IL TRIBUNALE 
 
    Nel procedimento n. 690/09 R.G. promosso  da  G.  M.  -  Avv.  M.
Ziveri; 
    Contro Azienda U.S.L. di Parma - contumace; 
    nonche' contro Regione Emilia Romagna avv.ti  G.  Puliatti  e  M.
Michelessi; 
    nonche' contro Ministero della salute, in  persona  del  Ministro
pro tempore Avvocatura dello Stato; 
    A scioglimento della riserva formulata all'udienza del 29 ottobre
2010 nel procedimento sopra indicato  il  Giudice  del  lavoro  dott.
Roberto Pascarelli ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Con ricorso depositato in  cancelleria  in  data  3  luglio  2009
diretto al Giudice del Lavoro di Parma,  il  ricorrente  indicato  in
epigrafe, dopo aver premesso di essere  beneficiario  dell'indennizzo
previsto dalla legge n.  210/1992  avendo  contratto  epatite  HCV  a
seguito   di   trasfusioni,    chiedeva    all'intestato    Tribunale
l'accertamento del  proprio  diritto  a  percepire  la  rivalutazione
monetaria sull'indennita' integrativa speciale  di  cui  all'art.  2,
comma  secondo,  legge  n.  210/92,  costituente   parte   integrante
dell'indennizzo in godimento, sulla  base  del  tasso  di  inflazione
programmato. 
    La questione e' stata oggetto nel corso degli anni di numerose  e
contraddittorie decisioni sia delle corti di merito che  della  Corte
di cassazione. 
    In particolare, la Corte di cassazione, sez. lav., con  la  sent.
n. 15894/05 ha affermato che l'indennizzo di cui alla legge n. 210/92
deve  essere  rivalutato  secondo  il  tasso  annuale  di  inflazione
programmata anche con riferimento alla componente di cui al  comma  2
dell'art. 2 della legge, rilevando, tra  l'altro,  che  «una  diversa
interpretazione non  sarebbe  conforme  ai  principi  costituzionali,
gjacche' la misura dell'indennizzo, se ritenuta non rivalutabile  per
intero nelle sue componenti,  non  sarebbe  equa  rispetto  al  danno
subito, da rapportare al pregiudizio alla salute, tanto piu' che  gli
aumenti  ISTAT  dell'indennizzo  (al  netto  della  voce   indennita'
integrativa speciale, come  risultante  dalle  tabelle  ministeriali)
sono modesti e l'indennita' integrativa speciale e' rimasta. ferma  a
Lire 1.991.765, pari a Euro 1.028,66» (valore di  due  mensilita'  in
quanto l'indennizzo viene corrisposto ogni due mesi). 
    In senso opposto, con sentenza n. 21703 dei 13  ottobre  2010  la
stessa Corte, discostandosi dal predetto orientamento;  riteneva  non
rivalutabile la componente di cui al comma 2 dell'art. 2 della  legge
n. 210/92. 
    Nonostante quest'ultima interpretazione, le Corti di merito anche
di secondo grado continuavano e continuano  (almeno  per  la  maggior
parte) ad allinearsi con il precedente orientamento, riconoscendo  la
rivalutazione sull'intero indennizzo (cfr. ex plurimis  Tribunale  di
Bologna n. 57/2010, Tribunale di  Milano  n.  8027/09,  Tribunale  di
Firenze n. 1359/09, Tribunale di Torino n. 614/10; Tribunale di  Roma
n. 5191/10 e n. 5459/10, Tribunale di Lodi 131/09, Tribunale di Busto
Arsizio n. 97/10, Tribunale di Varese n. 867/09 e n. I1/10, Tribunale
di Brescia n 252/10, Tribunale di  Chieti  n.  238/10,  Tribunale  di
Lecce n. 5611/10, Tribunale Isernia 54110, Corte d'Appello di  Milano
n. 1156/10). 
    Permanendo dunque la difformita' interpretativa  sopra  riferita,
veniva adottato il d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la legge
n. 122/2010, recante «Misure urgenti in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica» all.'art. 11 commi 13 e 14
che cosi' stabilisce: 
        «13. Il comma 2 dell'art. 2 della legge 25 febbraio 1992,  n.
210 e successive modificazioni si' interpreta nel senso che la  somma
corrispondente all'importo dell'indennita' integrativa  speciale  non
e' rivalutata secondo il tasso di inflazione». 
        14. Fermo restando gli effetti esplicali da sentenze  passate
ingiudicate per i periodi da esse definiti, a partire dalla  data  di
entrata  in  vigore  del  presente  decreto  cessa  l'efficacia   di'
provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al  comma
13, ih forza di' un ruolo esecutivo. Sono  fatti  salvi  gli  effetti
prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto». 
    Sulla base di  tale  intervento  normativo  il  presente  ricorso
sarebbe pertanto da decidete in senso negativo; il ricorrente solleva
tuttavia eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi
13 e 1451 d.l. 31 maggio 2010, n. 78,  convertito  con  la  legge  n.
122/2010. 
    Ritiene  il  giudicante  che   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate non sono manifestamente infondate. 
    Va premesso che la normativa cui fare  riferimento  e'  l'art.  2
legge 25 febbraio 1992 n.  210  che  al  primo  comma  cosi'  recita:
«l'indennizzo di cui all'art. 1, comma  1,  consiste  in  un  assegno
reversibile per quindici anni, determinato nella misura di  cui  alla
tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata
dall'art. 8 della legge  2  maggio  1984,  n.  111.  L'indennizzo  e'
cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito  ed
e'  rivalutato  annualmente  sulla  base  dei  Tasso  di   inflazione
programmato». 
    Lo stesso art. 2 al secondo comma cosi' dispone: «l'indennizzo di
cui  al  primo  comma  e'  integrato  da  una  somma   corrispondente
all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959,
n. 324, e successive modificazioni, prevista per la  prima  qualifica
funzionale degli impiegati civili dello Stato». 
    Seguendo il ricordato orientamento giurisprudenziale (espresso da
Cass. 28 luglio 2005 n. 15894 e da Cass. 27 agosto 2007 n. 18109), e'
opinione di chi scrive che  entrambe  le  componenti  dell'indennizzo
debbano essere rivalutate annualmente secondo il tasso di  inflazione
programmata, ai sensi di quanto disposto dal citato art. 2  legge  25
febbraio 1992 n. 210. 
    Cio' essenzialmente in quanto: 
    a) l'indennizzo dev'essere inteso «nella sua globalita'», onde va
rivalutato in entrambe le sue parti; 
    b) l'indennita' integrativa speciale portava in se' il meccanismo
di adeguamento delle retribuzioni al  costo  della  vita  «nella  sua
originaria struttura», ma successivamente essa e' stata snaturata col
c.d. «taglio della scala mobile» onde non vi e' ora  ragione  di  non
rivalutarne l'importo; 
    c)  questa  interpretazione  e'  «costituzionalmente   orientata»
perche' tende alla tutela del diritto alla salute, di cui all'art. 32
Cost. 
    In  particolare  non  pare  che  il  canone  dell'interpretazione
letterale sia idoneo a superare  il  quadro  interpretativo  riferito
alla  ratio  dell'istituto  e  alla  connessione   con   i   principi
costituzionali. 
    Peraltro, proprio sotto profilo letterale, se e' pur vero che  la
disposizione che prevede la rivalutazione automatica e' collocata nel
primo  comma  dell'art.  2,  ove  e'   prevista   la   corresponsione
dell'assegno reversibile, e' anche vero che la rivalutazione  annuale
e' riferita all'indennizzo di cui all'art. l , comma 1,  e  cioe'  al
trattamento nella sua interezza, comprensivo anche  della  componente
delineata nel secondo comma. 
    Tuttavia il legislatore - mediante l'adozione degli articoli  qui
censurati di potenziale incostituzionalita' - introduce una norma che
pur qualificandosi come  di  interpretazione  autentica,  in  realta'
introduce una vera e propria modifica legislativa che pare ledere sia
il principio di cui all'art. 3 Cost. di ragionevolezza ed uguaglianza
di trattamento, sia gli artt. 32 e 117 della  Costituzione,  sia  gli
artt. 101, 102 e 104 interferendo  con  funzioni.  costituzionalmente
riservate al potere giudiziario, sia l'art. 24  Cost.  nel  senso  di
creare un discrimine nella tutela giudiziaria  riservata  a  tutti  i
cittadini; sia infine gli artt. 35, 2 e 14 della Convenzione  europea
dei Diritti dell'Uomo. 
    In particolare: 
        1) il d.l. n. 78/10, art. 11 commi 13 e 14 viola il principio
di uguaglianza ed equita'  sancito  dall'art.  3  della  Costituzione
determinando una illegittima disparita' tra coloro  che  percepiscono
indennizzo  rivalutato  sulla  base  delle   migliaia   di   sentenze
favorevoli all'orientamento piu'  sopra  espresso  e  coloro  il  cui
indennizzo, per effetto  del  d.l.  n.  78/2010;  non  potra'  essere
rivalutato. Si consideri che i primi, in virtu'  della  rivalutazione
integrale gia' disposta  giudizialmente  percepiscono  un  indennizzo
mensile di & 700, per l'ottava categoria, i  secondi  percepiscono  e
percepiranno invece, per la medesima categoria, un importo di  &  550
mensili (& 150 mensili in meno). Si  consideri  anche  che  tutte  le
altre  pensioni   sono   soggette   a   rivalutazione:   la   mancata
rivalutazione dell'indennizzo ex legge n. 210/92 -  avente  finalita'
assistenziali e non risarcitorie  come  gia'  piu'  volte  confermato
dalle sentenze della Cassazione civile e Corte costituzionale - nella
sua   componente   maggioritaria   determinerebbe   una   illegittima
disparita' anche tra i titolari di indennizzo ex legge n. 210/92  non
rivalutato e gli  altri  titolari  di  prestazioni  pensionistiche  e
assistenziali, posto che la rivalutazione e'  concessa  integralmente
ex lege ai vaccinati (art.  1,  comma  4  legge  n.  229/2005)  e  ai
soggetti affetti da «sindrome da talidomide» (art. 1, comma 4 decreto
n. 163/2009). Le normative appena  riportate  affermano  infatti  che
l'indennizzo e' «interamente  rivalutato  annualmente  in  base  agli
indici ISTAT». 
        2) per le medesime ragioni l'art. 11 comma 13 e  14  d.l.  n.
78/2010 viola l'art. 2 che tutela il diritto alla vita  e  l'art.  14
CEDU  che  sancisce  il   divieto   di   ogni   discriminazione.   La
discriminazione vietata dall'art. 14 della Convenzione  consiste  nel
«trattare in  modo  differente,  salvo  giustificazione  obiettiva  e
ragionevole, le  persone  che  si  trovano  in  situazioni  simili  o
analoghe». Secondo la giurisprudenza della Corte «una distinzione  e'
discriminatoria»  ai   sensi   dell'art.   14   se   manca   di   una
giustificazione obiettiva e ragionevole, cioe' «se essa non  persegua
uno  scopo  legittimo  o  se  c'e'   un   rapporto   di   ragionevole
proporzionalita'  tra  i  mezzi  impiegati  e  lo  scopo  che  si  e'
prefissata»  (CEDU  1°  dicembre  2009).  Nel  caso  di   specie   la
discriminazione che si determina ai sensi dell'art. 11, commi 13 e 14
d.l. n. 78/2010 tra coloro che gia' hanno ottenuto  la  rivalutazione
dell'indennizzo ex legge n. 210/92 e coloro che ancora sono in attesa
del riconoscimento e tra  questi  ultimi  e  gli  altri  titolari  di
indennizzo, in particolar modo i vaccinati e gli affetti da  sindrome
da talidomide, e' palesemente irragionevole ed illegittima. 
        3) il d.l. n. 78/2010 art. 11, commi 13 e 14 viola il diritto
alla salute sancito dall'art. 32  della  Costituzione  in  quanto  la
misura dell'indennizzo, ritenuta non rivalutabile  per  intero  nelle
sue componenti, non e' equa rispetto al danno subito,  da  rapportare
al pregiudizio alla salute (v. Corte  cost.  n.  307/1990  e  118/96)
tanto piu' che gli aumenti ISTAT dal 1995 ad oggi dell'indennizzo (al
netto della voce indennita' integrativa speciale) sono modesti  posto
che l'indennita'  integrativa  speciale  e'  rimasta  ferma  ad  euro
1028,66  nel  periodo  in  questione.  Pare  in  proposito   decisivo
evidenziare che l'indennizzo ex legge n. 210 del 1992 e' composto  da
due parti: il cosiddetto «indennizzo in senso  stretto»,  di  cui  al
primo comma dell'art, 2 e  la  «somma  corrispondente  all'indennita'
integrativa specie», di cui al secondo comma del  medesimo  articolo.
Delle due componenti dell'indennizzo l'amministrazione  provvede,  di
fatto, a rivalutare solamente la prima (che costituisce circa  il  5%
dell'intero  indennizzo).  Ne  deriva  quindi   che   l'importo   non
rivalutato  costituisce  il  95%  circa  dell'indennizzo  totale.  La
rivalutazione solo di una (minima) quota di indennizzo ha  comportato
e comporta una progressiva ed ingiustificata perdita di valore  delle
somme originariamente stabilite a titolo di indennizzo  dal  soggetto
danneggiato irreversibilmente da HIV, epatite post-trasfusionale o da
vaccinazione. 
    Esaminando la tabella utilizzata dal Ministero della  salute  che
prevede la rivalutazione del solo «indennizzo in senso stretto di cui
alla  tab.  B»  (art.  2  primo  comma),  mantenendo   invece   fissa
l'ulteriore componente dell'indennizzo, si vede che in 17  anni,  dal
1992 al 2009 l'indennizzo mensile e' aumentato di soli 8 euro  (dalle
originarie euro 542,20 alle attuali euro 550,20). 
    In realta' l'indennizzo originario previsto nel 1992 (Euro 542.20
mensili) ha perso in questi 17 anni circa 150 euro  mensili  a  causa
della svalutazione monetaria nel  frattempo  intervenuta,  posto  che
l'importo originariamente previsto a titolo di «somma  corrispondente
all'indennita' integrativa speciale», e' rimasto fisso ad  & 6.171,96
annuali (corrispondenti ad & 1028,66 bimestrali), perdendo in  questi
17  anni  &  2.246,55  e  di  fatto  riducendosi  a  quasi  la  meta'
dell'originario valore (euro 3.924,45)  a  causa  delle  perdita  del
potere d'acquisto. 
    E' dunque evidente che rivalutando l'indennizzo  solo  in  minima
parte (meno del  5%)  si  riduce  ingiustamente  l'originale  importo
capitale, erodendo progressivamente l'originario importo fissato  dal
legislatore a titolo di indennizzo. 
    Per altro, proprio al fine di preservare nel  tempo  l'originario
importo stabilito dal legislatore del 1992, la legge  n.  238/97  (ma
gia' prima il d.l. n. 548/1996) ha  introdotto  il  meccanismo  della
rivalutazione  annuale  dell'indennizzo  secondo  il  TIP  tasso   di
Inflazione annualmente programmato, che e' in realta' inferiore  agli
indici ISTAT). La rivalutazione dell'indennizzo nella sua  globalita'
- secondo la voluntas legis - era finalizzata a mantenerne inalterato
nel tempo l'originario valore fissato  ex  lege,  trattandosi  di  un
indennizzo   vitalizio   che   assolve   imprescindibili    finalita'
assistenziali a favore di persone  gravemente  ammalate  a  causa  di
trasfusioni di sangue e somministrazione di  emoderivati  infetti,  o
vaccinazioni obbligatorie ed ha lo scopo di consentire a  costoro  di
poter far fronte alle cure, visite  specialistiche  ed  altresi'  per
sostenere i costi per l'assistenza di cui necessitano. 
    L'art. 32 della Costituzione tutela e garantisce il diritto  alla
salute che, declinato  nel  caso  in  esame,  impone  al  legislatore
l'osservanza del  criterio  di  equita'  ossia  ragionevolezza  degli
indennizzi. L'art. 11, comma 13 del d.l. n. 78/2010  viola  la  norma
costituzionale in quanto cristallizza  l'importo  dell'indennizzo  ai
valori del 1992 e ne determina la progressiva erosione a causa  della
svalutazione monetaria. Di fatto, dunque la norma citata  elimina  la
tutela prevista dall'art. 32 della Costituzione. 
    4) Per le medesime ragioni  l'art.  11,  comma  13  del  d.1.  n.
78/2010 viola  anche  l'art.  35  della  C.E.D.U.  «Protezione  dalla
Salute», che considera la salute «bene primario» a cui garantire  «un
elevato livello di protezione» «nella definizione  e  nell'attuazione
di tutte le politiche e le attivita' dell'Unione». 
    5) L'art.11, commi 13 e  14  d.l.  n.  78/2010  pone  inoltre  in
contrasto con l'art. 117, comma 1 della Costituzione  che  impone  il
rispetto da parte  del  legislatore  italiano  dei  vincoli  derivati
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi.  internazionali.  Come
riconosciuto dalla Corte costituzionale con le sentenze  n.n.  348  e
349 del 2003 e n. 311 del 2009 il contrasto di  una  norma  nazionale
con una norma convenzionale (nel caso di' specie gli artt. 2, 14,  35
CEDU),  si  traduce  in  una  violazione  dell'art.  117,   comma   1
Costituzione. 
    6) L'illegittimita' della normativa di' cui alla  legge  122/2010
e' altresi' nei confronti della nostra Costituzione,  per  violazione
degli artt. 24, 25, I comma, 102,104 e 111. 
    L'intervenuto  decreto-legge  poi  convertito   costituisce   una
ingerenza del potere legislativo su quello giudiziario. 
    Parrebbe infatti lesa l'indipendenza e l'autonomia della funzione
giudiziaria (e conseguente violazione degli artt. 102, 104, 111 della
Costituzione), nonche' come venga  eluso  il  principio  del  giudice
naturale precostituito per legge (con violazione dell'art. 25 I comma
della Costituzione); infine viene leso il diritto del cittadino ad un
giusto processo, diritto tutelato anche dall'art. 6 CEDU e  47  Carta
UE e anche dall'art. 111 della Costituzione. 
    Inoltre, nel fare salve le pronunce  giurisdizionali  passate  in
giudicato emesse alla data di entrata in vigore della norma, crea una
disparita' ingiustificata di trattamento tra coloro  che  hanno  gia'
adito l'autorita' giudiziaria percorrendo tutti in gradi di  giudizio
ottenendo una pronuncia favorevole alla rivalutazione (e  dunque  nel
concreto maggiori emolumenti economici), e coloro che sono sub iudice
in questo momento, ovvero non l'hanno ancora adito; o, peggio ancora,
che hanno  ottenuto  sentenze  favorevoli  tuttavia  non  passate  in
giudicato. 
    Sotto quest'ultimo aspetto, poi, la normativa sopra menzionata si
pone  in  contrasto  con  gli  artt.  3  e  24   Cost.,   poi   viene
sostanzialmente vanificato  il  diritto  del  cittadino  alla  tutela
giurisdizionale. 
    In questo caso infatti.  lo  ius  superveniens  non  soddisfa  le
richieste  degli   interessati   e   si   pone   in   contrasto   con
l'interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole, stabilendo di
fatto l'estinzione dei processi in corso (ovvero la soccombenza negli
stessi), e si opera cosi' da parte del  legislatore  una  sostanziale
vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo  al  fine
dell'attuazione di un preesistente diritto; e' percio' da  ravvisarsi
la violazione del diritto di azione, di cui all'art. 24  Cost.  (cfr.
Corte cost. n. 123/1987; n.103/1995, cit. e Cass. 2 maggio 1996, ord.
in G.U. serie sp. 18 dicembre 1996). 
    Sotto altro profilo, il dubbio di  costituzionalita'  investe  la
normativa censurata per quanto concerne  l'estinzione  di  fatto  dei
giudizi pendenti, cui deve conseguire la compensazione delle spese, o
peggio, la condanna del ricorrente. 
    Il contrasto si pone non solo con riguardo  agli  artt.  3  e  24
Cost., ma  anche  rispetto  agli  artt.  102  e  113  Cost.,  poiche'
l'estinzione necessariamente automatica di tutti i  giudizi  pendenti
con la compensazione delle spese (ovvero addirittura con la  condanna
del ricorrente, in quanto ex lege non si e' avuto  il  riconoscimento
del diritto e quindi una soccombenza virtuale del Ministero,  ma,  al
contrario, una  negazione  dello  stesso,  con  soccombenza  virtuale
dell'assistito), realizza una  illegittima  interferenza  del  potere
legislativo nella sfera della giurisdizione, non potendo  il  Giudice
neanche accertare pur sotto il profilo della soccombenza virtuale, se
sussistono i presupposti per la relativa declaratoria,  tenuto  conto
che la dichiarazione di estinzione del giudizio per cessazione  della
materia del contendere e' un fenomeno di carattere sostanziale e  non
meramente processuale che il giudice deve  poter  valutare  sotto  il
profilo della soccombenza virtuale. 
    D'altro lato, non potendo il  giudice  decidere  sulle  spese  in
senso favorevole al ricorrente  (in  quanto  soccombente),  la  legge
finisce col sopprimere il diritto dell'interessato, anche per il caso
di fondatezza  della  sua  domanda,  a  vedersi  tenuto  indenne  dal
pagamento, al proprio difensore, delle spese  processuali  sostenute,
anche se anticipate dall'avvocato, con la conseguente violazione  del
principio che le  spese  non  possono  gravare  sulla  parte  che  ha
ragione, (come nel caso delle spese gia' anticipate)  e  che  non  ha
dato causa al giudizio. 
    Per quanto sopra, non sembra lecito dubitare che la questione  di
legittimita' sollevata e' rilevante nel presente giudizio, sul  quale
e' destinata ad operare direttamente.