Ordinanza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Vigevano con ordinanza del 26 aprile 2010, dal  Giudice  di  pace  di
Orvieto con ordinanza dell'8 giugno 2010 e dal  Giudice  di  pace  di
Sondrio con ordinanza del 19 ottobre 2009,  rispettivamente  iscritte
ai nn. 307, 310 e 398 del registro ordinanze 2010 e pubblicate  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42, 1ª  serie   speciale,
dell'anno 2010 e n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Udito nella camera di consiglio del  6  aprile  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 26 aprile 2010 (r.o. n.  307  del
2010), il Giudice di pace di Vigevano ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt.  2,  3,  25,  secondo  comma,  e  97  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del  d.lgs.
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000 a 10.000  euro,  «salvo
che il fatto costituisca  piu'  grave  reato,  lo  straniero  che  fa
ingresso  ovvero  si  trattiene  nel  territorio  dello   Stato,   in
violazione delle disposizioni del [citato]  testo  unico  nonche'  di
quelle di cui all'articolo 1 della  legge  28  maggio  2007,  n.  68»
(Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite,
affari, turismo e studio); 
    che il giudice a quo riferisce di essere investito  del  processo
penale  nei  confronti  di  un  cittadino  extracomunitario  nato  in
Tunisia, imputato del reato previsto dall'art. 10-bis del  d.lgs.  n.
286 del 1998, per essersi trattenuto nel territorio dello  Stato  «in
violazione delle disposizioni  di  legge  inerenti  l'ingresso  e  il
soggiorno degli stranieri»; 
    che, secondo il rimettente,  la  nuova  norma  incriminatrice  si
porrebbe in contrasto con l'art. 2 Cost., che riconosce e  garantisce
i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento  dei  doveri
di solidarieta' politica, economica e sociale; 
    che  essa  violerebbe,  inoltre,   l'art.   3   Cost.,   per   la
irragionevolezza  della  scelta   legislativa   di   «criminalizzare»
l'ingresso e la permanenza illegali nel territorio dello Stato; 
    che  l'obiettivo  perseguito  con  l'introduzione   della   nuova
fattispecie di reato e', infatti, quello di allontanare lo  straniero
irregolare  dal  territorio  dello   Stato,   come   si   desumerebbe
chiaramente dal fatto che il giudice di pace puo' applicare la misura
dell'espulsione come sanzione sostitutiva (art. 16 del d.lgs. n.  286
del 1998) e che l'esecuzione dell'espulsione  in  via  amministrativa
costituisce causa di improcedibilita' dell'azione penale; prospettiva
nella quale, peraltro, la nuova  incriminazione  si  rivelerebbe  del
tutto inutile, giacche' il suo ambito di  applicazione  coinciderebbe
perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa; 
    che il  rimettente  denuncia,  altresi',  l'irragionevolezza  del
trattamento  sanzionatorio   della   nuova   fattispecie   criminosa,
complessivamente considerato: non soltanto, cioe', della comminatoria
della pena dell'ammenda - pena che, se pur elevata  e  insuscettibile
di oblazione, risulterebbe priva di  ogni  efficacia  deterrente  nei
confronti di soggetti di regola totalmente  impossidenti,  quali  gli
stranieri «clandestini» - ma anche del divieto di applicazione  della
sospensione condizionale della pena e  della  facolta',  concessa  al
giudice, di sostituire la  pena  pecuniaria  con  una  sanzione  piu'
grave, quale l'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni; 
    che l'art.  3  Cost.  sarebbe  violato  anche  sotto  l'ulteriore
profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento  rispetto  alla
fattispecie criminosa, pure piu'  grave,  contemplata  dall'art.  14,
comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che  punisce  la  permanenza
dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine
di allontanamento impartito dal questore,  solo  quando  abbia  luogo
«senza giustificato  motivo»:  «scriminante»,  questa,  non  prevista
dalla norma impugnata; 
    che il giudice a quo reputa lesi, inoltre,  gli  artt.  3  e  25,
secondo comma, Cost.,  in  quanto  la  nuova  figura  di  reato  solo
apparentemente sanzionerebbe una condotta (l'ingresso  o  il  mancato
allontanamento dal  territorio  dello  Stato),  mentre,  in  realta',
sarebbe diretta a colpire una condizione personale  e  sociale  dello
straniero, legata  al  mancato  possesso  di  un  titolo  abilitativo
all'ingresso o al  soggiorno  in  detto  territorio:  condizione  che
verrebbe   arbitrariamente   considerata    come    sintomatica    di
pericolosita' sociale; 
    che risulterebbe  vulnerato,  ancora,  l'art.  97,  primo  comma,
Cost.,  giacche'  la  previsione  di  due  distinti  procedimenti   -
amministrativo e  penale  -  diretti  allo  stesso  fine  influirebbe
negativamente sulla ragionevole durata del processo penale,  oltre  a
provocare un incremento dei costi e degli «incombenti»; 
    che la questione sarebbe, altresi', rilevante, giacche' nel  caso
di  declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale   della   norma
censurata l'imputato non  andrebbe  incontro  a  nessuna  conseguenza
penale; 
    che, nell'ambito di  un  processo  penale  nei  confronti  di  un
cittadino extracomunitario, imputato della  contravvenzione  prevista
dalla norma censurata, il medesimo art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del
1998 e' sottoposto a scrutinio di costituzionalita' anche dal Giudice
di pace di Orvieto, con ordinanza emessa l'8 giugno 2010 (r.o. n. 310
del 2010), per asserita violazione degli artt. 2, 3, 10, 25,  secondo
e terzo comma, «in relazione agli artt. 13 e  27»,  e  dell'art.  111
della Costituzione; 
    che, ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  norma  incriminatrice
censurata  si   porrebbe   in   contrasto   con   il   principio   di
ragionevolezza, in quanto priva di ratio giustificatrice; 
    che l'obiettivo che la disposizione si prefigge - allontanare  lo
straniero «clandestino» dal territorio nazionale - sarebbe,  infatti,
gia'  conseguibile  con  l'istituto  dell'espulsione  amministrativa:
espulsione  eseguibile  senza  necessita'  di  nulla-osta  da   parte
dell'autorita' giudiziaria, nel  caso  di  pendenza  di  procedimento
penale per il reato in esame (art. 10-bis, comma 4, del d.lgs. n. 286
del 1998); 
    che la pena pecuniaria comminata per  la  violazione  rimarrebbe,
d'altro canto, solo «teorica», dovendo  essere  applicata  a  persone
nullatenenti e prive di «sicura domiciliazione», sicche' anche la sua
conversione in lavoro sostitutivo  «non  otterrebbe  alcun  risultato
utile»; 
    che risulterebbero violati, inoltre, i principi di offensivita' e
proporzionalita', giacche', come chiarito dalla Corte  costituzionale
con la sentenza n. 78 del 2007, il  mancato  possesso  di  un  titolo
valido per il soggiorno nello Stato non e', di per  se',  sintomatico
di una particolare  pericolosita'  sociale:  pericolosita'  che,  per
contro -  alla  luce  dell'espressione  «fatto  commesso»,  contenuta
nell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  nonche'  del  principio   di
personalita' della responsabilita'  penale  (art.  27  Cost.)  e  del
criterio    dell'extrema    ratio    -    costituirebbe    condizione
imprescindibile  affinche'  possano  irrogarsi  sanzioni  di   natura
criminale; 
    che la norma censurata violerebbe,  ancora,  gli  artt.  2  e  10
Cost., per contrasto con il principio di solidarieta' - posto tra  «i
valori fondamentali dell'uomo» da plurime convenzioni  internazionali
- assumendo un «connotato discriminatorio» nei confronti  di  persone
che versano in condizioni di bisogno; 
    che un ulteriore e conclusivo  profilo  di  irrazionalita'  della
norma  si  connetterebbe  alla  circostanza  che,  in  rapporto  alla
sottofattispecie   dell'illegale   trattenimento,   non   sia   stata
introdotta una disciplina transitoria, «quale quella prevista per  le
colf e badanti»: con la conseguenza che il migrante clandestino, gia'
presente nel territorio dello Stato alla data di  entrata  in  vigore
della novella, non avrebbe alcuna possibilita' di  evitare  i  rigori
della legge penale; 
    che  una  ulteriore  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  e'  sollevata,  in
riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 25, secondo comma,  e  117,
primo comma, Cost., dal Giudice di pace  di  Sondrio,  con  ordinanza
emessa il 19 ottobre 2009 (r.o. n. 398 del 2010); 
    che  il  giudice  a  quo  reputa   la   scelta   legislativa   di
criminalizzare  l'ingresso  e  la  permanenza  illegali  nello  Stato
italiano incompatibile con l'art. 3 Cost.,  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza, giacche' l'obiettivo con essa perseguito -  espellere
lo straniero illegittimamente presente nel territorio dello  Stato  -
era  gia'  raggiungibile  mediante  l'espulsione  coattiva   in   via
amministrativa, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del
1998, il cui ambito di applicazione coincide perfettamente con quello
della nuova fattispecie criminosa; 
    che l'irragionevolezza della  nuova  incriminazione  emergerebbe,
altresi', «dal complessivo  profilo  sanzionatorio»,  contraddistinto
non solo dalla comminatoria della pena  dell'ammenda,  ma  anche  dal
divieto di applicazione del beneficio della sospensione  condizionale
della pena e dalla facolta' per il  giudice  di  sostituire  la  pena
principale con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore
a cinque anni: misura  che  risulterebbe  oggettivamente  piu'  grave
della pena sostituita; 
    che l'art.  3  Cost.  sarebbe  violato  anche  sotto  l'ulteriore
profilo della irragionevole disparita' di trattamento  rispetto  alla
figura criminosa delineata dall'art. 14, comma 5-ter, del  d.lgs.  n.
286 del 1998, che punisce lo straniero inottemperante  all'ordine  di
allontanamento del questore solo ove egli si trattenga nel territorio
italiano «oltre il termine stabilito» e «senza giustificato  motivo»:
condizioni, queste, che non figurano nell'art. 10-bis del  d.lgs.  n.
286 del 1998; 
    che la norma censurata si porrebbe, altresi',  in  contrasto  con
gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., in quanto la punibilita'  non
sarebbe collegata a fatti materiali imputabili al soggetto,  ma  alla
mera condizione di migrante irregolare, non sintomatica, di per  se',
di una particolare pericolosita' sociale, essendo spesso  determinata
da «ragioni di sopravvivenza»; 
    che la medesima norma incriminatrice  violerebbe  pure  l'art.  2
Cost.,  che,  riconoscendo  e  garantendo  «i   diritti   inviolabili
dell'uomo» e richiedendo «l'adempimento dei  doveri  inderogabili  di
solidarieta' sociale», osterebbe  all'adozione  di  misure  puramente
repressive per contrastare il fenomeno  dell'immigrazione  di  massa,
originato «dall'aspettativa di una vita migliore» da parte dei «nuovi
poveri di oggi»; 
    che, da ultimo, il giudice a quo prospetta la  lesione  dell'art.
117, primo comma, Cost., per violazione  del  Protocollo  addizionale
alla  Convenzione  delle  Nazioni  Unite   contro   la   criminalita'
organizzata transnazionale per combattere  il  traffico  illecito  di
migranti, adottato il 15 dicembre 2000, il quale, nell'impegnare ogni
Stato aderente a conferire carattere di reato a una serie di condotte
attinenti al traffico dei migranti (art. 6), statuisce,  all'art.  5,
che «i migranti non diventano assoggettati all'azione penale  fondata
sul presente protocollo per il fatto di essere  stati  oggetto  delle
condotte di cui all'art. 6»; obbligando, inoltre,  all'art.  16,  gli
Stati contraenti a prendere adeguate misure a tutela dei migranti  la
cui vita o incolumita' e' posta in pericolo dalle predette condotte; 
    che la norma interna di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998, nel «criminalizzare» lo straniero «irregolare», si porrebbe  in
evidente contraddizione con le citate norme pattizie, sottoponendo  a
pena le  persone  che  lo  Stato  si  e'  impegnato  ad  assistere  e
proteggere. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere definiti con un'unica decisione; 
    che i  giudici  a  quibus  dubitano,  in  riferimento  a  plurimi
parametri, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000  a
10.000 euro, salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel  territorio
dello Stato; 
    che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in  punto
di descrizione della fattispecie  concreta  e  di  motivazione  sulla
rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle  questioni
con esse sollevate; 
    che, in rapporto all'ordinanza di rimessione del Giudice di  pace
di Orvieto, le indicate manchevolezze sono totali; 
    che, a loro volta, gli altri giudici  rimettenti  si  limitano  -
quanto  alla  descrizione  della  vicenda  concreta  -  a  riportare,
nell'epigrafe delle ordinanze di rimessione, il capo di  imputazione:
il quale si  risolve,  peraltro,  nella  sostanza,  in  una  generica
parafrasi del dettato della norma incriminatrice; 
    che i medesimi giudici rimettenti affermano, al tempo stesso,  la
rilevanza delle questioni in termini puramente assiomatici; 
    che mancano, per converso,  adeguate  indicazioni  sulle  vicende
oggetto dei giudizi a quibus e sulla loro effettiva  riconducibilita'
al paradigma punitivo considerato,  atte  a  permettere  la  verifica
dell'asserita rilevanza delle questioni, sia nel loro  complesso  che
in rapporto alle singole censure prospettate; 
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili, conformemente a quanto gia' reiteratamente  deciso  da
questa Corte in situazioni analoghe (ex plurimis, ordinanze n. 65, n.
64, n. 32 e n. 13 del 2011, n. 253 del 2010). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.