IL TRIBUNALE DI ROMA A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 6 ottobre 2010 nel procedimento iscritto al n. 13218/09 del Ruolo Affari Contenziosi Civili promosso da Paolucci Pietro Maria, elettivamente domiciliato in Roma, via Cola di Rienzo n. 28, presso lo studio dell'avv. R. Bolognesi elle lo rappresenta e difende in virtu' di procura a margine del ricorso introduttivo del giudizio; ricorrente; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso la quale e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; resistente; Letti gli atti, ha emesso la seguente ordinanza. In fatto Con ricorso depositato in data 20 aprile 2009, e ritualmente notificato, il ricorrente indicato in epigrafe. funzionario amministrativo - contabile di ruolo del Ministero infrastrutture e trasporti (qualifica VIII - area C2), ha dedotto di aver conseguito dal maggio 2000 in poi, a seguito di comando, tre incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. n. 165/01, uno in data 16 novembre 2001 presso l'Ufficio IV del Dipartimento delle politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, altro in data 7 luglio 2004 presso l'Ufficio II del medesimo Dipartimento e l'ultimo conferito con decreto del 18 maggio 2005 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, avente ad oggetto la direzione del servizio per il miglioramento della qualita' ed efficacia del sistema formativo pubblico dell'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni ( UFPPA), istituito presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, avente durata quinquennale dal 16 maggio 2005 al 16 ottobre 2010 ed il cui trattamento economico e' stato definito con contratto individuale a tempo determinato stipulato in pari data. Ha dedotto, poi, che poco dopo tale incarico si e' trovato in una situazione di disagio personale e professionale derivante dalla scarse risorse umane messe a sua disposizione e dall'atteggiamento di ostilita' assunto nei suoi confronti da parte del direttore dell'Ufficio, dr.ssa Francesca Russo, e manifestato direttamente anche al ricorrente; ha dedotto, poi, che in data 13 ottobre 2005 ha subito un'aggressione verbale da parte della sig.ra Volucello, dipendente del servizio diretto dal ricorrente in posizione di comando disposto dalla dr.ssa Russo nonostante il dissenso del ricorrente medesimo, all'interno dell'ambiente di lavoro e dinanzi ad altre due colleghe, Armone e Visocchi, e di aver rappresentato tale episodio alla dr.ssa Russo in data 14 ottobre 2005; ha dedotto, poi, che alla fine dell'anno 2005 si e' prospettata la possibilita' di un incarico di dirigente di prima fascia di durata triennale presso l'UFPPA, che si sarebbe reso disponibile il 31 dicembre 2005, e che tale possibilita' si fondava sulla proposta espressa dal Ministro per la funzione pubblica pro tempore, Baccini, al Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri pro tempore, Masi, e nota al vice capo della segreteria particolare del Ministro, Rosati, al capo gabinetto del Ministro, Perna, al capo della segreteria tecnica del Ministro, De Luca, ed al consigliere economico del Ministro, Simoni, tanto che il De Luca gli aveva chiesto di predisporre la bozza del contratto per il nuovo incarico e che, tuttavia, tale nuovo incarico e' stato affidato alla dott.ssa Paduano, proveniente da altro ufficio, in ragione delle illazioni che circolavano nel Dipartimento e che traevano origine dall'esistenza di due lettere scritte da due impiegate presso il servizio diretto dal ricorrente, Volucello e Bandista, e dirette al direttore dell'ufficio, dr.ssa Russo, illazioni relative a gravi accuse molestie sessuali a carico del ricorrente che non sono state mai formalmente contestate; ha dedotto, poi, che di tali accuse e' stato dapprima informato, tra la fine di dicembre 2005 e gennaio 2006, dal Ministro pro tempore in persona e che, successivamente, lo stesso ricorrente veniva convocato dalla segreteria del capo del dipartimento, avv. Basilica, nel corso del quale quest'ultimo gli riferiva che aveva gia' trasmesso alla segreteria dell'Ufficio per gli affari generali e per il personale della Presidenza del Consiglio le lettere citate, non precisando il contenuto delle stesse lettere, e che, qualche giorno dopo, la dott.ssa Paduano riferiva al ricorrente di altre lettere anonime contenenti accuse a suo carico, e che successivamente anche il consigliere economico, Simoni, riferiva al ricorrente di essere stato messo al corrente di tali accuse dall'avv. Basilica e lo sollecitava ad intraprendere iniziative di carattere giudiziario bei confronti della Volucello, della Bandista ed anche della dott.ssa Russo, come anche il De Luca, che riferiva al ricorrente che la notizia delle accuse era pervenuta alla gran parte dei dipendenti del dipartimento. Ha allegato, inoltre, che ulteriori conferme alla diffusione di tali voci pervenivano al ricorrente dalla segretaria del Ministro, Fabi, dalla dott.ssa Piccolo, direttore del servizio amministrativo contabile dell'UAGP, e dalle dott.sse Armone e Visocchi, collaboratrici del servizio diretto dal ricorrente. Ha dedotto, inoltre, quest'ultimo di non essere stato messo in condizione di difendersi mediante una formale contestazione di addebito e che solo un anno dopo dalle lettere citate gli e' stato consentito di conoscere il contenuto delle medesime a seguito di reiterate e formali richieste di accesso all'esito delle quali il ricorrente veniva a conoscenza che le stesse, in data 13 ottobre 2005 e 23 dicembre 2005, erano indirizzate alla d.ssa Russo, direttore generale in carica; ha dedotto,poi, che tra febbraio e marzo 2007 il ricorrente, insieme alle colleghe Armone e Visocchi, scopriva nella rete informatica della PCM l'esistenza di una cartella di lavoro che risultava accessibile da ogni postazione, denominata DA.CA in riferimento alle iniziali della sig.ra D'Agostino Caterina, funzionario dell'UAGP, e che conteneva documenti relativi alla vicenda del ricorrente, tra i quali alcune bozze di missive preparate dalla stessa D'Agostino per il Capo del Dipartimento ed un parere sull'istanza di accesso del ricorrente; in conseguenza della progressiva percezione della divulgazione delle accuse citate nonche' della gravita' delle stesse il ricorrente subiva un aggravamento dei suoi malesseri consistenti in insonnia, astenia e dolori gastrici e stato d'ansia nonche' un pregiudizio di natura esistenziale descritto in ricorso. Ha dedotto, infine, che, con distinto ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato in data 30 luglio 2007 ed iscritto al n. 217720/07 RACC, il ricorrente ha adito il Tribunale di Roma - GL convenendo in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di accertare la responsabilita' della medesima, in qualita' di datore di lavoro, atteso che non aveva adempiuto al generale obbligo contrattuale di tutelare la personalita' morale del dipendente ex art. 2087 c.c.; in diritto il ricorrente, in tale distinto ricorso, ha dedotto che i comportamenti delle sig.re Volucello e Bandista e dell'amministrazione convenuta hanno concorso, a titolo diverso, ex art. 2055 c.c. nel cagionargli danni patrimoniali e non patrimoniali, le prime in virtu' di responsabilita' extracontrattuale integrata dall'aver diffuso intenzionalmente tra i colleghi ed i superiori gerarchici sia mediante le lettere citate che a voce false accuse a carico del ricorrente lesive dell'onore e del decoro di quest'ultimo con intento diffamatorio, e l'amministrazione in quanto non ha adempiuto al generale obbligo contrattuale di tutelare la personalita' morale del dipendente: infatti la P.C.M., innanzitutto, non avrebbe informato il ricorrente degli addebiti a suo carico contravvenendo all'obbligo previsto dall'art. 55, comma 4 del d.lgs. n. 165/01; in secondo luogo la P.C.M. avrebbe divulgato o, comunque, non ha impedito la divulgazione delle accuse diffamatorie sollevate dalle sig. Volucello e Bandista nei confronti del ricorrente al di fuori dell'eventuale organo o commissione competente per i procedimenti disciplinari, tanto che soltanto la dott.ssa Russo, in qualita' di direttore dell'U.F.P.P.A. avrebbe dovuto essere informata degli addebiti e avrebbe dovuto informare, con riservatezza, esclusivamente l'organo o la commissione competente per i procedimenti disciplinari, mentre invece le accuse circolavano tra i superiori gerarchici ed i colleghi del ricorrente, e cio' a causa dell'incuranza o forse dell'intenzionalita' con cui i detentori di tali informazioni, di volta in volta, riferivano a persone non preposte alla gestione dei procedimenti disciplinari; inoltre, l'inserimento di documenti relativi alla vicenda nella rete informatica dell'intera PCM avrebbe contribuito notevolmente, secondo l'assunto attoreo, alla diffusione delle accuse a carico del ricorrente, con conseguente violazione del dovere di riservatezza posto in capo al datore di lavoro in relazione al trattamento delle informazioni inerenti il comportamento dei dipendenti e concorrendo con il comportamento delle sig.re Volucello e Bandista nel pregiudicare la sua personalita' morale; ha dedotto, inoltre, il ricorrente che le conseguenze di tale comportamento colpevole sono state aggravate dal ritardo con cui la P.C.M. ha consentito al ricorrente l'accesso alle lettere citate e che la divulgazione di tali accuse al di fuori dell'ufficio competente per i procedimenti disciplinari ha cagionato la perdita della concreta possibilita' di un incarico di dirigente di prima fascia, ossia quello di direttore dell'U.F.P.P.A., e quindi un danno professionale avente contenuto patrimoniale sub specie di danno da perdita di chances professionali, da quantificare in una somma pari all'80% della retribuzione che il ricorrente avrebbe percepito quale dirigente di prima fascia per la durata dell'incarico e pari ad euro 388.108,15; ha cagionato, inoltre, una lesione all'integrita' fisico - psichica del ricorrente, e cioe' un datino biologico temporaneo e permanente pari al 10-15% di inabilita' totale e da quantificare in un importo pari ad euro 26.683,72; ha cagionato, poi, un danno morale consistente in una sofferenza psicologica transeunte da quantificare in un importo pari ad euro 13.341,86; ha cagionato, quindi, un danno irrimediabile all'immagine professionale e pubblica del ricorrente sia nell'ambiente di lavoro che al di fuori di esso nonche' un pregiudizio esistenziale da liquidare in via equitativa. Ha concluso il ricorrente in tale distinto ed ulteriore ricorso chiedendo, in via principale, di accertare la responsabilita' concorrente delle sig.re Giuseppina Volucello e Luciana Bandista a titolo di responsabilita' extracontrattuale e della Presidenza del Consiglio dei Ministri a titolo di responsabilita' contrattuale per i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati al ricorrente e, per l'effetto, condannare solidalmente ex art. 2055 c.c. le sig.re Volucello e Bandista e la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento in favore del ricorrente del danno da perdita di chances professionali quantificabile nell'importo di euro 388.108,15, del danno biologico consistente nell'inabilita' temporanea parziale della durata di tre mesi quantificabile nell'importo di euro 1807,20 e, in termini di esiti permanenti, nella percentuale del 10-15% di inabilita' totale quantificabile nell'importo di euro 24.876,52 per un totale complessivo di euro 26.683,72 o nel maggior o minore importo valutato dal giudice in via equitativa ex art. 1226 c.c.; del danno morale quantificabile nell'importo di euro 13.341,86 o nel maggior o minore importo valutato dal giudice in via equitativa ex art. 1226 c.c.; del danno esistenziale da liquidarsi in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.; in via subordinata, accertare la responsabilita' di ciascuno e condannarli per quanto ritenuto di giustizia. Ha dedotto, poi, il ricorrente che, nelle more del giudizio promosso con il ricorso depositato in data 30 luglio 2007 ed iscritto al n. 217720/07 RACC sopra citato, e' stata pubblicata la sentenza della Corte costituzionale n. 161/08 e che, con comunicazione del 25 luglio 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha comunicato ai Capi Dipartimento affidati alla responsabilita' dei Ministri senza portafoglio che, in applicazione dell'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01, gli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell'art. 19 comma 5-bis e 6 del d.lgs. citato sarebbero cessati decorsi novanta giorni dal voto di fiducia al Governo e, cioe', il 13 agosto 2008; con comunicazione del 1° agosto 2008 la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica rappresentava al ricorrente che, conformemente alla linea adottata dal Dipartimento della funzione pubblica di non procedere alla conferma degli incarichi dirigenziali in essere gia' conferiti, non poteva confermare l'incarico da ultimo affidato al ricorrente e che lo stesso sarebbe cessato ope legis in data 13 agosto 2008; con comunicazione del 18 agosto 2008 la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale comunicava al ricorrente il provvedimento di cessazione dell'incarico ai sensi dell'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01. Ha allegato, poi, il ricorrente di essere stato l'unico dirigente presso il Dipartimento della funzione pubblica incaricato ai sensi dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. n. 165/01 e che tutti gli altri dirigenti presso gli altri Dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai quali era stato conferito l'incarico ai sensi dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. citato sono stati confermati nel precedente incarico ricevuto, che dall'8 ottobre 2008 ha ripreso servizio presso l'amministrazione di provenienza, venendo comandato poi dal 15 ottobre 2008 presso il Ministero dello sviluppo economico e che con provvedimento del 24 febbraio 2009 la Presidenza del consiglio dei Ministri ha confermato il raggiungimento degli obiettivi da parte del ricorrente per l'anno 2008. Ha eccepito, in diritto, il ricorrente l'illegittimita' o nullita' del recesso comunicato dalla Presidenza del consiglio dei ministri con la lettera del 13 agosto 2008 per illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01 anche sulla scorta della giurisprudenza della Corte costituzionale espressa nella sentenza n. 161 del 7 maggio 2008, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 161 del d.l. n. 262/06 conv. in legge n. 286/06 per contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost., e la nullita' del recesso per violazione dell'art. 1345 c.c., essendo stato determinato da motivi illeciti atteso che l'amministrazione si sarebbe determinata ad intimare il recesso impugnato in quanto il ricorrente aveva precedentemente promosso un'azione giudiziaria nei confronti della stessa amministrazione avente l'oggetto sopra descritto, conferendo allo stesso recesso natura ritorsiva; ha dedotto, poi, la sussistenza del diritto ad essere reintegrato nell'incarico cessato sino alla sua naturale scadenza oltre al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute sino alla medesima scadenza. Ha quindi, concluso il ricorrente nel giudizio a quo chiedendo: accertare e dichiarare l'illegittimita' del provvedimento di cessazione dell'incarico e dell'anticipata cessazione del rapporto di lavoro comunicata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con lettera datata 13 agosto 2008 previa, ove occorra, rimessione della questione di legittimita' costituzionale del comma 8 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165/01 nella parte in cui prevede che gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 5-bis ed al comma 6 cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo per contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost. e, per l'effetto, condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri a reintegrare il ricorrente nelle funzioni attribuite con l'incarico conferito in data 16 maggio 2005, cui accedeva il contratto individuale di lavoro ed avente ad oggetto la direzione del Servizio per il miglioramento della qualita' e dell'efficacia del sistema formativo pubblico dell'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni istituito presso il Dipartimento della funzione pubblica sino alla sua scadenza prevista per il 16 maggio 2010 ovvero alle reintegrazione in funzioni equivalenti, oltre al risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra la retribuzione corrisposta per l'espletamento dell'incarico dirigenziale e quella percepita dal ricorrente dalla data di cessazione del rapporto di lavoro sino alla reintegra; in via alternativa: accertare e dichiarare la nullita' del recesso comunicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con comunicazione del 13 agosto 2008 per illiceita' dei motivi e, per l'effetto, condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri a reintegrare il ricorrente nelle funzioni attribuite con l'incarico conferito in data 16 maggio 2005, cui accedeva il contratto individuale di lavoro ed avente ad oggetto la direzione del Servizio per il miglioramento della qualita' e dell'efficacia del sistema formativo pubblico dell'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni istituito presso il Dipartimento della funzione pubblica sino alla sua scadenza prevista per il 16 maggio 2010 ovvero alla reintegrazione in funzioni equivalenti, oltre al risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra la retribuzione corrisposta per l'espletamento dell'incarico dirigenziale e quella percepita dal ricorrente dalla data di cessazione del rapporto di lavoro sino alla reintegra. Si e' costituita in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccependo, innanzitutto, che la domanda di nullita' del recesso per violazione dell'art. 1345 c.c. e' fondata sulle medesime circostanze oggetto di altra precedente domanda definita con sentenza n. 12824/09 del Tribunale di Roma - GL, che ha rigettato il ricorso proposto dal ricorrente, e gia' sopra citato, al fine di accertare la responsabilita' della Presidenza del Consiglio dei Ministri a titolo di responsabilita' contrattuale per i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati; ha eccepito, in ogni caso, che il provvedimento di cessazione dell'incarico impugnato non ha natura ritorsiva atteso che, in data 1° dicembre 2006, l'amministrazione ha provveduto alla conferma dell'incarico dirigenziale attribuito al ricorrente con decreto del 18 maggio 2005, pur essendo tale incarico prossimo alla cessazione ope legis ai sensi dell'art. 2, comma 161 del d.l. n. 262/06 conv. con modif. dall'art. 1 della legge n. 286/06, recante la cd. prima applicazione della novella dell'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01, e che tale circostanza dimostra l'assenza di una volonta' ritorsiva dell'amministrazione convenuta; ha dedotto, poi, che la cessazione dell'incarico dirigenziale del ricorrente e' stata disposta in ossequio al disposto dell'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01, ha contestato l'eccepita illegittimita' costituzionale della norma applicata sulla base delle analitiche considerazioni svolte in memoria ed ha dedotto l'insussistenza di un comportamento colpevole o negligente o illecito dell'amministrazione in ordine al recesso impugnato atteso che la stessa ha applicato la normativa vigente, la quale ha introdotto una causa di impossibilita' sopravvenuta della prosecuzione degli incarichi dirigenziali per factum principis, nonche' di un obbligo risarcitorio; ha concluso, quindi, l'amministrazione per il rigetto del ricorso. In diritto Si osserva che la fattispecie oggetto del giudizio involge la necessita' per il giudice di valutare la legittimita' del recesso dell'amministrazione convenuta dall'incarico dirigenziale conferito al ricorrente con decreto del 18 maggio 2005 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, avente ad oggetto la direzione del servizio per il miglioramento della qualita' ed efficacia del sistema formativo pubblico dell'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni UFPPA), istituito presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, avente durata quinquennale dal 16 maggio 2005 al 16 ottobre 2010 ed il cui trattamento economico e' stato definito con contratto individuale a tempo determinato stipulato in pari data; e' incontestato e documentato in atti che il ricorrente e' un funzionario amministrativo del ruolo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - inquadrato nell'area C - posizione economica C2 del ruolo di tale Ministero e che l'incarico dirigenziale non generale de quo e' stato attribuito ai sensi dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. n. 165/01, entro i limiti della dotazione organica dei dirigenti di prima e di seconda fascia ivi prevista, a soggetto non appartenente ai ruoli dirigenziali dell'amministrazione conferente ne' dell'amministrazione di provenienza istituiti ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 165/01. E' incontestato, poi, e documentalmente provato che l'amministrazione convenuta, in data 1° dicembre 2006, ha provveduto alla conferma dell'incarico dirigenziale attribuito al ricorrente con decreto del 18 maggio 2005, pur essendo tale incarico prossimo alla cessazione ope legis ai sensi dell'art. 2, comma 161 del d.l. n. 262/06 conv. con modif. in legge n. 286/06, ed ha successivamente comunicato al ricorrente la cessazione dell'incarico a decorrere dal 13 agosto 2008 in virtu' del disposto dell'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01, che, a seguito delle modificazioni subite in virtu' dell'art. 3, comma 1, lett. i) della legge n. 145/02 e dell'art. 2, comma 159 del d.l. n. 262/06 conv. con modif. in legge n. 286/06, prevede che gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3, al comma 5-bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23, ed al comma 6 (come nella specie) cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia del Governo. Giova, altresi', rammentare ai fini della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale proposta che, in via principale, il ricorrente ha chiesto dichiarare l'illegittimita' del provvedimento di cessazione dell'incarico e dell'anticipata cessazione del rapporto di lavoro comunicata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con lettera datata 13 agosto 2008 previa, ove occorra, rimessione della questione di legittimita' costituzionale del comma 8 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165/01 nella parte in cui prevede che gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 5-bis ed al comma 6 cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo per contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost. e, per l'effetto, condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri a reintegrarlo nelle funzioni attribuite con l'incarico conferito ovvero alla reintegrazione in funzioni equivalenti nonche' al risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra la retribuzione corrisposta per l'espletamento dell'incarico dirigenziale e quella percepita dal ricorrente dalla data di cessazione del rapporto sino alla reintegrazione. Occorre, poi, osservare che l'art. 2, comma 159 del d.l. n. 262/06 citato (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) conv. con modif. in legge n. 286/06, modificando l'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01, ha previsto, in via ordinaria, la cessazione automatica degli incarichi dirigenziali alla scadenza del termine di novanta giorni dal voto di fiducia al Governo, estendendo agli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell'art. 19 comma 5-bis e comma 6 del d.lgs. citato il regime di cessazione automatica gia' previsto dal medesimo art. 19, comma 8, come sostituito dall'art. 3, comma 1 lett. i) della legge n. 145/02, per gli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi del comma 3 del medesimo art. 19. Quindi la disciplina cd. «a regime» introdotta dall'art. 2, comma 159 del d.l. n. 262/06 citato ha previsto l'introduzione della cessazione automatica degli incarichi dopo novanta giorni dal voto sulla fiducia al governo non solo per i dirigenti apicali (segretari generali e capi dipartimento) ma anche per i dirigenti non apicali (generali e non) esterni, cioe' non appartenenti al ruolo dell'amministrazione alla quale sono stati assegnati come dirigenti o non appartenenti alla pubblica amministrazione ed incaricato ai sensi dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. n. 165/01 per le sue particolari qualita' professionali. Peraltro l'art. 2, comma 161 del d.l. n. 262/06 ha anche previsto la disciplina «transitoria» dell'art. 19, comma 8 come modificato dal d.l. n. 262/06 citato, prevedendo in sede di prima applicazione la cessazione degli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi del medesimo articolo prima del 17 maggio 2006 ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del d.l. citato. E nella fattispecie e' incontestato tra le parti che l'amministrazione convenuta abbia fatto applicazione anche di tale norma, confermando in data 1° dicembre 2006 l'incarico dirigenziale conferito al ricorrente oggetto del giudizio. Da ultimo l'art. 40, lett. g) del d.lgs. n. 150/09 ha disposto che al comma 8 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165/01 sono soppresse le parole «al comma 5-bis, limitatamente al personale appartenente ai ruoli di cui all'art. 23, ed al comma 6», conseguendone che, a decorrere dall'entrata in vigore di tale norma, non opera piu' la cessazione automatica degli incarichi dirigenziali di cui al comma 5-bis ed al comma 6 dell'art. 19 citato, mentre la disciplina previgente continua ad operare per le cessazioni, come quella in esame, verificatesi prima della decorrenza indicata sulla base del principio di cui all'art. 11 delle preleggi «tempus regit actum»). Senonche' in riferimento alla sola normativa transitoria la Corte costituzionale, con sentenza n. 161/2008, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 161, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1. della legge 24 novembre 2006, n. 286, nella parte in cui dispone che gli incarichi conferiti al personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), «conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto». E nella motivazione della sentenza la Corte ha affermato: «...Innanzitutto, i predetti incarichi possono essere attribuiti a personale inserito nel cosiddetto "ruolo dei dirigenti", istituito presso ciascuna amministrazione statale e articolato in due fasce (art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001) . In secondo luogo, le funzioni dirigenziali possono essere conferite, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all'art. 23, e del 5 per cento della dotazione organica di quelli di seconda fascia, «anche ai dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui al medesimo articolo 23», purche' dipendenti da «altre» amministrazioni pubbliche (art. 19, comma 5-bis, del citato d.lgs. n. 165 del 2001), vale a dire da amministrazioni dello Stato diverse da quelle nel cui ambito e' collocato il posto da conferire. Infine, e' prevista la possibilita' che ciascuna amministrazione attribuisca la titolarita' di tali uffici dirigenziali, a tempo determinato, a «persone di particolare e comprovata qualificazione professionale», in possesso dei requisiti specificamente previsti dal comma 6 dello stesso art. 19, cioe' a soggetti estranei, all'atto della nomina, alle amministrazioni statali. In questa sede vengono in rilievo soltanto gli incarichi relativi alla seconda delle tipologie indicate e dunque quelli esterni conferiti a personale dipendente da «altre» amministrazioni pubbliche: il ricorrente, infatti, essendo un dirigente «di seconda fascia» appartenente al personale della carriera prefettizia, e quindi al «personale in regime di diritto pubblico» (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001), non rientra nel novero dei soggetti inseriti nei «ruoli di cui all'art. 23», ne' puo' essere considerato gia' facente parte, all'atto del conferimento dell'incarico dirigenziale, di nessuna amministrazione pubblica e tuttavia in possesso di particolare e comprovata qualificazione professionale. 3.2.- In tale contesto si inserisce la disposizione censurata la quale, stabilendo, con norma transitoria, che gli incarichi di funzioni dirigenziali in esame "cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore" del decreto-legge n. 262 del 2006, contempla un meccanismo di spoils system automatico e una tantum. Sul punto, deve rilevarsi che questa Corte, con la sentenza n. 103 del 2007, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145 (Disposizioni per il riordino della dirigenze statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato), il quale prevedeva la cessazione automatica, ex lege e generalizzata, degli incarichi dirigenziali interni di livello generale al momento dello spirare del termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore della stessa legge n. 145 del 2002. La disposizione ora censurata prevede una ipotesi di decadenza che, rispetto alla fattispecie gia' scrutinata da questa Corte con la citata sentenza n. 103 del 2007, si connota per avere stabilito, da un lato, la cessazione anticipata dall'incarico di dirigenti esterni dipendenti da «altre» amministrazioni; dall'altro, per l'attribuzione all'organo politico del potere di conferma nel predefinito spazio temporale di sessanta giorni delle funzioni dirigenziali di livello generale in corso di espletamento. Ai fini della risoluzione della questione sollevata, occorre verificare se la sussistenza delle suddette differenze sia idonea ad incidere sulla legittimita' costituzionale del meccanismo di decadenza contemplato dalla disposizione censurata e dunque a diversificare la presente fattispecie da quella scrutinata con la citata sentenza n. 103 del 2007. A tale proposito, in relazione al primo profilo afferente alla natura del soggetto al quale l'incarico sia stato conferito, deve rilevarsi che il rapporto di lavoro che l'amministrazione instaura con soggetti inseriti nei ruoli di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001, vale a dire con personale gia' dipendente dalla stessa amministrazione conferente, rispetto al contratto stipulato con personale esterno dipendente da «altre» amministrazioni pubbliche, si caratterizza esclusivamente per il peculiare atteggiarsi della relazione esistente tra rapporto di servizio e rapporto di ufficio. Nel primo caso, infatti, l'atto di conferimento dell'incarico ai dirigenti di ruolo e il contratto individuale cui esso accede si innestano, con funzione integrativa, su un rapporto di servizio gia' esistente con l'amministrazione statale. Nella seconda fattispecie, invece, l'atto di attribuzione di una determinata funzione dirigenziale e il correlato contratto individuale, avente ad oggetto la definizione del trattamento economico, hanno una loro autonomia, atteso che il personale esterno dipendente da «altre» amministrazioni statali mantiene la propria specifica fonte di regolazione del rapporto base. E' evidente come le descritte diversita' strutturali relative alle modalita' di conferimento dei suddetti incarichi non siano idonee a determinare, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dello Stato, l'applicazione di principi diversi, sul piano funzionale, in relazione alla distinzione tra attivita' di indirizzo politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti. Anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro instaurato con l'amministrazione che attribuisce l'incarico deve essere - come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare con la citata sentenza n. 103 del 2007 - «connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuita' dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione». Nella specie, il rapporto di lavoro dirigenziale in corso, che avrebbe dovuto avere, per contratto, una durata quinquennale, e' stato interrotto automaticamente dopo soltanto poco piu' di un anno dal suo effettivo inizio. Deve, pertanto, ribadirsi che il rispetto dei suddetti principi e' necessario al fine di garantire che «il dirigente generale possa espletare la propria attivita' - nel corso e nei limiti della durata predeterminata dell'incarico - in conformita' ai principi di imparzialita' e di buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.)». Tali principi stanno «alla base della stessa distinzione funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e cioe' tra l'azione di governo - che e' normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza - e l'azione dell'amministrazione, la quale, nell'attuazione dell'indirizzo politico della maggioranza, e' vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche e dunque al "servizio esclusivo della Nazione" (art. 98 Cost.), al fine del perseguimento delle finalita' pubbliche obiettivate dall'ordinamento» (sentenza n. 103 del 2007). In definitiva, dunque, la natura esterna dell'incarico non costituisce un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e chiara separazione tra attivita' di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie. La seconda differenza, rispetto alla fattispecie gia' scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 103 del 2007, e' costituita dal fatto che nella vicenda ora in esame l'organo politico puo' esercitare il potere di conferma entro sessanta giorni. Anche tale differenza non e', pero', idonea, di per se', contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato, a diversificare le fattispecie in esame e conseguentemente il relativo regime giuridico. Il potere ministeriale di conferma non attribuisce, infatti, al rapporto dirigenziale in corso alcuna garanzia di autonomia funzionale, atteso che dalla mancata conferma la legge fa derivare la decadenza automatica senza alcuna possibilita' di controllo giurisdizionale. Ne' puo' essere seguita la tesi prospettata dalla difesa dello Stato, ripresa nel corso della udienza pubblica di discussione, secondo cui la disposizione contenuta nel comma 161 si caratterizzerebbe in modo peculiare rispetto a quella gia' oggetto di esame da parte di questa Corte, in quanto rinverrebbe la propria giustificazione nell'esigenza di contenimento della spesa pubblica che permea l'intera legge finanziaria, nella quale la disposizione ora censurata risulta inserita. A tale proposito, deve rilevarsi come il solo fatto che la norma censurata si trovi collocata in un provvedimento legislativo incidente in ambito finanziario non comporta necessariamente che scopo della nuova disciplina sia quello del contenimento della spesa pubblica, quando - come nel caso in esame - tale finalizzazione non emerga dal testo della disposizione oggetto di censura. 3.3.- Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, deve, pertanto, ritenersi che la norma denunciata, prevedendo la immediata cessazione del rapporto dirigenziale alla scadenza del sessantesimo giorno dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 262 del 2006, in mancanza di riconferma, violi, in carenza di idonee garanzie procedimentali, i principi costituzionali di buon andamento e imparzialita' e, in particolare, «il principio di continuita' dell'azione amministrativa che e' strettamente correlato a quello di buon andamento dell'azione stessa» (sentenza n. 103 del 2007). Cio' in quanto la previsione di una anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso - in assenza di una accertata responsabilita' dirigenziale - impedisce che l'attivita' del dirigente possa espletarsi in conformita' ad un nuovo modello di azione della pubblica amministrazione, disegnato dalle recenti leggi riforma della pubblica amministrazione, che misura l'osservanza del canone dell'efficacia e dell'efficienza «alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarita' della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita» (sentenza n. 103 del 2007). E' necessario, pertanto, garantire «la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del quale, da un lato, l'amministrazione esterni le ragioni - connesse alle pregresse modalita' di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa - per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilita' di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall'organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato» (sentenza n. 103 del 2007). L'esistenza di una preventiva fase valutativa, ha puntualizzato la Corte con la suindicata sentenza, risulta «essenziale anche per assicurare, specie dopo l'entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, il rispetto dei principi del giusto procedimento, all'esito del quale dovra' essere adottato un atto motivato che, a prescindere dalla sua natura giuridica, di diritto pubblico o di diritto privato, consenta comunque un controllo giurisdizionale. Cio' anche al fine di garantire - attraverso la esternazione delle ragioni che stanno alla base della determinazione assunta dall'organo politico - scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire la prosecuzione dell'attivita' gestoria in ossequio al precetto costituzionale della imparzialita' dell'azione amministrativa». Successivamente, con sentenza n. 81/2010, la Corte costituzionale ha dichiarato, altresi', l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 161, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, nella parte in cui dispone che gli incarichi conferiti al personale di cui al comma 6, dell'art. 19, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), conferiti prima del 17 maggio 2006, «cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto», cosi' affermando in motivazione: «Al fine di chiarire la portata della disposizione impugnata, occorre, innanzitutto, sottolineare che l'art. 19 del citato d.lgs. n. 165 del 2001, contempla tre tipologie di funzioni dirigenziali, collocate in ordine decrescente di rilevanza e di maggiore coesione con l'organo politico. Innanzitutto, sono previsti «gli incarichi di segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente»: si tratta delle attribuzioni dirigenziali «apicali», conferite con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente (art. 19, comma 3). Sono poi disciplinati «gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale», attribuiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente (comma 4). Infine, sono previsti gli incarichi di direzione degli altri uffici di livello dirigenziale, conferiti "dal dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale generale". 5.1.- I predetti incarichi possono poi essere conferiti a soggetti che si trovino in una particolare posizione rispetto all'amministrazione che attribuisce la relativa funzione. In primo luogo, l'incarico puo' essere attribuito a personale inserito nel «ruolo dei dirigenti», istituito presso ciascuna amministrazione statale e articolato in due fasce (art. 23, del d.lgs. n. 165 del 2001). In secondo luogo, le funzioni dirigenziali possono essere conferite, entro limiti percentuali predeterminati, "anche ai dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui al medesimo articolo 23", purche' dipendenti da altre amministrazioni pubbliche, vale a dire da amministrazioni dello Stato diverse da quelle nel cui ambito e' collocato il posto da conferire (art. 19, comma 5-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001). Infine, e' prevista la possibilita', sempre nel rispetto di soglie prefissate, che ciascuna amministrazione attribuisca la titolarita' di uffici dirigenziali, a tempo determinato, fornendone esplicita motivazione, a "persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'amministrazione, che abbiano svolto attivita' in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato" (art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato, da ultimo, dall'art. 40 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, recante "Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivita' del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni"). 5.2. - Nel caso in esame, viene in rilievo un incarico di direzione di uffici di livello dirigenziale non generale, attribuito, ai sensi del predetto comma 6, dell'art. 19, a soggetto esterno all'amministrazione conferente, non dipendente, come dirigente, da altra amministrazione. In relazione a tale tipologia di incarico, la norma impugnata contempla una ipotesi di spoils system transitorio, con interruzione ex lege del rapporto dirigenziale in corso ove l'interessato non sia confermato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore dello stesso decreto-legge n. 262 del 2006. E' bene aggiungere che, con riferimento alle attribuzioni dirigenziali "esterne", il comma 8, dell'art. 19, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal comma 159, del decreto-legge n. 262 del 2006, prevede anche una ipotesi di spoils system a regime, stabilendo che tali attribuzioni "cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo". A tale ultimo proposito, va osservato che il citato art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009 ha abrogato la parte contenuta nel predetto comma 8 dell'art. 19, che ha esteso il sistema di spoils system a regime anche «al personale di cui al comma 5-bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23, e al comma 6». Tuttavia la predetta abrogazione, essendo successiva all'emanazione degli atti oggetto di censura nel processo a quo, non e' idonea ad incidere sul quadro normativo rilevante nel presente giudizio. 5.3. - In definitiva, alla luce di quanto sin qui esposto, la questione sottoposta all'esame di questa Corte attiene alla conformita' agli artt. 97 e 98 della Costituzione della norma che prevede un sistema di spoglie transitorio applicato a persone esterne all'amministrazione conferente, non dipendente, come dirigente, da altra amministrazione, al quale sia stata attribuita una funzione dirigenziale di livello non generale. 6. - Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, con la sentenza n. 103 del 2007, che la previsione di una cessazione automatica, ex lege e generalizzata, degli incarichi dirigenziali "interni" di livello generale viola, in carenza di idonee garanzie procedimentali, i principi costituzionali di buon andamento e imparzialita' e, in particolare, "il principio di continuita' dell'azione amministrativa che e' strettamente correlato a quello di buon andamento dell'azione stessa". 6.1. - Con la sentenza n. 161 del 2008, inoltre, si e' precisato che questi principi valgono anche in presenza di incarichi dirigenziali conferiti "al personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165". In particolare, si e' osservato come, in tali casi, la mancanza di un previo rapporto di servizio con l'amministrazione conferente non sia idonea ad incidere sulle regole di distinzione tra attivita' di indirizzo politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti e conseguentemente sull'applicabilita' dei principi costituzionali sopra richiamati. In altri termini, questa Corte ha rilevato la ininfluenza, sul piano funzionale, del fatto che l'atto di attribuzione di una determinata funzione dirigenziale ad un dirigente esterno, dipendente di altra amministrazione, e il correlato contratto individuale non si innestino su un rapporto di lavoro dirigenziale gia' esistente con la stessa amministrazione. E' bene inoltre aggiungere, richiamando quanto gia' sottolineato con la citata sentenza n. 161 del 2008, come la previsione di un potere di conferma entro sessanta giorni non sia anch'essa in grado, di per se', di diversificare la fattispecie in esame rispetto a quella oggetto di scrutinio con la sentenza n. 103 del 2007 e conseguentemente il relativo regime giuridico. Il potere ministeriale di conferma non attribuisce, infatti, al rapporto dirigenziale in corso alcuna garanzia di autonomia funzionale, atteso che dalla mancata conferma la legge fa derivare la decadenza automatica senza alcuna possibilita' di controllo giurisdizionale. 6.2. - Quanto sopra vale, per le medesime ragioni, anche quando l'incarico dirigenziale esterno, nella specie non generale, sia stato conferito non a dirigenti dipendenti da altre amministrazioni, ma a soggetti privi di status dirigenziale, che abbiano "particolare e comprovata qualificazione professionale", che non sia rinvenibile nei ruoli dell'amministrazione, e che rientrino, quindi, nella categoria indicata specificamente nel comma 6, dell'art. 19 citato. Anche, dunque, per la tipologia di incarichi che vengono in rilievo in questa sede - come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare con le citate sentenze n. 161 del 2008 e n. 103 del 2007 - il rapporto di lavoro instaurato con l'amministrazione che attribuisce la relativa funzione deve essere «connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuita' dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione». Deve, pertanto, ritenersi, in continuita' logica con quanto affermato dalle due suindicate pronunce, che anche la norma denunciata, prevedendo la immediata cessazione del rapporto dirigenziale alla scadenza del sessantesimo giorno dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 262 del 2006, in mancanza di riconferma, violi, in carenza di idonee garanzie procedimentali, i principi costituzionali di buon andamento e imparzialita' e, in particolare, "il principio di continuita' dell'azione amministrativa che e' strettamente correlato a quello di buon andamento dell'azione stessa". Cio' in quanto la previsione di una anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso - in assenza di una accertata responsabilita' dirigenziale - impedisce che l'attivita' del dirigente possa espletarsi in conformita' ad un nuovo modello di azione della pubblica amministrazione, disegnato dalle recenti leggi di riforma della pubblica amministrazione, che misura l'osservanza del canone dell'efficacia e dell'efficienza alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarita' della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita. E' necessario, pertanto, garantire, come questa Corte ha gia' chiarito, "la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del quale, da un lato, l'amministrazione esterni le ragioni - connesse alle pregresse modalita' di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilita' di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall'organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato". L'esistenza di una preventiva fase valutativa - ha puntualizzato la Corte con le suindicate sentenze - risulta essenziale anche per assicurare, specie dopo l'entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), "il rispetto dei principi del giusto procedimento, all'esito del quale dovra' essere adottato un atto motivato che, a prescindere dalla sua natura giuridica, di diritto pubblico o di diritto privato, consenta comunque un controllo giurisdizionale. Cio' anche al fine di garantire - attraverso la esternazione delle ragioni che stanno alla base della determinazione assunta dall'organo politico - scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire la prosecuzione dell'attivita' gestoria in ossequio al precetto costituzionale della imparzialita' dell'azione amministrativa". In definitiva, in presenza di tali incarichi - che devono essere sempre conferiti nel rigoroso rispetto delle condizioni prescritte dal comma 6, dell'art. 19, le quali impongono, tra l'altro, che "la professionalita' vantata dal soggetto esterno non sia rinvenibile nei ruoli dell'amministrazione" (sentenza n. 9 del 2010) - l'amministrazione stessa e' tenuta a garantire la distinzione funzionale tra attivita' di indirizzo politico amministrativo e attivita' gestionale, in attuazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialita' dell'azione dei pubblici poteri.». Le considerazioni sopra esposte poste a base delle decisioni citate, in particolare in relazione alle specifiche garanzie che connotano gli incarichi dirigenziali in modo da assicurare la tendenziale continuita' dell'azione amministrativa ed una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico - amministrativo e quelli di gestione, alla necessita' di garantire al dirigente l'espletamento dell'attivita' in conformita' ai principi di imparzialita' e di buon andamento dell'azione amministrativa ex art. 97 Cost., alla correlazione stretta del principio di continuita' dell'azione amministrativa con quello di buon andamento della stessa, alla necessita' di garantire un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti e di una preventiva fase valutativa con conseguente necessita' di emissione di atto espresso motivato relativo al recesso dall'incarico, dovendosi ritenere necessaria l'esternalizzazione delle ragioni che giustificano la mancata conferma del dirigente anche al fine di garantire il diritto alla tutela giurisdizionale di quest'ultimo nei confronti di un atto datoriale lesivo, all'inidoneita' della natura esterna dell'incarico a connotare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta separazione tra attivita' di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie, sono applicabili anche alla fattispecie in esame, comportando l'illegittimita' della disciplina denunciata sotto i vari profili esaustivamente affrontati dalla giurisprudenza costituzionale relativi alla violazione del principio di imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa. Anche la piu' recente giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 304/2010) ha, a tal proposito, confermato che perche' possa in concreto operare la differenziazione di compiti di indirizzo politico e di compiti di amministrazione di tipo dirigenziale e' necessario che il rapporto di ufficio, pur se caratterizzato dalla temporaneita' dell'incarico, sia connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare l'effettivo rispetto dei principi previsti dall'art. 97 Cost. (cfr. anche Corte cost. n. 103/07) e che in questa prospettiva i meccanismi di decadenza automatica dei predetti rapporti in corso si pongono in contrasto con l'indicato parametro costituzionale in quanto pregiudicano la continuita' dell'azione amministrativa, introducono in quest'ultima un elemento di parzialita', sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall'incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall'accertamento oggettivo dei risultati conseguiti. E l'estensione del sistema di caducazione automatica dell'incarico gia' previsto per i dirigenti apicali dall'art. 3 della legge n. 145/2002 ai dirigenti non apicali, di livello generale e non, esterni operata dall'art. 2, comma 159 del d.l. n. 262/06 conv. in legge n. 286/06 anche in dottrina non e' apparsa coerente con la ratio di fondo del sistema di cd. spoils system «giacche' la fissazione della linea di confine tra indirizzo politico ed attivita' di gestione amministrativa risulta essere segnata in modo asimmetrico essendo si' in generale collocata,come e' giusto che sia, al vertice della dirigenza apicale, ma con un tracciato che poi, nel caso di dirigenti "esterni", va ad inglobare anche dirigenti generali e non con possibile compromissione, in quest'ultimo caso, del principio di continuita' dell'azione amministrativa e di autonomia della stessa gestione amministrativa» Giovanni Amoroso - nota a Corte costituzionale - sentenza n. 161/2008 - dirigenza pubblica e «spoils system nella giurisprudenza costituzionale» - in Foro Italiano, 2009, I , p. 1332 e ss.). D'altra parte nel senso di confermare il contrasto della disciplina censurata con le norme di cui all'art. 97 e 98 Cost. soccorre, a contrario, anche quanto affermato dalla sentenza n. 304/2010 della Corte costituzionale che ha invece dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, sollevata, in riferimento agli articoli 97 e 98 della Costituzione, sulla base delle considerazioni che «la norma impugnata contempla un sistema di spoils system applicato alle assegnazioni di personale, compresi gli incarichi di livello dirigenziale, conferiti nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione con il Ministro. L'analisi della questione sollevata presuppone che siano richiamati, in via preliminare, da un lato, gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale in ordine al rapporto tra politica e amministrazione, dall'altro, le linee essenziali della normativa che definisce le funzioni esercitate dai Ministri e dagli uffici di diretta collaborazione. Cio' al fine di stabilire quale sia la natura dell'attivita' svolta dai predetti uffici e quindi la loro esatta collocazione nel complessivo quadro dei rapporti tra gli organi di governo e quelli di gestione. 5.1. - In relazione al primo profilo, deve rilevarsi come la giurisprudenza costituzionale sia ormai costante nel ritenere che debba essere assicurata una chiara distinzione tra funzioni politiche e funzioni amministrative di tipo dirigenziale, al fine di assicurare, in particolare, la piena attuazione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialita' dell'azione della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Perche' possa in concreto operare tale differenziazione di compiti e' necessario, altresi', come puntualizzato da questa Corte, che il rapporto di ufficio, pur se caratterizzato dalla temporaneita' dell'incarico, sia connotato «da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare» l'effettivo rispetto dei principi consacrati dal citato art. 97 Cost. (sentenza n. 103 del 2007). In questa prospettiva i meccanismi di decadenza automatica dei predetti rapporti in corso si pongono in contrasto con l'indicato parametro costituzionale «in quanto pregiudicano la continuita' dell'azione amministrativa, introducono in quest'ultima un elemento di parzialita', sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall'incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall'accertamento oggettivo dei risultati conseguiti» (da ultimo, sentenze n. 224 e n. 34 del 2010). 5.2. - Con riferimento al secondo aspetto, e' sufficiente porre in evidenza come l'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 attribuisca agli organi di governo le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, che si sostanziano, in particolare, nella definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare e nella verifica della rispondenza dei risultati dell'attivita' amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Il successivo art. 14, comma 1, dello stesso decreto prevede, poi, che spetta al Ministro, anche sulla base delle proposte dei dirigenti generali, periodicamente: a) definire obiettivi, priorita', piani e programmi da attuare ed emanare le conseguenti direttive generali per l'attivita' amministrativa e per la gestione; b) assegnare, a ciascun ufficio di livello dirigenziale generale, una quota-parte del bilancio dell'amministrazione, commisurata alle risorse finanziarie, riferibili ai procedimenti o subprocedimenti attribuiti alla responsabilita' dell'ufficio, e agli oneri per il personale e per le risorse strumentali allo stesso assegnati (si veda la sentenza n. 103 del 2007). Tali funzioni - una volta abbandonato «il modello incentrato esclusivamente sul principio della responsabilita' ministeriale, che negava, di regola, attribuzioni autonome ed esterne agli organi burocratici» (citata sentenza n. 103 del 2007) - sono nettamente separate dall'attivita' gestionale che i dirigenti svolgono mediante apposite strutture organizzative (cosiddetti uffici di line). In questo ambito, gli uffici di diretta collaborazione con il Ministro (cosiddetti uffici di staff), nella configurazione che di essi ha dato la normativa vigente, svolgono una attivita' di supporto strettamente correlata all'esercizio delle predette funzioni di indirizzo politico-amministrativo. Lo stesso decreto del Presidente della Repubblica 20 settembre 2007, n. 187 (Regolamento di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico), vigente al momento della adozione dell'ordinanza di rimessione, prevedeva, al primo comma dell'art. 2, la facolta' del Ministro di avvalersi «per l'esercizio delle funzioni ad esso attribuite dagli articoli 4 e 14 del decreto legislativo n. 165 del 2001, degli uffici di diretta collaborazione». Si e' precisato, inoltre, che detti uffici «esercitano le competenze di supporto all'organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l'amministrazione, collaborando alla definizione degli obiettivi ed all'elaborazione delle politiche pubbliche, nonche' alla relativa valutazione ed alle connesse attivita' di comunicazione, con particolare riguardo all'analisi dell'impatto normativo, all'analisi costi-benefici ed alla congruenza fra obiettivi e risultati» (in questo senso anche l'art. 2 del d. P.R. 28 novembre 2008 n. 198, recante "Regolamento di definizione della struttura degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico", che ha sostituito integralmente il d. P. R. n. 187 del 2007). 5.3. - Alla luce di quanto sopra, emerge come gli uffici di diretta collaborazione svolgano un'attivita' strumentale rispetto a quella esercitata dal Ministro, collocandosi, conseguentemente, in un contesto diverso da quello proprio degli organi burocratici. Detti uffici, infatti, sono collocati in un ambito organizzativo riservato all'attivita' politica con compiti di supporto delle stesse funzioni di governo e di raccordo tra queste e quelle amministrative di competenza dei dirigenti. In questa prospettiva, non assume rilievo. contrariamente a quanto sostenuto dal remittente, la distinzione funzionale tra le attribuzioni del Ministero e quelle degli uffici in esame, dovendo, al contrario, sussistere tra loro una intima compenetrazione e coesione che giustifichi un rapporto strettamente fiduciario finalizzato alla compiuta definizione dell'indirizzo politico-amministrativo. La separazione di funzioni, che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessaria per assicurare il rispetto, in particolare, dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialita' dell'azione amministrativa, deve essere assicurata, pertanto, esclusivamente tra l'attivita' svolta dai Ministri, con il supporto degli uffici di diretta collaborazione, e quella esercitata dagli organi burocratici, cui spetta la funzione di amministrazione attiva. 5.4. - Chiarito cio', deve ritenersi non difforme dagli evocati parametri costituzionali la norma, contenuta nella disposizione censurata. che prevede la interruzione del rapporto in corso con il personale. compreso quello dirigenziale, assegnato agli uffici di diretta collaborazione al momento del giuramento di un nuovo Ministro, ove non confermato entro trenta giorni dal giuramento stesso. La previsione in esame, infatti, si giustifica in ragione del rapporto strettamente fiduciario che deve sussistere tra l'organo di governo e tutto il personale di cui esso si avvale per svolgere l'attivita' di indirizzo politico-amministrativo. Al momento del cambio nella direzione del Ministero e', pertanto, legittimo prevedere l'azzeramento degli incarichi esistenti, che possono essere confermati qualora il Ministro stesso ritenga che il personale in servizio possa godere della sua fiducia. In definitiva, cosi' come la nomina del personale, compreso quello dirigenziale, puo' avvenire, in base alla normativa vigente, intuitu personae, senza predeterminazione di alcun rigido criterio che debba essere osservato nell'adozione dell'atto di assegnazione all'ufficio, allo stesso modo. e simmetricamente, e' possibile in qualunque momento interrompere il rapporto in corso qualora sia venuta meno la fiducia che deve caratterizzare in maniera costante lo svolgimento del rapporto stesso. Per le ragioni indicate, pertanto, non e' ravvisabile il denunciato contrasto della norma censurata con gli evocati parametri costituzionali.». Infine non appare ragionevolmente giustificata, in violazione dell'art. 3 Cost., la diversita' di trattamento che allo stato discende dalla sentenza n. 81/2010 della Corte di dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 161, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, nella parte in cui dispone che gli incarichi conferiti al personale di cui al comma 6, dell'art. 19, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 conferiti prima del 17 maggio 2006, «cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto», costituente la disciplina transitoria del sistema di cd. spoils system, rispetto alla disciplina cd. "a regime" contenuta nell'art. 2 comma 159 del medesimo d.l. citato, che ha modificato l'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01, costituente la norma censurata nel presente giudizio, attesa la sostanziale identita' di ratio che sorregge le due norme. Ne consegue, alla luce delle superiori considerazioni, che la norma censurata, determinando una interruzione automatica del rapporto di ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine stabilito senza le garanzie e le valutazioni sopra ricordate, si pone, secondo il Giudice rimettente, in contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost. (oltre che con l'art. 3 Cost.), i quali costituiscono regole che disciplinano il corretto esercizio della discrezionalita' della pubblica amministrazione e, pur nell'ambito della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, costituiscono fonte di obbligo per la stessa amministrazione di conformarsi ai doveri ivi previsti. La questione sollevata e' infine rilevante, in quanto, da un lato, la norma denunciata dovrebbe necessariamente essere applicata al caso di specie e precluderebbe l'accoglimento della domanda proposta di condanna dell'amministrazione alla reintegrazione del ricorrente nell'incarico dirigenziale a suo tempo conferitogli ed al risarcimento del danno cagionato, ed in quanto dall'altro lato, l'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' della norma stessa (nella parte in cui dispone ex lege la cessazione anticipata ed automatica dell'incarico dirigenziale conferito ai sensi del comma 6 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165/01) renderebbe illegittimo il provvedimento di revoca dell'incarico, facendo sorgere in capo al ricorrente il diritto al ripristino dello stesso sino alla sua naturale scadenza o, comunque, all'eventuale risarcimento del danno, e cio' pur volendo prescindere da ogni preventiva delibazione circa la sussistenza degli altri elementi costitutivi della domanda risarcitoria quale ad es. la colpa dell'amministrazione.