Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  comma  1,
8, comma 2, e 13, comma 3,  della  legge  della  Regione  Liguria  10
novembre 2009, n. 52 (Norme  contro  le  discriminazioni  determinate
dall'orientamento sessuale o dall'identita' di genere), promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  29
dicembre 2009-7 gennaio 2010, depositato in cancelleria il 7  gennaio
2010 ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2010. 
    Visto  l'atto  di  costituzione,  fuori  termine,  della  Regione
Liguria; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2011  il  Giudice
relatore Sabino Cassese; 
    Udito l'avvocato dello Stato Marina Russo per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 29 dicembre 2009 - 7 gennaio  2010
e depositato in tale ultima data (7 gennaio 2010), il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  promosso  questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 2,  e  13,  comma  3,
della legge della Regione Liguria 10  novembre  2009,  n.  52  (Norme
contro le discriminazioni determinate  dall'orientamento  sessuale  o
dall'identita' di genere), per  contrasto  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera l), della Costituzione. 
    2. - Il ricorrente impugna tre  disposizioni  della  legge  della
Regione  Liguria  n.  52  del  2009,  contenenti  norme   contro   le
discriminazioni    determinate    dall'orientamento    sessuale     e
dall'identita' di genere. 
    2.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, in primo
luogo, l'art. 7, comma 1, della legge  impugnata.  Tale  disposizione
riguarda l'accesso ai servizi pubblici e privati, prevedendo che  «La
Regione, nell'ambito delle proprie competenze, opera  per  assicurare
la trasparenza e garantire a ciascuno parita'  d'accesso  ai  servizi
pubblici e privati e da' attuazione al principio in base al quale  le
prestazioni erogate da tali servizi non possano essere rifiutate  ne'
somministrate in maniera deteriore per le cause di discriminazioni». 
    Secondo il ricorrente, questa norma  introdurrebbe  il  «divieto,
per gli operatori economici privati, di rifiutare la loro prestazione
o di erogarla a condizioni deteriori rispetto a quelle ordinarie, per
motivi riconducibili all'orientamento  sessuale  o  all'identita'  di
genere». La norma prevederebbe, in sostanza, un'ipotesi  di  «obbligo
legale a contrarre», obbligo peraltro gia' previsto in  via  generale
dal legislatore statale all'art. 187 del Regio Decreto 6 maggio 1940,
n. 635 (Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico
18 giugno 1931, n. 773  delle  leggi  di  pubblica  sicurezza).  Tale
disposizione regionale, dunque, inciderebbe sull'autonomia  negoziale
dei privati cosi' come, sempre  ad  avviso  del  ricorrente,  avrebbe
rilevato la Corte costituzionale «in casi analoghi» a quello  oggetto
di censura (sentenza n. 253 del 2006). 
    2.2. - In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri
censura l'art. 13, comma 3, della legge della Regione Liguria  n.  52
del  2009,  ai  sensi  del   quale   «nell'esercizio   dell'attivita'
legislativa,  regolamentare,  programmatoria  e  amministrativa,  gli
organi regionali si conformano ai principi prefissati dalla  presente
legge,   anche   prevedendo   norme   per   la   prevenzione    delle
discriminazioni,  l'attuazione  dei  diritti  e   le   sanzioni   dei
comportamenti discriminatori». Tale disposizione sarebbe illegittima,
ad avviso della  difesa  dello  Stato,  in  virtu'  del  rapporto  di
connessione con l'art. 7, comma 1, della  medesima  legge  regionale,
nonche'  del  «parallelismo  tra  potere  di   determinazione   della
fattispecie da sanzionare e potere di determinare la sanzione», cosi'
come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  253  del
2006. 
    2.3. - In terzo luogo, il Presidente del Consiglio  dei  ministri
censura l'art. 8, comma 2, della legge impugnata.  Tale  disposizione
prevede, in materia di salute e prestazioni sanitarie, che  «Chiunque
abbia raggiunto la maggiore eta' puo' designare una persona che abbia
accesso  alle  strutture  di  ricovero  e  cura  per  ogni   esigenza
assistenziale e psicologica del designante  e  a  cui  gli  operatori
delle  strutture  pubbliche  e  private  socio-assistenziali   devono
riferirsi per  tutte  le  comunicazioni  relative  al  suo  stato  di
salute».  Secondo  il  ricorrente,  questa  norma,   considerata   la
generalita'  della  formula  utilizzata  dal  legislatore  regionale,
comprenderebbe anche «la possibilita' di delegare ad altra persona il
consenso ad  un  determinato  trattamento  sanitario»,  in  tal  modo
incidendo sull'istituto della  rappresentanza,  che,  come  affermato
dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.   253   del   2006,
rientrerebbe nella materia dell'ordinamento  civile,  riservata  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 29 dicembre 2009 - 7 gennaio 2010 e depositato in tale ultima data
(7   gennaio   2010),   ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 2,  e  13,  comma  3,
della legge della Regione Liguria 10  novembre  2009,  n.  52  (Norme
contro le discriminazioni determinate  dall'orientamento  sessuale  o
dall'identita' di genere), per  contrasto  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera l), della Costituzione. 
    2. - Le questioni promosse dal ricorrente sono tre. 
    2.1.  -  La  prima  riguarda  l'art.  7,  comma  1,  della  legge
impugnata, ai sensi del quale «la Regione, nell'ambito delle  proprie
competenze,  opera  per  assicurare  la  trasparenza  e  garantire  a
ciascuno parita' d'accesso  ai  servizi  pubblici  e  privati  e  da'
attuazione al principio in base al quale le  prestazioni  erogate  da
tali servizi  non  possano  essere  rifiutate  ne'  somministrate  in
maniera deteriore per le cause di  discriminazioni».  Ad  avviso  del
Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,   questa   disposizione,
introducendo il «divieto, per gli  operatori  economici  privati,  di
rifiutare la loro prestazione o di erogarla  a  condizioni  deteriori
rispetto   a   quelle    ordinarie,    per    motivi    riconducibili
all'orientamento sessuale o all'identita' di genere», prevederebbe un
«obbligo legale a contrarre», con conseguente lesione dell'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    L'obbligo legale a contrarre comporta che  determinati  operatori
siano obbligati ex lege a fornire la propria prestazione  a  chiunque
ne faccia richiesta (art. 1679 cod. civ., con riferimento ai  servizi
pubblici di trasporto). L'art. 7, comma 1, della legge  censurata  ha
una portata diversa. Esso non pone alcun obbligo a contrarre a carico
degli erogatori di servizi pubblici e privati, ma contiene una  norma
programmatica, che  impegna  la  Regione  stessa,  nell'ambito  delle
proprie competenze, a dare attuazione ai principi  costituzionali  di
eguaglianza e di non discriminazione in  ordine  alla  erogazione  di
servizi pubblici e privati. La disposizione impugnata, pertanto,  non
lede la  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di  ordinamento
civile. 
    2.2. - La seconda questione riguarda l'art. 13,  comma  3,  della
legge della Regione Liguria n.  52  del  2009,  ai  sensi  del  quale
«nell'esercizio    dell'attivita'     legislativa,     regolamentare,
programmatoria e amministrativa, gli organi regionali  si  conformano
ai principi prefissati dalla presente legge, anche  prevedendo  norme
per la prevenzione delle discriminazioni, l'attuazione dei diritti  e
le sanzioni  dei  comportamenti  discriminatori».  Tale  disposizione
sarebbe illegittima, ad avviso della difesa dello  Stato,  in  virtu'
del rapporto di connessione con l'art. 7,  comma  1,  della  medesima
legge regionale, «stante il parallelismo tra potere di determinazione
della fattispecie da sanzionare e potere di determinare la sanzione»,
cosi' come affermato da questa Corte nella sentenza n. 253 del 2006. 
    La questione non e' fondata. 
    Innanzitutto, una volta stabilito che l'art. 7,  comma  1,  della
legge della Regione Liguria n. 52 del 2009 non invade  la  competenza
legislativa statale, l'asserito  rapporto  di  connessione  con  tale
norma  non  puo'  di  per  se'  determinare  l'illegittimita'   della
disposizione di cui  all'art.  13,  comma  3,  della  medesima  legge
regionale. Quest'ultima norma,  peraltro,  non  dispone  essa  stessa
sanzioni - come invece stabiliva la norma dichiarata illegittima  con
la sentenza n. 253 del 2006, richiamata dal ricorrente - ma si limita
a prefigurarne l'introduzione, che  deve  rispettare  i  principi  di
legalita', tipicita' e nominativita' degli atti amministrativi. 
    2.3. - La terza questione attiene  all'art.  8,  comma  2,  della
legge impugnata, secondo cui «chiunque abbia  raggiunto  la  maggiore
eta' puo' designare una persona che abbia accesso alle  strutture  di
ricovero e cura per ogni esigenza  assistenziale  e  psicologica  del
designante e a cui gli operatori delle strutture pubbliche e  private
socio-assistenziali  devono  riferirsi  per  tutte  le  comunicazioni
relative al suo stato  di  salute».  Ad  avviso  del  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  questa  norma,  per  la  generalita'  della
formula utilizzata, comprenderebbe anche «la possibilita' di delegare
ad  altra  persona  il  consenso  ad   un   determinato   trattamento
sanitario», in tal modo incidendo sull'istituto della rappresentanza. 
    La questione non e' fondata. 
    L'art. 8, comma 2, della legge censurata consente di  individuare
una persona che si limita a ricevere comunicazioni.  La  disposizione
non disciplina  l'istituto  della  rappresentanza,  ma  riconosce  la
possibilita' di utilizzarlo al fine  di  comunicare  ai  pazienti  le
informazioni relative al loro stato  di  salute.  D'altro  canto,  la
possibilita' di designare un soggetto e di conferirgli il  potere  di
ricevere le informazioni relative allo stato di salute del designante
e'  gia'  prevista,  in  via  generale,  dall'art.  9   del   decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia  di  protezione
dei dati personali). Tale articolo - in combinato disposto con l'art.
7 del medesimo decreto - ammette la  possibilita'  che  l'interessato
conferisca, per iscritto, delega o  procura  a  un  «incaricato»  per
esercitare il diritto di accesso ai dati personali.