IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1564 del 2010, proposto da: S.C., rappresentata e difesa dall'avv. Lorenzo Trucco, con domicilio eletto presso Lorenzo Trucco in Torino, corso V. Emanuele II, 82; Contro Ministero dell'interno, Questura di Torino; Per l'annullamento del provvedimento del Questore della provincia di Torino del 18 aprile 2010, notificato in data 13 ottobre 2010; di rigetto dell'istanza di conversione del permesso di soggiorno per minore eta' in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato ed avverso gli atti ad esso connessi antecedenti e susseguenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 23 della legge n. 87 del 1953; Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2011 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; F a t t o 1. La sig.ra S.C., di cittadinanza marocchina, ha impugnato innanzi a questo Tribunale amministrativo regionale il decreto del Questore della provincia di Torino in data 13 aprile 2010 - prot. n. 311/2010, con cui e' stata rigettata la sua istanza tesa ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno da «minore eta'» a «lavoro subordinato», ai sensi dell'art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998. Dell'atto impugnato l'interessata ha domandato l'annullamento previa sospensione cautelare. Ai fini che qui interessano, la ricorrente - come da sua dichiarazione, riportata nel provvedimento impugnato - ha fatto clandestinamente ingresso in Italia in data 1° settembre 2007, ancora minorenne, e ha ottenuto in data 21 agosto 2008 il rilascio di un permesso di soggiorno per minore eta', valido sino al compimento del 18° anno di eta' (ossia, fino al 1° settembre 2009). Dalla documentazione versata in atti si evince, inoltre, che la sig.ra C., e' stata presa in carico dai servizi sociali del comune di T.P., senza tuttavia essere destinataria di alcun provvedimento di tutela da parte della competente autorita'. La minore, in ogni caso, risulta essere stata di fatto affidata dai propri genitori, con atto recante la data del 3 settembre 2007, al cugino M.W. residente in Italia. Nell'atto in questione (doc. n. 3 della ricorrente), fatto in Marocco e tradotto in lingua italiana da un traduttore-interprete giurato presso il Consolato generale d'Italia a Casablanca, si legge, in particolare, che i genitori hanno autorizzato il sig. W. «ad assumere il carico e la responsabilita' della loro figlia». Risulta, altresi', che dopo il compimento della maggiore eta' alla ricorrente sia stata avanzata una proposta di lavoro da parte di una societa' cooperativa, come e' dato leggere nell'atto impugnato: presupposto in base al quale l'interessata aveva avanzato domanda di conversione del titolo di soggiorno da «minore eta'» a «lavoro subordinato». 2. Il provvedimento del Questore di Torino ha motivato il diniego a causa della mancata ricorrenza, in capo all'interessata, dei requisiti stabiliti dall'art. 32, commi 1-bis ed 1-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 (ossia: essere stata ammessa, per un periodo non inferiore a due anni, in un progetto di integrazione sociale e civile; oltre a trovarsi in Italia, al momento del compimento della maggiore eta', da non meno di tre anni ed aver seguito quel progetto per non meno di due anni). Nell'atto introduttivo del presente giudizio si sostiene, invece, che l'interessata doveva ottenere la conversione del titolo di soggiorno a mente della diversa disposizione (a lei applicabile) di cui al comma 1 dell'art. 32 cit. (nella formulazione vigente prima della novella introdotta con legge n. 94 del 2009), a norma della quale la conversione del permesso di soggiorno da «minore eta'» a «lavoro subordinato» e' possibile allorche' si tratti di minori «comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184». La sig.ra C., infatti, era stata dai genitori affidata al cugino residente in Italia sin dal 3 settembre 2007: sicche' nessuna applicazione potevano trovare, nel caso de quo, i commi 1-bis ed 1-ter dell'art. 32 cit., essendo la fattispecie riconducibile alla piu' favorevole situazione disciplinata dal comma 1. 3. All'esito dell'udienza camerale del 19 gennaio 2011 il Collegio ha ritenuto di sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale in relazione alla norma oggetto d'applicazione con l'atto impugnato e, con separata, ordinanza n. 54 del 2011, ha disposto la sospensione cautelare dell'atto medesimo sino alla prima camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti relativi al giudizio da parte della Corte costituzionale. D i r i t t o 1. Va evidenziato che l'istanza di conversione del permesso di soggiorno e' stata avanzata, dall'interessata, in data 7 ottobre 2009 ossia in un momento successivo all'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, la quale ha modificato l'art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998. Pur tuttavia l'interessata ha dimostrato di possedere, ancor prima dell'entrata in vigore della novella del 2009, i requisiti sufficienti per poter ottenere - nella vigenza del vecchio testo dell'art. 32, ossia quello introdotto con la legge n. 189 del 2002 - la conversione del titolo. Essa ha infatti depositato in giudizio l'atto con il quale i suoi genitori, in data 3 settembre 2007, l'avevano affidata al cugino residente in Italia. Nessun dubbio che tale atto sia, di per se', idoneo ad integrare una situazione di «affidamento», ai sensi della legge n. 184 del 1983, posto che l'autorizzazione parentale riguardava l'assunzione del «carico e [della] responsabilita' della loro figlia»: si trattava, pertanto, di un affidamento ad ampio raggio, comprendente tutti i bisogni della persona affidata, in modo da garantirle «il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive», cosi' come previsto dall'art. 2, comma 1, della legge n. 184 del 1983. In base alla giurisprudenza amministrativa prevalente (alla quale questo TAR aderisce), nonche' in conformita' al decisum della Corte costituzionale, sent. n. 198 del 2003, la nozione di «affidamento» di cui al testo dell'art. 32, comma 1, d.lgs. n. 286 del 1998 (nella formulazione vigente ante 2009) va interpretata «come relativa ad ogni tipo di affidamento previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, e cioe' sia all'affidamento "amministrativo" di cui al primo comma dell'art. 4, che all'affidamento "giudiziario" di cui al comma 2 dello stesso articolo 4, sia anche all'affidamento di fatto, di cui all'art. 9 della medesima legge» (cosi' la citata sent. n. 198 del 2003 della Corte costituzionale). Nel caso specifico, ricorrono pertanto tutti i presupposti di un affidamento, ancorche' "di fatto", ai sensi dell'art. 9, comma 4, della legge n. 184 del 1983, trovandosi la minore accolta dal proprio cugino (parente entro il quarto grado). 2. In base all'originario testo dell'art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 («Al compimento della maggiore eta', allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all'art. 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, puo' essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo per esigenze sanitarie o di cura») alla ricorrente poteva senz'altro essere rilasciato il permesso di soggiorno per lavoro subordinato, trattandosi ella di «minore comunque affidato» ai sensi della legge n. 184 del 1983. Il quadro normativo e' poi mutato a seguito dell'entrata in vigore (in data 8 agosto 2009) della legge n. 94 del 2009, il cui art. 1, comma 22, lett. v), ha - per un verso - eliminato l'avverbio «comunque» che il legislatore aveva inserito nel comma 1 dell'art. 32 («... ai minori comunque affidati...») ed ha - per altro verso - notevolmente modificato il comma 1-bis del medesimo art. 32. Quest'ultimo ora recita: «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 puo' essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore eta', sempreche' non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela, che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile...». In sostanza, nel nuovo sistema, l'intervenuto «affidamento» ai sensi della legge n. 184 del 1983 puo' non risultare piu' sufficiente ai fini della conversione del permesso di soggiorno gia' rilasciato per «minore eta'»: se, infatti, il minore, pur «affidato», e' «non accompagnato», egli deve sottoporsi all'ulteriore (lungo) percorso di inserimento sociale e civile previsto dal comma 1-bis. Al contempo, la possibilita' di ottenere la conversione del permesso di soggiorno ai sensi del comma 1 (ossia, con un regime ben piu' favorevole, senza la necessita' del percorso di inserimento sociale e civile) e' stata limitata solo ai minori «affidati» e, al tempo stesso, «accompagnati». La nozione di minore «non accompagnato», ma pur sempre «affidato», di cui al nuovo comma 1-bis dell'art. 32 d.lgs. n. 286 del 1998, si riferisce, evidentemente, a quei minori (come la ricorrente, nel caso odierno) che fanno ingresso in Italia come «non accompagnati» e che vengano, in un momento successivo, «affidati». Il discrimine tra l'applicazione del comma 1 e quella del comma 1-bis, pertanto, risulta essere il seguente: i minori che sono entrati in Italia gia' come «accompagnati», e rimangano affidati ai sensi della legge n. 184 del 1983, si avvarranno del regime piu' favorevole di cui al comma 1; i minori che, invece, sono entrati in Italia come «non accompagnati», e solo successivamente ottengano un affidamento, dovranno sottoporsi all'ulteriore percorso di inserimento di durata almeno biennale previsto dal comma 1-bis, ancorche' ormai risultino «affidati». In altre parole, quello che ora conta ai fini dell'applicazione del comma 1 e' l'essere entrati in Italia come «accompagnati»; l'ingresso come «non accompagnati» (che origina una sorta di «peccato originale» del minore) veicola la situazione direttamente all'applicazione del comma 1-bis, beninteso purche' sopravvenga comunque un «affidamento» ai sensi della legge n. 184 del 1983. 3. Cosi' normando, la novella del 2009 ha determinato anzitutto, sul piano generale, l'introduzione di una nuova nozione di «minore non accompagnato», finora sconosciuta al panorama legislativo nazionale e comunitario. Non va dimenticato, infatti, che sino all'entrata in vigore della novella legislativa lo status di «minore non accompagnato» veniva, in realta', riservato unicamente ai minori (presenti sul territorio nazionale) non aventi cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea i quali, non avendo presentato domanda di asilo, si trovavano per qualsiasi causa privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili (e fino a quando non avesse assunto effettivamente il loro affidamento un adulto per essi responsabile) in base alle leggi vigenti (nell'ordinamento italiano). Chiarissime e pressoche' coincidenti appaiono, in proposito, le definizioni di «minore non accompagnato» ritraibili dalla lettura dell'art. 2, lett. h), della direttiva del Consiglio dell'Unione europea del 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE (recepita in Italia con d.lgs. 30 maggio 2005, n. 140) recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, dell'art. 1, comma 1, della risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di Paesi terzi, e dell'art. 1, comma 2, del d.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535 recante il «Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286». Inoltre, in relazione all'ambito applicativo dell'art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella previgente formulazione, la giurisprudenza aveva chiarito che le fattispecie disciplinate dalla norma riguardavano situazioni diverse: da un lato, i minori comunque affidati, che rientravano nel comma 1 della norma, dall'altro, i minori stranieri non accompagnati, per i quali erano dettate le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter della medesima disposizione, con la conseguenza che i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno nei confronti dei minori non accompagnati erano diversi da quelli richiesti per attribuire il titolo di soggiorno ai «minori comunque affidati» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1681 del 2005; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, n. 2334 del 2003; TAR Piemonte, sez. II, n. 3814 del 2006). E tale interpretazione era stata avvalorata dalla gia' citata sentenza della Corte costituzionale, n. 198 del 2003, come piu' sopra si e' gia' avuto modo di evidenziare. 4. Sul piano particolare, ed entrando nel merito della fattispecie oggetto del presente giudizio, la novella del 2009 ha determinato un notevole cambiamento nella situazione della ricorrente, penalizzandola, in ordine ai requisiti occorrenti per ottenere la conversione del permesso di soggiorno gia' a lei rilasciato per «minore eta'». Sul punto, va anzitutto evidenziato che la situazione della ricorrente si trova ad essere disciplinata, in virtu' del principio tempus regit actum, proprio dai commi 1 ed 1-bis quali modificati dalla legge n. 94 del 2009 (legge priva, per tale aspetto, di alcuna disposizione transitoria). La domanda di conversione del permesso di soggiorno e' stata, infatti, avanzata all'amministrazione in un momento in cui era gia' in vigore la legge nuova, e con essa il nuovo regime di regolarizzazione degli stranieri minori al momento del compimento della maggiore eta'. Da qui, la sicura rilevanza della novella del 2009 nel presente giudizio. Cio' premesso, va rilevato che, nel nuovo quadro normativo, la ricorrente non ha piu' titolo ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno ai sensi del comma 1 dell'art. 32 (come, invece, sarebbe stato nella vigenza della vecchia legge), avendo ella fatto ingresso in Italia (in data 1° settembre 2007) come «non accompagnata», ed avendo ottenuto solo successivamente (sia pure dopo pochi giorni, in data 3 settembre 2007) l'affidamento presso il cugino residente in Italia. La conversione potrebbe essere ottenuta solo previa frequenza del percorso biennale di integrazione sociale e civile descritto dal comma 1-bis, trattandosi nella specie di «minore non accompagnato, affidato», analogamente a quanto ritenuto dall'amministrazione resistente. Ne discenderebbe il rigetto dell'impugnazione proposta dalla ricorrente, palesandosi legittimo il provvedimento in questa sede impugnato, il quale ha per l'appunto denegato la richiesta conversione sulla scorta della mancata frequenza del percorso di integrazione. L'applicazione alla ricorrente dei commi 1 ed 1-bis dell'art. 32, quali modificati dalla legge n. 94 del 2009, determina, pero', a giudizio di questo Collegio, un effetto in contrasto con i principi di ragionevolezza, imparzialita' ed uguaglianza riferibili all'art. 3 della Costituzione e, al contempo, con le disposizioni di cui all'art. 10, comma 1, ed all'art. 117, comma 1, della Costituzione: un'eventuale declaratoria di incostituzionalita' delle norme di legge citate determinerebbe, quindi, l'accoglimento dell'impugnazione proposta dalla ricorrente, palesandosi illegittimo il provvedimento impugnato laddove ha fatto applicazione del comma 1-bis dell'art. 32 anziche' del comma 1. In proposito, osserva il Collegio che il nuovo precetto legislativo, oltre ad introdurre, immotivatamente, una nuova definizione di «minore non accompagnato», difforme da quella sino ad ora conosciuta dal diritto comunitario e dal diritto nazionale, appare irrazionale ed arbitrario e tale da frustrare l'affidamento dell'interessato nella, sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello stato di diritto (Corte cost. n. 349 del 1985, n. 36 del 1985, n. 210 del 1971, n. 822 del 1988, n. 311 del 1995, n. 390 del 1995, n. 179 del 1996, n. 416 del 1999, n. 446 del 2002). Il diniego della conversione del titolo di soggiorno all'interessata e a coloro che si trovano nella sua stessa situazione, ovvero agli stranieri - gia' entrati in Italia come «non accompagnati» - che abbiano ottenuto il permesso di soggiorno per minore eta' e siano in grado di documentare la sussistenza di una condizione di affidamento in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della citata legge n. 94 del 2009, contrasta, in primo luogo, con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Questo Giudice non ignora che il divieto di irretroattivita' della legge non e' stato elevato a precetto costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione di cui all'art. 25 della Costituzione, cosi' come non ignora la ratio della modifica apportata alle disposizioni in questione dal c.d. «pacchetto sicurezza». Pur tuttavia, ritiene che, nel caso di specie, l'irragionevolezza della disposizione sia da rinvenirsi - tra l'altro - nella circostanza che i su indicati soggetti, avendo legittimamente confidato nella possibilita' di ottenere la conversione del titolo in base alle disposizioni all'epoca vigenti, si sono trovati, senza colpa, nell'impossibilita' materiale e giuridica di partecipare e/o concludere prima della sua entrata in vigore (e del raggiungimento della maggiore eta') il progetto di integrazione previsto dalla nuova formulazione del citato art. 32, comma 1-bis: l'applicazione della nuova disciplina a questi soggetti, che non potevano avere il tempo minimo necessario per maturare i requisiti da essa stabiliti, implicherebbe, pertanto, un'efficacia retroattiva della disciplina stessa, la quale andrebbe ad incidere su posizioni preesistenti consolidate. Contrasta, inoltre, con il principio di eguaglianza riferibile sempre all'art. 3 Cost., in quanto verrebbe a comportare un uguale trattamento di situazioni non uguali - non potendosi, a rigore, annoverare tra i minori «non accompagnati» coloro che possono, invece, documentare l'esistenza di una situazione di affidamento e, quindi, non potendosi, di conseguenza, applicare la medesima disciplina a soggetti che si trovano in condizioni sostanzialmente difformi. Contrasta, infine, con gli artt. 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione, in quanto la (nuova) definizione di «minore non accompagnato», di fatto introdotta dalle disposizioni di cui si assume l'illegittimita', si pone in contrasto con quella chiaramente enunciata dall'art. 2, lett. h), della direttiva del Consiglio dell'Unione europea del 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE (e non puntualmente recepita dal legislatore nazionale) e dall'art. 1, comma l, della risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997, di cui innanzi s'e' detto, nonche' con il principio di «sviluppo e consolidamento dello stato di diritto», ritraibile da numerose norme internazionali e comunitarie. 5. Il Collegio ritiene, pertanto, sussistenti i presupposti per sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, commi 1 e 1-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, cosi' come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell'art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94, limitatamente: a) alla parte in cui annoverano tra i minori (stranieri) «non accompagnati» coloro che sono stati affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero che sono stati sottoposti a tutela e, conseguentemente, subordinano la possibilita' per i medesimi di ottenere, al raggiungimento della maggiore eta', la conversione del titolo di soggiorno da «minore eta'» a «lavoro» al possesso dei requisiti che la previgente disciplina richiedeva unicamente per i minori non accompagnati; b) alla parte, comunque, in cui estendono la propria applicazione anche agli stranieri - gia' entrati in Italia come non accompagnati - che abbiano ottenuto il permesso di soggiorno per minore eta' e siano in grado di documentare la sussistenza di una condizione di affidamento in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della legge n. 94 del 2009.