IL TRIBUNALE DI ROMA 
 
    A scioglimento della riserva assunta all'udienza  del  6  ottobre
2010 nel procedimento  iscritto  al  n.  13218/09  del  Ruolo  Affari
Contenziosi Civili promosso da Paolucci Pietro  Maria,  elettivamente
domiciliato in Roma, via Cola di  Rienzo  n.  28,  presso  lo  studio
dell'avv. R. Bolognesi elle lo rappresenta e  difende  in  virtu'  di
procura a margine del ricorso introduttivo del giudizio; ricorrente; 
    Contro Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  in  persona  del
Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex  lege
dall'Avvocatura generale dello Stato presso la quale  e'  domiciliato
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; resistente; 
    Letti gli atti, ha emesso la seguente ordinanza. 
 
                              In fatto 
 
    Con ricorso depositato in data  20  aprile  2009,  e  ritualmente
notificato,  il  ricorrente   indicato   in   epigrafe.   funzionario
amministrativo - contabile di ruolo del  Ministero  infrastrutture  e
trasporti (qualifica VIII - area C2), ha dedotto di  aver  conseguito
dal  maggio  2000  in  poi,  a  seguito  di  comando,  tre  incarichi
dirigenziali conferiti ai sensi dell'art. 19, comma 6 del  d.lgs.  n.
165/01, uno  in  data  16  novembre  2001  presso  l'Ufficio  IV  del
Dipartimento  delle  politiche  comunitarie  della   Presidenza   del
Consiglio dei Ministri, altro in data 7 luglio 2004 presso  l'Ufficio
II del medesimo Dipartimento e l'ultimo conferito con decreto del  18
maggio  2005  della  Presidenza  del   Consiglio   dei   Ministri   -
Dipartimento della funzione pubblica, avente ad oggetto la  direzione
del servizio per il miglioramento della  qualita'  ed  efficacia  del
sistema  formativo  pubblico  dell'Ufficio  per  la  formazione   del
personale delle pubbliche amministrazioni ( UFPPA), istituito  presso
il Dipartimento della Funzione Pubblica, avente  durata  quinquennale
dal 16 maggio 2005 al 16 ottobre 2010 ed il cui trattamento economico
e' stato definito  con  contratto  individuale  a  tempo  determinato
stipulato in pari data. 
    Ha dedotto, poi, che poco dopo tale incarico si e' trovato in una
situazione di  disagio  personale  e  professionale  derivante  dalla
scarse risorse umane messe a sua disposizione e dall'atteggiamento di
ostilita'  assunto  nei  suoi  confronti  da  parte   del   direttore
dell'Ufficio, dr.ssa  Francesca  Russo,  e  manifestato  direttamente
anche al ricorrente; ha dedotto, poi, che in data 13 ottobre 2005  ha
subito  un'aggressione  verbale  da  parte  della  sig.ra  Volucello,
dipendente del  servizio  diretto  dal  ricorrente  in  posizione  di
comando disposto  dalla  dr.ssa  Russo  nonostante  il  dissenso  del
ricorrente medesimo, all'interno dell'ambiente di lavoro e dinanzi ad
altre due colleghe, Armone e Visocchi, e di aver  rappresentato  tale
episodio alla dr.ssa Russo in data 14 ottobre 2005; ha dedotto,  poi,
che alla fine dell'anno 2005 si e' prospettata la possibilita' di  un
incarico di dirigente di prima  fascia  di  durata  triennale  presso
l'UFPPA, che si sarebbe reso disponibile il 31 dicembre 2005,  e  che
tale possibilita' si fondava sulla proposta espressa dal Ministro per
la funzione pubblica pro tempore,  Baccini,  al  Segretario  generale
della Presidenza del Consiglio dei Ministri pro tempore, Masi, e nota
al vice capo della segreteria particolare del  Ministro,  Rosati,  al
capo gabinetto del Ministro, Perna, al capo della segreteria  tecnica
del Ministro, De Luca, ed  al  consigliere  economico  del  Ministro,
Simoni, tanto che il De Luca gli  aveva  chiesto  di  predisporre  la
bozza del contratto per il nuovo incarico e che, tuttavia, tale nuovo
incarico e' stato affidato  alla  dott.ssa  Paduano,  proveniente  da
altro  ufficio,  in  ragione  delle  illazioni  che  circolavano  nel
Dipartimento e che traevano origine  dall'esistenza  di  due  lettere
scritte da due impiegate presso il servizio diretto  dal  ricorrente,
Volucello e Bandista, e dirette  al  direttore  dell'ufficio,  dr.ssa
Russo, illazioni relative a gravi accuse molestie sessuali  a  carico
del ricorrente che non sono  state  mai  formalmente  contestate;  ha
dedotto, poi, che di tali accuse e' stato dapprima informato, tra  la
fine di dicembre 2005 e gennaio 2006, dal  Ministro  pro  tempore  in
persona e che, successivamente, lo stesso ricorrente veniva convocato
dalla segreteria del capo del dipartimento, avv. Basilica, nel  corso
del quale quest'ultimo gli riferiva che  aveva  gia'  trasmesso  alla
segreteria dell'Ufficio per gli affari generali e  per  il  personale
della Presidenza del Consiglio le lettere citate, non  precisando  il
contenuto delle stesse  lettere,  e  che,  qualche  giorno  dopo,  la
dott.ssa Paduano riferiva al  ricorrente  di  altre  lettere  anonime
contenenti accuse a  suo  carico,  e  che  successivamente  anche  il
consigliere economico, Simoni, riferiva al ricorrente di essere stato
messo al corrente di tali accuse dall'avv. Basilica e lo  sollecitava
ad intraprendere iniziative di carattere  giudiziario  bei  confronti
della Volucello, della Bandista ed anche della dott.ssa  Russo,  come
anche il De Luca, che riferiva al ricorrente  che  la  notizia  delle
accuse era pervenuta alla gran parte dei dipendenti del dipartimento. 
    Ha allegato, inoltre, che ulteriori conferme alla  diffusione  di
tali voci pervenivano al ricorrente dalla  segretaria  del  Ministro,
Fabi, dalla dott.ssa Piccolo, direttore del  servizio  amministrativo
contabile  dell'UAGP,   e   dalle   dott.sse   Armone   e   Visocchi,
collaboratrici del  servizio  diretto  dal  ricorrente.  Ha  dedotto,
inoltre, quest'ultimo di non essere  stato  messo  in  condizione  di
difendersi mediante una formale contestazione di addebito e che  solo
un anno  dopo  dalle  lettere  citate  gli  e'  stato  consentito  di
conoscere il contenuto  delle  medesime  a  seguito  di  reiterate  e
formali richieste di accesso  all'esito  delle  quali  il  ricorrente
veniva a conoscenza che le stesse, in  data  13  ottobre  2005  e  23
dicembre 2005, erano indirizzate alla d.ssa Russo, direttore generale
in  carica;  ha  dedotto,poi,  che  tra  febbraio  e  marzo  2007  il
ricorrente, insieme alle colleghe Armone e Visocchi,  scopriva  nella
rete informatica della PCM l'esistenza di una cartella di lavoro  che
risultava  accessibile  da  ogni  postazione,  denominata  DA.CA   in
riferimento  alle  iniziali   della   sig.ra   D'Agostino   Caterina,
funzionario  dell'UAGP,  e  che  conteneva  documenti  relativi  alla
vicenda del ricorrente, tra i quali alcune bozze di missive preparate
dalla stessa D'Agostino per il Capo del  Dipartimento  ed  un  parere
sull'istanza  di  accesso  del  ricorrente;  in   conseguenza   della
progressiva percezione della divulgazione delle accuse citate nonche'
della gravita' delle stesse il ricorrente subiva un aggravamento  dei
suoi malesseri consistenti in insonnia, astenia e dolori  gastrici  e
stato d'ansia nonche' un pregiudizio di natura esistenziale descritto
in ricorso. 
    Ha dedotto, infine, che, con distinto ricorso ex art. 414  c.p.c.
depositato in data 30 luglio 2007 ed iscritto al n.  217720/07  RACC,
il ricorrente ha adito il  Tribunale  di  Roma  -  GL  convenendo  in
giudizio  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  al  fine  di
accertare la responsabilita' della medesima, in qualita' di datore di
lavoro,  atteso  che  non  aveva  adempiuto   al   generale   obbligo
contrattuale di tutelare la personalita'  morale  del  dipendente  ex
art. 2087 c.c.; in diritto il ricorrente, in tale  distinto  ricorso,
ha dedotto che i comportamenti delle sig.re Volucello  e  Bandista  e
dell'amministrazione convenuta hanno concorso, a titolo  diverso,  ex
art. 2055 c.c. nel cagionargli danni patrimoniali e non patrimoniali,
le prime in virtu'  di  responsabilita'  extracontrattuale  integrata
dall'aver diffuso intenzionalmente tra  i  colleghi  ed  i  superiori
gerarchici sia mediante le lettere citate che a voce false  accuse  a
carico del ricorrente lesive dell'onore e del decoro di  quest'ultimo
con intento  diffamatorio,  e  l'amministrazione  in  quanto  non  ha
adempiuto  al  generale   obbligo   contrattuale   di   tutelare   la
personalita' morale del dipendente: infatti la P.C.M.,  innanzitutto,
non avrebbe informato il  ricorrente  degli  addebiti  a  suo  carico
contravvenendo all'obbligo previsto dall'art. 55, comma 4 del  d.lgs.
n. 165/01; in secondo luogo la P.C.M. avrebbe divulgato o,  comunque,
non ha impedito la divulgazione delle accuse  diffamatorie  sollevate
dalle sig. Volucello e Bandista nei confronti del  ricorrente  al  di
fuori  dell'eventuale  organo  o   commissione   competente   per   i
procedimenti disciplinari, tanto che soltanto la dott.ssa  Russo,  in
qualita' di direttore dell'U.F.P.P.A. avrebbe dovuto essere informata
degli  addebiti  e  avrebbe  dovuto  informare,   con   riservatezza,
esclusivamente  l'organo  o   la   commissione   competente   per   i
procedimenti disciplinari, mentre invece le accuse circolavano tra  i
superiori gerarchici ed i colleghi del ricorrente,  e  cio'  a  causa
dell'incuranza o forse dell'intenzionalita' con cui  i  detentori  di
tali informazioni, di  volta  in  volta,  riferivano  a  persone  non
preposte  alla  gestione  dei  procedimenti  disciplinari;   inoltre,
l'inserimento  di  documenti  relativi  alla   vicenda   nella   rete
informatica dell'intera PCM avrebbe contribuito notevolmente, secondo
l'assunto  attoreo,  alla  diffusione  delle  accuse  a  carico   del
ricorrente, con conseguente violazione  del  dovere  di  riservatezza
posto in capo al datore di lavoro in relazione al  trattamento  delle
informazioni inerenti il comportamento dei dipendenti  e  concorrendo
con  il  comportamento  delle  sig.re  Volucello   e   Bandista   nel
pregiudicare la sua personalita'  morale;  ha  dedotto,  inoltre,  il
ricorrente che le conseguenze di tale  comportamento  colpevole  sono
state aggravate dal ritardo  con  cui  la  P.C.M.  ha  consentito  al
ricorrente l'accesso alle lettere citate e  che  la  divulgazione  di
tali accuse al di fuori dell'ufficio competente  per  i  procedimenti
disciplinari ha cagionato la perdita della concreta  possibilita'  di
un incarico di dirigente di prima fascia, ossia quello  di  direttore
dell'U.F.P.P.A., e quindi un  danno  professionale  avente  contenuto
patrimoniale sub specie di danno da perdita di chances professionali,
da quantificare in una somma pari all'80% della retribuzione  che  il
ricorrente avrebbe percepito quale dirigente di prima fascia  per  la
durata  dell'incarico  e  pari  ad  euro  388.108,15;  ha  cagionato,
inoltre, una lesione all'integrita' fisico - psichica del ricorrente,
e cioe' un datino biologico temporaneo e permanente pari al 10-15% di
inabilita' totale e da  quantificare  in  un  importo  pari  ad  euro
26.683,72; ha cagionato, poi, un  danno  morale  consistente  in  una
sofferenza psicologica transeunte da quantificare in un importo  pari
ad euro 13.341,86;  ha  cagionato,  quindi,  un  danno  irrimediabile
all'immagine   professionale   e   pubblica   del   ricorrente    sia
nell'ambiente  di  lavoro  che  al  di  fuori  di  esso  nonche'   un
pregiudizio esistenziale da liquidare in via equitativa. 
    Ha concluso il ricorrente in tale distinto ed  ulteriore  ricorso
chiedendo,  in  via  principale,  di  accertare  la   responsabilita'
concorrente delle sig.re Giuseppina Volucello e  Luciana  Bandista  a
titolo di responsabilita' extracontrattuale e  della  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri a titolo di responsabilita' contrattuale per i
danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati al ricorrente e,  per
l'effetto, condannare  solidalmente  ex  art.  2055  c.c.  le  sig.re
Volucello e Bandista e la Presidenza del Consiglio  dei  Ministri  al
risarcimento in favore del ricorrente del danno da perdita di chances
professionali quantificabile nell'importo  di  euro  388.108,15,  del
danno biologico consistente nell'inabilita' temporanea parziale della
durata di tre mesi quantificabile nell'importo di euro 1807,20 e,  in
termini  di  esiti  permanenti,  nella  percentuale  del  10-15%   di
inabilita' totale quantificabile nell'importo di euro  24.876,52  per
un totale complessivo di  euro  26.683,72  o  nel  maggior  o  minore
importo valutato dal giudice in via equitativa ex art. 1226 c.c.; del
danno morale quantificabile nell'importo  di  euro  13.341,86  o  nel
maggior o minore importo valutato dal giudice in  via  equitativa  ex
art.  1226  c.c.;  del  danno  esistenziale  da  liquidarsi  in   via
equitativa  ai  sensi  dell'art.  1226  c.c.;  in  via   subordinata,
accertare la responsabilita' di ciascuno  e  condannarli  per  quanto
ritenuto di giustizia. 
    Ha dedotto, poi, il  ricorrente  che,  nelle  more  del  giudizio
promosso con il ricorso depositato in data 30 luglio 2007 ed iscritto
al n. 217720/07 RACC sopra citato, e' stata  pubblicata  la  sentenza
della Corte costituzionale n. 161/08 e che, con comunicazione del  25
luglio 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri  ha  comunicato
ai Capi Dipartimento affidati alla responsabilita' dei Ministri senza
portafoglio che, in applicazione dell'art. 19, comma 8 del d.lgs.  n.
165/01, gli incarichi dirigenziali conferiti ai  sensi  dell'art.  19
comma 5-bis e 6 del d.lgs. citato sarebbero cessati  decorsi  novanta
giorni dal voto di fiducia al Governo e, cioe', il  13  agosto  2008;
con comunicazione del 1° agosto 2008 la Presidenza del Consiglio  dei
Ministri - Dipartimento  della  funzione  pubblica  rappresentava  al
ricorrente che, conformemente alla linea  adottata  dal  Dipartimento
della  funzione  pubblica  di  non  procedere  alla  conferma   degli
incarichi  dirigenziali  in  essere  gia'   conferiti,   non   poteva
confermare l'incarico da ultimo  affidato  al  ricorrente  e  che  lo
stesso sarebbe  cessato  ope  legis  in  data  13  agosto  2008;  con
comunicazione del 18 agosto 2008  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri  -  Segretariato  generale  comunicava  al   ricorrente   il
provvedimento di cessazione  dell'incarico  ai  sensi  dell'art.  19,
comma 8 del d.lgs. n. 165/01. 
    Ha allegato, poi, il ricorrente di essere stato l'unico dirigente
presso il Dipartimento della funzione pubblica  incaricato  ai  sensi
dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. n. 165/01  e  che  tutti  gli  altri
dirigenti  presso  gli  altri  Dipartimenti  della   Presidenza   del
Consiglio dei Ministri ai quali era  stato  conferito  l'incarico  ai
sensi dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. citato sono  stati  confermati
nel precedente incarico ricevuto, che dall'8 ottobre 2008 ha  ripreso
servizio presso l'amministrazione di provenienza,  venendo  comandato
poi dal 15 ottobre 2008 presso il Ministero dello sviluppo  economico
e che con provvedimento  del  24  febbraio  2009  la  Presidenza  del
consiglio  dei  Ministri  ha  confermato  il   raggiungimento   degli
obiettivi da parte del ricorrente per l'anno 2008. 
    Ha  eccepito,  in  diritto,  il  ricorrente  l'illegittimita'   o
nullita' del recesso comunicato dalla Presidenza  del  consiglio  dei
ministri con  la  lettera  del  13  agosto  2008  per  illegittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01 anche sulla
scorta della giurisprudenza della Corte costituzionale espressa nella
sentenza n. 161 del 7 maggio 2008, che ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 161 del d.l.  n.  262/06  conv.  in
legge n. 286/06 per contrasto con gli artt.  97  e  98  Cost.,  e  la
nullita' del recesso per  violazione  dell'art.  1345  c.c.,  essendo
stato determinato da motivi illeciti atteso che l'amministrazione  si
sarebbe determinata ad intimare il recesso  impugnato  in  quanto  il
ricorrente aveva precedentemente promosso un'azione  giudiziaria  nei
confronti  della  stessa  amministrazione  avente   l'oggetto   sopra
descritto,  conferendo  allo  stesso  recesso  natura  ritorsiva;  ha
dedotto, poi,  la  sussistenza  del  diritto  ad  essere  reintegrato
nell'incarico cessato  sino  alla  sua  naturale  scadenza  oltre  al
risarcimento del danno commisurato  alle  retribuzioni  perdute  sino
alla medesima scadenza. 
    Ha quindi, concluso il ricorrente nel giudizio a quo chiedendo: 
    accertare e  dichiarare  l'illegittimita'  del  provvedimento  di
cessazione dell'incarico e dell'anticipata cessazione del rapporto di
lavoro comunicata dalla Presidenza del  Consiglio  dei  Ministri  con
lettera datata 13 agosto 2008 previa, ove occorra,  rimessione  della
questione di legittimita' costituzionale del comma 8 dell'art. 19 del
d.lgs. n. 165/01 nella parte in cui  prevede  che  gli  incarichi  di
funzione dirigenziale di cui al comma 5-bis ed  al  comma  6  cessano
decorsi  novanta  giorni  dal  voto  sulla  fiducia  al  Governo  per
contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost. e, per l'effetto, condannare la
Presidenza del Consiglio dei Ministri  a  reintegrare  il  ricorrente
nelle funzioni attribuite con l'incarico conferito in data 16  maggio
2005, cui accedeva il contratto individuale di lavoro  ed  avente  ad
oggetto la direzione del Servizio per il miglioramento della qualita'
e dell'efficacia del sistema formativo pubblico dell'Ufficio  per  la
formazione del personale delle  pubbliche  amministrazioni  istituito
presso il Dipartimento della funzione pubblica sino alla sua scadenza
prevista per il 16 maggio 2010 ovvero alle reintegrazione in funzioni
equivalenti, oltre al  risarcimento  del  danno  corrispondente  alla
differenza  tra  la  retribuzione  corrisposta   per   l'espletamento
dell'incarico dirigenziale e quella percepita  dal  ricorrente  dalla
data di cessazione del rapporto di lavoro sino alla reintegra; 
    in via alternativa: 
        accertare e dichiarare la  nullita'  del  recesso  comunicato
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con comunicazione del  13
agosto 2008 per illiceita' dei motivi e, per l'effetto, condannare la
Presidenza del Consiglio dei Ministri  a  reintegrare  il  ricorrente
nelle funzioni attribuite con l'incarico conferito in data 16  maggio
2005, cui accedeva il contratto individuale di lavoro  ed  avente  ad
oggetto la direzione del Servizio per il miglioramento della qualita'
e dell'efficacia del sistema formativo pubblico dell'Ufficio  per  la
formazione del personale delle  pubbliche  amministrazioni  istituito
presso il Dipartimento della funzione pubblica sino alla sua scadenza
prevista per il 16 maggio 2010 ovvero alla reintegrazione in funzioni
equivalenti, oltre al  risarcimento  del  danno  corrispondente  alla
differenza  tra  la  retribuzione  corrisposta   per   l'espletamento
dell'incarico dirigenziale e quella percepita  dal  ricorrente  dalla
data di cessazione del rapporto di lavoro sino alla reintegra. 
    Si e' costituita in giudizio  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri eccependo, innanzitutto, che  la  domanda  di  nullita'  del
recesso per violazione dell'art. 1345 c.c. e' fondata sulle  medesime
circostanze oggetto di altra precedente domanda definita con sentenza
n. 12824/09 del Tribunale di Roma - GL, che ha rigettato  il  ricorso
proposto dal ricorrente, e gia' sopra citato, al fine di accertare la
responsabilita' della Presidenza del Consiglio dei Ministri a  titolo
di responsabilita'  contrattuale  per  i  danni  patrimoniali  e  non
patrimoniali  cagionati;  ha  eccepito,  in   ogni   caso,   che   il
provvedimento di cessazione dell'incarico  impugnato  non  ha  natura
ritorsiva atteso che, in data 1° dicembre 2006, l'amministrazione  ha
provveduto alla conferma  dell'incarico  dirigenziale  attribuito  al
ricorrente con decreto del 18 maggio 2005, pur essendo tale  incarico
prossimo alla cessazione ope legis ai sensi dell'art.  2,  comma  161
del d.l. n. 262/06 conv.  con  modif.  dall'art.  1  della  legge  n.
286/06, recante la cd. prima applicazione della novella dell'art. 19,
comma 8 del  d.lgs.  n.  165/01,  e  che  tale  circostanza  dimostra
l'assenza di una volonta' ritorsiva  dell'amministrazione  convenuta;
ha dedotto, poi, che la  cessazione  dell'incarico  dirigenziale  del
ricorrente e' stata disposta in ossequio al  disposto  dell'art.  19,
comma 8 del d.lgs. n. 165/01, ha contestato l'eccepita illegittimita'
costituzionale della norma  applicata  sulla  base  delle  analitiche
considerazioni svolte in memoria ed ha dedotto l'insussistenza di  un
comportamento colpevole o negligente o illecito  dell'amministrazione
in ordine al recesso impugnato atteso che la stessa ha  applicato  la
normativa vigente, la quale ha introdotto una causa di impossibilita'
sopravvenuta della  prosecuzione  degli  incarichi  dirigenziali  per
factum principis, nonche' di un obbligo  risarcitorio;  ha  concluso,
quindi, l'amministrazione per il rigetto del ricorso. 
 
                             In diritto 
 
    Si osserva che la fattispecie oggetto  del  giudizio  involge  la
necessita' per il giudice di valutare  la  legittimita'  del  recesso
dell'amministrazione convenuta dall'incarico  dirigenziale  conferito
al ricorrente con decreto del 18 maggio  2005  della  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, avente
ad oggetto la direzione  del  servizio  per  il  miglioramento  della
qualita' ed efficacia del sistema formativo pubblico dell'Ufficio per
la formazione del personale delle pubbliche  amministrazioni  UFPPA),
istituito presso il  Dipartimento  della  Funzione  Pubblica,  avente
durata quinquennale dal 16 maggio 2005 al 16 ottobre 2010 ed  il  cui
trattamento economico e' stato definito con contratto  individuale  a
tempo  determinato  stipulato  in  pari  data;  e'   incontestato   e
documentato  in  atti   che   il   ricorrente   e'   un   funzionario
amministrativo del ruolo del Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti - inquadrato nell'area C - posizione economica C2 del ruolo
di tale Ministero e che l'incarico dirigenziale non generale  de  quo
e' stato attribuito ai sensi dell'art. 19,  comma  6  del  d.lgs.  n.
165/01, entro i limiti della  dotazione  organica  dei  dirigenti  di
prima e di seconda fascia ivi prevista, a soggetto  non  appartenente
ai   ruoli   dirigenziali   dell'amministrazione    conferente    ne'
dell'amministrazione di provenienza istituiti ai sensi  dell'art.  23
del d.lgs. n. 165/01. 
    E'   incontestato,   poi,   e   documentalmente    provato    che
l'amministrazione convenuta, in data 1° dicembre 2006, ha  provveduto
alla conferma dell'incarico dirigenziale attribuito al ricorrente con
decreto del 18 maggio 2005, pur essendo tale incarico  prossimo  alla
cessazione ope legis ai sensi dell'art. 2,  comma  161  del  d.l.  n.
262/06 conv. con modif. in legge n.  286/06,  ed  ha  successivamente
comunicato al ricorrente la cessazione dell'incarico a decorrere  dal
13 agosto 2008 in virtu' del  disposto  dell'art.  19,  comma  8  del
d.lgs. n. 165/01, che, a seguito delle modificazioni subite in virtu'
dell'art. 3, comma 1, lett. i) della legge n. 145/02 e  dell'art.  2,
comma 159 del d.l. n. 262/06 conv. con modif.  in  legge  n.  286/06,
prevede che gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3,
al comma 5-bis, limitatamente al personale non appartenente ai  ruoli
di cui all'art. 23, ed al comma 6 (come nella specie) cessano decorsi
novanta giorni dal voto sulla fiducia del Governo. 
    Giova,  altresi',  rammentare  ai  fini  della  rilevanza   della
questione  di  legittimita'  costituzionale  proposta  che,  in   via
principale, il ricorrente ha chiesto dichiarare l'illegittimita'  del
provvedimento   di   cessazione   dell'incarico   e   dell'anticipata
cessazione del rapporto di lavoro  comunicata  dalla  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri con lettera datata 13 agosto 2008 previa,  ove
occorra, rimessione della questione  di  legittimita'  costituzionale
del comma 8 dell'art. 19 del d.lgs. n.  165/01  nella  parte  in  cui
prevede che gli incarichi di funzione dirigenziale di  cui  al  comma
5-bis ed al comma 6 cessano decorsi novanta  giorni  dal  voto  sulla
fiducia al Governo per contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost.  e,  per
l'effetto, condannare la Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  a
reintegrarlo  nelle  funzioni  attribuite  con  l'incarico  conferito
ovvero  alla  reintegrazione  in  funzioni  equivalenti  nonche'   al
risarcimento  del  danno  corrispondente  alla  differenza   tra   la
retribuzione    corrisposta    per    l'espletamento    dell'incarico
dirigenziale  e  quella  percepita  dal  ricorrente  dalla  data   di
cessazione del rapporto sino alla reintegrazione. 
    Occorre, poi, osservare che l'art.  2,  comma  159  del  d.l.  n.
262/06  citato  (Disposizioni  urgenti  in   materia   tributaria   e
finanziaria) conv. con modif. in legge n. 286/06, modificando  l'art.
19, comma 8 del d.lgs. n. 165/01, ha previsto, in via  ordinaria,  la
cessazione automatica degli incarichi dirigenziali alla scadenza  del
termine di novanta giorni dal voto di fiducia al Governo,  estendendo
agli incarichi dirigenziali conferiti ai  sensi  dell'art.  19  comma
5-bis e comma 6 del d.lgs. citato il regime di cessazione  automatica
gia'  previsto  dal  medesimo  art.  19,  comma  8,  come  sostituito
dall'art. 3, comma  1  lett.  i)  della  legge  n.  145/02,  per  gli
incarichi dirigenziali conferiti ai sensi del comma  3  del  medesimo
art. 19. 
    Quindi la disciplina cd. «a regime» introdotta dall'art. 2, comma
159 del d.l.  n.  262/06  citato  ha  previsto  l'introduzione  della
cessazione automatica degli incarichi dopo novanta  giorni  dal  voto
sulla fiducia al governo non solo per i dirigenti apicali  (segretari
generali e capi dipartimento) ma anche per i  dirigenti  non  apicali
(generali  e  non)  esterni,  cioe'   non   appartenenti   al   ruolo
dell'amministrazione alla quale sono stati assegnati come dirigenti o
non appartenenti alla pubblica amministrazione ed incaricato ai sensi
dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. n. 165/01  per  le  sue  particolari
qualita' professionali. 
    Peraltro l'art. 2, comma 161 del d.l. n. 262/06 ha anche previsto
la disciplina «transitoria» dell'art. 19, comma 8 come modificato dal
d.l. n. 262/06 citato, prevedendo in sede di  prima  applicazione  la
cessazione  degli  incarichi  dirigenziali  conferiti  ai  sensi  del
medesimo articolo prima del 17 maggio 2006 ove non  confermati  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del  d.l.  citato.  E
nella fattispecie e' incontestato tra le parti che  l'amministrazione
convenuta abbia fatto applicazione anche di tale  norma,  confermando
in  data  1°  dicembre  2006  l'incarico  dirigenziale  conferito  al
ricorrente oggetto del giudizio. 
    Da ultimo l'art. 40, lett. g) del d.lgs. n.  150/09  ha  disposto
che al comma 8 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165/01  sono  soppresse  le
parole «al comma 5-bis, limitatamente al  personale  appartenente  ai
ruoli di cui all'art. 23,  ed  al  comma  6»,  conseguendone  che,  a
decorrere dall'entrata in vigore di tale norma,  non  opera  piu'  la
cessazione automatica degli incarichi dirigenziali di  cui  al  comma
5-bis ed al  comma  6  dell'art.  19  citato,  mentre  la  disciplina
previgente continua ad operare per  le  cessazioni,  come  quella  in
esame, verificatesi prima della decorrenza indicata  sulla  base  del
principio di cui all'art. 11 delle preleggi «tempus regit actum»). 
    Senonche' in riferimento alla sola normativa transitoria la Corte
costituzionale,   con   sentenza   n.   161/2008,    ha    dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.   2,   comma   161,   del
decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia
tributaria e finanziaria), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1. della legge 24 novembre 2006, n. 286, nella parte in  cui
dispone che gli incarichi conferiti al personale non appartenente  ai
ruoli di cui all'art. 23 del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), «conferiti  prima  del  17  maggio  2006,
cessano ove non  confermati  entro  sessanta  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto». E  nella  motivazione  della
sentenza la Corte ha affermato: 
        «...Innanzitutto,  i  predetti   incarichi   possono   essere
attribuiti a personale inserito nel cosiddetto "ruolo dei dirigenti",
istituito presso ciascuna amministrazione statale e articolato in due
fasce (art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001) . 
    In  secondo  luogo,  le  funzioni  dirigenziali  possono   essere
conferite, entro il limite del 10 per cento della dotazione  organica
dei dirigenti  appartenenti  alla  prima  fascia  dei  ruoli  di  cui
all'art. 23, e del 5 per cento della dotazione organica di quelli  di
seconda fascia, «anche ai dirigenti non appartenenti ai ruoli di  cui
al   medesimo   articolo   23»,   purche'   dipendenti   da   «altre»
amministrazioni pubbliche (art. 19, comma 5-bis, del citato d.lgs. n.
165 del 2001), vale a dire da amministrazioni dello Stato diverse  da
quelle nel cui ambito e' collocato il posto da conferire. 
    Infine, e' prevista la possibilita' che ciascuna  amministrazione
attribuisca la titolarita'  di  tali  uffici  dirigenziali,  a  tempo
determinato, a «persone di particolare  e  comprovata  qualificazione
professionale», in possesso dei requisiti specificamente previsti dal
comma 6 dello stesso art. 19, cioe'  a  soggetti  estranei,  all'atto
della nomina, alle amministrazioni statali. 
    In questa sede vengono in rilievo soltanto gli incarichi relativi
alla  seconda  delle  tipologie  indicate  e  dunque  quelli  esterni
conferiti  a  personale   dipendente   da   «altre»   amministrazioni
pubbliche: il ricorrente, infatti, essendo un dirigente  «di  seconda
fascia» appartenente  al  personale  della  carriera  prefettizia,  e
quindi al «personale in regime di diritto pubblico» (art. 3, comma 1,
del d.lgs. n. 165 del 2001), non  rientra  nel  novero  dei  soggetti
inseriti nei «ruoli di cui all'art. 23», ne' puo' essere  considerato
gia'  facente  parte,   all'atto   del   conferimento   dell'incarico
dirigenziale, di  nessuna  amministrazione  pubblica  e  tuttavia  in
possesso di particolare e comprovata qualificazione professionale. 
    3.2.- In tale contesto si inserisce la disposizione censurata  la
quale, stabilendo,  con  norma  transitoria,  che  gli  incarichi  di
funzioni dirigenziali in esame  "cessano  ove  non  confermati  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore" del decreto-legge n.
262 del 2006, contempla un meccanismo di spoils system  automatico  e
una tantum. 
    Sul punto, deve rilevarsi che questa Corte, con  la  sentenza  n.
103  del  2007,  ha  dichiarato  la   illegittimita'   costituzionale
dell'art.  3,  comma  7,  della  legge  15  luglio   2002,   n.   145
(Disposizioni per il riordino della dirigenze statale e per  favorire
lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato),  il
quale prevedeva la cessazione automatica, ex  lege  e  generalizzata,
degli incarichi dirigenziali interni di livello generale  al  momento
dello spirare del termine di sessanta giorni dall'entrata  in  vigore
della stessa legge n. 145 del 2002. 
    La disposizione ora censurata prevede una  ipotesi  di  decadenza
che, rispetto alla fattispecie gia' scrutinata da questa Corte con la
citata sentenza n. 103 del 2007, si connota per avere  stabilito,  da
un lato, la cessazione anticipata dall'incarico di dirigenti  esterni
dipendenti da «altre» amministrazioni; dall'altro, per l'attribuzione
all'organo politico del potere di  conferma  nel  predefinito  spazio
temporale di sessanta giorni delle funzioni dirigenziali  di  livello
generale in corso di espletamento. 
    Ai fini della  risoluzione  della  questione  sollevata,  occorre
verificare se la sussistenza delle suddette differenze sia idonea  ad
incidere  sulla  legittimita'  costituzionale   del   meccanismo   di
decadenza  contemplato  dalla  disposizione  censurata  e  dunque   a
diversificare la presente fattispecie da  quella  scrutinata  con  la
citata sentenza n. 103 del 2007. 
    A tale proposito, in relazione al primo  profilo  afferente  alla
natura del soggetto al quale l'incarico  sia  stato  conferito,  deve
rilevarsi che il rapporto di lavoro  che  l'amministrazione  instaura
con soggetti inseriti nei ruoli di cui all'art. 23 del d.lgs. n.  165
del 2001, vale a dire con  personale  gia'  dipendente  dalla  stessa
amministrazione  conferente,  rispetto  al  contratto  stipulato  con
personale esterno dipendente da «altre» amministrazioni pubbliche, si
caratterizza  esclusivamente  per  il  peculiare  atteggiarsi   della
relazione esistente tra rapporto di servizio e rapporto di ufficio. 
    Nel primo caso, infatti, l'atto di conferimento dell'incarico  ai
dirigenti di ruolo e il contratto  individuale  cui  esso  accede  si
innestano, con funzione integrativa, su un rapporto di servizio  gia'
esistente con l'amministrazione statale. 
    Nella seconda fattispecie, invece, l'atto di attribuzione di  una
determinata  funzione   dirigenziale   e   il   correlato   contratto
individuale,  avente  ad  oggetto  la  definizione  del   trattamento
economico, hanno una loro autonomia, atteso che il personale  esterno
dipendente da «altre» amministrazioni  statali  mantiene  la  propria
specifica fonte di regolazione del rapporto base. 
    E' evidente come le  descritte  diversita'  strutturali  relative
alle modalita' di  conferimento  dei  suddetti  incarichi  non  siano
idonee a determinare, contrariamente a quanto sostenuto dalla  difesa
dello  Stato,  l'applicazione  di   principi   diversi,   sul   piano
funzionale, in relazione alla distinzione tra attivita' di  indirizzo
politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti. 
    Anche per i dirigenti esterni il rapporto  di  lavoro  instaurato
con l'amministrazione che attribuisce l'incarico deve essere  -  come
questa Corte ha gia' avuto modo di affermare con la  citata  sentenza
n. 103 del  2007  -  «connotato  da  specifiche  garanzie,  le  quali
presuppongono che esso sia regolato in modo  tale  da  assicurare  la
tendenziale  continuita'  dell'azione  amministrativa  e  una  chiara
distinzione    funzionale    tra    i    compiti     di     indirizzo
politico-amministrativo e  quelli  di  gestione».  Nella  specie,  il
rapporto di lavoro dirigenziale in corso, che avrebbe  dovuto  avere,
per  contratto,  una  durata  quinquennale,   e'   stato   interrotto
automaticamente dopo soltanto poco piu' di un anno dal suo  effettivo
inizio. 
    Deve, pertanto, ribadirsi che il rispetto dei  suddetti  principi
e' necessario al fine di garantire che «il dirigente  generale  possa
espletare la propria attivita' - nel corso e nei limiti della  durata
predeterminata  dell'incarico  -  in  conformita'  ai   principi   di
imparzialita' e di buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97
Cost.)». Tali principi stanno «alla  base  della  stessa  distinzione
funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e cioe'  tra
l'azione di governo - che e' normalmente legata alle impostazioni  di
una parte politica,  espressione  delle  forze  di  maggioranza  -  e
l'azione    dell'amministrazione,    la    quale,     nell'attuazione
dell'indirizzo politico della maggioranza, e' vincolata,  invece,  ad
agire senza distinzioni di parti  politiche  e  dunque  al  "servizio
esclusivo della Nazione" (art. 98 Cost.), al fine  del  perseguimento
delle finalita' pubbliche obiettivate dall'ordinamento» (sentenza  n.
103 del 2007). 
    In  definitiva,  dunque,  la  natura  esterna  dell'incarico  non
costituisce un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario
il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato,
sul piano funzionale, da una netta e chiara separazione tra attivita'
di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie. 
    La seconda differenza, rispetto alla fattispecie gia'  scrutinata
da questa Corte con la sentenza n. 103 del 2007,  e'  costituita  dal
fatto  che  nella  vicenda  ora  in  esame  l'organo  politico   puo'
esercitare il potere di conferma entro sessanta  giorni.  Anche  tale
differenza non e', pero', idonea, di per se', contrariamente a quanto
sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato,  a  diversificare  le
fattispecie in esame e conseguentemente il relativo regime giuridico.
Il potere ministeriale  di  conferma  non  attribuisce,  infatti,  al
rapporto  dirigenziale  in  corso  alcuna   garanzia   di   autonomia
funzionale, atteso che dalla mancata conferma la legge fa derivare la
decadenza  automatica  senza   alcuna   possibilita'   di   controllo
giurisdizionale. 
    Ne' puo' essere seguita la tesi prospettata  dalla  difesa  dello
Stato, ripresa nel  corso  della  udienza  pubblica  di  discussione,
secondo  cui   la   disposizione   contenuta   nel   comma   161   si
caratterizzerebbe in modo peculiare rispetto a quella gia' oggetto di
esame da parte di questa Corte,  in  quanto  rinverrebbe  la  propria
giustificazione nell'esigenza di contenimento  della  spesa  pubblica
che permea l'intera legge finanziaria, nella  quale  la  disposizione
ora censurata risulta inserita. 
    A tale proposito, deve rilevarsi come il solo fatto che la  norma
censurata  si  trovi  collocata  in  un   provvedimento   legislativo
incidente in ambito  finanziario  non  comporta  necessariamente  che
scopo della nuova disciplina sia quello del contenimento della  spesa
pubblica, quando - come nel caso in esame - tale  finalizzazione  non
emerga dal testo della disposizione oggetto di censura. 
    3.3.- Alla luce  delle  considerazioni  sin  qui  esposte,  deve,
pertanto, ritenersi che la norma denunciata, prevedendo la  immediata
cessazione del rapporto dirigenziale alla scadenza  del  sessantesimo
giorno dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 262 del  2006,  in
mancanza  di  riconferma,  violi,  in  carenza  di  idonee   garanzie
procedimentali,  i  principi  costituzionali  di  buon  andamento   e
imparzialita'  e,  in  particolare,  «il  principio  di   continuita'
dell'azione amministrativa che e' strettamente correlato a quello  di
buon andamento dell'azione stessa» (sentenza n. 103 del 2007). 
    Cio' in quanto la previsione di una anticipata cessazione ex lege
del rapporto in corso - in assenza di una  accertata  responsabilita'
dirigenziale  -  impedisce  che  l'attivita'  del   dirigente   possa
espletarsi in  conformita'  ad  un  nuovo  modello  di  azione  della
pubblica amministrazione, disegnato dalle recenti leggi riforma della
pubblica  amministrazione,  che  misura   l'osservanza   del   canone
dell'efficacia e dell'efficienza «alla  luce  dei  risultati  che  il
dirigente deve perseguire, nel rispetto  degli  indirizzi  posti  dal
vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato,
modulato  in  ragione  della  peculiarita'  della  singola  posizione
dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita»
(sentenza n. 103 del 2007). 
    E' necessario, pertanto, garantire «la  presenza  di  un  momento
procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito  del
quale, da un lato, l'amministrazione esterni le  ragioni  -  connesse
alle  pregresse  modalita'  di  svolgimento  del  rapporto  anche  in
relazione  agli   obiettivi   programmati   dalla   nuova   compagine
governativa - per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione
sino  alla  scadenza  contrattualmente   prevista;   dall'altro,   al
dirigente sia assicurata la possibilita' di far valere il diritto  di
difesa, prospettando i risultati delle proprie  prestazioni  e  delle
competenze  organizzative  esercitate  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi posti dall'organo  politico  e  individuati,  appunto,  nel
contratto a suo tempo stipulato» (sentenza n. 103 del 2007). 
    L'esistenza di una preventiva fase valutativa,  ha  puntualizzato
la Corte con la suindicata sentenza, risulta  «essenziale  anche  per
assicurare, specie dopo l'entrata in  vigore  della  legge  7  agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi),  come  modificata
dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, il  rispetto  dei  principi  del
giusto procedimento, all'esito del quale dovra'  essere  adottato  un
atto motivato che, a  prescindere  dalla  sua  natura  giuridica,  di
diritto pubblico o di diritto privato, consenta comunque un controllo
giurisdizionale. Cio' anche al fine  di  garantire  -  attraverso  la
esternazione delle ragioni che stanno alla base della  determinazione
assunta dall'organo politico - scelte trasparenti e verificabili,  in
grado  di  consentire  la  prosecuzione  dell'attivita'  gestoria  in
ossequio al precetto costituzionale della  imparzialita'  dell'azione
amministrativa». 
    Successivamente, con sentenza n. 81/2010, la Corte costituzionale
ha dichiarato, altresi', l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2,
comma 161, del decreto-legge 3 ottobre  2006,  n.  262  (Disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,   con
modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, nella  parte  in
cui dispone che gli incarichi conferiti al personale di cui al  comma
6, dell'art. 19, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche),  conferiti  prima  del  17  maggio  2006,
«cessano ove non confermati  entro  sessanta  giorni  dalla  data  di
entrata  in  vigore  del  presente  decreto»,  cosi'  affermando   in
motivazione: 
    «Al fine di chiarire la  portata  della  disposizione  impugnata,
occorre, innanzitutto, sottolineare che l'art. 19 del  citato  d.lgs.
n. 165 del 2001, contempla tre tipologie  di  funzioni  dirigenziali,
collocate in ordine decrescente di rilevanza e di  maggiore  coesione
con l'organo politico. 
    Innanzitutto, sono previsti «gli incarichi di segretario generale
di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture  articolate  al
loro interno in uffici dirigenziali  generali  e  quelli  di  livello
equivalente»: si tratta delle  attribuzioni  dirigenziali  «apicali»,
conferite  con  decreto  del  Presidente  della  Repubblica,   previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, su  proposta  del  Ministro
competente (art. 19, comma 3). 
    Sono poi disciplinati «gli incarichi di funzione dirigenziale  di
livello  generale»,  attribuiti  con  decreto  del   Presidente   del
Consiglio dei ministri, su proposta del  Ministro  competente  (comma
4). 
    Infine, sono previsti gli  incarichi  di  direzione  degli  altri
uffici di livello dirigenziale, conferiti "dal dirigente dell'ufficio
di livello dirigenziale generale". 
    5.1.-  I  predetti  incarichi  possono  poi  essere  conferiti  a
soggetti  che  si  trovino  in  una  particolare  posizione  rispetto
all'amministrazione che attribuisce la relativa funzione. 
    In primo luogo, l'incarico puo'  essere  attribuito  a  personale
inserito  nel  «ruolo  dei  dirigenti»,  istituito  presso   ciascuna
amministrazione statale e articolato  in  due  fasce  (art.  23,  del
d.lgs. n. 165 del 2001). 
    In  secondo  luogo,  le  funzioni  dirigenziali  possono   essere
conferite,  entro  limiti  percentuali  predeterminati,   "anche   ai
dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui al medesimo articolo  23",
purche' dipendenti da altre amministrazioni pubbliche, vale a dire da
amministrazioni dello Stato diverse  da  quelle  nel  cui  ambito  e'
collocato il posto da conferire (art. 19, comma 5-bis, del d.lgs.  n.
165 del 2001). 
    Infine, e' prevista  la  possibilita',  sempre  nel  rispetto  di
soglie  prefissate,  che  ciascuna  amministrazione  attribuisca   la
titolarita' di uffici dirigenziali, a tempo  determinato,  fornendone
esplicita  motivazione,  a  "persone  di  particolare  e   comprovata
qualificazione   professionale,    non    rinvenibile    nei    ruoli
dell'amministrazione, che abbiano svolto attivita'  in  organismi  ed
enti pubblici o  privati  ovvero  aziende  pubbliche  o  private  con
esperienza  acquisita  per  almeno   un   quinquennio   in   funzioni
dirigenziali,   o   che   abbiano    conseguito    una    particolare
specializzazione professionale, culturale  e  scientifica  desumibile
dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da  pubblicazioni
scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate  per  almeno
un quinquennio, anche presso amministrazioni  statali,  ivi  comprese
quelle  che  conferiscono  gli  incarichi,  in  posizioni  funzionali
previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano  dai  settori
della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e  dei
ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato" (art.  19,  comma  6,
del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato, da ultimo, dall'art.  40
del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, recante  "Attuazione
della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di  ottimizzazione  della
produttivita' del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni"). 
    5.2. - Nel caso  in  esame,  viene  in  rilievo  un  incarico  di
direzione di uffici di livello dirigenziale non generale, attribuito,
ai sensi del predetto comma  6,  dell'art.  19,  a  soggetto  esterno
all'amministrazione conferente, non dipendente,  come  dirigente,  da
altra amministrazione. 
    In relazione a tale tipologia di  incarico,  la  norma  impugnata
contempla una ipotesi di spoils system transitorio, con  interruzione
ex lege del rapporto dirigenziale in corso ove l'interessato non  sia
confermato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore dello  stesso
decreto-legge n. 262 del 2006. 
    E'  bene  aggiungere  che,  con  riferimento  alle   attribuzioni
dirigenziali "esterne", il comma 8, dell'art. 19, del d.lgs.  n.  165
del 2001, come modificato dal comma 159, del decreto-legge n. 262 del
2006, prevede anche una ipotesi di spoils system a regime, stabilendo
che tali attribuzioni "cessano decorsi novanta giorni dal voto  sulla
fiducia al Governo". 
    A tale ultimo proposito, va osservato che il citato art.  40  del
d.lgs. n. 150 del 2009 ha abrogato la parte  contenuta  nel  predetto
comma 8 dell'art. 19, che ha esteso il sistema  di  spoils  system  a
regime anche «al personale di cui al comma  5-bis,  limitatamente  al
personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23,  e  al  comma
6».   Tuttavia   la   predetta   abrogazione,   essendo    successiva
all'emanazione degli atti oggetto di censura nel processo a quo,  non
e' idonea ad incidere sul quadro  normativo  rilevante  nel  presente
giudizio. 
    5.3. - In definitiva, alla luce di quanto  sin  qui  esposto,  la
questione  sottoposta  all'esame  di  questa   Corte   attiene   alla
conformita' agli artt. 97 e 98 della  Costituzione  della  norma  che
prevede un sistema di spoglie transitorio applicato a persone esterne
all'amministrazione conferente, non dipendente,  come  dirigente,  da
altra amministrazione, al quale sia  stata  attribuita  una  funzione
dirigenziale di livello non generale. 
    6. - Questa Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  affermare,  con  la
sentenza n. 103  del  2007,  che  la  previsione  di  una  cessazione
automatica, ex lege e  generalizzata,  degli  incarichi  dirigenziali
"interni" di livello generale viola, in carenza  di  idonee  garanzie
procedimentali,  i  principi  costituzionali  di  buon  andamento   e
imparzialita'  e,  in  particolare,  "il  principio  di   continuita'
dell'azione amministrativa che e' strettamente correlato a quello  di
buon andamento dell'azione stessa". 
    6.1. - Con la sentenza n. 161 del 2008, inoltre, si e'  precisato
che  questi  principi  valgono  anche  in   presenza   di   incarichi
dirigenziali conferiti "al personale non appartenente ai ruoli di cui
all'art. 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165". 
    In particolare, si e' osservato come, in tali casi,  la  mancanza
di un previo rapporto di servizio  con  l'amministrazione  conferente
non sia idonea ad incidere sulle regole di distinzione tra  attivita'
di indirizzo politico-amministrativo e compiti gestori dei  dirigenti
e conseguentemente sull'applicabilita'  dei  principi  costituzionali
sopra richiamati. In altri  termini,  questa  Corte  ha  rilevato  la
ininfluenza,  sul  piano  funzionale,  del  fatto   che   l'atto   di
attribuzione di una determinata funzione dirigenziale ad un dirigente
esterno,  dipendente  di  altra  amministrazione,  e   il   correlato
contratto individuale non si  innestino  su  un  rapporto  di  lavoro
dirigenziale gia' esistente con la stessa amministrazione. 
    E' bene inoltre aggiungere, richiamando quanto gia'  sottolineato
con la citata sentenza n. 161 del 2008,  come  la  previsione  di  un
potere di conferma entro sessanta giorni non sia anch'essa in  grado,
di per se', di diversificare  la  fattispecie  in  esame  rispetto  a
quella oggetto di scrutinio  con  la  sentenza  n.  103  del  2007  e
conseguentemente il relativo regime giuridico. Il potere ministeriale
di conferma non attribuisce, infatti,  al  rapporto  dirigenziale  in
corso alcuna garanzia  di  autonomia  funzionale,  atteso  che  dalla
mancata conferma la legge fa derivare la decadenza  automatica  senza
alcuna possibilita' di controllo giurisdizionale. 
    6.2. - Quanto sopra vale, per le medesime ragioni,  anche  quando
l'incarico dirigenziale esterno, nella specie non generale, sia stato
conferito non a dirigenti dipendenti da altre amministrazioni,  ma  a
soggetti privi di status dirigenziale,  che  abbiano  "particolare  e
comprovata qualificazione professionale", che non sia rinvenibile nei
ruoli dell'amministrazione, e che rientrino, quindi, nella  categoria
indicata specificamente nel comma 6, dell'art. 19 citato. 
    Anche, dunque, per la  tipologia  di  incarichi  che  vengono  in
rilievo in questa sede - come questa Corte  ha  gia'  avuto  modo  di
affermare con le citate sentenze n. 161 del 2008 e n. 103 del 2007  -
il  rapporto  di  lavoro   instaurato   con   l'amministrazione   che
attribuisce la relativa funzione deve essere «connotato da specifiche
garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in  modo  tale
da assicurare la tendenziale continuita' dell'azione amministrativa e
una  chiara  distinzione  funzionale  tra  i  compiti  di   indirizzo
politico-amministrativo e quelli di gestione». 
    Deve, pertanto,  ritenersi,  in  continuita'  logica  con  quanto
affermato  dalle  due  suindicate  pronunce,  che  anche   la   norma
denunciata,  prevedendo  la   immediata   cessazione   del   rapporto
dirigenziale alla scadenza del sessantesimo  giorno  dall'entrata  in
vigore del decreto-legge n. 262 del 2006, in mancanza di  riconferma,
violi, in carenza  di  idonee  garanzie  procedimentali,  i  principi
costituzionali di buon andamento e imparzialita' e,  in  particolare,
"il  principio  di  continuita'  dell'azione  amministrativa  che  e'
strettamente  correlato  a  quello  di  buon  andamento   dell'azione
stessa". 
    Cio' in quanto la previsione di una anticipata cessazione ex lege
del rapporto in corso - in assenza di una  accertata  responsabilita'
dirigenziale  -  impedisce  che  l'attivita'  del   dirigente   possa
espletarsi in  conformita'  ad  un  nuovo  modello  di  azione  della
pubblica amministrazione, disegnato dalle recenti  leggi  di  riforma
della pubblica amministrazione, che misura  l'osservanza  del  canone
dell'efficacia e dell'efficienza  alla  luce  dei  risultati  che  il
dirigente deve perseguire, nel rispetto  degli  indirizzi  posti  dal
vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato,
modulato  in  ragione  della  peculiarita'  della  singola  posizione
dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita. 
    E' necessario, pertanto, garantire, come  questa  Corte  ha  gia'
chiarito, "la presenza di  un  momento  procedimentale  di  confronto
dialettico  tra  le  parti,  nell'ambito  del  quale,  da  un   lato,
l'amministrazione  esterni  le  ragioni  -  connesse  alle  pregresse
modalita'  di  svolgimento  del  rapporto  anche  in  relazione  agli
obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa per le  quali
ritenga  di  non  consentirne  la  prosecuzione  sino  alla  scadenza
contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la
possibilita' di far valere  il  diritto  di  difesa,  prospettando  i
risultati delle proprie prestazioni e delle competenze  organizzative
esercitate per il raggiungimento degli  obiettivi  posti  dall'organo
politico  e  individuati,  appunto,  nel  contratto   a   suo   tempo
stipulato". 
    L'esistenza di una preventiva fase valutativa - ha  puntualizzato
la Corte con le suindicate sentenze - risulta  essenziale  anche  per
assicurare, specie dopo l'entrata in  vigore  della  legge  7  agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi), "il rispetto  dei
principi del giusto procedimento, all'esito del quale  dovra'  essere
adottato un  atto  motivato  che,  a  prescindere  dalla  sua  natura
giuridica,  di  diritto  pubblico  o  di  diritto  privato,  consenta
comunque  un  controllo  giurisdizionale.  Cio'  anche  al  fine   di
garantire - attraverso la esternazione delle ragioni che stanno  alla
base della  determinazione  assunta  dall'organo  politico  -  scelte
trasparenti e verificabili, in grado di  consentire  la  prosecuzione
dell'attivita' gestoria in ossequio al precetto costituzionale  della
imparzialita' dell'azione amministrativa". 
    In definitiva, in presenza di tali incarichi - che devono  essere
sempre conferiti nel rigoroso rispetto  delle  condizioni  prescritte
dal comma 6, dell'art. 19, le quali impongono, tra l'altro,  che  "la
professionalita' vantata dal soggetto esterno non sia rinvenibile nei
ruoli   dell'amministrazione"   (sentenza   n.   9   del   2010)    -
l'amministrazione  stessa  e'  tenuta  a  garantire  la   distinzione
funzionale tra  attivita'  di  indirizzo  politico  amministrativo  e
attivita' gestionale, in attuazione dei  principi  costituzionali  di
buon andamento e imparzialita' dell'azione dei pubblici poteri.». 
    Le considerazioni sopra esposte  poste  a  base  delle  decisioni
citate, in particolare in  relazione  alle  specifiche  garanzie  che
connotano  gli  incarichi  dirigenziali  in  modo  da  assicurare  la
tendenziale continuita'  dell'azione  amministrativa  ed  una  chiara
distinzione  funzionale  tra  i  compiti  di  indirizzo  politico   -
amministrativo e quelli di gestione, alla necessita' di garantire  al
dirigente l'espletamento dell'attivita' in conformita' ai principi di
imparzialita' e di buon andamento dell'azione amministrativa ex  art.
97 Cost., alla correlazione  stretta  del  principio  di  continuita'
dell'azione amministrativa con quello di buon andamento della stessa,
alla necessita' di garantire un momento procedimentale  di  confronto
dialettico tra le parti e  di  una  preventiva  fase  valutativa  con
conseguente  necessita'  di  emissione  di  atto  espresso   motivato
relativo al  recesso  dall'incarico,  dovendosi  ritenere  necessaria
l'esternalizzazione  delle  ragioni  che  giustificano   la   mancata
conferma del dirigente anche al fine di  garantire  il  diritto  alla
tutela giurisdizionale di  quest'ultimo  nei  confronti  di  un  atto
datoriale lesivo, all'inidoneita' della natura esterna  dell'incarico
a connotare in senso fiduciario il rapporto  di  lavoro  dirigenziale
che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una  netta
separazione tra  attivita'  di  indirizzo  politico-amministrativo  e
funzioni gestorie, sono applicabili anche alla fattispecie in  esame,
comportando l'illegittimita' della disciplina denunciata sotto i vari
profili esaustivamente affrontati dalla giurisprudenza costituzionale
relativi alla  violazione  del  principio  di  imparzialita'  e  buon
andamento dell'azione amministrativa. 
    Anche la piu' recente giurisprudenza della  Corte  costituzionale
(cfr. sentenza n. 304/2010)  ha,  a  tal  proposito,  confermato  che
perche' possa in concreto operare la differenziazione di  compiti  di
indirizzo  politico  e  di  compiti  di   amministrazione   di   tipo
dirigenziale e'  necessario  che  il  rapporto  di  ufficio,  pur  se
caratterizzato dalla temporaneita' dell'incarico,  sia  connotato  da
specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato  in
modo tale da assicurare l'effettivo rispetto  dei  principi  previsti
dall'art. 97 Cost. (cfr. anche Corte cost. n. 103/07) e che in questa
prospettiva  i  meccanismi  di  decadenza  automatica  dei   predetti
rapporti in corso si pongono in contrasto  con  l'indicato  parametro
costituzionale in  quanto  pregiudicano  la  continuita'  dell'azione
amministrativa,  introducono   in   quest'ultima   un   elemento   di
parzialita',   sottraggono   al    soggetto    dichiarato    decaduto
dall'incarico le garanzie del giusto  procedimento  e  svincolano  la
rimozione del dirigente  dall'accertamento  oggettivo  dei  risultati
conseguiti. 
    E   l'estensione   del   sistema   di   caducazione    automatica
dell'incarico gia' previsto per i dirigenti apicali dall'art. 3 della
legge n. 145/2002 ai dirigenti non apicali,  di  livello  generale  e
non, esterni operata dall'art. 2, comma 159 del d.l. n. 262/06  conv.
in legge n. 286/06 anche in dottrina non e' apparsa coerente  con  la
ratio di  fondo  del  sistema  di  cd.  spoils  system  «giacche'  la
fissazione della linea di confine tra indirizzo politico ed attivita'
di gestione amministrativa risulta essere segnata in modo asimmetrico
essendo si' in generale collocata,come e' giusto che sia, al  vertice
della dirigenza apicale, ma con un tracciato che  poi,  nel  caso  di
dirigenti "esterni", va ad inglobare anche dirigenti generali  e  non
con possibile compromissione, in quest'ultimo caso, del principio  di
continuita' dell'azione amministrativa e di  autonomia  della  stessa
gestione  amministrativa»   Giovanni   Amoroso   -   nota   a   Corte
costituzionale - sentenza n. 161/2008 - dirigenza pubblica e  «spoils
system nella giurisprudenza costituzionale» - in Foro Italiano, 2009,
I , p. 1332 e ss.). 
    D'altra  parte  nel  senso  di  confermare  il  contrasto   della
disciplina censurata con le norme di  cui  all'art.  97  e  98  Cost.
soccorre, a contrario,  anche  quanto  affermato  dalla  sentenza  n.
304/2010 della Corte costituzionale  che  ha  invece  dichiarato  non
fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo  1,
comma 24-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181  (Disposizioni
urgenti in materia di riordino delle  attribuzioni  della  Presidenza
del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 17 luglio  2006,  n.  233,  sollevata,  in
riferimento agli articoli 97 e  98  della  Costituzione,  sulla  base
delle considerazioni che «la norma impugnata contempla un sistema  di
spoils system applicato alle assegnazioni di personale, compresi  gli
incarichi di livello dirigenziale, conferiti nell'ambito degli uffici
di diretta collaborazione con il Ministro. 
    L'analisi  della  questione  sollevata   presuppone   che   siano
richiamati, in via preliminare, da un lato,  gli  orientamenti  della
giurisprudenza costituzionale in ordine al rapporto  tra  politica  e
amministrazione, dall'altro, le linee essenziali della normativa  che
definisce le funzioni esercitate  dai  Ministri  e  dagli  uffici  di
diretta collaborazione. Cio' al fine di stabilire quale sia la natura
dell'attivita' svolta dai predetti uffici e  quindi  la  loro  esatta
collocazione nel complessivo quadro dei rapporti tra  gli  organi  di
governo e quelli di gestione. 
    5.1. - In relazione al primo  profilo,  deve  rilevarsi  come  la
giurisprudenza costituzionale sia ormai  costante  nel  ritenere  che
debba essere assicurata una chiara distinzione tra funzioni politiche
e  funzioni  amministrative  di  tipo  dirigenziale,   al   fine   di
assicurare,  in  particolare,  la  piena  attuazione   dei   principi
costituzionali di buon andamento e di imparzialita' dell'azione della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Perche' possa  in  concreto
operare tale differenziazione di  compiti  e'  necessario,  altresi',
come puntualizzato da questa Corte, che il rapporto di  ufficio,  pur
se caratterizzato dalla temporaneita'  dell'incarico,  sia  connotato
«da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato
in  modo  tale  da  assicurare»  l'effettivo  rispetto  dei  principi
consacrati dal citato art. 97 Cost. (sentenza n. 103  del  2007).  In
questa prospettiva i meccanismi di decadenza automatica dei  predetti
rapporti in corso si pongono in contrasto  con  l'indicato  parametro
costituzionale «in quanto  pregiudicano  la  continuita'  dell'azione
amministrativa,  introducono   in   quest'ultima   un   elemento   di
parzialita',   sottraggono   al    soggetto    dichiarato    decaduto
dall'incarico le garanzie del giusto  procedimento  e  svincolano  la
rimozione del dirigente  dall'accertamento  oggettivo  dei  risultati
conseguiti» (da ultimo, sentenze n. 224 e n. 34 del 2010). 
    5.2. - Con riferimento al secondo aspetto, e'  sufficiente  porre
in evidenza come l'art. 4, comma  1,  del  d.lgs.  n.  165  del  2001
attribuisca  agli  organi  di  governo  le  funzioni   di   indirizzo
politico-amministrativo, che si sostanziano,  in  particolare,  nella
definizione degli obiettivi  e  dei  programmi  da  attuare  e  nella
verifica   della    rispondenza    dei    risultati    dell'attivita'
amministrativa  e  della  gestione  agli  indirizzi   impartiti.   Il
successivo art. 14, comma 1, dello stesso decreto prevede,  poi,  che
spetta al Ministro, anche sulla base  delle  proposte  dei  dirigenti
generali, periodicamente: a) definire obiettivi, priorita',  piani  e
programmi da attuare ed emanare le conseguenti direttive generali per
l'attivita' amministrativa e per la gestione; b) assegnare, a ciascun
ufficio  di  livello  dirigenziale  generale,  una  quota-parte   del
bilancio dell'amministrazione, commisurata alle risorse  finanziarie,
riferibili  ai  procedimenti  o   subprocedimenti   attribuiti   alla
responsabilita' dell'ufficio, e agli oneri per il personale e per  le
risorse strumentali allo stesso assegnati (si veda la sentenza n. 103
del 2007). 
    Tali funzioni - una  volta  abbandonato  «il  modello  incentrato
esclusivamente sul principio della responsabilita' ministeriale,  che
negava, di regola,  attribuzioni  autonome  ed  esterne  agli  organi
burocratici» (citata sentenza n. 103  del  2007)  -  sono  nettamente
separate dall'attivita' gestionale che i dirigenti svolgono  mediante
apposite strutture organizzative (cosiddetti uffici di line). 
    In questo ambito, gli uffici di  diretta  collaborazione  con  il
Ministro (cosiddetti uffici di staff), nella  configurazione  che  di
essi ha dato la normativa vigente, svolgono una attivita' di supporto
strettamente  correlata  all'esercizio  delle  predette  funzioni  di
indirizzo politico-amministrativo. Lo stesso decreto  del  Presidente
della  Repubblica  20  settembre  2007,  n.   187   (Regolamento   di
organizzazione degli uffici di diretta  collaborazione  del  Ministro
dello  sviluppo  economico),  vigente  al  momento   della   adozione
dell'ordinanza di rimessione, prevedeva, al primo comma dell'art.  2,
la facolta' del Ministro di avvalersi «per l'esercizio delle funzioni
ad esso attribuite dagli articoli 4 e 14 del decreto  legislativo  n.
165  del  2001,  degli  uffici  di  diretta  collaborazione».  Si  e'
precisato, inoltre, che detti uffici  «esercitano  le  competenze  di
supporto all'organo di direzione politica e di raccordo tra questo  e
l'amministrazione, collaborando alla definizione degli  obiettivi  ed
all'elaborazione delle politiche  pubbliche,  nonche'  alla  relativa
valutazione  ed  alle  connesse  attivita'  di   comunicazione,   con
particolare riguardo all'analisi dell'impatto normativo,  all'analisi
costi-benefici ed alla congruenza  fra  obiettivi  e  risultati»  (in
questo senso anche l'art. 2 del d. P.R.  28  novembre  2008  n.  198,
recante "Regolamento di definizione della struttura degli  uffici  di
diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico", che ha
sostituito integralmente il d. P. R. n. 187 del 2007). 
    5.3. - Alla luce di quanto  sopra,  emerge  come  gli  uffici  di
diretta collaborazione svolgano un'attivita' strumentale  rispetto  a
quella esercitata dal Ministro, collocandosi, conseguentemente, in un
contesto diverso da quello proprio degli  organi  burocratici.  Detti
uffici, infatti, sono collocati in un ambito organizzativo  riservato
all'attivita' politica con compiti di supporto delle stesse  funzioni
di governo e di  raccordo  tra  queste  e  quelle  amministrative  di
competenza dei dirigenti. 
    In questa  prospettiva,  non  assume  rilievo.  contrariamente  a
quanto sostenuto dal remittente, la  distinzione  funzionale  tra  le
attribuzioni del Ministero e quelle degli uffici in  esame,  dovendo,
al contrario,  sussistere  tra  loro  una  intima  compenetrazione  e
coesione  che  giustifichi  un   rapporto   strettamente   fiduciario
finalizzato     alla     compiuta     definizione      dell'indirizzo
politico-amministrativo. 
    La separazione di funzioni, che la giurisprudenza di questa Corte
ha ritenuto necessaria per assicurare il  rispetto,  in  particolare,
dei  principi  costituzionali  di  buon  andamento  e   imparzialita'
dell'azione  amministrativa,  deve   essere   assicurata,   pertanto,
esclusivamente tra l'attivita' svolta dai Ministri, con  il  supporto
degli uffici di diretta collaborazione,  e  quella  esercitata  dagli
organi burocratici, cui spetta la funzione di amministrazione attiva. 
    5.4. - Chiarito cio', deve ritenersi non difforme  dagli  evocati
parametri  costituzionali  la  norma,  contenuta  nella  disposizione
censurata. che prevede la interruzione del rapporto in corso  con  il
personale. compreso quello dirigenziale,  assegnato  agli  uffici  di
diretta  collaborazione  al  momento  del  giuramento  di  un   nuovo
Ministro, ove non  confermato  entro  trenta  giorni  dal  giuramento
stesso. La previsione in esame, infatti, si giustifica in ragione del
rapporto strettamente fiduciario che deve sussistere tra l'organo  di
governo e tutto il personale di  cui  esso  si  avvale  per  svolgere
l'attivita' di  indirizzo  politico-amministrativo.  Al  momento  del
cambio  nella  direzione  del  Ministero  e',   pertanto,   legittimo
prevedere l'azzeramento degli incarichi esistenti, che possono essere
confermati qualora il Ministro stesso ritenga  che  il  personale  in
servizio possa godere della sua fiducia. 
    In definitiva, cosi'  come  la  nomina  del  personale,  compreso
quello dirigenziale, puo' avvenire, in base alla  normativa  vigente,
intuitu personae, senza predeterminazione di  alcun  rigido  criterio
che debba essere osservato nell'adozione  dell'atto  di  assegnazione
all'ufficio, allo stesso modo. e  simmetricamente,  e'  possibile  in
qualunque momento interrompere  il  rapporto  in  corso  qualora  sia
venuta meno la fiducia che deve caratterizzare in maniera costante lo
svolgimento del rapporto stesso. 
    Per  le  ragioni  indicate,  pertanto,  non  e'  ravvisabile   il
denunciato contrasto della norma censurata con gli evocati  parametri
costituzionali.». 
    Infine non appare  ragionevolmente  giustificata,  in  violazione
dell'art. 3 Cost.,  la  diversita'  di  trattamento  che  allo  stato
discende dalla sentenza n. 81/2010 della Corte  di  dichiarazione  di
illegittimita'   costituzionale   dell'art.   2,   comma   161,   del
decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 convertito,  con  modificazioni,
nella legge 24 novembre 2006, n. 286, nella parte in cui dispone  che
gli incarichi conferiti al personale di cui al comma 6, dell'art. 19,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 conferiti prima del  17
maggio 2006, «cessano ove non confermati entro sessanta giorni  dalla
data di entrata in  vigore  del  presente  decreto»,  costituente  la
disciplina transitoria del sistema di  cd.  spoils  system,  rispetto
alla disciplina cd. "a regime" contenuta nell'art. 2  comma  159  del
medesimo d.l. citato, che ha modificato l'art. 19, comma 8 del d.lgs.
n. 165/01, costituente la  norma  censurata  nel  presente  giudizio,
attesa la sostanziale identita' di ratio che sorregge le due norme. 
    Ne consegue, alla luce delle  superiori  considerazioni,  che  la
norma  censurata,  determinando  una  interruzione   automatica   del
rapporto di ufficio ancora in corso prima dello spirare  del  termine
stabilito senza le garanzie e  le  valutazioni  sopra  ricordate,  si
pone, secondo il Giudice rimettente, in contrasto con gli artt. 97  e
98 Cost. (oltre che con l'art. 3 Cost.), i quali costituiscono regole
che disciplinano il corretto esercizio della  discrezionalita'  della
pubblica amministrazione e, pur nell'ambito della privatizzazione del
rapporto di lavoro pubblico, costituiscono fonte di  obbligo  per  la
stessa amministrazione di conformarsi ai doveri ivi previsti. 
    La questione sollevata e' infine  rilevante,  in  quanto,  da  un
lato, la norma denunciata dovrebbe necessariamente  essere  applicata
al caso  di  specie  e  precluderebbe  l'accoglimento  della  domanda
proposta di condanna  dell'amministrazione  alla  reintegrazione  del
ricorrente nell'incarico dirigenziale a suo tempo conferitogli ed  al
risarcimento del danno  cagionato,  ed  in  quanto  dall'altro  lato,
l'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' della  norma  stessa
(nella parte in cui dispone  ex  lege  la  cessazione  anticipata  ed
automatica dell'incarico dirigenziale conferito ai sensi del comma  6
dell'art.  19  del  d.lgs.  n.  165/01)  renderebbe  illegittimo   il
provvedimento di revoca dell'incarico, facendo  sorgere  in  capo  al
ricorrente il diritto  al  ripristino  dello  stesso  sino  alla  sua
naturale scadenza o, comunque, all'eventuale risarcimento del  danno,
e cio' pur volendo prescindere da ogni preventiva  delibazione  circa
la  sussistenza  degli  altri  elementi  costitutivi  della   domanda
risarcitoria quale ad es. la colpa dell'amministrazione.