Ordinanza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Chioggia con ordinanza del 25 marzo 2010 e dal  Giudice  di  pace  di
Orvieto con ordinanza del 18 maggio 2010, iscritte ai  numeri  260  e
261 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Udito nella camera di consiglio del  23  marzo  2011  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 25 marzo 2010 (r.o.  n.  260  del
2010), il Giudice di pace di Chioggia ha  sollevato,  in  riferimento
agli  articoli  3,  25,  secondo  comma,  e  27  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera  a),  della
legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica); 
        che il giudice rimettente - procedendo nei confronti  di  una
persona imputata del reato di cui alla norma denunciata - si  limita,
in punto di rilevanza, ad enunciare  che,  in  caso  di  accoglimento
della  questione,  «l'imputato  finirebbe  per   non   avere   alcuna
conseguenza sotto il profilo penale»; 
        che, quanto alla non  manifesta  infondatezza,  egli  osserva
che, in base al «principio di necessaria lesivita' ed  offensivita'»,
ricavabili dai parametri  costituzionali  evocati,  il  ricorso  alla
sanzione  penale  potrebbe  considerarsi  legittimo  solo  quando  la
condotta del soggetto si materializzasse in un comportamento  esterno
idoneo a determinare una lesione del bene tutelato o, almeno, una sua
messa in pericolo; 
        che   entrambi   questi    requisiti    non    risulterebbero
individuabili  «nella  fattispecie  criminosa  de  qua»,   destinata,
piuttosto,  a  colpire  «una  mera  condizione  personale  e  sociale
dell'agente e propria di una  categoria  di  persone»,  senza  alcuna
lesione  «del  bene  della  sicurezza  pubblica»   e   senza   alcuna
possibilita' di ricorrere a  una  presunzione  di  pericolosita'  (di
soggetti ai quali, oltretutto, non sarebbe  «ascrivibile  nemmeno  la
mancata osservanza di un provvedimento amministrativo»); 
        che cio' risulterebbe in linea con quanto affermato da questa
Corte con la sentenza n. 78 del 2007, a proposito del carattere  «non
univocamente sintomatico di una  particolare  pericolosita'  sociale»
attribuibile  al  mancato  possesso  di   titolo   abilitativo   alla
permanenza nel territorio dello Stato, nonche' con la sentenza n.  22
del   2007,   a   proposito   dell'inottemperanza    all'ordine    di
allontanamento  del  questore  come  «fattispecie  che  prescinde  da
un'accertata o presunta pericolosita' dei soggetti responsabili»; 
        che  l'incriminazione  di  una  mera  condizione  individuale
(quella   di   migrante)   assumerebbe,   pertanto,   «un   connotato
discriminatorio ratione subiecti», in violazione anche del  principio
di eguaglianza, restando indubbio, in base ai principi anzidetti, che
non  possa  considerarsi  consentita  l'introduzione  legislativa  di
sanzioni  penali  «per  finalita'   di   mera   deterrenza»   e   con
collegamenti, piuttosto che a «fatti colpevoli», «a  modi  di  essere
ovvero  ad  una  mera  disobbedienza  priva   di   disvalore,   anche
potenziale»; 
        che, del resto, «ragioni  di  ragionevolezza,  uguaglianza  e
proporzionalita'»   imporrebbero,   nel   nostro   ordinamento,    di
considerare   ammissibile   il   ricorso   allo   strumento    penale
«esclusivamente per  la  protezione  di  beni  giuridici  di  rilievo
costituzionale» e «solo come extrema ratio»; 
        che, in ultimo, il rimettente non rinuncia ad evidenziare che
la   norma   denunciata   sia   stata   sottoposta   al   vaglio   di
costituzionalita', «sotto una  molteplicita'  di  motivi»,  anche  da
parte di altri giudici di pace, le cui ordinanze di rimessione,  «per
la  loro   serieta',   rilevanza   e   non   manifesta   infondatezza
giustificherebbero, anche per il giudizio in oggetto, di per se',  la
sospensione del processo in base al combinato disposto degli artt.  2
e 3 c.p.p.»; 
        che, con ordinanza del 18 maggio 2010 (r.o. n. 261 del 2010),
il Giudice di pace di Orvieto ha sollevato questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998,  aggiunto
dall'art. 1, comma 16, lettera  a),  della  legge  n.  94  del  2009,
denunciando la violazione degli artt. 2, 3, 10, 25, secondo  e  terzo
comma, «in relazione agli artt. 13 e 27 della Costituzione»,  nonche'
dell'art. 111 Cost. 
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  la  norma  denunciata  si
porrebbe in contrasto con il principio di  ragionevolezza  in  quanto
priva di «ratio giustificatrice», atteso che  il  fine  che  essa  si
prefigge - di allontanare lo straniero «clandestino»" dal  territorio
nazionale - e', infatti, raggiungibile gia'  in  sede  amministrativa
attraverso la misura dell'espulsione, per la quale  non  e'  previsto
alcun nulla-osta da parte dell'autorita' giudiziaria; 
        che,  del  resto,  la  previsione  di  una  pena   pecuniaria
sembrerebbe destinata ad un'applicazione solo «teorica»,  riferendosi
«a persone nullatenenti» e prive di  «sicura  domiciliazione»,  tanto
che anche una sua conversione in lavoro sostitutivo  «non  otterrebbe
alcun risultato utile»; 
        che  risulterebbero,   inoltre,   violati   i   principi   di
offensivita' e di proporzionalita', considerato  che,  alla  luce  di
quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 78 del  2007,  il
mancato possesso di un titolo valido per  il  soggiorno  nello  Stato
«non e',  di  per  se',  sintomo  di  una  particolare  pericolosita'
sociale», la quale,  invece  -  sulla  base  dell'espressione  «fatto
commesso», contenuta nell'art. 25, secondo comma, Cost., nonche'  del
principio  di  personalita'  della  responsabilita'  penale  di   cui
all'art.  27  Cost.  e  secondo  il  criterio  dell'extrema  ratio  -
costituirebbe  condizione  imprescindibile   per   l'irrogazione   di
sanzioni penali, tanto piu' in riferimento a «una situazione che puo'
essere risolta in ambito amministrativo»; 
        che la norma denunciata contrasterebbe, ancora, con l'art. 10
Cost. e soprattutto  con  l'art.  2  Cost.,  sia  in  riferimento  al
principio  di  solidarieta'  -  «posto  tra  i  valori   fondamentali
dell'uomo»  da  vari  atti  di  diritto  internazionale  (quali   «la
Convenzione di Ginevra  sull'asilo  politico,  la  Dichiarazione  dei
Diritti dell'Uomo e le varie Convenzioni sui  lavoratori  migranti  e
sui Diritti del fanciullo ratificate dall'Italia») - sia in relazione
al «connotato discriminatorio» che essa assumerebbe nei confronti  di
persone che, versando in condizioni di bisogno,  vengono  considerate
«possibili fonti di atti delinquenziali»; 
        che un ulteriore profilo di irrazionalita' deriverebbe  dalla
circostanza secondo cui  l'assenza  di  una  disciplina  transitoria,
«quale quella prevista per le colf e badanti», fa si' che la condotta
di illegale trattenimento nel territorio dello Stato -  la  quale,  a
differenza di  quella  di  ingresso  clandestino,  non  ha  carattere
istantaneo - esponga il migrante «clandestino» (ove gia' presente  in
Italia) a non avere «alcuna possibilita' di evitare  i  rigori  della
legge». 
    Considerato  che  i  giudizi,  avendo  ad  oggetto  una  medesima
disposizione e sollevando un'identica questione,  vanno  riuniti  per
essere congiuntamente decisi: 
        che la Corte e' chiamata a pronunciarsi  sulla  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), sollevata in riferimento, complessivamente, agli  articoli
2, 3, 10, 25, secondo e terzo comma («in relazione agli articoli 13 e
27 Cost.»), 27 e 111 della Costituzione; 
        che le ordinanze  di  rimessione,  risultando  carenti  nella
descrizione dei fatti di  cui  ai  relativi  giudizi,  nonche'  nella
motivazione sulla rilevanza della questione che sollevano, precludono
a questa Corte  di  compiere  la  propria  necessaria  e  correlativa
valutazione; 
        che, peraltro, l'ordinanza del Giudice  di  pace  di  Orvieto
appare di contenuto  sostanzialmente  identico  a  quello  di  altre,
emesse dallo stesso giudice  rimettente,  con  le  quali  sono  state
sollevate davanti a questa Corte questioni dichiarate  manifestamente
inammissibili per  irrilevanza,  in  ragione  dell'omessa  o  carente
descrizione della concreta fattispecie sottoposta a giudizio  (cosi',
per la parte relativa, le ordinanze n. 253 del 2010 e n. 3 del 2011); 
        che, pertanto,  la  questione  va  dichiarata  manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.