IL TRIBUNALE 
 
    Vista l'istanza di  sostituzione  della  misura  cautelare  della
custodia in carcere avanzata nell'interesse di D.M.P.; 
    Visto il parere contrario espresso dal PM, 
    Esaminati gli atti del procedimento, 
 
                          Osserva e rileva 
 
    Nell'ambito  del  procedimento  penale  in   epigrafe   indicato,
l'imputato D.M.P., nel luglio 2008,  veniva  sottoposto  alla  misura
cautelare della custodia in carcere, sussistendo a suo  carico  gravi
indizi di  colpevolezza  in  ordine  ai  delitti  di  associazione  a
delinquere di stampo mafioso  e  di  estorsione  aggravata  ai  sensi
dell'art. 7 della legge n. 203/1991. 
    Nel novembre 2009, a seguito di giudizio abbreviato,  il  D.M.  ,
riconosciuto  responsabile   dei   reati   sopra   indicati,   veniva
condannato, con l'applicazione della diminuente  per  la  scelta  del
rito, alla pena di anni otto di reclusione. 
    In data  4  dicembre  2009  il  difensore  del  D.M.P.,  avanzava
richiesta di sostituzione della misura cautelare  della  custodia  in
carcere  con  quella   degli   arresti   domiciliari,   deducendo   e
documentando (mediante la produzione di copiosa certificazione medica
rilasciata da strutture ospedaliere  pubbliche)  che  la  figlia  del
proprio assistito, di anni  sette  di  eta',  e'  affetta  sin  dalla
nascita da una gravissima malattia genetica e da  connesse  patologie
invalidanti che, incidendo in modo rilevante su  importanti  funzioni
vitali, la rendono bisognosa  di  continue  cure  ed  assistenza,  da
praticarsi anche nell'ambito di centri  specialistici  ubicati  fuori
regione. 
    Tale assistenza - proseguiva ancora la difesa - non  puo'  essere
assicurata soltanto dalla madre della piccola in quanto quest'ultima,
in primo luogo, e' costretta ad allontanarsi da casa,  per  parecchie
ore al giorno, per svolgere l'attivita' lavorativa necessaria ai fini
del sostentamento del nucleo familiare; in secondo luogo  la  stessa,
essendo madre  di  un  altro  minore,  deve  attendere  alle  proprie
funzioni genitoriali anche nei confronti di quest'ultimo bambino,  al
quale deve  comunque  assicurare  il  soddisfacimento  delle  normali
esigenze di vita ( ciononostante tale bambino - evidenziava la difesa
- e' costretto ad affrontare  periodicamente  situazioni  di  estremo
disagio, dovendo lasciare la propria  abitazione,  anche  per  lunghi
periodi, ogni qualvolta  la  sorella  abbisogna  di  ricoveri  presso
strutture ospedaliere  site  in  citta'  lontane  da  quella  in  cui
abitualmente vivono). 
    Tale complessa situazione - illustrava ancora  la  difesa  -  non
potendo essere gestita soltanto dalla moglie dell'imputato, di  fatto
da tempo priva la  piccola  D.  M.  della  possibilita'  di  ricevere
continuamente le cure di cui ha bisogno, cure che, peraltro,  essendo
particolarmente invasive e dolorose, non possono che essere praticate
(almeno) da uno dei genitori, da coloro cioe' che sono  in  grado  di
fornire quella assistenza, non solo materiale, ma anche e soprattutto
morale ed  affettiva,  che  puo'  lenire  il  dolore  e  la  profonda
sofferenza che  la  sottoposizione  a  tali  terapie  necessariamente
comporta. 
    Con  provvedimento  in  data  9  dicembre  2009,  questo  Giudice
rigettava l'istanza, evidenziando che,  a  carico  dell'imputato  (da
poco condannato alla pena di anni otto di reclusione),  si  ravvisava
la persistenza di esigenze cautelari di  tutela  sociale  e  che,  in
relazione «ai delitti di mafia» dei quali il D. M. era stato ritenuto
responsabile, alla luce delle  ultime  novelle  legislative,  l'unico
regime cautelare in concreto applicabile era quello  custodiale,  non
ricorrendo, peraltro,  nel  caso  di  specie  la  situazione  di  cui
all'art. 275 comma 4 c.p.p. (avendo la piccola C. eta'  superiore  ai
tre anni). 
    In data 4 maggio 2010 il difensore presentava  nuova  istanza  di
concessione  all'imputato  del   regime   cautelare   degli   arresti
domiciliari, deducendo a  fondamento  che,  pochi  giorni  prima,  la
bambina  era  stata  sottoposta  presso  l'Ospedale  di  C.   ad   un
delicatissimo intervento chirurgico, a causa dell'insorgenza  di  una
grave e imprevedibile complicanza determinata dalle patologie da  cui
e' affetta. 
    La difesa segnalava, ancora una volta,  la  particolare  gravita'
delle dello stato di salute  della  piccola  D.  M.,  l'imprevedibile
decorso dello stesso nonche' la radicale  e  assoluta  impossibilita'
per la moglie dell'imputato di conciliare adeguatamente  la  gestione
di tale dolorosa situazione con la necessita' di svolgere una normale
attivita' lavorativa e, al contempo,  di  provvedere  alle  ordinarie
esigenze di vita di un altro minore, in tenera eta'. 
    Al tempo stesso la  difesa  sottolineava  lo  stato  di  profonda
sofferenza morale e psicologica della bambina che, per ragioni a  lei
certamente non comprensibili, si vedeva completamente privata,  anche
in momento di grande sconforto e  disperazione  ,  dell'amore  e  del
sostegno del padre. 
    Disposto in  merito  a  quanto  dedotto  dalla  difesa  opportuni
accertamenti, emergeva che, in effetti, la piccola  C.,  in  data  22
aprile 2010, era stata  ricoverata,  in  regime  di  urgenza,  presso
l'Ospedale di C. per essere sottoposta ad un delicato intervento  che
si era reso necessario a causa dell'insorgenza di una imprevedibile e
grave complicanza. 
    Dalla certificazione trasmessa dall'Ospedale  Pediatrico  ...  di
... (presso il quale la minore risulta  essere  stata  periodicamente
ricoverata) emergeva inoltre che la minore: 
        e' affetta sin dalla nascita dalla sindrome di «A.C.»; 
        e'  portatrice  di  schiena  bifida  e  di  una   derivazione
ventricolare cerebrale e di esiti  in  paraparesi,  conseguenti  alla
patologia neurologica di base; 
        necessita di continue cure, essendo  peraltro  portatrice  di
vescica neurogena: patologia, questa, il cui trattamento richiede una
«uro  riabilitazione»  quotidiana  della  vescica,   per   mezzo   di
cateterismo intermittente, che deve essere  eseguito  dalla  famiglia
4-5 volte al giorno; 
        necessita  di  controlli  clinici  periodici,  per  possibili
infezioni  urinarie  e  altre  conseguenze  neurologiche  nonche'  di
periodici controlli strumentali e procedure urologiche; 
        necessita di una procedura di chirurgia endoscopica, che deve
essere effettuata in centri altamente specializzati periodicamente e,
comunque, almeno una volta all'anno. 
    Nella stessa certificazione infine si evidenzia che «la patologia
vescicale  da  cui  la  bambina  e'  affetta  e'   invalidante,   con
limitazioni della vita quotidiana rispetto all'eta',  cosi'  come  lo
sono gli altri esiti neurologici». 
    Orbene,  alla   luce   di   tali   risultanze,   deve   ritenersi
adeguatamente dimostrato che la piccola figlia dell'imputato, di anni
sette  di  eta',  e'  affetta  da   patologie   gravi,   radicalmente
invalidanti,  che  compromettono,  in  modo  sostanziale,  importanti
funzioni vitali e a causa delle quali necessita continuamente di cure
ed assistenza del tutto eccezionali. 
    La concreta somministrazione di tali terapie richiede la presenza
costante,  nell'abitazione  familiare  o  negli  ospedali  ove  viene
periodicamente ricoverata, di almeno  uno  dei  genitori,  stante  la
necessita' di monitorare continuamente il suo  stato  di  salute,  di
coadiuvarla nello svolgimento di elementari  e  vitali  funzioni,  di
supportarla in tale doloroso percorso con amore e dedizione. 
    Ed invero la piccola D.M.,  non  solo  e'  soggetta  a  periodici
ricoveri in strutture ospedaliere ubicate fuori  regione  (presso  le
quali non puo' che essere accompagnata da uno dei  genitori)  ma  e',
anche, quotidianamente e per  piu'  volte  al  giorno,  sottoposta  a
pratiche terapeutiche particolarmente invasive (come  lo  svuotamento
intermittente della vescica), la cui effettuazione -  come  si  legge
nelle  certificazioni  in  atti  -  deve  essere   assicurata   dalla
«famiglia» e quindi  dai  genitori  che  sono,  unitamente  ad  altro
bambino di tenera eta', gli unici  componenti  del  nucleo  familiare
della bambina . 
    Tali attivita' di cura, inoltre, non possono  essere  delegate  a
terzi o svolte in altro modo, attraverso ad esempio il  ricorso  agli
strumenti  assistenziali  previsti  dalla  legge  a  supporto   delle
famiglie di soggetti invalidi,  atteso  che,  in  primo  luogo,  tali
strumenti, in genere limitati a sostegni economici, non  sono  idonei
ad assicurare un reale e concreto ausilio. 
    Ma soprattutto perche', comunque, siffatte esigenze di cura  sono
inscindibilmente legate alle figure genitoriali e a quelle  capacita'
di affetto, amore, pazienza e dedizione che solo gli stessi  sono  in
grado di rappresentare  e  trasmettere,  soprattutto  in  momenti  di
particolare sofferenza e dolore. 
    Cio' posto,  e'  tuttavia  documentato  in  atti  che  la  moglie
dell'imputato  e'  assolutamente  impossibilitata  a  prestare   alla
propria figlia una continua ed ininterrotta assistenza,  innanzitutto
perche' deve attendere, per il numero di ore  previsto  dalla  legge,
alle  normali  attivita'  lavorative  necessarie  per  sostenere   la
famiglia, stante la detenzione da lungo tempo del marito. 
    La stessa, inoltre, deve  anche  tentare  di  assicurare  normali
condizioni  di  vita  all'altro  figlio  minore,  le   cui   esigenze
ordinarie, di studio e mantenimento, non  possono  essere  totalmente
sacrificate   (e   il   cui   concreto    soddisfacimento    richiede
necessariamente  del  tempo  da  impiegare  anche  al  di  fuori  del
domicilio domestico) . 
    Non sfugge alla scrivente, inoltre, che nel definire il  concetto
sopra detto di «assoluta impossibilita' di assistenza»  in  relazione
alla diversa  ipotesi  di  cui  all'art.  275,  comma  4  c.p.p.,  la
giurisprudenza della Suprema Corte da tempo  pacificamente  sostiene,
con un condivisibile orientamento,  che  la  necessita'  di  svolgere
ordinarie  attivita'   lavorative   non   rappresenta   un   assoluto
impedimento al corretto  espletamento  dei  compiti  genitoriali,  in
quanto il fine della previsione normativa sopra citata non e'  quello
di assicurare al minore di eta' inferiore ai  tre  anni  la  presenza
continua della madre, ma quella  di  far  si'  che  lo  stesso  possa
ricevere,  in  un  momento  particolarmente  importante   della   sua
formazione  fisica  e  psichica,  quelle  cure   e   quell'affettuosa
assistenza che soltanto un genitore puo' assicurare e la cui concreta
somministrazione e' del tutto compatibile anche con lo svolgimento di
una normale attivita' lavorativa. 
    Sul punto, tuttavia, devesi  rilevare  che  se  e'  indubbia,  ad
avviso di questo giudice, la ragionevolezza,  in  generale,  di  tale
ragionamento, e' altresi' vero che, nel caso di specie, lo stesso non
puo' essere applicato, proprio alla luce degli eccezionali compiti di
cura e di assistenza continue che,  alla  luce  delle  certificazioni
mediche in atti, devono essere assolti dalla madre della piccola C. 
    Compiti il cui corretto espletamento richiede, come  gia'  detto,
una continua e pressoche' totale dedizione alla bambina, stante anche
il decorso imprevedibile delle gravi patologie  da  cui  e'  affetta,
suscettibili di repentini aggravamenti, a  causa  dell'insorgenza  di
improvvise e potenzialmente infauste complicanze, come purtroppo gia'
avvenuto. 
    A cio' aggiungasi che, in generale, le esigenze di cura di  figli
gravemente ammalati e affetti  da  patologie  invalidanti  -  proprio
perche' nascenti da un grave  stato  di  salute  e  dalla  necessita'
(anche) di lenire le sofferenze fisiche e psicologiche  dal  medesimo
provocate - non  possono  identificarsi  ne'  essere  paragonate  con
quelle, di gran lunga meno impegnative, che competono ai genitori  di
eta' inferiore ai tre anni, versanti in normali condizioni di salute. 
    Mentre infatti, in tale ultimo caso, le  funzioni  assistenziali,
avendo il solo  fine  di  assicurare  un  normale  sviluppo  fisco  e
psichico dei  minori,  in  un'eta'  particolarmente  significativa  e
qualificante della loro formazione,  sono  adeguatamente  soddisfatte
anche   attraverso   una   presenza   non   costante   del   genitore
nell'abitazione  familiare  (essendo  del   tutto   compatibile   con
l'adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali lo  svolgimento  di
una ordinaria attivita' lavorativa), nella prima ipotesi, invece,  le
attivita' di cura richiedono  una  pressoche'  totale  dedizione  del
familiare al figlio ammalato, che appunto vede nei  genitori  l'unico
punto di riferimento, le sole persone  dalle  quali  ricevere  amore,
conforto, aiuto e sostegno. 
    Il che' vale, in particolare,  per  i  bambini  che,  non  avendo
ancora raggiunto un elevato livello di maturita'  psichica  (a  causa
della loro eta' infantile), non sono ancora in grado  di  affrontare,
senza il supporto fondamentale dei genitori, un doloroso percorso  di
cure. 
    Ed allora, alla luce di quanto detto, emerge ad avviso di  questo
giudice l'illegittimita' costituzionale dell'art.  275  c.p.p.  nella
parte in cui non prevede «il  divieto  di  disporre  e  mantenere  la
custodia  cautelare  in  carcere,  salvo  che   sussistano   esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza,  quando  imputata  sia  madre  di
figli  con  lei  conviventi,  totalmente  invalidi,  che  versano  in
condizioni di salute particolarmente gravi e  che  per  tale  ragione
necessitano di continue cure ed assistenza o, il  padre,  qualora  la
madre sia deceduta o sia assolutamente impossibilitata a fornire agli
stessi  le  cure  e  l'assistenza  di  cui  hanno   ininterrottamente
bisogno». 
    Ed invero tale norma, nella parte in cui non disciplina  siffatta
situazione, contrasta con il principio costituzionale di cui all'art.
2  della  Cost.,  a  norma  del  quale  «la  Repubblica  riconosce  e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'». 
    Orbene e' innegabile  che  ad  ogni  uomo  deve  riconoscersi  il
diritto di  curare  e  ad  assistere  il  proprio  figlio  gravemente
ammalato, che viene periodicamente sottoposto a  terapie  invasive  e
dolorose. Diritto che, a tacere d'altro, e' la proiezione naturale di
ogni essere umano, cui  non  puo'  impedirsi  di  essere  accanto  al
proprio figlio, per curarlo ed assisterlo, nel momento in cui  questi
e'  costretto  ad  affrontare  prematuramente  esperienze  di  grande
sofferenza fisica e morale. 
    Tanto vale soprattutto nel  caso  in  cui  l'altro  genitore  sia
deceduto o assolutamente impossibilito a fornire tale assistenza. 
    In tale ipotesi, infatti, non puo' non apprezzarsi, con evidenza,
l'assoluta e radicale contrarieta' al  principio  costituzionale  che
garantisce i diritti inviolabili della persona umana, di  un  assetto
legislativo che non consente a  un  padre  detenuto  di  sostituirsi,
nell'espletamento di tale compito fondamentale, alla figura materna e
cio'  anche  se  le  esigenze  cautelari  in   concreto   ravvisabili
permetterebbero di mitigare la piu' afflittiva misura custodiale e di
svolgere tali funzioni in regime cautelare domiciliare. 
    L'art.  275  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non  disciplina   la
situazione appena descritta, appare contrastante con il principio  di
cui all'art. 29 Cost. che, nel sancire che «la Repubblica riconosce i
diritti  della  famiglia   come   societa'   naturale   fondata   sul
matrimonio», non puo' che prevedere  e  tutelare  anche  il  naturale
diritto -  dovere  dei  genitori  di  provvedere  personalmente  alle
esigenze di cura ed assistenza di figli gravemente ammalati. 
        Situazione giudica, questa, che e' altresi'  contemplata  dal
primo comma dell'art. 30, primo comma Cost. che, pone  a  carico  dei
genitori «il diritto - dovere di mantenere i figli». 
    Ed infatti, anche tale espressione non puo' non comprendere,  nel
suo ambito applicativo, anche le  ipotesi  in  cui  i  genitori  sono
chiamati a svolgere, in prima  persona,  un  infungibile  compito  di
cura, che e' tanto piu' efficace in quanto svolto con quella naturale
carica di amore ed affetto che promana naturalmente dal vincolo della
filiazione (peraltro, ai sensi del 2 comma dell'art. 31 Cost soltanto
«nei casi di incapacita' di (entrambi) i genitori, la legge  provvede
a che siano assolti i loro compiti») . 
    Ancora l'art. 275 c.p.p., nella parte in  cui  non  contempla  la
situazione che qui occupa, neppure con riferimento a  figli  di  eta'
infantile, non in  possesso  di  quella  maturita'  psichica  che  e'
necessaria per affrontare un doloroso percorso  di  cure,  appare  in
contrasto con le previsioni del secondo comma dell'art.  31  Cost  ai
sensi del quale «la Repubblica protegge l'infanzia  e  la  gioventu',
favorendo gli istituti necessari a tale scopo». 
    Senza necessita' di spendere molte parole, infatti,  e'  evidente
la contrarieta'  a  tale  norma  di  un  assetto  normativo  che,  in
sostanza, lungi dal tutelare gli interessi del bambino, al  contrario
impedisce radicalmente a questi di vivere  la  malattia  con  l'aiuto
materiale ed affettivo dell'unico genitore in grado di prestarglielo,
genitore che, come  piu'  volte  detto,  rappresenta  in  particolari
momenti una figura insostituibile, l'unica in grado di  infondere  la
forza, l'equilibrio e la serenita' che sono necessari per  affrontare
determinate terapie. 
    E', inoltre, importante ricordare che i  principi  costituzionali
sopra richiamati, che prevedono la tutela  dei  diritti  fondamentali
della persona umana e che sanciscono il diritto - dovere dei genitori
di provvedere alla la cura  e  al  mantenimento  dei  figli,  sono  i
medesimi di quelli che sorreggono in generale la previsione dell'art.
275 comma 4 c.p.p. 
    Nel sancire «il divieto di  disporre  la  custodia  cautelare  in
carcere nei confronti di donna incinta  o  madre  di  prole  di  eta'
inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero, padre,  qualora  la
madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare  assistenza
alla prole», il  legislatore  ha  ritenuto  doveroso  assicurare  una
tutela rafforzata ai minori di eta' inferiore a tre anni, che proprio
perche'  non  ancora  dotati  di  adeguate  facolta'  intellettive  e
cognitive, necessitano di una piu' incisiva assistenza, che,  dunque,
nel caso di assoluta impossibilita' del  genitore  non  in  vinculis,
deve  essere  prestata  dall'altro,  anche  se  sottoposto  a  regime
carcerario  (sempre  che  non  sussistano   esigenze   cautelari   di
eccezionale rilevanza). 
    Ed allora, sotto tale profilo, non puo' che apprezzarsi anche  la
radicale contrarieta' a quel  principio  di  ragionevolezza,  che  e'
insito  nel  principio  di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3  Cost.,
dell'attuale disciplina legislativa che,  da  un  lato  consente,  in
presenza dei  presupposti  di  legge  (insussistenza  di  eccezionali
esigenze cautelari, assoluto impedimento della madre), che  il  padre
detenuto possa ottenere la gradazione della misura  per  assistere  i
figli di eta' inferiore ai tre anni,  dall'altro,  nella  sussistenza
dei medesimi  presupposti,  impedisce  radicalmente  al  genitore  in
vinculis di curare, in regime  di  arresti  domiciliari,  il  proprio
figlio gravemente ammalato (che e' superfluo osservare  necessita  di
una assistenza ancora piu' importante e fondamentale di quella che va
assicurata a bambini che, pur essendo di eta' inferiore a  tre  anni,
versano in normali condizioni di salute). 
    L'attuale  disciplina  e',  inoltre,  direttamente   lesiva   del
principio di uguaglianza sostanziale  in  quanto  porta  a  trattare,
irragionevolmente, in modo diverso,  anche  identiche  situazioni,  a
seconda che le stesse riguardino o meno bambini di  inferiore  a  tre
anni (atteso  che  solo  nel  primo  caso  si  potrebbe  in  concreto
applicare la previsione di cui all'art 275 comma 4 c.p.p). 
    Eppure, alla luce di tutte le considerazioni  sopra  esposte,  e'
innegabile che, in entrambi i casi, le esigenze di cura ed assistenza
sono assolutamente identiche, in quanto, essendo determinate  non  da
un naturale stato di immaturita' fisica  ma  da  un  grave  stato  di
salute, sono completamente indipendenti dall'eta'. 
    Anzi, paradossalmente, tali esigenze sono ancora  piu'  imperiose
ed evidenti nel  caso  di  prole  di  eta'  superiore  ai  tre  anni,
trattandosi in tale caso di bambini che, avendo  gia'  conseguito  un
sufficiente sviluppo delle proprie facolta' intellettive e  volitive,
sono gia' in grado di rendersi conto della dolorosa situazione in cui
sono costretti a vivere e pur tuttavia non hanno  ancora  in  se'  le
risorse necessarie per fronteggiarla adeguatamente. 
    La questione di legittimita' che qui occupa, oltre a  non  essere
manifestamente infondata per le  ragioni  sopra  dette,  e'  altresi'
rilevante nel presente procedimento. 
    Ed  infatti,  secondo  l'attuale   disciplina   legislativa,   la
possibilita'  di  concedere  gli  arresti  domiciliari   all'imputato
(sottoposto a regime detentivo anche per i delitti previsti dall'art.
275, terzo comma  c.p.p.  )  per  assolvere  a  compiti  di  cura  ed
assistenza dei figli, e' prevista solo se questi hanno eta' inferiore
a tre anni, ne' tale norma e' suscettibile di essere estesa,  per  il
tramite   di   una   interpretazione   analogica   costituzionalmente
orientata, a ipotesi diverse da quella specificatamente disciplinata,
essendo appunto di stretta, tassativa e rigida formulazione (come sul
punto piu' volte precisato dalla Suprema Corte: cfr fra le altre «non
e' consentito interpretare estensivamente  la  norma  dell'art.  275,
comma  4  c.p.p.  fino  a  ricomprendere  nel  divieto  ivi  previsto
ulteriori ipotesi non espressamente contemplate,  in  cui  si  deduca
cioe' la necessita' da parte dell'indagato di prestare  assistenza  a
familiari diversi da quelli indicati nella disposizione predetta». In
applicazione di detto principio la Corte,  con  la  sentenza  del  14
febbraio 1996 - 15 maggio 1996, n. 795, ha ritenuto  la  legittimita'
del provvedimento con il quale era stata  respinta  la  richiesta  di
sostituzione della custodia cautelare  in  carcere  con  gli  arresti
domiciliari  avanzata  sul  presupposto  della  necessita'  da  parte
dell'indagato di assistere un figlio portatore di handicap e  percio'
bisognevole di cure continue). 
    Da  cio'  consegue  che,  nel  caso  di  specie,   l'applicazione
dell'art. 275, comma 4 c.p.p. non  puo'  che  portare  tout-court  al
rigetto della istanza difensiva, in quanto la  piccola  C.  ha  sette
anni e, quindi, il padre, secondo l'attuale formulazione della norma,
non puo' ottenere la concessione del sollecitato regime degli arresti
domiciliari, pur  non  apprezzandosi  la  sussistenza,  nel  caso  di
specie,  di  esigenze  cautelari  di  eccezionale  rilevanza  e   pur
necessitando la bambina di eccezionali e ininterrotte  cure,  che  la
madre e' assolutamente impossibilitata a fornire e  che  derivano  da
patologie  gravi,  invalidanti  e   dal   decorso   imprevedibile   e
potenzialmente infausto.