge regionale n.  6
del 2006 e sostituendo con la piu'  limitata  formulazione  il  terzo
comma  del  medesimo  art.  4»,  non  avrebbe  salvaguardato  nemmeno
«specifiche situazioni di particolare bisogno, necessita', o urgenza,
come invece specificato dal secondo e terzo comma dell'art.  4  della
legge regionale n. 6 del 2006 nella sua precedente formulazione  (con
riferimento, ad esempio, al particolare status, eta', condizioni  del
cittadino extracomunitario -  art.  4,  secondo  comma  -  ovvero  ai
caratteri di urgenza dell'intervento assistenziale richiesto  -  art.
4, terzo comma)». 
    1.4. - In terzo luogo, la norma censurata lederebbe anche «l'art.
3  Cost.  sotto  il  profilo  della  violazione  del   principio   di
eguaglianza», posto che le  modifiche  introdotte  all'art.  4  della
legge  regionale  n.  6  del  2006  con  la  legge  n.  24  del  2009
introdurrebbero «discriminazioni per intere categorie  di  persone  -
quali  i  cittadini  extracomunitari  ovvero  gli  stessi   cittadini
comunitari se non residenti da trentasei mesi - non  giustificate  da
specifiche esigenze o situazioni di fatto tali da rendere ragionevole
la richiesta, da parte del  legislatore  regionale,  del  particolare
requisito della cittadinanza comunitaria ovvero della  residenza  per
almeno trentasei mesi». 
    1.5. - La  disposizione  impugnata,  inoltre,  assume  ancora  il
ricorrente, si porrebbe in contrasto con l'art. 97 Cost.,  in  quanto
detta  «esclusione  dall'accesso»  al  citato  sistema  integrato  di
interventi e servizi sociali «di intere  categorie  di  persone»  non
assicurerebbe «il buon andamento  e  l'imparzialita'  della  Pubblica
Amministrazione». 
    2. - Con atto depositato in data 19 aprile 2010, si e' costituita
in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  chiedendo  che
il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato. 
    2.1. - La Regione Friuli-Venezia Giulia premette di essere dotata
di potesta' legislativa primaria nella materia dei «servizi  sociali,
ai  sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  applicabile  alla
Regione» in forza dell'art. 10 della legge costituzionale 18  ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione)  -  che  attribuirebbe  «ad  essa  maggiore  autonomia»
rispetto a quella garantita  dallo  Statuto  speciale  -  e  di  aver
adottato  proprio  nell'esercizio  di  tale  potesta'  sia  la  legge
regionale n. 6 del 2006 sia le modifiche ad  essa  apportate  con  la
legge regionale n. 24 del 2009 censurate con l'odierno ricorso. 
    2.2. - Secondo la resistente, la disciplina della fruizione delle
prestazioni di assistenza sociale risulterebbe  regolata,  a  seguito
della novella di cui alla citata legge regionale n. 24 del  2009,  in
primo luogo dalla norma contenuta al comma 3 dell'art. 4, secondo  la
quale «tutte le persone comunque presenti  sul  territorio  regionale
hanno diritto agli interventi di assistenza previsti dalla  normativa
statale e comunitaria vigente». 
    Tale norma, ad avviso della difesa regionale,  assicurerebbe  che
«i  livelli  essenziali  di  prestazioni»  previsti  dalla  normativa
statale e da quella dell'Unione europea siano assicurati  «a  tutti»,
senza alcuna discriminazione. 
    2.3.  -  In  secondo  luogo,  verrebbe   in   considerazione   la
disposizione in base alla  quale  «hanno  diritto  ad  accedere  agli
interventi e ai servizi  del  sistema  integrato  tutti  i  cittadini
comunitari residenti in Regione da almeno trentasei mesi», di cui  al
comma 1 dell'art. 4 della legge regionale n. 6 del 2006,  cosi'  come
novellata dall'art. 9, comma 51, della  legge  regionale  n.  24  del
2009. 
    Ad  avviso  della  resistente,  una  lettura   di   tale   ultima
disposizione «in armonia» con quella di  cui  al  terzo  comma  sopra
citata, in ossequio al «principio dell'interpretazione  conforme  sia
alla Costituzione che al diritto dell'Unione», metterebbe in  risalto
che si tratterebbe  di  una  limitazione  delle  prestazioni  che  la
Regione  non  sarebbe  tenuta  «ad  erogare  a  tutti  in  base  alla
precedente regola». In altre parole, spiega la difesa  regionale,  si
tratterebbe  «di  prestazioni  al  di  sopra   dei   livelli   minimi
essenziali, finanziati in modo specifico dalla  Regione  per  propria
libera scelta e con i propri mezzi». Pertanto, «la  riserva  di  tali
prestazioni a coloro che abbiano con la Regione un  legame  stabile»,
desumibile dal fatto di risiedervi  da  almeno  trentasei  mesi,  non
determinerebbe, sempre secondo la resistente, alcuna  discriminazione
ingiustificata in violazione dell'art. 3 Cost. 
    A sostegno di tale assunto, la Regione cita l'ordinanza n. 32 del
2008  con  la  quale  questa  Corte  ha   dichiarato   la   manifesta
inammissibilita' «di una  questione  di  legittimita'  costituzionale
riguardante una norma  legislativa  della  Regione  Lombardia,  nella
parte in cui prevedeva, tra i requisiti per  la  presentazione  delle
domande  di  assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale
pubblica, la residenza o lo svolgimento  di  un'attivita'  lavorativa
nella Regione Lombardia da almeno cinque anni». 
    In tale occasione, evidenzia la Regione, la Corte ha tra  l'altro
precisato che «il requisito della  residenza  continuativa,  ai  fini
dell'assegnazione, risulta non irragionevole  (sentenza  n.  432  del
2005) quando si pone in coerenza con le finalita' che il  legislatore
intende perseguire (sentenza n. 493 del 1990),  specie  la'  dove  le
stesse  realizzino  un  equilibrato  bilanciamento   tra   i   valori
costituzionali in gioco (ordinanza n. 393 del 2007)». 
    La  Regione  esclude,  dunque,  la   fondatezza   della   dedotta
violazione dell'art. 2 Cost., dal momento che i  diritti  inviolabili
dell'uomo  sarebbero   «direttamente   protetti   dalle   prestazioni
obbligatorie previste in favore di tutti dalla  normativa  statale  e
comunitaria», di cui  la  legge  regionale  stabilisce  espressamente
«l'erogazione a favore di chiunque». 
    2.4. - La resistente, inoltre, sostiene  che  la  definizione  di
«prestazioni essenziali» non coincide con quella di «servizi sociali»
operata dalla legge, ma deve invece  ricavarsi  «dall'art.  22  della
legge n. 328  del  2000,  e  dagli  ulteriori  atti  assunti  in  sua
attuazione, nonche', per quanto riguarda i servizi sociali connessi a
quelli sanitari, dal d.P.C.M. 29 novembre 2001». 
    2.5. - Ad avviso della Regione, risulterebbe  altresi'  infondata
la censura di violazione dell'art. 38  Cost.,  posto  che  i  livelli
essenziali delle prestazioni sarebbero garantiti a tutti. 
    2.6. - Infine, la difesa regionale  eccepisce  l'inammissibilita'
della censura  sollevata  in  riferimento  all'art.  97  Cost.,  «per
genericita' e difetto di argomentazione, non essendo illustrato [...]
in quale modo "l'esclusione  dall'accesso  al  sistema  integrato  di
intere categorie di persone" non assicurerebbe "il buon  andamento  e
l'imparzialita' della Pubblica Amministrazione"».  In  subordine,  la
resistente deduce in ogni caso l'infondatezza anche di questa censura
per le medesime ragioni indicate per gli altri motivi di ricorso. 
    3. - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza pubblica,
la difesa regionale, integrando le  argomentazioni  gia'  svolte  con
l'atto di costituzione,  ha  evidenziato  che,  successivamente  alla
proposizione del ricorso, l'art. 4 della legge  regionale  n.  6  del
2006 e' stato ulteriormente modificato dall'art. 9,  comma  5,  della
legge regionale 16 luglio 2010, n. 12 (Assestamento del bilancio 2010
e  del  bilancio  pluriennale  per  gli  anni  2010-2012   ai   sensi
dell'articolo 34 della legge regionale n. 21 del 2007). 
    3.1. - A  seguito  di  tale  intervento  normativo,  prosegue  la
resistente, dal testo dell'art. 4 della legge regionale n. 6 del 2006
sarebbe scomparso il requisito di permanenza nella  Regione,  fissato
in  trentasei  mesi  di   residenza,   con   conseguente   estensione
dell'accesso al  sistema  integrato  di  servizi  sociali  ad  alcune
categorie di persone  non  residenti.  Pertanto,  secondo  la  difesa
regionale, in considerazione della natura non solo formale  ma  anche
sostanziale  di  una  siffatta  modifica,  risulterebbe  impedito  il
trasferimento dell'odierno giudizio sul testo dell'art. 4 della legge
regionale n. 6 del 2006 cosi' come novellato dall'art.  9,  comma  5,
della legge regionale n. 12 del 2010. 
    3.2. - Peraltro, in relazione alla prima  censura  contenuta  nel
ricorso  («discriminazione  degli   extracomunitari»),   la   Regione
sottolinea che la nuova disposizione avrebbe «eliminato la diversita'
di trattamento, dato che  il  nuovo  comma  1  del  medesimo  art.  4
riconosce il diritto di accedere  ai  servizi  sociali  ai  cittadini
comunitari  "regolarmente  soggiornanti"   e   agli   extracomunitari
titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno [...]». 
    3.3. - Quanto al secondo motivo di ricorso - «discriminazione  di
tutti coloro che non risiedano in Regione da trentasei  mesi»  -,  il
requisito di durata sarebbe stato del  pari  eliminato.  Infine,  con
riguardo alla individuazione dei servizi accessibili ai non residenti
nella Regione da almeno trentasei mesi, la difesa regionale ribadisce
l'erroneita' dell'interpretazione del ricorrente, in quanto i servizi
sociali essenziali sarebbero stati comunque garantiti a tutti. 
    3.4. - In considerazione delle modifiche apportate con  la  legge
regionale n. 12 del 2010, ad avviso della difesa regionale, la  nuova
disposizione avrebbe senz'altro «carattere satisfattivo delle censure
avanzate», risultando  altresi'  pienamente  coerente  con  le  norme
statali vigenti in materia ed in particolare con «la legge n. 328 del
2000».  Ne',  sempre  ad  avviso  della  difesa  regionale,  potrebbe
ritenersi che la nuova previsione contenuta nell'art. 4  della  legge
regionale n. 6 del 2006 (cosi' come novellata dall'art. 9,  comma  5,
della legge regionale n. 12 del 2010) si ponga «in contrasto  con  il
d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva  2004/38/CE
relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di
circolare e di soggiornare liberamente  nel  territorio  degli  Stati
membri), o con il d.lgs. n. 286 del 1998,  in  relazione  al  regime,
rispettivamente, dei cittadini comunitari o extracomunitari». 
    3.5. -  Tuttavia,  «una  volta  preso  atto  che  il  legislatore
regionale ha ritenuto  di  ridisciplinare  la  materia,  riconoscendo
anche alle persone diverse dai cittadini europei diritti in modo piu'
esplicito e piu'  ampio»,  la  Regione  ribadisce  che  non  potrebbe
comunque essere «considerata  illegittima  una  limitazione  di  tali
diritti - nel quadro di un ragionevole uso di risorse limitate -  sin
dove si tratti di prestazioni che superano lo standard minimo fissato
dalla legislazione statale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Con  ricorso  ritualmente  notificato  e  depositato,   il
Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato -  in  riferimento
agli artt. 2, 3, 38 e 97 della Costituzione - l'art.  4  della  legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia 31  marzo  2006,  n.  6  (Sistema
integrato di interventi e servizi per la promozione e la  tutela  dei
diritti di cittadinanza sociale), cosi' come modificato dall'art.  9,
commi 51, 52 e 53, della legge regionale  30  dicembre  2009,  n.  24
(Disposizioni per la formazione del bilancio  pluriennale  e  annuale
della Regione - Legge finanziaria 2010). 
    1.1. - Secondo il ricorrente la riformulazione della disposizione
regionale citata ad opera dell'art. 9, commi 51, 52 e 53, della legge
regionale n. 24 del 2009, nel senso di rendere accessibile il sistema
integrato di interventi e servizi sociali della Regione  soltanto  ai
«cittadini comunitari» ivi residenti «da  almeno  trentasei  mesi»  -
anziche' «a tutte le persone residenti nella Regione»  come  previsto
invece nella formulazione originaria della norma in questione  -,  si
porrebbe, in primo luogo, in contrasto con l'art. 2 Cost.  posto  che
un tale lasso temporale risulterebbe, in ragione della sua  ampiezza,
«eccessivamente limitativo» del godimento di  prestazioni  e  servizi
che, in quanto strettamente inerenti al  soddisfacimento  di  diritti
fondamentali, dovrebbero invece essere garantiti,  con  carattere  di
generalita' ed uniformita' sul territorio  nazionale,  «a  tutti  gli
aventi diritto». 
    1.2. - In  secondo  luogo,  la  medesima  disposizione  regionale
lederebbe l'art. 3 Cost., «sotto  il  profilo  della  violazione  del
principio di eguaglianza»,  dal  momento  che  la  citata  previsione
opererebbe «discriminazioni per intere categorie di persone - quali i
cittadini extracomunitari ovvero» gli stessi  cittadini  europei  «se
non residenti da trentasei mesi  -  non  giustificate  da  specifiche
esigenze o  situazioni  di  fatto  tali  da  rendere  ragionevole  la
richiesta,  da  parte  del  legislatore  regionale,  del  particolare
requisito della cittadinanza comunitaria ovvero della  residenza  per
almeno trentasei mesi». 
    1.3. - In terzo  luogo,  il  ricorrente  denuncia  la  violazione
dell'art. 38 Cost., posto che il legislatore  regionale  non  avrebbe
salvaguardato nemmeno «specifiche situazioni di particolare  bisogno,
necessita', o urgenza, come invece specificato dal  secondo  e  terzo
comma dell'art. 4 della legge regionale  n.  6  del  2006  nella  sua
precedente formulazione [...]». 
    1.4. - In quarto luogo, la disposizione regionale in questione si
porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  97  Cost.,  in   quanto   detta
«esclusione  dall'accesso»  al   sistema   integrato   regionale   di
interventi e servizi sociali «di intere  categorie  di  persone»  non
assicurerebbe «il buon andamento  e  l'imparzialita'  della  Pubblica
Amministrazione». 
    2.  -  Secondo  il  ricorrente,  in  particolare,  i   dubbi   di
legittimita' costituzionale sollevati  non  risulterebbero  in  alcun
modo superabili in forza della clausola di salvaguardia contenuta nel
comma 3 dell'art. 4 della legge regionale n. 6 del 2006  (cosi'  come
sostituto dal comma 53 della legge regionale n. 24 del 2009), secondo
la quale «tutte le persone comunque presenti sul territorio regionale
hanno diritto agli interventi di assistenza previsti dalla  normativa
statale e comunitaria vigente». 
    Tale previsione, infatti, ad avviso del Presidente del  Consiglio
dei ministri, non eliminerebbe l'evidenziata esclusione  dall'accesso
al complesso di interventi e servizi  sociali  afferenti  al  sistema
regionale integrato per alcune categorie di persone,  limitandosi  ad
assicurare, a tutti coloro che si trovino a qualunque titolo presenti
sul  territorio  della  Regione,  la  somministrazione   delle   sole
prestazioni assistenziali considerate essenziali a livello statale  e
comunitario. 
    3. - Preliminarmente deve essere affrontata la questione relativa
agli effetti sull'odierno giudizio dello ius superveniens concernente
la disposizione impugnata, poiche', successivamente alla proposizione
del ricorso, la norma censurata e' stata integralmente modificata  ad
opera dell'art. 9, comma 5, della legge regionale 16 luglio  2010  n.
12 (Assestamento del bilancio del 2010 e del bilancio pluriennale per
gli anni 2010-2012 ai sensi dell'art. 34 della legge regionale n.  21
del 2007). 
    Nella formulazione  della  disposizione  impugnata  risultante  a
seguito di tale novella, il  requisito  della  «residenza  da  almeno
trentasei mesi» nella Regione e' stato  sostituto  con  quello  della
semplice  residenza  per  una  serie  determinata  di  categorie   di
soggetti: i cittadini italiani; i  cittadini  di  Stati  appartenenti
all'Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia; gli stranieri
individuati ai sensi dell'articolo  41  del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero); «i titolari dello status di rifugiato e dello  status  di
protezione sussidiaria di cui all'articolo 27 del decreto legislativo
19 novembre 2007, n. 251» (art. 4, comma 1, lettere a), b), c) e  d),
della legge regionale n. 6 del 2006, cosi' come sostituito  dall'art.
9 della legge regionale n. 12 del  2010).  La  medesima  disposizione
oggi prevede, al comma 3, che anche a prescindere dal requisito della
residenza sia assicurato il diritto  alle  prestazioni  de  quibus  a
talune categorie di soggetti («i minori stranieri  nonche'  le  donne
straniere in stato di gravidanza e le donne nei sei  mesi  successivi
alla nascita del figlio»). Inoltre, il  successivo  comma  4  ammette
all'accesso al sistema integrato regionale di  interventi  e  servizi
anche  coloro  che  «comunque  si  trovino  presenti  sul  territorio
regionale»,  allorche'  versino  «in  situazioni  tali   da   esigere
interventi non  differibili  e  non  sia  possibile  indirizzarli  ai
corrispondenti servizi della Regione o dello Stato di appartenenza». 
    3.1. - Le modifiche appena evidenziate risultano aver  inciso  in
maniera sostanziale su tutti i requisiti precedentemente previsti per
l'accesso al citato sistema integrato regionale,  in  senso  peraltro
pienamente satisfattivo rispetto alle censure proposte con  l'odierno
ricorso. 
    Tale  circostanza,  come  correttamente  osservato  dalla  difesa
regionale, impedisce, innanzitutto, che le questioni  prospettate  in
relazione alla formulazione antecedente della norma impugnata possano
essere  trasferite  su  quella   intervenuta   successivamente   alla
proposizione del ricorso, con  la  conseguenza  che  il  giudizio  di
questa  Corte  deve  riferirsi  unicamente  all'art.  4  della  legge
regionale n. 6 del 2006, cosi' come riformulato  dall'art.  9,  commi
51, 52 e 53, della legge regionale n. 24 del  2009,  per  il  periodo
della sua seppur limitata vigenza. 
    Inoltre,  deve  al  riguardo  osservarsi  che   la   disposizione
censurata,  contenendo  un'esclusione  immediatamente  produttiva  di
effetti per intere categorie di soggetti dal  diritto  a  determinate
prestazioni, non richiede  per  la  sua  efficacia  alcuno  specifico
provvedimento attuativo, con la conseguenza che non  puo'  escludersi
che essa  abbia  avuto  medio  tempore  applicazione.  Pertanto,  non
possono  ritenersi  sussistenti   i   presupposti   di   un'eventuale
declaratoria di cessazione della materia del contendere (ex plurimis:
sentenze n. 251 e n. 249 del 2009). 
    3.2. - Sempre in via preliminare, deve rilevarsi, in accoglimento
della  espressa  eccezione  formulata  in  tal  senso  dalla   difesa
regionale, la inammissibilita' della censura elevata  in  riferimento
all'art. 97 Cost., in quanto risulta sprovvista di una sufficiente ed
autonoma motivazione in ordine alla  dedotta  lesione  del  parametro
costituzionale invocato. 
    4. - Nel merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
concernente la violazione dell'art. 3 Cost. e' fondata. 
    4.1. - L'art. 4 della legge regionale n. 6 del 2006,  cosi'  come
modificato dall'art. 9, commi 51, 52 e 53, della legge  regionale  n.
24 del 2009, disciplina i requisiti soggettivi  dei  destinatari  del
sistema   integrato   dei   servizi   regionali,   concernente    «la
predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a  pagamento,  o
di  prestazioni  economiche  destinate  a  rimuovere  e  superare  le
situazioni di bisogno e di difficolta' che la persona umana  incontra
nel corso della sua vita,  escluse  soltanto  quelle  assicurate  dal
sistema  previdenziale  e  da  quello  sanitario»,  in  quanto   tale
rientrante nel piu' generale ambito dei  servizi  sociali  attribuito
alla competenza legislativa residuale  delle  Regioni  (ex  plurimis:
sentenza n. 50 del 2008). 
    La circostanza, piu' volte evidenziata  dalla  difesa  regionale,
secondo la quale la Regione  avrebbe  nella  specie  disciplinato  un
regime eccedente i limiti dell'essenziale, non esclude affatto,  come
gia'  affermato  da  questa  Corte,  «che  le  scelte  connesse  alla
individuazione dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere  in
ragione della limitatezza delle risorse finanziarie - debbano  essere
operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza»
(sentenza n. 432 del 2005). 
    La disposizione in discussione introduce  inequivocabilmente  una
preclusione destinata a  discriminare  tra  i  fruitori  del  sistema
integrato dei servizi concernenti provvidenze sociali  fornite  dalla
Regione  i  cittadini  extracomunitari  in  quanto  tali,  nonche'  i
cittadini europei non residenti da almeno trentasei mesi. 
    Detta esclusione assoluta di intere categorie di persone  fondata
o sul difetto del possesso  della  cittadinanza  europea,  ovvero  su
quello della mancanza di una residenza  temporalmente  protratta  per
almeno trentasei  mesi,  non  risulta  rispettosa  del  principio  di
uguaglianza, in quanto introduce nel tessuto  normativo  elementi  di
distinzione   arbitrari,    non    essendovi    alcuna    ragionevole
correlabilita' tra quelle condizioni positive  di  ammissibilita'  al
beneficio (la cittadinanza europea congiunta alla residenza protratta
da almeno trentasei mesi, appunto) e gli  altri  peculiari  requisiti
(integrati  da  situazioni  di  bisogno  e  di   disagio   riferibili
direttamente alla  persona  in  quanto  tale)  che  costituiscono  il
presupposto di fruibilita' di provvidenze che,  per  la  loro  stessa
natura, non tollerano distinzioni basate ne' sulla cittadinanza,  ne'
su particolari tipologie di  residenza  volte  ad  escludere  proprio
coloro che risultano i  soggetti  piu'  esposti  alle  condizioni  di
bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi
si  propone  di  superare  perseguendo  una  finalita'  eminentemente
sociale. 
    Tali discriminazioni, dunque, contrastano con la  funzione  e  la
ratio normativa stessa delle misure che  compongono  il  complesso  e
articolato  sistema  di  prestazioni  individuato   dal   legislatore
regionale nell'esercizio  della  propria  competenza  in  materia  di
servizi sociali, in violazione del limite di  ragionevolezza  imposto
dal rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.). 
    5. - Rimangono assorbite tutte le ulteriori censure.