IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 2493 del 20 , proposto dai proposto dai Consiglieri di Stato Salvatore Cacace, Gabriele Carlotti, Michele Corradino, Sergio De Felice, Carlo Deodato, Giancarlo Montedoro, Nicola Russo rappresentati e difesi dagli avv.ti Sergio Fidanza ed Angelo Gigliola ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, Via Liberiana n. 17; Contro Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Presidenza del Consiglio dei Ministri; nei confronti di Aureli Sandro, non costituito in giudizio; per l'annullamento della delibera del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa del 28 novembre 2007 di riconoscimento di cinque anni di anzianita' al consigliere di stato Sandro Aureli; Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2010 il dott. Giuseppe Sapone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; La delibera impugnata e' basata sulla norma dell'art. 23, comma 5 della legge n. 186 del 1982, che riconosce l'anzianita' nella qualifica di consigliere maturata nei ruoli dei tribunali amministrativi regionali nel limite di cinque anni. Tale norma prevede: «salvo quanto previsto nel quarto comma del precedente articolo 21 ( ovvero per l'anzianita' maturata ai fini della nomina a presidente di sezione di Tar), i primi referendari e referendari dei tribunali amministrativi regionali in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge conservano, all'atto della nomina a consigliere di Stato, l'anzianita' acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale nel limite di cinque anni, fatta salva la valutazione degli effetti economici e prendono posto nel ruolo secondo la predetta anzianita'». La lettera della norma e', pertanto, riferita esclusivamente ai referendari e primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della legge, per il che, il sindacato di questo giudice non potrebbe ad altro concludere, in stretta applicazione della legge, se non nel senso di una pronunzia di annullamento della delibera impugnata. Essendo, infatti, stabilita una precisa delimitazione di data per l'operativita' del riconoscimento di anzianita' di cui in oggetto, non sussiste alcuna possibile interpretazione estensiva, ne' alcuna ipotizzabile lettura costituzionalmente orientata, che conduca ad evitare l'annullamento della delibera impugnata, con attribuzione del beneficio richiesto. Ritiene, dunque, il Collegio necessario ai fini del decidere sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art 23 comma 5 della legge n. 186 del 27 aprile 1982. La questione si presenta, infatti, rilevante, nel caso di specie. La questione e', altresi', non manifestamente infondata. Si deve considerare che il sistema complessivo di organizzazione della. Giustizia amministrativa, a causa di varie stratificazioni normative, prive di razionale coordinamento, comporta, in ordine alla strutturazione della carriera dei magistrati amministrativi, la illogicita' del costrutto generale risultante dall'attuale apparato legislativo. In esso si configura, infatti, una singolare ed inusitata fisionomia della carriera di magistratura che prospetta, nella disorganica successione delle leggi, seri problemi di compatibilita' degli assetti venuti in essere, rispetto alla funzione esercitata ed, altresi', rispetto alle norme costituzionali. Cio' deriva da fattori genetici dei Tribunali amministrativi, in quanto, al tempo della Legge 1034 del 6 dicembre 1971, istitutiva degli organi di primo grado, il modello organizzatorio adottato, comportava una difficile trasferibilita' del modulo Consiglio di Stato ai nuovi organi, posto che ivi sussisteva una struttura articolata su magistrati di nomina governativa e magistrati di carriera, entrambi chiamati all'esercizio di funzioni consultive e giurisdizionali , profili questi che invece non esistevano presso i Tribunali di primo grado. La ricerca di un criterio di armonizzazione tra le due componenti, sicuramente eterogenee, si era concretata in uno schema che rifletteva il fattore differenziale tra i due plessi di magistratura,ed aveva pur tentato di contemperare tale differenziazione, attraverso strumenti di salvaguardia, che tuttavia potevano riguardare essenzialmente la prima fase della vita dei nuovi organi , ma non potevano prevedere le future sopravvenienze legislative e le profonde innovazioni nella strutturazione delle carriera, successivamente introdotte. Prima fra tutte, l'abolizione del referendariato presso il Consiglio di Stato, cio' che avrebbe comportato rilevanti squilibri nei rapporti tra Tar e Consiglio di Stato, secondo quanto verra' in prosieguo esaminato. A seguito della emanazione della Legge 27 aprile 1982, n. 186, con gli artt. 6, 19, 23, 50, sono state introdotte rilevanti innovazioni nelle carriere, sia presso il Tar che presso il Consiglio di Stato, ma che, tuttavia , non sembrano essere state coerenti con una organica armonizzazione rispetto al pregresso portato normativo della legge 1034/71, che conservava pressoche' integrale vigenza, nonostante talune contraddizioni con le nuove norme. I tribunali amministrativi regionali, in base all'art. 6 della legge n. 186 del 1982 , restano, come per il passato, composti da: presidenti di tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari ma, nel contempo sono state abolite le corrispondenti qualifiche di referendario e primo referendario presso il Consiglio di Stato, composto, quindi, dopo il 1982, di soli consiglieri. Ai sensi dell'art 19 della legge n. 186, un quarto delle disponibilita' e' riservato alle nomine governative ed un ulteriore quarto alla copertura mediante concorso pubblico per titoli ed esami teorico:›pratici. I posti che si rendono vacanti nella qualifica di consigliere di Stato sono conferiti, in ragione della meta', ai consiglieri di tribunale amministrativo regionale con almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. I magistrati dichiarati idonei assumono la qualifica di consigliere di Stato, conservando, unicamente agli effetti del quarto comma dell'articolo 21 (quindi, ai fini della nomina a presidente di Tar), l'intera anzianita' maturata nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale. In base all'art 21 della legge 1034, infatti, i consiglieri, sia dei Tribunali che del Consiglio di Stato, conseguono la nomina alle qualifiche direttive, al compimento di otto anni nella qualifica, essendo precisato che la anzianita' maturata dai suddetti Consiglieri presso i Tribunali viene valutata, come detto, nella sua interezza unicamente ai fini dell'accesso alla Presidenza dei Tribunali amministrativi regionali, ma non per la nomina a Presidente di Sezione del Consiglio di Stato. Si e' introdotta, pertanto, una divaricazione di carriera che considera la anzianita' maturata presso i Tar come parametro differenziale, a seconda che si debbano coprire posti direttivi presso i Tar ovvero presso il Consiglio di Stato e che, pur essendo comunque considerati equivalenti, attraverso il richiamo all'art. 14 n. 2 della medesima legge n. 186 (che appunto stabilisce che " sono magistrati con funzioni direttive " sia i Presidenti di sezione presso il Consiglio di Stato, sia i Presidenti di Tar") configurano un regime di accesso che penalizza gli uni nel trasferimento alle qualifiche direttive presso il Consiglio di Stato e gli altri nella assunzione delle presidenze presso i Tar. E' evidente che tale singolare struttura delle carriere attualmente in atto, comporta conseguenze non solo nel momento della assunzione di incarichi direttivi, ma e' causa, a monte, di squilibri nelle inferiori qualifiche che, quindi, si riverberano, in prosieguo di carriera, e proprio nella prospettiva del passaggio alle funzioni direttive, ovunque esercitate. Ed e' in questo senso che l'art. 23, per cui e' causa, determina una evidente disparita' di trattamento al momento dell'accesso al Consiglio di Stato tra quanti si sono avvalsi del beneficio recato dalla norma e quanti altri non possono avvalersene per un mero fattore temporale all'atto dell'ingresso nei ruoli del Consiglio di Stato. Si sono, infatti, determinate varie incongruenze che configurano, nell'intero corso delle carriere, fattori di evidente irrazionalita', e che comportano, senza alcuna giustificazione, un regime favorevole per alcune categorie di magistrati, con correlativo pregiudizio per altri, in relazione ad elementi del tutto casuali. Ed invero, le carriere dei magistrati amministrativi sono disciplinate, nell'intero corso successivo alla legge n. 1034 del 1971, secondo un intricato sistema di retrodatazioni fittizie e sovrapposizioni di posizioni di ruolo, prive di alcun riscontro in alcuna sostanziale ed obiettiva esigenza a loro sostegno. L'art. 17 della Legge 1034 aveva salvaguardato il riconoscimento di tutta l'anzianita' maturata nella qualifica di consigliere di Tar al momento del passaggio al Consiglio di Stato. L'art. 23 comma 4 della legge n. 186 del 1982 ha conservato tale previsione solo per i "consiglieri in servizio" alla data di entrata in vigore della legge n. 186; cio' ha determinato un sistema regolatore di carriera, non in via organica, ma con carattere meramente episodico, che e' rimasto limitato, senza alcuna plausibile ragione, ad alcune categorie di magistrati dei Tribunali amministrativi (quelli aventi, appunto, alla data di entrata in vigore della legge n. 186, la qualifica di consigliere) e negato per altri. L'introduzione di una nuova disciplina avrebbe dovuto, di contro, rispondere a criteri regolatori di carattere logico ed obiettivo; pertanto, non si comprende perche' dopo aver riconosciuto l'integrale computo di anzianita' nelle qualifiche di consigliere Tar all'atto del trasferimento al Consiglio di Stato, per taluni (consiglieri in servizio) cio' non potesse o dovesse costituire il regime generale applicato anche per il futuro. Ne consegue che il sistema di carriera dei magistrati amministrativi si delinea, oggi, come risultante di una continua fase transitoria che ha determinato un assetto dei ruoli che', invece di ricevere un canone unitario e definitivo, presenta un andamento saltuario e irrazionale. Di questo sistema si e' anche occupata la giurisprudenza costituzionale, affermando che la legge n. 186 del 1982 aveva completamente innovato la materia (Corte costituzionale, 7 febbraio 1984 , n. 14, restituendo ai giudici "a quibus", gli atti relativi alla questione di legittimita' costituzionale di una serie di norme della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, relative alla composizione del consiglio di presidenza e alle nomine dei presidenti di Tar). Anche gli organi amministrativi hanno interpretato la disposizione dell'art 17 come superata dalla disposizione della legge del 1982, ovvero riferita solo ai magistrati dei Tribunali amministrativi regionali, che alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982, avessero gia' conseguito la qualifica di consigliere di Tribunale amministrativo regionale, come previsto dal comma 4 dell'art 23 della legge n. 186 del 1982. Venuta quindi a cessare, per piu' di una ragione, l'operativita' dell'art. 17 della legge n. 1034 cit., il quadro si configura oggi nei seguenti termini: 1) pregresso riconoscimento in base ai commi 4 e 5 dell'art. 23, di tutta l'anzianita' maturata nella qualifica di consigliere di Tribunale per coloro che si erano potuti avvalere; in via quindi transitoria, dell'art 17 della legge n. 1034 del 1971, istitutiva dei Tribunali amministrativi; 2) riconoscimento di una anzianita' " fittizia" di cinque anni al momento del passaggio al Consiglio di Stato per coloro che alla data di entrata in vigore della legge del 1982 fossero primi referendari e referendari in servizio presso i Tribunali amministrativi; 3) nessun riconoscimento dell'anzianita' maturata nei Tribunali amministrativi regionali per i consiglieri di TAR transitati e transitandi al Consiglio di Stato, che non fossero in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186. Ed e' quest'ultimo il caso dell'odierno controinteressato. L'applicazione della norma dell'art. 23 comma 5 della legge 186 del 1982, nei termini strettamente letterali e senza riguardo olla ripercussione sugli assetti di carriera ed ai seri dubbi di congruenza complessiva del sistema, non potrebbe che comportare - come gia' detto in limine - l'accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento della delibera qui impugnata, ma con il consolidamento di posizioni di status che non rispondono a criteri di eguaglianza tra soggetti aventi situazioni del tutto identiche. Il Collegio, pertanto, ritiene che il quadro normativo delineato dall'art. 23 della legge 186 del 1982 sia costituzionalmente illegittimo per la violazione dell'art. 3 Cost. sotto molteplici profili ed in particolare per la assoluta irragionevolezza e disparita' di trattamento tra posizioni di carriera sostanzialmente e formalmente indifferenziate. L'art. 23 introduce, infatti, un regime transitorio per il riconoscimento della anzianita', che non puo' essere considerato ragionevole se circoscritto ad un "favor" riguardante unicamente una categoria di personale individuato in base ad un fattore temporale di attivita' di servizio in una determinata qualifica e non anche caratterizzato da alcun fattore strutturale rispondente a peculiari e plausibili elementi differenziali. Questo giudice non ignora che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che l'introduzione di un regime transitorio o di un determinato trattamento per alcune categorie sia rimessa alla discrezionalita' del legislatore. La Corte stessa ha, tuttavia, affermato che, nell'esercizio dei poteri piu' ampi di discrezionalita', sussiste il limite della palese irragionevolezza nella fissazione delle norme, specialmente di carattere transitorio, che introducono benefici temporanei non rispondenti a peculiari situazioni di fatto e diritto, meritevoli di un apprezzamento particolare di carattere sostanziale. Cio' tanto piu' ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio rispetto al canone generale, determinativo di scelte connesse all'individuazione di alcune categorie a cui spetti un beneficio che non debba o non possa essere esteso a posizioni giuridiche equivalenti per intrinseche ragioni di base dei beneficiari (Corte costituzionale, 20 novembre 2008 , n. 37 si era in tema di prestazioni previdenziali, ma il principio assumeva valenza di canone generale). Sembra percio' evidente che, nel caso di specie, il regime introdotto con l'art. 23 cit., nella parte venuta in esame, sia viziato da irrazionalita' e violi il principio di uguaglianza. Si tratta, infatti, del riconoscimento, non di un determinato trattamento economico piu' o meno favorevole o di determinati scatti di anzianita' o di modalita' di carriera piu' o meno rapida, ma della totale mancata considerazione di una anzianita' maturata, con pregiudizio a carico di un servizio effettuato nello svolgimento delle medesime funzioni giurisdizionali, rispetto a quelle svolte dai beneficiari del comma 5 dell'art. 23, da personale, quindi, riconosciuto omogeneo, non solo per l'identita' dei profili processuali delle funzioni assolte quali giudici di primo e secondo grado, ma, altresi', espressamente equiparato anche dal dato testuale degli artt. 13 e 28 della legge n. 1034 del 1971 (quest'ultima norma abrogata solo con la entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010. Appare, dunque, irragionevole una disciplina legislativa, per essa intesa la L. 186, che, come si legge nei lavori preparatori, era nata per dare maggiore uniformita' ai ruoli dei magistrati amministrativi e avvicinarla alla magistratura ordinaria, ed ha introdotto, invece, un regime fortemente differenziato e penalizzante per alcune categorie di magistrati. Tale regime, infatti, non risulta giustificato in relazione ad alcuna Corrispondente peculiarita' dei referendari e primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della legge, rispetto a quelli entrati successivamente. Questi, infatti, sono entrati nei ruoli della magistratura amministrativa con il medesimo tipo di accesso (concorso per titoli ed esami), con le stesse prove concorsuali dei colleghi entrati successivamente (tra cui quelli interessati dalla delibera impugnata). Si e', dunque, determinata 1' introduzione di un regime transitorio doppiamente peggiorativo, rispetto a quello precedente, che aveva concesso prima il riconoscimento della piena anzianita' (art 17 della legge n. 1034 del 1971 e 23 comma 4), successivamente il beneficio di soli cinque anni per taluni, ma con ulteriore opposta previsione "a regime" del mancato riconoscimento della totale anzianita' (cd. anzianita' zero) per altri. La norma dell'art 23 appare, dunque, palesemente irragionevole per la istituzione di un beneficio ad esclusivo regime transitorio, non essendovi alcun elemento per ritenere che i magistrati amministrativi allora in servizio fossero o siano oggi, diversi per titoli e funzioni, rispetto a quelli che dal 1982 in poi sono stati nominati a seguito delle medesime procedure concorsuali e con gli stessi titoli di servizio e di anzianita' richiesti per parteciparvi. La irragionevolezza risulta anche evidente in relazione agli altri principi generali che governano sia la disciplina del pubblico impiego sia quella piu' specifica della magistratura ordinaria. L'art. 200 comma 3 del testo unico n. 3 del 1957, ancora applicabile alla categorie del pubblico impiego non privatizzato, indica infatti un principio generale di garanzia della conservazione della anzianita'. Inoltre, il mancato riconoscimento della anzianita' ai consiglieri di Tribunale amministrativo entrati in servizio successivamente al 1982, quali quelli oggetto della delibera impugnata, risulta chiaramente in contrasto con la previsione dell'art 107 della Costituzione. Tale norma, come e' noto, afferma che i magistrati si distinguono solo per diversita' di funzioni; funzioni che sono del tutto indifferenziate presso la magistratura amministrativa, dove non si registrano posizioni di carriera distinte, ad esempio, fra pubblici ministeri, magistrati giudicanti, collegi, giudici di indagine preliminare, giudici di legittimita'. Il Collegio e' a conoscenza che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha affermato che non tutte le norme costituzionali dettate per la magistratura ordinaria si estendono alle altre magistrature e che per le magistrature speciali molte garanzie sono rimesse al legislatore ordinario, che puo' dare attuazione ad alcuni principi generali con modalita' diverse. Tuttavia, tali modalita' non possono arrivare a costituire un regime assolutamente irragionevole, che comporta la totale pretermissione delle funzioni giurisdizionali svolte in primo grado presso la magistratura amministrativa; cio' che, sia per il presente, come gia' nel passato, ha costantemente distorto la strutturazione dei ruoli in tutta la storia della magistratura amministrativa, dopo l'istituzione dei Tribunali di primo grado. Dall'art 107 emerge, infatti, un principio generale per cui le funzioni giurisdizionali sono omogenee in qualunque grado siano esercitate; il che presso la magistratura ordinaria vale, senza distinzione, tra le funzioni di merito e di legittimita'. Ne deriva che le funzioni giurisdizionali svolte in primo grado non possono non essere considerate, al momento del passaggio alla magistratura di appello, stante l'identita' delle funzioni stesse e del "genus" processuale. Ancora piu' irragionevole tale regime risulta, poi, in presenza della retrodatazione della nomina dei consiglieri di Stato a seguito di concorso, ai sensi del n° 3 dell'art 19 della legge n. 186 del 1982; norma questa che considera come svolte, funzioni giurisdizionali non effettivamente esercitate; il che ha ulteriormente inciso nell'intera configurazione della carriere, con pari irragionevolezza. L'assoluta estemporaneita' dell'art. 23, comma 5 emerge, altresi', rispetto alle altre disposizioni della medesima legge n. 186 del 1982, nonche' rispetto alla volonta' del legislatore della riforma del 1982, in base ai lavori preparatori. L'art. 21 della legge n. 186 del 1982 al comma 1 prevedendo, come gia' illustrato, che i consiglieri di Stato e i consiglieri di Tribunale amministrativo regionale al compimento di otto anni di anzianita' nelle rispettive qualifiche possono conseguire la nomina alle qualifiche di presidente di sezione del Consiglio di Stato e presidente di Tribunale amministrativo regionale, evidentemente presuppone e ribadisce la uniformita' delle funzioni giurisdizionali svolte in primo grado e in appello, nella qualifica di consigliere, come altresi', stabilito dall'art 14 della legge n. 186 del 1982, che al punto 2 prevede le qualifiche di Presidente di sezione del Consiglio di Stato e di Presidente di Tribunale amministrativo regionale come assolutamente equiparate e differenziate unicamente in base all'ufficio giudiziario presso il quale tali funzioni direttive sono esercitate. Si deve tenere conto, altresi', che l'art 28 della legge n. 1034 del 1971, abrogato solo dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del. 2010, prevedeva che il Consiglio di Stato - come gia' cennato -, in sede di appello, esercita gli stessi poteri giurisdizionali di cognizione e di decisione del giudice di primo grado. A conferma ulteriore di tale equiparazione funzionale, la medesima norma dell'art. 21 ai commi 3 e 4 prevede che, limitatamente ai posti di presidente di sezione del Consiglio di Stato, la nomina sia riservata a coloro che abbiano prestato servizio per almeno due anni presso il Consiglio di Stato (unico requisito specifico, quindi, per il conferimento delle funzioni di Presidente di sezione del Consiglio di Stato). In particolare, ai sensi del comma 4, e limitatamente al conferimento della qualifica di Presidente di Tribunale amministrativo regionale, viene computata l'intera anzianita' maturata nella qualifica di Consigliere presso il Tribunale amministrativo regionale. Cio' contrasta, invece, con il mancato riconoscimento dell'anzianita' di consigliere di Tar ai fini della nomina a consigliere di Stato. La equiparazione tra consiglieri di Stato e consiglieri di Tribunale amministrativo e' poi piena sotto il profilo economico. Ai sensi del comma 6 del medesimo art 21 della legge n° 186 del 1982, i consiglieri di Stato e i consiglieri di Tribunale amministrativo regionale, al compimento della anzianita' di otto anni nella qualifica, conseguono il trattamento economico inerente alla qualifica di magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori. Da tale quadro normativo emerge, gia' solo all'interno dello stesso art 21 della legge n° 186 del 1982, la normale equiparazione delle funzioni svolte dai giudici amministrativi in primo grado e in appello, equiparazione rispetto alla quale risulta, invece, assolutamente irragionevole il mancato riconoscimento dell'esperienza maturata presso i Tribunali amministrativi al momento del passaggio al Consiglio di Stato, per la cui giustificazione occorrerebbe la sussistenza di situazioni differenziali, che si sono viste del tutto insussistenti. Inoltre, l'art. 13 della legge n.1034 del 1971, la legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, distinguendo tra le qualifiche di consigliere, referendario e primo referendario di Tribunale amministrativo regionale, gia' aveva esteso espressamente le norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale di corrispondente qualifica della magistratura del Consiglio di Stato. Per quanto le modifiche ordinamentall introdotte con la legge n° 186 del 1982 possano rientrare nell'esercizio della discrezionalita' del legislatore, tale discrezionalita', nel caso di specie, appare, con assoluta evidenza, esercitata in modo illogico. Il legislatore, infatti, ha inciso in senso peggiorativo su una previsione gia' in vigore (riconoscimento della anzianita' maturata nella qualifica di consigliere di Tribunale amministrativo) conforme al sistema normativo sia della legge n. 1034 del 1971 (art 13) sia della stessa legge n. 186 del 1982 (art 21)e al naturale assetto dei rapporti tra giudici di primo grado e di appello. La disciplina dell'art. 23 non appare peraltro giustificata, come gia' esposto , da alcun diverso regime di accesso tra coloro che erano in servizio nel 1982 e quelli entrati successivamente, in quanto tutti sono stati sottoposti all'identico concorso di cui all'articolo 14 della legge n. 1034 del 1971 e all'art 19 del d.P.R. n. 214 del 21 aprile 1973 norma alle quali espressamente rimanda l'art. 16 della legge n. 186/1982. Il pregiudizio sussistente a carico dei consiglieri TAR e' ulteriormente confermato dalla abolizione, da parte della legge n. 186, delle qualifiche dei referendari e primi referendari del Consiglio di Stato, cio' che ha configurato l'accesso diretto alla qualifica di consigliere di Stato a seguito di concorso e non piu' a quella di referendario del Consiglio di Stato. In tale modo, la nomina diretta per concorso al Consiglio di Stato avuto riguardo ai principi dell'art 97 e 98 della Costituzione, comporta un evidente potenziamento di carriera, eliminando l'intero periodo quadriennale di referendariato prima esistente e che, invece, permane presso i Tribunali amministrativi, ove i magistrati acquisiscono la qualifica di consigliere dopo otto anni di concreto esercizio di funzioni giurisdizionali; cio' che conferma la segnalata irragionevolezza, in quanto i magistrati che accedono al Consiglio di Stato nella qualifica diretta di Consigliere possono non avere mai esercitato funzioni giurisdizionali amministrative. Tale stato di cose e' palesemente arbitrario ed irragionevole in quanto determina, in atto, il superamento anche di personale che puo' vantare una anzianita' di venti o venticinque anni nelle funzioni di magistratura. E vieppiu' irragionevole risulta, in quanto tale anzianita' e' stata computata solo in parte per taluni magistrati Tar e negata per altri. L'art. 23 comma 5 appare, altresi', illogico in relazione alla volonta' del legislatore del 1982, in base ai lavori preparatori. Va, infatti, considerato che, nei lavori preparatori della legge n. 186, si afferma che il principio ispiratore della riforma della legge n. 1034 del 1971 operata nel 1982 era rappresentato dalla " necessita' di unificare i ruoli dei magistrati amministrativi, analogamente a quanto si fece nell'immediato dopoguerra per quelli ordinari", come risulta dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge. Si legge nella medesima relazione che l'unificazione dei ruoli e' urgente al fine di uniformare ai principi costituzionali l'assetto organizzativo e lo status giuridico... "alla luce di tali principi non puo' non essere eliminata al piu' presto ogni forma di discriminazione, dipendente dall'attuale sistema, articolato in ruoli separati"... cio' " da un lato non risponde ad alcuna esigenza di funzionalita' e dall'altro contrasta con l'obiettiva identita' e dignita' delle funzioni esercitate, risolvendosi anzi in una forma anomala di subordinazione gerarchica dei Tribunali amministrativi regionali al Consiglio di Stato e, quindi, in un chiaro attentato all'autonomia e alla indipendenza". Tali affermazioni sono evidentemente in contrasto con il sistema realizzato dall'art 23 comma 5 della legge n. 186 del 1982, che ha introdotto modifiche peggiorative del regime dei magistrati dei Tribunali amministrativi, in una disciplina che avrebbe dovuto essere piu' favorevole e realizzativa della equiparazione funzionale voluta dalla legge. E' bensi' vero che la novita' introdotta dalla legge n. 186 e' stata anche rappresentata dall'incremento della aliquota di posti spettanti ai magistrati provenienti dai Tribunali nel ruolo di Consigliere di Stato. L'aumento della aliquota di provenienza dai Tribunali amministrativi, diversamente dalla denunciata previsione dell'art 23, e' invero conforme a quanto risulta nei lavori preparatori, circa la volonta' del legislatore di procedere alla unificazione dei ruoli, secondo la quale " costituisce il logico necessario presupposto per l'attribuzione a tutti gli appartenenti alla magistratura amministrativa di un unico status e di identiche garanzie di indipendenza", potenziando appunto l'accesso alle funzioni di appello per un maggior numero di magistrati di TAR. Cio' che e' corroborato dal riferimento all'art. 107 della Costituzione, secondo il quale i magistrati si distinguono solo per funzioni, cosi' ribadendo il principio che il disegno di legge si ispira, per quanto possibile, all'ordinamento dei magistrati ordinari. E poiche', come gia' puntualizzato, il giudizio amministrativo sia in primo che in secondo grado, e' sempre esclusivamente giudizio di legittimita', con omogeneita' di qualificazione professionale fra il giudice di primo e secondo grado , manca ragione alcuna per giustificare diverse posizioni di carriera. La vera novita' costituita dalla legge n° 186 del 1982 e', quindi, caratterizzata dalla soppressione delle qualifiche di referendario e primo referendario del Consiglio di Stato, al fine di bilanciare l'aumento delle aliquote per i passaggi dai Tribunali amministrati garantire, quindi, ai vincitori di concorso una piu' rapida progressione in carriera rispetto ai colleghi provenienti dai Tribunali. Sembra, pertanto, che in attuazione di appropriati criteri di ragionevolezza, applicati alla strutturazione della carriera della magistratura amministrativa, non possa sussistere una modalita' di progressione talmente discorsiva, da tralasciare ogni valutazione dell'esercizio di funzioni giurisdizionali, pur esercitate per un numero. Considerevole di anni, ai fini della progressione dei magistrati di provenienza TAR nelle funzioni di appello, considerata l'espressa affermazione della omogeneita' delle funzioni svolte in primo grado e in appello, da parte dell'art. 28 della legge n. 1034 del 1971. La sentenza della Corte Cost. n. 272 del 2008, che ha dichiarato inammissibile una questione proposta dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio riguardo alle aliquote di composizione del Consiglio di Stato, rispetto alla riforma del 1982, ha fatto riferimento proprio alla scelta operata dal legislatore del 1982 di ampliare per il futuro le possibilita' dei consiglieri Tar di accedere alla qualifica di consigliere di Stato rispetto alla normativa precedente "al fine di valorizzare l'esperienza professionale dei piu' maturi consiglieri degli organi decentrati di giustizia amministrativa". Ulteriore censura attiene al profilo della uguaglianza. La giurisprudenza della Corte ha affermato che il principio di uguaglianza riguarda il trattamento uguale di situazioni uguali ed il trattamento diverso di situazioni differenti. L'applicazione delle norme censurate comporta una grave lesione del principio di uguaglianza in quanto sono trattate in maniera diversa situazioni sostanzialmente e formalmente uguali. Altri profili di irragionevolezza si traggono dal confronto con la magistratura ordinaria. La Corte costituzionale, infatti, dopo aver affermato, come detto, che le magistrature speciali non sono integralmente disciplinate dalle norme costituzionali che riguardano la magistratura ordinaria e che la relativa disciplina e' rimessa al legislatore ordinario, ha ribadito, con la sentenza n. 434 del 21 dicembre 2001 che, l'art 107 comma 3 della Costituzione riguarda esclusivamente la magistratura ordinaria, poiche' le garanzie di indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali sono stabilite dalla legge ordinaria ex art. 108, secondo comma, della Costituzione. Peraltro, nella medesima sentenza, la Corte ha affermato che al legislatore ordinario spetta, nella materia dell'organizzazione dei pubblici uffici e dell'articolazione delle carriere, una discrezionalita' che, per quanto ampia, non puo' sfuggire al sindacato di costituzionalita', allorquando si dimostri la palese arbitrarieta' o la manifesta irragionevolezza della scelta adottata. Anche il Consiglio di Stato, esaminando la questione di legittimita' costituzionale del Tribunale di Giustizia amministrativa di Trento (ritenendola manifestamente infondata), ha affermato, sia con la decisione della IV sezione n. 393 del 4 febbraio 2004, sia con sentenza della VI sezione n. 1049 del 23 febbraio 2009, che: "i principi dell'imparzialita' e della terzieta' dei magistrati, espressamente enunciati per la prima volta nella nuova formulazione del comma 2 dell'art. 111 cost., sono sempre stati comunque sottesi alla disciplina dell'ordinamento giudiziario, rappresentando un insopprimibile presupposto, ancorche' implicito, degli stessi principi di autonomia ed indipendenza dei magistrati (art. 104 Cost.) e della loro esclusiva soggezione alla legge /art. 101 Cost.), secondo le fondamentali garanzie del diritto di azione e di difesa (art. 24 e 113 Cost.)". Trasferendo le sopra esposte considerazioni agli organi di giustizia amministrativa, sono state considerate applicabili le norme degli articoli 101, 104, 111 della Costituzione, nonche' la generale guarentigia ili cui all'art. 102 e 101, consistente nel principio di indipendenza e di soggezione unicamente alla legge, quale denominatore unico comune di tutti i giudici. In particolare, neppure e' in dubbio, nella giurisprudenza amministrativa, la inamovibilita' dei magistrati di qualsiasi ordine e grado ( C.d.S sez. IV, 30 giugno 2004, n. 4835 riguardo alla Corte dei Conti). Sarebbe percio' assolutamente irragionevole quell'ordinamento che introducesse una disciplina radicalmente diversa tra le due magistrature, sia in relazione alla uniformita' delle progressioni in carriera (Tabella allegata alla legge n 27 del 1981, confermata dal richiamato art 21 comma 6 della legge n. 186 del 1982); sia alla estensione delle analoghe garanzie sopra evidenziate. E' inoltre fortemente sintomatico il rilievo della istituzione, con l'art. 7 della legge 186, di un comune organo di autogoverno per la magistratura amministrativa; norma sulla quale e', altresi', intervenuta la successiva legge n. 205 del 21 luglio 2000, che ha introdotto nel consiglio di presidenza della giustizia amministrativa i membri eletti dal Parlamento, rendendolo analogo al Consiglio Superiore della Magistratura. La medesima norma della legge n. 205 ha fatto espresso e significativo riferimento ad un «generale riordino della giustizia amministrativa sulla base della unicita' di accesso e di carriera», riordino non ancora venuto a realizzazione. Peraltro, l'attuale codice del processo amministrativo, configurando una piu' accentuata assimilazione della magistratura amministrativa sotto il profilo processuale a quella della giustizia ordinaria, non puo' non comportare un evidente avvicinamento della struttura complessiva della giustizia amministrativa a quella ordinaria, determinando un deciso superamento di quei profili peculiari di questa, che avevano giustificato, in passato, i fattori differenziali tra i due apparati di giustizia e le relative posizioni di carriera, secondo il giudizio della Corte Costituzionale. Il confronto con la magistratura ordinaria e le sue ricadute in termini di irrazionalita' con il sistema di carriera vigente nella magistratura amministrativa si pone oggi rafforzato con il d.lgs. n. 160 del 5 aprii 2006, che determina la nuova disciplina, nonche' progressione economica e di funzioni dei magistrati ordinari. L'art 12 comma 14, prevede, infatti, per il conferimento delle funzioni di legittimita' presso la Suprema Corte di Cassazione, la quinta valutazione di professionalita'. Prevede, altresi', per il conferimento di tali funzioni, limitatamente al 10 per cento dei posti vacanti, una procedura valutativa riservata ai magistrati che abbiano conseguito la seconda o la terza valutazione di professionalita' e che siano in possesso di titoli professionali e scientifici adeguati. Peraltro, a seguito del superamento di tale procedura valutativa, «il conferimento delle funzioni di legittimita' per effetto del presente comma non produce alcun effetto sul trattamento giuridico ed economico spettante al magistrato, ne' sulla collocazione nel ruolo di anzianita' o ai fini del conferimento di funzioni di merito». Anche sotto altri profili, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha poi avvicinato sempre piu' la giurisdizione amministrativa a quella ordinaria. Nella sentenza n° 204 del 2004 ha affermato che il Costituente ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignita' di giudice ordinario per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione delle situazioni soggettive non contemplate dall'art 2 della legge del 1865: "l'art. 24 Cost. assicura agli interessi legittimi -la cui tutela l'art. 103 riserva al giudice amministrativo - le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi quanto alla possibilita' di farli valere davanti al giudice ed alla effettivita' della tutela che questi deve loro accordare. Piu' di recente nella sentenza n. 77 del 2007 la Corte ha affermato, altresi', che il principio della incomunicabilita' dei giudici appartenenti ad organi diversi e' certamente incompatibile, nel momento attuale, con fondamentali valori costituzionali. Se e' vero, infatti, che la Carta costituzionale ha recepito, quanto alla pluralita' dei giudici, la situazione all'epoca esistente, e' anche vero che la medesima Carta ha, fin dalle origini, assegnato con l'art. 24 (ribadendolo con l'art. 111) all'intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi". L'effettivita' della tutela nei due ordini di giurisdizione non puo' essere assicurata se non vi sono analoghe garanzie dei magistrati ed analogo rispetto dei principi fondamentali che governano la giurisdizione, tra cui quello dell'art 107 comma 3, considerato il processo evolutivo in corso e che ha visto estesi alla magistratura amministrativa ampi settori di competenze del tutto impensabili nel passato, quali il risarcimento del danno, l'ampliamento della giurisdizione esclusiva e di merito, i provvedimenti ante causam, la decretazione ingiuntiva, i mezzi istruttori (consulenza tecnica, testi E' quindi evidente che il complessivo portato innovativo della funzione non possa essere ristretto negli schemi organizzativi precedenti, che appaiono del tutto anacronistici e della cui irragionevolezza e' sintomo, fra gli altri, la penalizzazione di carriera di cui qui si e' detto. Vi e' poi da richiamare un raffronto con il regime della magistratura contabile. Come e' noto, a seguito della riforma operata con la legge n. 19 del 14 gennaio 1994, sono state istituite le sezioni regionali della Corte dei Conti come organi giurisdizionali di primo grado, avverso le decisioni dei quali viene proposto appello alla sezioni centrali. Nei rapporti tra organi di primo grado e di appello i magistrati hanno assoluta uniformita' di qualifiche e funzioni. Se anche rispetto alla Corte dei Conti non si puo' ritenere assoluta l'adozione di un analogo regime, in quanto le modalita' di funzionamento e di organizzazione della magistratura amministrativa e contabile sono riservate al legislatore ordinario, non si puo' non considerare assolutamente irragionevole un assetto organizzativo del tutto differente rispetto sia alla giurisdizione ordinaria che a quella contabile, specificatamente, per quanto concerne l'anzianita' di quanti passano ad esercitare funzioni d'appello. Ne' puo' valere a superare la assoluta irragionevolezza e disparita' di trattamento, la considerazione delle diverse funzioni del Consiglio di Stato rispetto ai Tribunali amministrativi regionali, in relazione alle competenze anche consultive del Consiglio di Stato. I magistrati provenienti dai Tribunali, infatti, sono in gran parte assegnati a sezioni giurisdizionali, che svolgono funzioni d'appello rispetto alle decisioni dei Tribunali amministrativi, ne' lo svolgimento di funzioni consultive del Consiglio di Stato puo' ritenersi-- imprescindibile, in quanto molti magistrati del Consiglio di Stato non hanno mai svolto tali funzioni, peraltro, oggi ridimensionate rispetto al passato, per effetto di eliminazioni di competenze che hanno comportato una compressione dell'area di esercizio della funzione consultiva e della sua rilevanza. Di fronte a tale complesso quadro normativo, sia nell'ambito della magistratura amministrativa che con riguardo all'intero ordinamento della giustizia, il Collegio ritiene che il mancato riconoscimento dell'anzianita' di giudice di primo grado al momento del passaggio al Consiglio di Stato, costituisca una palese e irragionevole disparita' di trattamento sia all'interno della magistratura amministrativa (tra chi e' entrato ad una certa data e chi successivamente), sia rispetto ai principi generali che governano la magistratura ordinaria e contabile nonche' primo sintomo di un generale disagio che comporta taluni riflessi sullo stesso esercizio della funzione. In conclusione, il Collegio ritiene che il giudizio debba essere sospeso e che gli atti vadano trasmessi alla Corte Costituzionale, attesa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art 23 comma 5 della legge n. 186 del 1982, per la violazione dell'art 3 della Costituzione, nella parte in cui si riferisce esclusivamente «ai referendari o ai primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge», concedendo ad essi i benefici di carriera negati a soggetti aventi identica posizione qualificativa sostanziale. L'intervento additivo richiesto da questo giudice, costituisce, soluzione costituzionalmente obbligata, in quanto proprio la norma dell'art. 23 comma 5 della legge n 186 del 1982, posta a base del provvedimento impugnato, ha indicato in cinque anni il periodo di anzianita' che deve essere riconosciuto al momento del passaggio alle funzioni di appello, quale spettanza riservata ai magistrati in servizio ai tempi dell'entrata in vigore della nonna. Sembra, infatti, per quanto esposto, pienamente prospettabile la pronunzia di incostituzionalita' dell'art. 23 in oggetto, per tutti i profili fin qui delineati, al fine di promuovere l'estensione del regime, che il legislatore ha previsto solo per i referendari e primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della legge del 1982 e che penalizza irragionevolmente ed ingiustamente una intera categoria di' personale di magistratura. La rimessione degli atti alla Corte Costituzionale lascia riservata ogni altra questione in merito ed in rito del presente giudizio, fino all'esito della sopra indicata questione pregiudiziale.