IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale n. 9475 del 2007, proposto da: 
        Salvatore  Cacace,  Michele  Corradino,  Sergio  De   Felice,
Gabriele Carlotti, rappresentati e difesi dagli avv. Sergio Fidanzia,
Angelo Gigliola, con domicilio eletto presso Sergio Fidanzia in Roma,
viale Bruno Buozzi, 109; 
    Contro Consiglio di Presidenza  della  Giustizia  Amministrativa,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura,  domiciliata  per  legge  in
Roma, via dei Portoghesi, 12; Presidenza del Consiglio dei Ministri; 
    Nei  confronti  di  Giambartolomei  Giancarlo,  Atzeni  Manfredo,
Carella Vito; per l'annullamento: 
        della deliberazione Consiglio di Presidenza  della  Giustizia
amministrativa del 15 giugno 2007 con cui si  riconosce  l'anzianita'
di  cinque  anni  nella  qualifica   di   Consigliere   di   TAR   ai
controinteressati; 
        di tutti gli altri antecedenti, preordinati e connessi; 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  di  Consiglio   di
Presidenza della Giustizia Amministrativa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2010 il cons.
Cecilia Altavista e uditi per le parti i difensori  come  specificato
nel verbale; 
    Con istanza del 6 marzo 2007 i  consiglieri  di  Stato  Giancarlo
Giambartolomei, Vito Carella e Manfredo Atzeni, nominati con  decreto
del Presidente della Repubblica del 20  luglio  2006,  chiedevano  al
Consiglio di Presidenza il riconoscimento della  anzianita'  maturata
quali  consiglieri  di  Tribunale  amministrativo  regionale  o,   in
subordine, il riconoscimento dell'anzianita' di cinque anni, ai sensi
dell'art. 23, comma 5 della legge n. 186 del  27  aprile  1982,  come
gia' fatto dal Consiglio con delibera del  3  novembre  2004,  per  i
consiglieri di Stato  Giancarlo  Tavarnelli,  Bruno  Rosario  Polito,
Carlo Visciola, Eugenio Mele nominati con D.P.R. del 23 giugno 2003. 
    Con delibera del  15  giugno  2007  il  Consiglio  di  Presidenza
accoglieva la richiesta nel limite del riconoscimento dei cinque anni
di anzianita'; 
    Avverso tale delibera e' stato proposto il  presente  ricorso  n.
9475 del 2007 da consiglieri di Stato, entrati in servizio  dal  2002
al 2003, formulando le seguenti censure: 
        violazione e falsa applicazione dell'art. 23, comma  5  della
legge n. 186 del 27 aprile 1982; violazione dei principi generali che
presiedono alla interpretazione degli atti normativi; 
        eccesso di potere per difetto di istruttoria; travisamento di
fatti;  difetto  di  motivazione;  violazione  e  falsa  applicazione
dell'art.  3  della  legge  n.  241  del   1990;   contraddittorieta'
manifesta; illogicita'; 
        violazione  dei  principi  generali   che   presiedono   alla
votazione segreta degli organi collegiali; eccesso di potere; 
    All'udienza pubblica del 16 giugno  2010,  il  ricorso  e'  stato
trattenuto in decisione. 
    La delibera impugnata e' basata sulla norma dell'art. 23, comma 5
della legge  n.  186  del  1982,  che  riconosce  l'anzianita'  nella
qualifica  di  consigliere   maturata   nei   ruoli   dei   tribunali
amministrativi regionali  nel  limite  di  cinque  anni.  Tale  norma
prevede: «salvo quanto previsto nel quarto comma del precedente  art.
21  (ovvero  per  l'anzianita'  maturata  ai  fini  della  nomina   a
presidente di sezione di TAR), i primi referendari e referendari  dei
tribunali amministrativi regionali in servizio alla data  di  entrata
in vigore della presente legge conservano, all'atto  della  nomina  a
consigliere di  Stato,  l'anzianita'  acquisita  nella  qualifica  di
consigliere di  tribunale  amministrativo  regionale  nel  limite  di
cinque anni, fatta salva la valutazione  degli  effetti  economici  e
prendono posto nel ruolo secondo la predetta anzianita'». 
    La lettera della norma e', pertanto, riferita  esclusivamente  ai
referendari e primi referendari in servizio alla data di  entrata  in
vigore della legge, per il che, il sindacato di  questo  giudice  non
potrebbe ad altro concludere, in stretta applicazione della legge, se
non nel  senso  di  una  pronunzia  di  annullamento  della  delibera
impugnata. 
    Essendo, infatti, stabilita una precisa delimitazione di data per
l'operativita' del riconoscimento di anzianita' di  cui  in  oggetto,
non sussiste alcuna possibile interpretazione estensiva,  ne'  alcuna
ipotizzabile lettura costituzionalmente  orientata,  che  conduca  ad
evitare l'annullamento della delibera impugnata, con attribuzione del
beneficio richiesto. 
    Il Collegio ritiene, dunque, necessario, ai  fini  del  decidere,
sollevare la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  23,
comma 5 della legge n. 186 del 27 aprile 1982. 
    La questione si presenta, infatti, rilevante, nel caso di specie.
La questione e', altresi', non manifestamente infondata. 
    Si deve considerare che il sistema complessivo di  organizzazione
della Giustizia amministrativa,  a  causa  di  varie  stratificazioni
normative, prive di razionale coordinamento, comporta, in ordine alla
strutturazione  della  carriera  dei  magistrati  amministrativi,  la
illogicita' del costrutto generale risultante  dall'attuale  apparato
legislativo. 
    In esso si configura una singolare ed inusitata fisionomia  della
carriera di magistratura che prospetta, nella disorganica successione
delle leggi, seri problemi di compatibilita' degli assetti venuti  in
essere, rispetto alla funzione esercitata ed, altresi', rispetto alle
norme costituzionali. 
    Cio' deriva da fattori genetici dei Tribunali amministrativi,  in
quanto, al tempo della legge n. 1034 del 6 dicembre 1971,  istitutiva
degli organi di primo  grado,  il  modello  organizzatorio  adottato,
comportava una difficile  trasferibilita'  del  modulo  Consiglio  di
Stato ai  nuovi  organi,  posto  che  ivi  sussisteva  una  struttura
articolata su  magistrati  di  nomina  governativa  e  magistrati  di
carriera, entrambi chiamati all'esercizio di  funzioni  consultive  e
giurisdizionali, profili questi che invece non  esistevano  presso  i
Tribunali di primo grado. 
    La  ricerca  di  un  criterio  di  armonizzazione  tra   le   due
componenti, sicuramente eterogenee, si era concretata in  uno  schema
che  rifletteva  il  fattore  differenziale  tra  i  due  plessi   di
magistratura,   ed   aveva   pur   tentato   di   contemperare   tale
differenziazione, attraverso strumenti di salvaguardia, che  tuttavia
potevano riguardare essenzialmente la prima fase della vita dei nuovi
organi,  ma  non  potevano   prevedere   le   future   sopravvenienze
legislative e le  profonde  innovazioni  nella  strutturazione  delle
carriera, successivamente introdotte. 
    Prima  fra  tutte,  l'abolizione  del  referendariato  presso  il
Consiglio di Stato, cio' che avrebbe comportato  rilevanti  squilibri
nei rapporti tra TAR e Consiglio di Stato, secondo quanto  verra'  in
prosieguo esaminato. 
    A seguito della emanazione della legge 27 aprile  1982,  n.  186,
con gli  artt.  6,  19,  23,  50,  sono  state  introdotte  rilevanti
innovazioni nelle carriere, sia presso il TAR che presso il Consiglio
di Stato, ma che, tuttavia, non sembrano essere  state  coerenti  con
una organica armonizzazione rispetto al pregresso  portato  normativo
della  legge  n.  1034/1971,  che  conservava  pressoche'   integrale
vigenza, nonostante talune contraddizioni con le nuove norme. 
    I tribunali amministrativi regionali, in base  all'art.  6  della
legge n. 186 del 1982, restano, come per  il  passato,  composti  da:
presidenti di tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari
ma, nel contempo sono state abolite le corrispondenti  qualifiche  di
referendario e primo  referendario  presso  il  Consiglio  di  Stato,
composto, quindi, dopo il 1982, di soli consiglieri. 
    Ai sensi dell'art.  19  della  legge  n.  186,  un  quarto  delle
disponibilita' e' riservato alle nomine governative ed  un  ulteriore
quarto alla copertura mediante concorso pubblico per titoli ed  esami
teorico-pratici. 
    Gli ulteriori posti che si rendono  vacanti  nella  qualifica  di
consigliere di Stato sono  conferiti,  in  ragione  della  meta',  ai
consiglieri di tribunale amministrativo regionale con almeno  quattro
anni di effettivo servizio nella qualifica. 
    I  magistrati  dichiarati  idonei  assumono   la   qualifica   di
consigliere di Stato, conservando, unicamente agli effetti del quarto
comma dell'art. 21 (quindi, ai fini  della  nomina  a  presidente  di
TAR), l'intera anzianita' maturata nella qualifica di consigliere  di
tribunale amministrativo regionale. 
    In base all'art. 21 della legge n. 1034 i  consiglieri,  sia  dei
Tribunali che del Consiglio  di  Stato,  conseguono  la  nomina  alle
qualifiche direttive, al compimento di  otto  anni  nella  qualifica,
essendo precisato che la anzianita' maturata dai suddetti Consiglieri
presso i Tribunali viene valutata, come detto,  nella  sua  interezza
unicamente  ai  fini  dell'accesso  alla  Presidenza  dei   Tribunali
amministrativi regionali, ma  non  per  la  nomina  a  Presidente  di
Sezione del Consiglio di Stato. 
    Si e' introdotta, pertanto, una  divaricazione  di  carriera  che
considera  la  anzianita'  maturata  presso  i  TAR  come   parametro
differenziale, a seconda  che  si  debbano  coprire  posti  direttivi
presso i TAR ovvero presso il Consiglio di Stato e che,  pur  essendo
comunque considerati equivalenti, attraverso il richiamo all'art. 14,
n. 2 della medesima legge n. 186 (che appunto  stabilisce  che  «sono
magistrati con funzioni direttive» sia i Presidenti di sezione presso
il Consiglio di Stato, sia i Presidenti di TAR) configurano un regime
di accesso che penalizza gli uni nel  trasferimento  alle  qualifiche
direttive presso il Consiglio di Stato e gli altri  nella  assunzione
delle presidenze presso i TAR. 
    E'  evidente  che  tale  singolare  struttura   delle   carriere,
attualmente in atto, comporta conseguenze non solo nel momento  della
assunzione di incarichi direttivi, ma e' causa, a monte, di squilibri
nelle inferiori qualifiche che, quindi, si riverberano, in  prosieguo
di carriera, e proprio nella prospettiva del passaggio alle  funzioni
direttive, ovunque esercitate. 
    Ed e' in questo senso che l'art. 23, per cui e' causa,  determina
una evidente disparita' di trattamento  al  momento  dell'accesso  al
Consiglio di Stato tra quanti si sono avvalsi  del  beneficio  recato
dalla norma e quanti altri non possono avvalersene per  mero  fattore
temporale derivante dal momento dell' accesso al Consiglio di Stato. 
    Si sono, infatti, determinate varie incongruenze che configurano,
nell'intero corso delle carriere, fattori di evidente irrazionalita',
e che - si ripete -  comportano,  senza  alcuna  giustificazione,  un
regime favorevole per alcune categorie di magistrati, con correlativo
pregiudizio per altri, in relazione ad elementi del tutto casuali. 
    Ed  invero,  le  carriere  dei  magistrati  amministrativi   sono
disciplinate, nell'intero corso successivo alla  legge  n.  1034  del
1971, secondo un  intricato  sistema  di  retrodatazioni  fittizie  e
sovrapposizioni di posizioni di ruolo, prive di  alcun  riscontro  in
alcuna sostanziale ed obiettiva esigenza a loro sostegno. 
    L'art.  17  della  legge   n.   1034   aveva   salvaguardato   il
riconoscimento di tutta  l'anzianita'  maturata  nella  qualifica  di
consigliere di TAR al momento del passaggio al Consiglio di Stato. 
    L'art. 23, comma 4 della legge n. 186 del 1982 ha conservato tale
previsione solo per i «consiglieri in servizio» alla data di  entrata
in vigore  della  legge  n.  186;  cio'  ha  determinato  un  sistema
regolatore di  carriera,  non  in  via  organica,  ma  con  carattere
meramente episodico, che e' rimasto limitato, senza alcuna plausibile
ragione,  ad   alcune   categorie   di   magistrati   dei   Tribunali
amministrativi (quelli aventi,  appunto,  alla  data  di  entrata  in
vigore della legge n. 186, la qualifica di consigliere) e negato  per
altri. 
    L'introduzione di una nuova disciplina avrebbe dovuto, di contro,
rispondere a criteri regolatori di  carattere  logico  ed  obiettivo;
pertanto, non si comprende perche' dopo aver riconosciuto l'integrale
computo di anzianita' nelle qualifiche di  consigliere  TAR  all'atto
del trasferimento al Consiglio di Stato, per taluni  (consiglieri  in
servizio) cio' non potesse o dovesse costituire  il  regime  generale
applicato anche per il futuro. 
    Ne  consegue  che  il  sistema   di   carriera   dei   magistrati
amministrativi si delinea, oggi, come risultante di una continua fase
transitoria che ha determinato un assetto dei ruoli  che,  invece  di
ricevere un canone  unitario  e  definitivo,  presenta  un  andamento
saltuario e irrazionale. 
    Di  questo  sistema  si  e'  anche  occupata  la   giurisprudenza
costituzionale, affermando  che  la  legge  n.  186  del  1982  aveva
completamente innovato la materia (Corte costituzionale,  7  febbraio
1984 , n. 14, restituendo ai giudici «a quibus»,  gli  atti  relativi
alla questione di legittimita' costituzionale di una serie  di  norme
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, relative alla composizione  del
consiglio di presidenza e alle nomine dei presidenti di TAR). 
    Anche   gli   organi   amministrativi   hanno   interpretato   la
disposizione dell'art. 17  come  superata  dalla  disposizione  della
legge del 1982, ovvero riferita  solo  ai  magistrati  dei  Tribunali
amministrativi regionali, che alla data di entrata  in  vigore  della
legge n. 186 del 1982,  avessero  gia'  conseguito  la  qualifica  di
consigliere di Tribunale amministrativo regionale, come previsto  dal
comma 4 dell'art. 23 della legge n. 186 del 1982. 
    Venuta quindi a cessare, per piu' di una ragione,  l'operativita'
dell'art. 17 della legge n. 1034 cit., il quadro  si  configura  oggi
nei seguenti termini: 
        1) progresso riconoscimento in base ai commi 4 e 5  dell'art.
23, di tutta l'anzianita' maturata nella qualifica di consigliere  di
Tribunale per coloro che si erano  potuti  avvalere,  in  via  quindi
transitoria, dell'art. 17 della legge n. 1034  del  1971,  istitutiva
dei Tribunali amministrativi; 
        2) riconoscimento di una anzianita' «fittizia» di cinque anni
al momento del passaggio al Consiglio di Stato per  coloro  che  alla
data di  entrata  in  vigore  della  legge  del  1982  fossero  primi
referendari  e   referendari   in   servizio   presso   i   Tribunali
amministrativi; 
        3)  nessun  riconoscimento   dell'anzianita'   maturata   nei
Tribunali  amministrativi  regionali  per  i   consiglieri   di   TAR
transitati e transitandi al Consiglio di Stato, che  non  fossero  in
servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186. 
    Ed e' quest'ultimo il caso degli odierni controinteressati. 
    L'applicazione della norma dell'art. 23, comma 5 della  legge  n.
186 del 1982, nei termini strettamente  letterali  e  senza  riguardo
alla ripercussione sugli assetti di carriera  ed  ai  seri  dubbi  di
congruenza complessiva del sistema, non  potrebbe  che  comportare  -
come  gia'  detto  in  limine  -  l'accoglimento  del  ricorso,   con
conseguente annullamento della delibera  qui  impugnata,  ma  con  il
consolidamento di posizioni di status che non rispondono a criteri di
eguaglianza tra soggetti aventi situazioni del tutto identiche. 
    Il Collegio, pertanto, ritiene che il quadro normativo  delineato
dall'art. 23 della legge  n.  186  del  1982  sia  costituzionalmente
illegittimo per la violazione  dell'art.  3  Cost.  sotto  molteplici
profili  ed  in  particolare  per  la  assoluta  irragionevolezza   e
disparita' di trattamento tra posizioni di carriera sostanzialmente e
formalmente indifferenziate. 
    L'art. 23  introduce,  infatti,  un  regime  transitorio  per  il
riconoscimento della anzianita',  che  non  puo'  essere  considerato
ragionevole se circoscritto ad un«favor» riguardante  unicamente  una
categoria di personale individuato in base ad un fattore temporale di
attivita' di servizio  in  una  determinata  qualifica  e  non  anche
caratterizzato da alcun fattore strutturale rispondente a peculiari e
plausibili elementi differenziali. 
    Questo giudice non ignora che la  Corte  Costituzionale  ha  piu'
volte affermato che l'introduzione di un regime transitorio o  di  un
determinato  trattamento  per  alcune  categorie  sia  rimessa   alla
discrezionalita' del legislatore. 
    La Corte stessa ha, tuttavia, affermato che,  nell'esercizio  dei
poteri piu' ampi di discrezionalita', sussiste il limite della palese
irragionevolezza  nella  fissazione  delle  norme,  specialmente   di
carattere  transitorio,  che  introducono  benefici  temporanei   non
rispondenti a peculiari situazioni di fatto e diritto, meritevoli  di
un apprezzamento particolare di  carattere  sostanziale.  Cio'  tanto
piu' ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio rispetto al
canone generale, determinativo di scelte connesse  all'individuazione
di alcune categorie cui spetti un beneficio che non debba o non possa
essere esteso a  posizioni  giuridiche  equivalenti  per  intrinseche
ragioni di base dei beneficiari (Corte  costituzionale,  20  novembre
2008, n. 376, si era in tema  di  prestazioni  previdenziali,  ma  il
principio assumeva valenza di canone generale). 
    Sembra percio' evidente  che,  nel  caso  di  specie,  il  regime
introdotto con l'art. 23 cit.,  nella  parte  venuta  in  esame,  sia
viziato da irrazionalita' e violi il principio di uguaglianza. 
    Si tratta, infatti, del riconoscimento,  non  di  un  determinato
trattamento economico piu' o meno favorevole o di determinati  scatti
di anzianita' o di modalita' di carriera piu' o meno rapida, ma della
totale  mancata  considerazione  di  una  anzianita'  maturata,   con
pregiudizio a carico di  un  servizio  effettuato  nello  svolgimento
delle medesime funzioni giurisdizionali, rispetto a quelle svolte dai
beneficiari  del  comma  5  dell'art.  23,  da   personale,   quindi,
riconosciuto  omogeneo,  non  solo  per   l'identita'   dei   profili
processuali delle funzioni assolte quali giudici di primo  e  secondo
grado, ma, altresi', espressamente equiparato anche dal dato testuale
degli artt. 13 e 28 della legge n. 1034 del 1971 (quest'ultima  norma
abrogata solo con la entrata in vigore del  decreto  legislativo.  n.
104 del 2 luglio 2010). 
    Appare, dunque, irragionevole  una  disciplina  legislativa,  per
essa  intesa  la  legge  n.  186,  che,  come  si  legge  nei  lavori
preparatori, era nata per dare  maggiore  uniformita'  ai  ruoli  dei
magistrati amministrativi e avvicinarla alla magistratura  ordinaria,
ed ha  introdotto,  invece,  un  regime  fortemente  differenziato  e
penalizzante per alcune categorie di magistrati. 
    Tale regime, infatti, non risulta giustificato  in  relazione  ad
alcuna  corrispondente   peculiarita'   dei   referendari   e   primi
referendari in servizio alla data di entrata in vigore  della  legge,
rispetto a quelli entrati successivamente. 
    Questi,  infatti,  sono  entrati  nei  ruoli  della  magistratura
amministrativa con il medesimo tipo di accesso (concorso  per  titoli
ed esami), con le  stesse  prove  concorsuali  dei  colleghi  entrati
successivamente  (tra   cui   quelli   interessati   dalla   delibera
impugnata). 
    Si  e',  dunque,  determinata   l'introduzione   di   un   regime
transitorio doppiamente peggiorativo, rispetto a  quello  precedente,
che aveva concesso prima il  riconoscimento  della  piena  anzianita'
(art. 17 della legge n. 1034 del 1971 e 23 comma 4),  successivamente
il beneficio di soli cinque anni per taluni, ma con ulteriore opposta
previsione  «a  regime»  del  mancato  riconoscimento  della   totale
anzianita' (cd. anzianita' zero) per altri. 
    Ed in questo quadro appare evidente la irragionevolezza specifica
dell'art. 23 a causa della istituzione di un beneficio  ad  esclusivo
regime transitorio, non essendovi alcun elemento per ritenere  che  i
magistrati amministrativi allora in servizio fossero  o  siano  oggi,
diversi per titoli e funzioni, rispetto a quelli che dal 1982 in  poi
sono stati nominati a seguito delle medesime procedure concorsuali  e
con gli stessi titoli di  servizio  e  di  anzianita'  richiesti  per
parteciparvi. 
    La irragionevolezza e la violazione del principio di  uguaglianza
sono palesi anche rispetto all'inserimento nei ruoli del Consiglio di
Stato di magistrati  di  nomina  governativa,  con  anzianita'  nella
qualifica (di Consigliere di Stato) riferita al  tempo  della  nomina
stessa, quindi al pari dei magistrati provenienti dai Tribunali,  pur
in mancanza di pregressa esperienza giurisdizionale; i consiglieri di
Stato nominati dal Governo, infatti, provengono da carriere altamente
qualificate e di particolare prestigio, ma comunque estranee a quelle
funzioni  giurisdizionali,  che  sono  prioritarie  nelle  competenze
dell'Istituto. 
    Ne deriva la evidente violazione  del  principio  di  uguaglianza
essendo  trattate   allo   stesso   modo   situazioni   profondamente
differenti, quali l'esercizio di funzioni giurisdizionali e attivita'
non ad esse omogenee per natura e funzione. 
    La irragionevolezza risulta  anche  evidente  in  relazione  agli
altri principi generali che governano sia la disciplina del  pubblico
impiego sia quella piu' specifica della magistratura ordinaria. 
    L'art. 200, comma 3 del T.U. n. 3 del  1957,  ancora  applicabile
alla categorie del pubblico impiego non privatizzato, indica  infatti
un  principio  generale  di  garanzia   della   conservazione   della
anzianita'. 
    Inoltre,  il   mancato   riconoscimento   della   anzianita'   ai
consiglieri  di  Tribunale   amministrativo   entrati   in   servizio
successivamente  al  1982,  quali  quelli  oggetto   della   delibera
impugnata,  risulta  chiaramente  in  contrasto  con  la   previsione
dell'art. 107 della Costituzione. 
    Tale norma, come e' noto, afferma che i magistrati si distinguono
solo  per  diversita'  di  funzioni;  funzioni  che  sono  del  tutto
indifferenziate presso la magistratura amministrativa,  dove  non  si
registrano posizioni di carriera distinte, ad esempio,  fra  pubblici
ministeri,  magistrati  giudicanti,  collegi,  giudici  di   indagine
preliminare, giudici di legittimita'. 
    Il Collegio e' a conoscenza che  la  giurisprudenza  della  Corte
Costituzionale ha affermato che non  tutte  le  norme  costituzionali
dettate  per  la  magistratura  ordinaria  si  estendono  alle  altre
magistrature e che per le magistrature speciali molte  garanzie  sono
rimesse al legislatore ordinario, che puo' dare attuazione ad  alcuni
principi generali con modalita' diverse. 
    Tuttavia, tali modalita' non possono  arrivare  a  costituire  un
regime  assolutamente   irragionevole,   che   comporta   la   totale
pretermissione delle funzioni giurisdizionali svolte in  primo  grado
presso la magistratura amministrativa; cio' che, sia per il presente,
come gia' nel passato, ha costantemente  distorto  la  strutturazione
dei ruoli in tutta la storia della magistratura amministrativa,  dopo
l'istituzione dei Tribunali di primo grado. 
    Dall'art. 107 emerge, infatti, un principio generale per  cui  le
funzioni giurisdizionali  sono  omogenee  in  qualunque  grado  siano
esercitate; il che  presso  la  magistratura  ordinaria  vale,  senza
distinzione, tra le funzioni di merito e di legittimita'. 
    Ne deriva che le funzioni giurisdizionali svolte in  primo  grado
non possono non essere considerate, al  momento  del  passaggio  alla
magistratura di appello, stante l'identita' delle funzioni  stesse  e
del «genus» processuale. 
    Ancora piu' irragionevole tale regime risulta, poi,  in  presenza
della retrodatazione della nomina dei consiglieri di Stato a  seguito
di concorso, ai sensi del n. 3 dell'art. 19 della legge  n.  186  del
1982;   norma   questa   che   considera   come   svolte,    funzioni
giurisdizionali   non   effettivamente   esercitate;   il   che    ha
ulteriormente inciso nell'intera configurazione della  carriere,  con
pari irragionevolezza. 
    L'assoluta  estemporaneita'  dell'art.  23,   comma   5   emerge,
altresi', rispetto alle altre disposizioni della  medesima  legge  n.
186 del 1982, nonche' rispetto alla volonta'  del  legislatore  della
riforma del 1982, in base ai lavori preparatori. 
    L'art. 21 della legge n. 186 del 1982 al comma 1 prevedendo, come
gia' illustrato, che i  consiglieri  di  Stato  e  i  consiglieri  di
Tribunale amministrativo regionale al  compimento  di  otto  anni  di
anzianita' nelle rispettive qualifiche possono conseguire  la  nomina
alle qualifiche di presidente di sezione del  Consiglio  di  Stato  e
presidente  di  Tribunale  amministrativo  regionale,   evidentemente
presuppone e ribadisce la uniformita' delle funzioni  giurisdizionali
svolte in primo grado e in appello, nella qualifica  di  consigliere,
come altresi', stabilito dall'art. 14 della legge n.  186  del  1982,
che al punto 2 prevede le qualifiche di  Presidente  di  sezione  del
Consiglio di  Stato  e  di  Presidente  di  Tribunale  amministrativo
regionale come assolutamente equiparate e differenziate unicamente in
base all'ufficio giudiziario presso il quale tali funzioni  direttive
sono esercitate. 
    Si deve tenere conto, altresi', che l'art. 28 della legge n. 1034
del  1971  abrogato  solo  dall'entrata   in   vigore   del   decreto
legislativo. n. 104 del 2010, prevedeva che il Consiglio di  Stato  -
come gia' cennato - in sede di appello, esercita  gli  stessi  poteri
giurisdizionali di cognizione e di decisione  del  giudice  di  primo
grado. 
    A  conferma  ulteriore  di  tale  equiparazione  funzionale,   la
medesima norma dell'art. 21 ai commi 3 e 4 prevede che, limitatamente
ai posti di presidente di sezione del Consiglio di Stato,  la  nomina
sia riservata a coloro che abbiano prestato servizio per  almeno  due
anni presso il Consiglio di Stato (unico requisito specifico, quindi,
per il conferimento delle  funzioni  di  Presidente  di  sezione  del
Consiglio di Stato). 
    In  particolare,  ai  sensi  del  comma  4,  e  limitatamente  al
conferimento   della   qualifica   di   Presidente    di    Tribunale
amministrativo  regionale,  viene   computata   l'intera   anzianita'
maturata  nella  qualifica  di  Consigliere   presso   il   Tribunale
amministrativo regionale. Cio'  contrasta,  invece,  con  il  mancato
riconoscimento dell'anzianita' di consigliere di TAR  ai  fini  della
nomina a consigliere di Stato. 
    La equiparazione  tra  consiglieri  di  Stato  e  consiglieri  di
Tribunale amministrativo e' poi piena sotto il profilo economico.  Ai
sensi del comma 6 del medesimo art. 21 della legge n. 186 del 1982, i
consiglieri di Stato e  i  consiglieri  di  Tribunale  amministrativo
regionale,  al  compimento  della  anzianita'  di  otto  anni   nella
qualifica,  conseguono  il  trattamento   economico   inerente   alla
qualifica  di  magistrato  di  cassazione  con   funzioni   direttive
superiori. 
    Da tale quadro normativo  emerge,  gia'  solo  all'interno  dello
stesso art. 21 della legge n. 186 del 1982, la normale  equiparazione
delle funzioni svolte dai giudici amministrativi in primo grado e  in
appello,  equiparazione  rispetto   alla   quale   risulta,   invece,
assolutamente irragionevole il mancato riconoscimento dell'esperienza
maturata presso i Tribunali amministrativi al momento  del  passaggio
al Consiglio di Stato, per la  cui  giustificazione  occorrerebbe  la
sussistenza di situazioni differenziali, che si sono viste del  tutto
insussistenti. 
    Inoltre, l'art. 13  della  legge  n.  1034  del  1971:  la  legge
istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali,  distinguendo  tra
le qualifiche di consigliere, referendario e  primo  referendario  di
Tribunale amministrativo regionale, gia' aveva  esteso  espressamente
le norme sullo  stato  giuridico  e  sul  trattamento  economico  del
personale  di  corrispondente  qualifica   della   magistratura   del
Consiglio di Stato. 
    Per quanto le modifiche ordinamentali introdotte con la legge  n.
186 del 1982 possano rientrare nell'esercizio della  discrezionalita'
del legislatore, tale discrezionalita', nel caso di  specie,  appare,
con assoluta evidenza, esercitata in modo illogico. 
    Il legislatore, infatti, ha inciso in senso peggiorativo  su  una
previsione gia' in vigore (riconoscimento della  anzianita'  maturata
nella qualifica di consigliere di Tribunale amministrativo)  conforme
al sistema normativo sia della legge n. 1034 del 1971 (artt. 13 e 17)
sia della stessa legge n. 186  del  1982  (art.  21)  e  al  naturale
assetto dei rapporti tra giudici di primo grado e di appello. 
    La disciplina dell'art. 23 non appare peraltro giustificata, come
gia' esposto, da alcun diverso regime di accesso tra coloro che erano
in servizio nel 1982 e  quelli  entrati  successivamente,  in  quanto
tutti sono stati sottoposti all'identico concorso di cui all'art.  14
della legge n. 1034 del 1971 e all'art. 19 del D.P.R. n. 214  del  21
aprile 1973, norme alle quali espressamente rimanda l'art.  16  della
legge n. 186 del 1982. 
    Il pregiudizio  sussistente  a  carico  dei  consiglieri  TAR  e'
ulteriormente confermato dalla abolizione, da parte  della  legge  n.
186,  delle  qualifiche  dei  referendari  e  primi  referendari  del
Consiglio di Stato, cio' che ha configurato  l'accesso  diretto  alla
qualifica di consigliere di Stato a seguito di concorso e non piu'  a
quella di referendario del Consiglio di Stato. 
    In tale modo, la nomina diretta  per  concorso  al  Consiglio  di
Stato,  avuto  riguardo  ai  principi  degli  artt.  97  e  98  della
Costituzione,  comporta  un  evidente  potenziamento   di   carriera,
eliminando l'intero  periodo  quadriennale  di  referendariato  prima
esistente e che, invece, permane presso i  Tribunali  amministrativi,
ove i magistrati acquisiscano la qualifica di consigliere  dopo  otto
anni di concreto esercizio  di  funzioni  giurisdizionali;  cio'  che
conferma la segnalata irragionevolezza, in quanto  i  magistrati  che
accedono al Consiglio di Stato nella qualifica diretta di Consigliere
possono   non   avere   mai   esercitato   funzioni   giurisdizionali
amministrative. 
    Tale stato di cose e' palesemente arbitrario ed irragionevole  in
quanto determina, in atto, il superamento anche di personale che puo'
vantare una anzianita' di venti o venticinque anni nelle funzioni  di
magistratura. 
    E vieppiu' irragionevole risulta, in quanto  tale  anzianita'  e'
stata computata, pur solo in  parte,  per  taluni  magistrati  TAR  e
negata per altri. 
    L'art. 23, comma 5 appare, altresi', illogico in  relazione  alla
volonta' del legislatore del 1982, in base ai lavori preparatori. 
    Va, infatti, considerato che, nei lavori preparatori della  legge
n. 186, si afferma che il principio ispiratore  della  riforma  della
legge n. 1034 del 1971  operata  nel  1982  era  rappresentato  dalla
«necessita' di  unificare  i  ruoli  dei  magistrati  amministrativi,
analogamente a quanto si fece nell'immediato  dopoguerra  per  quelli
ordinari», come risulta dalla relazione di accompagnamento al disegno
di legge. 
    Si legge nella medesima relazione che l'unificazione dei ruoli e'
urgente al fine di uniformare ai  principi  costituzionali  l'assetto
organizzativo e lostatus giuridico... «alla luce di tali principi non
puo'  non  essere  eliminata   al   piu'   presto   ogni   forma   di
discriminazione, dipendente dall'attuale sistema, articolato in ruoli
separati»... cio' «da un lato non  risponde  ad  alcuna  esigenza  di
funzionalita' e dall'altro  contrasta  con  l'obiettiva  identita'  e
dignita' delle funzioni esercitate, risolvendosi anzi  in  una  forma
anomala di subordinazione  gerarchica  dei  Tribunali  amministrativi
regionali al Consiglio di Stato e, quindi,  in  un  chiaro  attentato
all'autonomia e alla indipendenza». 
    Tali affermazioni sono evidentemente in contrasto con il  sistema
realizzato dall'art. 23, comma 5 della legge n. 186 del 1982, che  ha
introdotto modifiche  peggiorative  del  regime  dei  magistrati  dei
Tribunali amministrativi, in una disciplina che avrebbe dovuto essere
piu' favorevole e realizzativa della equiparazione funzionale  voluta
dalla legge. 
    E' bensi' vero che la novita' introdotta dalla legge  n.  186  e'
stata anche rappresentata dall'incremento  della  aliquota  di  posti
spettanti ai  magistrati  provenienti  dai  Tribunali  nel  ruolo  di
Consigliere di Stato. L'aumento della  aliquota  di  provenienza  dai
Tribunali amministrativi, diversamente  dalla  denunciata  previsione
dell'art.  23,  e'  invero  conforme  a  quanto  risulta  nei  lavori
preparatori, circa la volonta'  del  legislatore  di  procedere  alla
unificazione dei ruoli,  secondo  la  quale  «costituisce  il  logico
necessario presupposto per l'attribuzione a  tutti  gli  appartenenti
alla magistratura amministrativa di un unico status  e  di  identiche
garanzie  di  indipendenza»,  potenziando  appunto   l'accesso   alle
funzioni di appello per un maggior numero di magistrati di TAR. 
    Cio' che  e'  corroborato  dal  riferimento  all'art.  107  della
Costituzione, secondo il quale i magistrati si distinguono  solo  per
funzioni, cosi' ribadendo il principio che il  disegno  di  legge  si
ispira,  per  quanto  possibile,   all'ordinamento   dei   magistrati
ordinari. 
    E poiche', come gia' puntualizzato,  il  giudizio  amministrativo
sia in primo che in secondo grado, e' sempre esclusivamente  giudizio
di legittimita', con omogeneita' di qualificazione professionale  fra
il giudice di  primo  e  secondo  grado,  manca  ragione  alcuna  per
giustificare diverse posizioni di carriera. 
    La vera novita' costituita  dalla  legge  n.  186  del  1982  e',
quindi,  caratterizzata  dalla  soppressione  delle   qualifiche   di
referendario e primo referendario del Consiglio di Stato, al fine  di
bilanciare l'aumento delle aliquote  per  i  passaggi  dai  Tribunali
amministrativi e garantire, quindi, ai vincitori di concorso una piu'
rapida progressione in carriera rispetto ai colleghi provenienti  dai
Tribunali. 
    Sembra, pertanto, che in attuazione  di  appropriati  criteri  di
ragionevolezza, applicati alla strutturazione  della  carriera  della
magistratura amministrativa, non possa sussistere  una  modalita'  di
progressione talmente distorsiva,  da  tralasciare  ogni  valutazione
dell'esercizio di funzioni giurisdizionali,  pur  esercitate  per  un
numero  considerevole  di  anni,  ai  fini  della  progressione   dei
magistrati di provenienza TAR nelle funzioni di appello,  considerata
espressa affermazione della  omogeneita'  delle  funzioni  svolte  in
primo grado e in appello, da parte dell'art. 28 della legge  n.  1034
del 1971. 
    La sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del  2008,  che  ha
dichiarato  inammissibile  una  questione  proposta   dal   Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio  riguardo  alle   aliquote   di
composizione del Consiglio di Stato, rispetto alla riforma del  1982,
ha fatto riferimento proprio alla scelta operata dal legislatore  del
1982 di ampliare per il futuro le possibilita' dei consiglieri TAR di
accedere  alla  qualifica  di  consigliere  di  Stato  rispetto  alla
normativa   precedente   «al   fine   di   valorizzare   l'esperienza
professionale dei piu' maturi consiglieri degli organi decentrati  di
giustizia amministrativa». 
    Ulteriore censura attiene al profilo della uguaglianza. 
    La giurisprudenza della Corte ha affermato che  il  principio  di
uguaglianza riguarda il trattamento uguale di situazioni uguali ed il
trattamento diverso di situazioni  differenti.  L'applicazione  delle
norme  censurate  comporta  una  grave  lesione  del   principio   di
uguaglianza in quanto sono trattate  in  maniera  diversa  situazioni
sostanzialmente e formalmente uguali. 
    Altri profili di irragionevolezza si traggono dal  confronto  con
la magistratura ordinaria. 
    La Corte  Costituzionale,  infatti,  dopo  aver  affermato,  come
detto,  che  le  magistrature   speciali   non   sono   integralmente
disciplinate   dalle   norme   costituzionali   che   riguardano   la
magistratura ordinaria e che la relativa  disciplina  e'  rimessa  al
legislatore ordinario, ha ribadito, con la sentenza  n.  434  del  21
dicembre 2001 che, l'art. 107, comma 3  della  Costituzione  riguarda
esclusivamente la magistratura  ordinaria,  poiche'  le  garanzie  di
indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali sono  stabilite
dalla legge ordinaria ex art. 108, secondo comma, della Costituzione. 
    Peraltro, nella medesima sentenza, la Corte ha affermato  che  al
legislatore ordinario spetta, nella materia  dell'organizzazione  dei
pubblici   uffici   e   dell'articolazione   delle   carriere,    una
discrezionalita'  che,  per  quanto  ampia,  non  puo'  sfuggire   al
sindacato di costituzionalita', allorquando  si  dimostri  la  palese
arbitrarieta' o la manifesta irragionevolezza della scelta adottata. 
    Anche  il  Consiglio  di  Stato,  esaminando  la   questione   di
legittimita' costituzionale del Tribunale di Giustizia amministrativa
di Trento (ritenendola manifestamente infondata), ha  affermato,  sia
con la decisione della IV sezione n. 393 del 4 febbraio 2004, sia con
sentenza della VI sezione n. 1049  del  23  febbraio  2009,  che:  «i
principi  dell'imparzialita'  e  della  terzieta'   dei   magistrati,
espressamente enunciati per la prima volta nella  nuova  formulazione
del comma 2 dell'art. 111 Cost., sono sempre stati  comunque  sottesi
alla  disciplina  dell'ordinamento  giudiziario,  rappresentando   un
insopprimibile  presupposto,  ancorche'   implicito,   degli   stessi
principi di autonomia ed indipendenza dei magistrati (art. 104 Cost.)
e della loro  esclusiva  soggezione  alla  legge  (art.  101  Cost.),
secondo le fondamentali garanzie del diritto di azione  e  di  difesa
(artt. 24 e 113 Cost.)». 
    Trasferendo  le  sopra  esposte  considerazioni  agli  organi  di
giustizia amministrativa, sono state considerate applicabili le norme
degli artt. 101, 104, 111 della  Costituzione,  nonche'  la  generale
guarentigia di cui agli artt. 102 e 101, consistente nel principio di
indipendenza  e  di   soggezione   unicamente   alla   legge,   quale
denominatore unico comune di tutti i giudici. 
    In  particolare,  neppure  e'  in  dubbio,  nella  giurisprudenza
amministrativa, la inamovibilita' dei magistrati di qualsiasi  ordine
e grado (C.d.S sez. IV, 30 giugno 2004, n. 4835, riguardo alla  Corte
dei Conti). 
    Sarebbe percio' assolutamente irragionevole quell'ordinamento che
introducesse  una  disciplina  radicalmente  diversa   tra   le   due
magistrature, sia in relazione alla uniformita' delle progressioni in
carriera (tabella allegata alla legge n. 27 del 1981, confermata  dal
richiamato art. 21, comma 6 della legge n. 186 del  1982);  sia  alla
estensione delle analoghe garanzie sopra evidenziate. 
    E' inoltre fortemente sintomatico il rilievo  della  istituzione,
con l'art. 7 della legge n. 186, di un comune organo  di  autogoverno
per la magistratura amministrativa; norma sulla quale  e',  altresi',
intervenuta la successiva legge n. 205 del 21  luglio  2000,  che  ha
introdotto nel consiglio di presidenza della giustizia amministrativa
i membri eletti  dal  Parlamento,  rendendolo  analogo  al  Consiglio
Superiore della Magistratura. 
    La medesima  norma  della  legge  n.  205  ha  fatto  espresso  e
significativo riferimento ad un «generale  riordino  della  giustizia
amministrativa sulla base della unicita' di accesso e  di  carriera»,
riordino non ancora venuto a realizzazione. 
    Peraltro   l'attuale   codice   del   processo    amministrativo,
configurando una piu'  accentuata  assimilazione  della  magistratura
amministrativa sotto il profilo processuale a quella della  giustizia
ordinaria, non puo' non comportare un  evidente  avvicinamento  della
struttura  complessiva  della  giustizia  amministrativa   a   quella
ordinaria,  determinando  un  deciso  superamento  di  quei   profili
peculiari di questa, che avevano giustificato, in passato, i  fattori
differenziali tra due apparati di giustizia e le  relative  posizioni
di carriera, secondo il giudizio della Corte Costituzionale. 
    Il confronto con la magistratura ordinaria e le sue  ricadute  in
termini di irrazionalita' con il sistema di  carriera  vigente  nella
magistratura amministrativa si pone oggi rafforzato  con  il  decreto
legislativo n.  160  del  5  aprile  2006,  che  determina  la  nuova
disciplina,  nonche'  progressione  economica  e  di   funzioni   dei
magistrati ordinari. 
    L'art. 12, comma 14, prevede, infatti, per il conferimento  delle
funzioni di legittimita' presso la Suprema Corte  di  Cassazione,  la
quinta valutazione di professionalita'. 
    Prevede,  altresi',  per  il  conferimento  di   tali   funzioni,
limitatamente al 10  per  cento  dei  posti  vacanti,  una  procedura
valutativa riservata ai magistrati che abbiano conseguito la  seconda
o la terza valutazione di professionalita' e che siano in possesso di
titoli professionali e scientifici adeguati. Peraltro, a seguito  del
superamento di tale  procedura  valutativa,  «il  conferimento  delle
funzioni di legittimita' per effetto del presente comma  non  produce
alcun effetto sul trattamento giuridico  ed  economico  spettante  al
magistrato, ne' sulla collocazione nel ruolo di anzianita' o ai  fini
del conferimento di funzioni di merito». 
    Anche  sotto  altri  profili,  la  giurisprudenza   della   Corte
Costituzionale  ha  poi  avvicinato  sempre  piu'  la   giurisdizione
amministrativa a quella ordinaria. Nella sentenza n. 204 del 2004  ha
affermato   che   il   Costituente   ha   riconosciuto   al   giudice
amministrativo piena dignita' di giudice ordinario per la tutela  nei
confronti della pubblica amministrazione delle situazioni  soggettive
non contemplate dall'art. 2 della legge del 1865:  «l'art.  24  Cost.
assicura agli interessi legittimi - la cui tutela l'art. 103  riserva
al giudice  amministrativo  -  le  medesime  garanzie  assicurate  ai
diritti soggettivi quanto alla possibilita' di farli  valere  davanti
al giudice ed alla effettivita' della tutela  che  questi  deve  loro
accordare». 
    Piu' di recente nella  sentenza  n.  77  del  2007  la  Corte  ha
affermato, altresi', che «il principio  della  incomunicabilita'  dei
giudici appartenenti ad ordini diversi e'  certamente  incompatibile,
nel momento attuale, con fondamentali valori  costituzionali.  Se  e'
vero, infatti, che la Carta costituzionale ha recepito,  quanto  alla
pluralita' dei giudici, la situazione all'epoca esistente,  e'  anche
vero che la medesima Carta  ha,  fin  dalle  origini,  assegnato  con
l'art.  24  (ribadendolo   con   l'art.   111)   all'intero   sistema
giurisdizionale la funzione di assicurare la  tutela,  attraverso  il
giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi». 
    L'effettivita' della tutela nei due ordini di  giurisdizione  non
puo'  essere  assicurata  se  non  vi  sono  analoghe  garanzie   dei
magistrati  ed  analogo  rispetto  dei  principi   fondamentali   che
governano la giurisdizione, tra cui quello dell'art.  107,  comma  3,
considerato il processo evolutivo in corso e che ha visto estesi alla
magistratura amministrativa ampi  settori  di  competenze  del  tutto
impensabili  nel  passato,   quali   il   risarcimento   del   danno,
l'ampliamento  della  giurisdizione  esclusiva   e   di   merito,   i
provvedimenti  ante  causam,  la  decretazione  ingiuntiva,  i  mezzi
istruttori (consulenza tecnica, testimonianza). 
    E' quindi evidente che il complessivo  portato  innovativo  della
funzione  non  possa  essere  ristretto  negli  schemi  organizzativi
precedenti,  che  appaiono  del  tutto  anacronistici  e  della   cui
irragionevolezza e' chiaro sintomo, fra gli altri, la  penalizzazione
di carriera di cui qui si e' detto. 
    Vi e'  poi  da  richiamare  un  raffronto  con  il  regime  della
magistratura contabile. 
    Come e' noto, a seguito della riforma operata con la legge n.  19
del 14 gennaio 1994, sono state istituite le sezioni regionali  della
Corte dei Conti come organi giurisdizionali di primo  grado,  avverso
le decisioni dei quali viene proposto appello alle sezioni  centrali.
Nei rapporti tra organi di primo grado  e  di  appello  i  magistrati
hanno assoluta uniformita' di qualifiche e funzioni. 
    Se anche rispetto alla Corte  dei  Conti  non  si  puo'  ritenere
assoluta l'adozione di un analogo regime, in quanto le  modalita'  di
funzionamento e di organizzazione della magistratura amministrativa e
contabile sono riservate al legislatore ordinario, non  si  puo'  non
considerare assolutamente irragionevole un assetto organizzativo  del
tutto differente rispetto sia  alla  giurisdizione  ordinaria  che  a
quella contabile, specificatamente, per quanto concerne  l'anzianita'
di quanti passano ad esercitare funzioni d'appello. 
    Ne'  puo'  valere  a  superare  la  assoluta  irragionevolezza  e
disparita' di trattamento, la considerazione delle  diverse  funzioni
del  Consiglio  di  Stato  rispetto   ai   Tribunali   amministrativi
regionali,  in  relazione  alle  competenze  anche   consultive   del
Consiglio di Stato. 
    I magistrati provenienti dai Tribunali,  infatti,  sono  in  gran
parte assegnati a  sezioni  giurisdizionali,  che  svolgono  funzioni
d'appello rispetto alle decisioni dei Tribunali  amministrativi,  ne'
lo svolgimento di funzioni consultive del  Consiglio  di  Stato  puo'
ritenersi imprescindibile, in quanto molti magistrati  del  Consiglio
di  Stato  non  hanno  mai  svolto  tali  funzioni,  peraltro,   oggi
ridimensionate rispetto al passato, per effetto  di  eliminazioni  di
competenze  che  hanno  comportato  una  compressione  dell'area   di
esercizio della funzione consultiva e della sua rilevanza. 
    Di fronte a tale  complesso  quadro  normativo,  sia  nell'ambito
della  magistratura  amministrativa,  che  con  riguardo   all'intero
ordinamento della giustizia,  il  Collegio  ritiene  che  il  mancato
riconoscimento dell'anzianita' di giudice di primo grado, al  momento
del passaggio  al  Consiglio  di  Stato,  costituisca  una  palese  e
irragionevole  disparita'  di  trattamento  sia   all'interno   della
magistratura amministrativa (tra chi e' entrato ad una certa  data  e
chi successivamente), sia rispetto ai principi generali che governano
la magistratura ordinaria e contabile e che comporta, nel  complesso,
un irrazionale assetto di  carriera  non  coerente  con  il  corretto
esercizio  della  funzione  giurisdizionale  presso  la  magistratura
amministrativa. 
    In conclusione, il Collegio ritiene che il giudizio debba  essere
sospeso e che gli atti vadano trasmessi  alla  Corte  Costituzionale,
attesa la rilevanza e la non manifesta infondatezza  della  questione
di costituzionalita' dell'art. 23, comma 5 della  legge  n.  186  del
1982, per la violazione dell'art. 3 della Costituzione,  nella  parte
in cui  si  riferisce  esclusivamente  «ai  referendari  o  ai  primi
referendari in servizio alla data di entrata in vigore della presente
legge», concedendo ad essi i benefici di carriera negati  a  soggetti
aventi identica posizione qualificativa sostanziale. 
    L'intervento additivo richiesto da questo  giudice,  costituisce,
soluzione costituzionalmente obbligata, in quanto  proprio  la  norma
dell'art. 23, comma 5 della legge n. 186 del 1982, posta a  base  del
provvedimento impugnato, ha indicato in cinque  anni  il  periodo  di
anzianita' che deve essere riconosciuto al momento del passaggio alle
funzioni di appello,  quale  spettanza  riservata  ai  magistrati  in
servizio ai tempi dell'entrata in vigore della norma. 
    Sembra, infatti, per quanto esposto, pienamente prospettabile  la
pronunzia di incostituzionalita' dell'art. 23 in oggetto, per tutti i
profili fin qui delineati, al fine  di  promuovere  l'estensione  del
regime, che il legislatore ha previsto solo per i referendari e primi
referendari in servizio alla data di entrata in  vigore  della  legge
del 1982 e  che  penalizza  irragionevolmente  ed  ingiustamente  una
intera categoria di personale di magistratura. 
    La  rimessione  degli  atti  alla  Corte  Costituzionale   lascia
riservata ogni altra questione in merito  ed  in  rito  del  presente
giudizio,   fino   all'esito   della   sopra    indicata    questione
pregiudiziale.