IL TRIBUNALE Vista l'istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere avanzata nell'interesse di D.M.P.; Visto il parere contrario espresso dal PM, Esaminati gli atti del procedimento, Osserva e rileva Nell'ambito del procedimento penale in epigrafe indicato, l'imputato D.M.P., nel luglio 2008, veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, sussistendo a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso e di estorsione aggravata ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203/1991. Nel novembre 2009, a seguito di giudizio abbreviato, il D.M. , riconosciuto responsabile dei reati sopra indicati, veniva condannato, con l'applicazione della diminuente per la scelta del rito, alla pena di anni otto di reclusione. In data 4 dicembre 2009 il difensore del D.M.P., avanzava richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, deducendo e documentando (mediante la produzione di copiosa certificazione medica rilasciata da strutture ospedaliere pubbliche) che la figlia del proprio assistito, di anni sette di eta', e' affetta sin dalla nascita da una gravissima malattia genetica e da connesse patologie invalidanti che, incidendo in modo rilevante su importanti funzioni vitali, la rendono bisognosa di continue cure ed assistenza, da praticarsi anche nell'ambito di centri specialistici ubicati fuori regione. Tale assistenza - proseguiva ancora la difesa - non puo' essere assicurata soltanto dalla madre della piccola in quanto quest'ultima, in primo luogo, e' costretta ad allontanarsi da casa, per parecchie ore al giorno, per svolgere l'attivita' lavorativa necessaria ai fini del sostentamento del nucleo familiare; in secondo luogo la stessa, essendo madre di un altro minore, deve attendere alle proprie funzioni genitoriali anche nei confronti di quest'ultimo bambino, al quale deve comunque assicurare il soddisfacimento delle normali esigenze di vita ( ciononostante tale bambino - evidenziava la difesa - e' costretto ad affrontare periodicamente situazioni di estremo disagio, dovendo lasciare la propria abitazione, anche per lunghi periodi, ogni qualvolta la sorella abbisogna di ricoveri presso strutture ospedaliere site in citta' lontane da quella in cui abitualmente vivono). Tale complessa situazione - illustrava ancora la difesa - non potendo essere gestita soltanto dalla moglie dell'imputato, di fatto da tempo priva la piccola D. M. della possibilita' di ricevere continuamente le cure di cui ha bisogno, cure che, peraltro, essendo particolarmente invasive e dolorose, non possono che essere praticate (almeno) da uno dei genitori, da coloro cioe' che sono in grado di fornire quella assistenza, non solo materiale, ma anche e soprattutto morale ed affettiva, che puo' lenire il dolore e la profonda sofferenza che la sottoposizione a tali terapie necessariamente comporta. Con provvedimento in data 9 dicembre 2009, questo Giudice rigettava l'istanza, evidenziando che, a carico dell'imputato (da poco condannato alla pena di anni otto di reclusione), si ravvisava la persistenza di esigenze cautelari di tutela sociale e che, in relazione «ai delitti di mafia» dei quali il D. M. era stato ritenuto responsabile, alla luce delle ultime novelle legislative, l'unico regime cautelare in concreto applicabile era quello custodiale, non ricorrendo, peraltro, nel caso di specie la situazione di cui all'art. 275 comma 4 c.p.p. (avendo la piccola C. eta' superiore ai tre anni). In data 4 maggio 2010 il difensore presentava nuova istanza di concessione all'imputato del regime cautelare degli arresti domiciliari, deducendo a fondamento che, pochi giorni prima, la bambina era stata sottoposta presso l'Ospedale di C. ad un delicatissimo intervento chirurgico, a causa dell'insorgenza di una grave e imprevedibile complicanza determinata dalle patologie da cui e' affetta. La difesa segnalava, ancora una volta, la particolare gravita' delle dello stato di salute della piccola D. M., l'imprevedibile decorso dello stesso nonche' la radicale e assoluta impossibilita' per la moglie dell'imputato di conciliare adeguatamente la gestione di tale dolorosa situazione con la necessita' di svolgere una normale attivita' lavorativa e, al contempo, di provvedere alle ordinarie esigenze di vita di un altro minore, in tenera eta'. Al tempo stesso la difesa sottolineava lo stato di profonda sofferenza morale e psicologica della bambina che, per ragioni a lei certamente non comprensibili, si vedeva completamente privata, anche in momento di grande sconforto e disperazione , dell'amore e del sostegno del padre. Disposto in merito a quanto dedotto dalla difesa opportuni accertamenti, emergeva che, in effetti, la piccola C., in data 22 aprile 2010, era stata ricoverata, in regime di urgenza, presso l'Ospedale di C. per essere sottoposta ad un delicato intervento che si era reso necessario a causa dell'insorgenza di una imprevedibile e grave complicanza. Dalla certificazione trasmessa dall'Ospedale Pediatrico ... di ... (presso il quale la minore risulta essere stata periodicamente ricoverata) emergeva inoltre che la minore: e' affetta sin dalla nascita dalla sindrome di «A.C.»; e' portatrice di schiena bifida e di una derivazione ventricolare cerebrale e di esiti in paraparesi, conseguenti alla patologia neurologica di base; necessita di continue cure, essendo peraltro portatrice di vescica neurogena: patologia, questa, il cui trattamento richiede una «uro riabilitazione» quotidiana della vescica, per mezzo di cateterismo intermittente, che deve essere eseguito dalla famiglia 4-5 volte al giorno; necessita di controlli clinici periodici, per possibili infezioni urinarie e altre conseguenze neurologiche nonche' di periodici controlli strumentali e procedure urologiche; necessita di una procedura di chirurgia endoscopica, che deve essere effettuata in centri altamente specializzati periodicamente e, comunque, almeno una volta all'anno. Nella stessa certificazione infine si evidenzia che «la patologia vescicale da cui la bambina e' affetta e' invalidante, con limitazioni della vita quotidiana rispetto all'eta', cosi' come lo sono gli altri esiti neurologici». Orbene, alla luce di tali risultanze, deve ritenersi adeguatamente dimostrato che la piccola figlia dell'imputato, di anni sette di eta', e' affetta da patologie gravi, radicalmente invalidanti, che compromettono, in modo sostanziale, importanti funzioni vitali e a causa delle quali necessita continuamente di cure ed assistenza del tutto eccezionali. La concreta somministrazione di tali terapie richiede la presenza costante, nell'abitazione familiare o negli ospedali ove viene periodicamente ricoverata, di almeno uno dei genitori, stante la necessita' di monitorare continuamente il suo stato di salute, di coadiuvarla nello svolgimento di elementari e vitali funzioni, di supportarla in tale doloroso percorso con amore e dedizione. Ed invero la piccola D.M., non solo e' soggetta a periodici ricoveri in strutture ospedaliere ubicate fuori regione (presso le quali non puo' che essere accompagnata da uno dei genitori) ma e', anche, quotidianamente e per piu' volte al giorno, sottoposta a pratiche terapeutiche particolarmente invasive (come lo svuotamento intermittente della vescica), la cui effettuazione - come si legge nelle certificazioni in atti - deve essere assicurata dalla «famiglia» e quindi dai genitori che sono, unitamente ad altro bambino di tenera eta', gli unici componenti del nucleo familiare della bambina . Tali attivita' di cura, inoltre, non possono essere delegate a terzi o svolte in altro modo, attraverso ad esempio il ricorso agli strumenti assistenziali previsti dalla legge a supporto delle famiglie di soggetti invalidi, atteso che, in primo luogo, tali strumenti, in genere limitati a sostegni economici, non sono idonei ad assicurare un reale e concreto ausilio. Ma soprattutto perche', comunque, siffatte esigenze di cura sono inscindibilmente legate alle figure genitoriali e a quelle capacita' di affetto, amore, pazienza e dedizione che solo gli stessi sono in grado di rappresentare e trasmettere, soprattutto in momenti di particolare sofferenza e dolore. Cio' posto, e' tuttavia documentato in atti che la moglie dell'imputato e' assolutamente impossibilitata a prestare alla propria figlia una continua ed ininterrotta assistenza, innanzitutto perche' deve attendere, per il numero di ore previsto dalla legge, alle normali attivita' lavorative necessarie per sostenere la famiglia, stante la detenzione da lungo tempo del marito. La stessa, inoltre, deve anche tentare di assicurare normali condizioni di vita all'altro figlio minore, le cui esigenze ordinarie, di studio e mantenimento, non possono essere totalmente sacrificate (e il cui concreto soddisfacimento richiede necessariamente del tempo da impiegare anche al di fuori del domicilio domestico) . Non sfugge alla scrivente, inoltre, che nel definire il concetto sopra detto di «assoluta impossibilita' di assistenza» in relazione alla diversa ipotesi di cui all'art. 275, comma 4 c.p.p., la giurisprudenza della Suprema Corte da tempo pacificamente sostiene, con un condivisibile orientamento, che la necessita' di svolgere ordinarie attivita' lavorative non rappresenta un assoluto impedimento al corretto espletamento dei compiti genitoriali, in quanto il fine della previsione normativa sopra citata non e' quello di assicurare al minore di eta' inferiore ai tre anni la presenza continua della madre, ma quella di far si' che lo stesso possa ricevere, in un momento particolarmente importante della sua formazione fisica e psichica, quelle cure e quell'affettuosa assistenza che soltanto un genitore puo' assicurare e la cui concreta somministrazione e' del tutto compatibile anche con lo svolgimento di una normale attivita' lavorativa. Sul punto, tuttavia, devesi rilevare che se e' indubbia, ad avviso di questo giudice, la ragionevolezza, in generale, di tale ragionamento, e' altresi' vero che, nel caso di specie, lo stesso non puo' essere applicato, proprio alla luce degli eccezionali compiti di cura e di assistenza continue che, alla luce delle certificazioni mediche in atti, devono essere assolti dalla madre della piccola C. Compiti il cui corretto espletamento richiede, come gia' detto, una continua e pressoche' totale dedizione alla bambina, stante anche il decorso imprevedibile delle gravi patologie da cui e' affetta, suscettibili di repentini aggravamenti, a causa dell'insorgenza di improvvise e potenzialmente infauste complicanze, come purtroppo gia' avvenuto. A cio' aggiungasi che, in generale, le esigenze di cura di figli gravemente ammalati e affetti da patologie invalidanti - proprio perche' nascenti da un grave stato di salute e dalla necessita' (anche) di lenire le sofferenze fisiche e psicologiche dal medesimo provocate - non possono identificarsi ne' essere paragonate con quelle, di gran lunga meno impegnative, che competono ai genitori di eta' inferiore ai tre anni, versanti in normali condizioni di salute. Mentre infatti, in tale ultimo caso, le funzioni assistenziali, avendo il solo fine di assicurare un normale sviluppo fisco e psichico dei minori, in un'eta' particolarmente significativa e qualificante della loro formazione, sono adeguatamente soddisfatte anche attraverso una presenza non costante del genitore nell'abitazione familiare (essendo del tutto compatibile con l'adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali lo svolgimento di una ordinaria attivita' lavorativa), nella prima ipotesi, invece, le attivita' di cura richiedono una pressoche' totale dedizione del familiare al figlio ammalato, che appunto vede nei genitori l'unico punto di riferimento, le sole persone dalle quali ricevere amore, conforto, aiuto e sostegno. Il che' vale, in particolare, per i bambini che, non avendo ancora raggiunto un elevato livello di maturita' psichica (a causa della loro eta' infantile), non sono ancora in grado di affrontare, senza il supporto fondamentale dei genitori, un doloroso percorso di cure. Ed allora, alla luce di quanto detto, emerge ad avviso di questo giudice l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275 c.p.p. nella parte in cui non prevede «il divieto di disporre e mantenere la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputata sia madre di figli con lei conviventi, totalmente invalidi, che versano in condizioni di salute particolarmente gravi e che per tale ragione necessitano di continue cure ed assistenza o, il padre, qualora la madre sia deceduta o sia assolutamente impossibilitata a fornire agli stessi le cure e l'assistenza di cui hanno ininterrottamente bisogno». Ed invero tale norma, nella parte in cui non disciplina siffatta situazione, contrasta con il principio costituzionale di cui all'art. 2 della Cost., a norma del quale «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'». Orbene e' innegabile che ad ogni uomo deve riconoscersi il diritto di curare e ad assistere il proprio figlio gravemente ammalato, che viene periodicamente sottoposto a terapie invasive e dolorose. Diritto che, a tacere d'altro, e' la proiezione naturale di ogni essere umano, cui non puo' impedirsi di essere accanto al proprio figlio, per curarlo ed assisterlo, nel momento in cui questi e' costretto ad affrontare prematuramente esperienze di grande sofferenza fisica e morale. Tanto vale soprattutto nel caso in cui l'altro genitore sia deceduto o assolutamente impossibilito a fornire tale assistenza. In tale ipotesi, infatti, non puo' non apprezzarsi, con evidenza, l'assoluta e radicale contrarieta' al principio costituzionale che garantisce i diritti inviolabili della persona umana, di un assetto legislativo che non consente a un padre detenuto di sostituirsi, nell'espletamento di tale compito fondamentale, alla figura materna e cio' anche se le esigenze cautelari in concreto ravvisabili permetterebbero di mitigare la piu' afflittiva misura custodiale e di svolgere tali funzioni in regime cautelare domiciliare. L'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non disciplina la situazione appena descritta, appare contrastante con il principio di cui all'art. 29 Cost. che, nel sancire che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio», non puo' che prevedere e tutelare anche il naturale diritto - dovere dei genitori di provvedere personalmente alle esigenze di cura ed assistenza di figli gravemente ammalati. Situazione giudica, questa, che e' altresi' contemplata dal primo comma dell'art. 30, primo comma Cost. che, pone a carico dei genitori «il diritto - dovere di mantenere i figli». Ed infatti, anche tale espressione non puo' non comprendere, nel suo ambito applicativo, anche le ipotesi in cui i genitori sono chiamati a svolgere, in prima persona, un infungibile compito di cura, che e' tanto piu' efficace in quanto svolto con quella naturale carica di amore ed affetto che promana naturalmente dal vincolo della filiazione (peraltro, ai sensi del 2 comma dell'art. 31 Cost soltanto «nei casi di incapacita' di (entrambi) i genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti») . Ancora l'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non contempla la situazione che qui occupa, neppure con riferimento a figli di eta' infantile, non in possesso di quella maturita' psichica che e' necessaria per affrontare un doloroso percorso di cure, appare in contrasto con le previsioni del secondo comma dell'art. 31 Cost ai sensi del quale «la Repubblica protegge l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo». Senza necessita' di spendere molte parole, infatti, e' evidente la contrarieta' a tale norma di un assetto normativo che, in sostanza, lungi dal tutelare gli interessi del bambino, al contrario impedisce radicalmente a questi di vivere la malattia con l'aiuto materiale ed affettivo dell'unico genitore in grado di prestarglielo, genitore che, come piu' volte detto, rappresenta in particolari momenti una figura insostituibile, l'unica in grado di infondere la forza, l'equilibrio e la serenita' che sono necessari per affrontare determinate terapie. E', inoltre, importante ricordare che i principi costituzionali sopra richiamati, che prevedono la tutela dei diritti fondamentali della persona umana e che sanciscono il diritto - dovere dei genitori di provvedere alla la cura e al mantenimento dei figli, sono i medesimi di quelli che sorreggono in generale la previsione dell'art. 275 comma 4 c.p.p. Nel sancire «il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere nei confronti di donna incinta o madre di prole di eta' inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero, padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole», il legislatore ha ritenuto doveroso assicurare una tutela rafforzata ai minori di eta' inferiore a tre anni, che proprio perche' non ancora dotati di adeguate facolta' intellettive e cognitive, necessitano di una piu' incisiva assistenza, che, dunque, nel caso di assoluta impossibilita' del genitore non in vinculis, deve essere prestata dall'altro, anche se sottoposto a regime carcerario (sempre che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza). Ed allora, sotto tale profilo, non puo' che apprezzarsi anche la radicale contrarieta' a quel principio di ragionevolezza, che e' insito nel principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., dell'attuale disciplina legislativa che, da un lato consente, in presenza dei presupposti di legge (insussistenza di eccezionali esigenze cautelari, assoluto impedimento della madre), che il padre detenuto possa ottenere la gradazione della misura per assistere i figli di eta' inferiore ai tre anni, dall'altro, nella sussistenza dei medesimi presupposti, impedisce radicalmente al genitore in vinculis di curare, in regime di arresti domiciliari, il proprio figlio gravemente ammalato (che e' superfluo osservare necessita di una assistenza ancora piu' importante e fondamentale di quella che va assicurata a bambini che, pur essendo di eta' inferiore a tre anni, versano in normali condizioni di salute). L'attuale disciplina e', inoltre, direttamente lesiva del principio di uguaglianza sostanziale in quanto porta a trattare, irragionevolmente, in modo diverso, anche identiche situazioni, a seconda che le stesse riguardino o meno bambini di inferiore a tre anni (atteso che solo nel primo caso si potrebbe in concreto applicare la previsione di cui all'art 275 comma 4 c.p.p). Eppure, alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, e' innegabile che, in entrambi i casi, le esigenze di cura ed assistenza sono assolutamente identiche, in quanto, essendo determinate non da un naturale stato di immaturita' fisica ma da un grave stato di salute, sono completamente indipendenti dall'eta'. Anzi, paradossalmente, tali esigenze sono ancora piu' imperiose ed evidenti nel caso di prole di eta' superiore ai tre anni, trattandosi in tale caso di bambini che, avendo gia' conseguito un sufficiente sviluppo delle proprie facolta' intellettive e volitive, sono gia' in grado di rendersi conto della dolorosa situazione in cui sono costretti a vivere e pur tuttavia non hanno ancora in se' le risorse necessarie per fronteggiarla adeguatamente. La questione di legittimita' che qui occupa, oltre a non essere manifestamente infondata per le ragioni sopra dette, e' altresi' rilevante nel presente procedimento. Ed infatti, secondo l'attuale disciplina legislativa, la possibilita' di concedere gli arresti domiciliari all'imputato (sottoposto a regime detentivo anche per i delitti previsti dall'art. 275, terzo comma c.p.p. ) per assolvere a compiti di cura ed assistenza dei figli, e' prevista solo se questi hanno eta' inferiore a tre anni, ne' tale norma e' suscettibile di essere estesa, per il tramite di una interpretazione analogica costituzionalmente orientata, a ipotesi diverse da quella specificatamente disciplinata, essendo appunto di stretta, tassativa e rigida formulazione (come sul punto piu' volte precisato dalla Suprema Corte: cfr fra le altre «non e' consentito interpretare estensivamente la norma dell'art. 275, comma 4 c.p.p. fino a ricomprendere nel divieto ivi previsto ulteriori ipotesi non espressamente contemplate, in cui si deduca cioe' la necessita' da parte dell'indagato di prestare assistenza a familiari diversi da quelli indicati nella disposizione predetta». In applicazione di detto principio la Corte, con la sentenza del 14 febbraio 1996 - 15 maggio 1996, n. 795, ha ritenuto la legittimita' del provvedimento con il quale era stata respinta la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari avanzata sul presupposto della necessita' da parte dell'indagato di assistere un figlio portatore di handicap e percio' bisognevole di cure continue). Da cio' consegue che, nel caso di specie, l'applicazione dell'art. 275, comma 4 c.p.p. non puo' che portare tout-court al rigetto della istanza difensiva, in quanto la piccola C. ha sette anni e, quindi, il padre, secondo l'attuale formulazione della norma, non puo' ottenere la concessione del sollecitato regime degli arresti domiciliari, pur non apprezzandosi la sussistenza, nel caso di specie, di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e pur necessitando la bambina di eccezionali e ininterrotte cure, che la madre e' assolutamente impossibilitata a fornire e che derivano da patologie gravi, invalidanti e dal decorso imprevedibile e potenzialmente infausto.