IL TRIBUNALE 
 
    Premesso che: 
    questo  collegio  e'  stato  investito  della   trattazione   del
procedimento a carico di Augussori + 35, ai quali  e'  contestata  la
violazione dell'art. 3 del decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43
in  riferimento  all'azione  dell'associazione  denominata   «Camicie
verdi», poi confluita nell'associazione denominata «Guardia Nazionale
Padana»; 
    all'udienza del 1° ottobre 2010 le difese hanno segnalato che  la
norma sanzionatoria contestata risulta abrogata per effetto dell'art.
2268 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010  con  decorrenza
dall'8 ottobre 2010 e hanno chiesto un rinvio a data successiva  allo
scopo di ottenere una  pronuncia  di  immediato  proscioglimento  per
intervenuta abrogazione del reato; 
    all'udienza  del  19  novembre  2010  il  Pubblico  ministero  ha
proposto  istanza  affinche'  venga  sollevata   una   questione   di
legittimita' costituzionale della norma  di  cui  all'art.  2268  del
decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010 nella  parte  in  cui  ha
abrogato l'intero decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43; 
    le  difese  hanno  chiesto  un   ulteriore   rinvio   per   poter
interloquire su questo punto, prospettando, peraltro,  a  loro  volta
altra questione di legittimita' costituzionale in relazione  all'art.
161 c.p. nella parte in cui estende a  tutti  i  correi  gli  effetti
sospensivi, della prescrizione previsti per  alcuni  di  essi  e  non
contempla  un  termine  massimo  per  i  casi  di  sospensione  della
prescrizione; 
    il procedimento e' stato differito alla data  odierna  anche  con
fissazione di un termine per il  deposito  di  eventuali  memorie  in
ordine alle questioni di illegittimita' costituzionale sollevate; 
    nel corpo di alcune delle  memorie  depositate  dalle  difese  e'
stato osservato  che  non  potrebbe  essere  sollevata  la  questione
proposta dal Pubblico ministero in quanto  questo  Tribunale  sarebbe
incompetente per  territorio  rispetto  al  reato  contestato  e  che
dovrebbe essere dichiarata la nullita' del  decreto  che  dispone  il
giudizio per la sua genericita'; 
    all'odierna udienza le parti hanno ribadito  gli  argomenti  gia'
svolti alla precedente udienza e nelle rispettive memorie; 
    la questione appare fondata, rilevante e prospettabile in  questa
sede. 
    Infatti, per cominciare, come si vedra' nel dettaglio in seguito,
il Governo non aveva il potere di abrogare il decreto legislativo  14
febbraio 1948 n. 43, sia perche' l'unico potere  delegatogli  era  di
adottare  (come  emerge  dai  lavori  preparatori  e  confermato  dal
Consiglio di Stato) un provvedimento avente «valore  di  ricognizione
della legislazione vigente», sia perche'  il  decreto  esulava  dalla
materia dell'ordinamento militare, come definita  nell'art.  1  dello
stesso codice. 
    Inoltre, il Governo ha effettuato  l'abrogazione  avvalendosi  di
una delega (art. 14 comma 14 legge n. 246/2005) gia'  utilizzata  nel
senso opposto, atteso che il 1° dicembre 2009 (d.lgs. n.  179)  aveva
espressamente affermato la permanenza in vigore del d.lgs. n. 1948/43
in quanto «indispensabile». 
    Infine, l'abrogazione lascia priva di copertura sanzionatoria  la
violazione del divieto costituzionale di cui all'art. 18  Cost.,  che
proibisce associazioni a  struttura  militare  che  perseguano  scopi
politici. 
1. Il quadro  normativo  relativo  alla  fattispecie  contestata:  il
decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43. 
    Il decreto legislativo 14 febbraio  1948  n.  43  e'  entrato  in
vigore il 17 febbraio 1948. 
    Poiche' il decreto era stato emanato in forza del  d.lgs.lgt.  16
marzo 1946 n. 98, che attribuiva il  potere  legislativo  al  Governo
salva ratifica del Parlamento, con  legge  1956  n.  561  il  decreto
legislativo 1948 n. 43 e' stato ratificato dal Parlamento. 
    In data 1° dicembre 2009 il decreto legislativo 14 febbraio  1948
n. 43 e' stato confermato nella sua vigenza con  decreto  legislativo
n. 179, intitolato «Disposizioni  legislative  statali  anteriori  al
primo gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in
vigore, a norma dell'art. 14 della legge 28 novembre  2005  n.  246»,
adottato, per l'appunto, in forza della delega conferita  al  Governo
per individuare le norme anteriori al 1970 da mantenere in vigore. 
    E parimenti con lo stesso d.lgs. n. 179/2009 e'  stata  mantenuta
in vigore la legge 1956 n. 561. 
    Con successivo decreto legislativo  n.  66  del  15  marzo  2010,
pubblicato il giorno 8 maggio 2010, con il quale e' stato  introdotto
il «Codice dell'ordinamento militare»,  all'art.  2268,  comma  1,  a
decorrere dalla entrata in vigore  della  nuova  disciplina,  vengono
abrogati una serie di atti normativi specificamente elencati,  tra  i
quali, indicato al n. 297, anche il decreto legislativo  14  febbraio
1948 n. 43. 
    Ai sensi dell'art. 2272 dello stesso Codice, quindi, a  fax  data
dal giorno 8 ottobre 2010, il decreto legislativo 14 febbraio 1948 n.
43 risulta abrogato. 
    Non e' stata abrogata, invece,  la  legge  del  1956  n.  561  di
ratifica dello stesso. 
    Peraltro, essendo quest'ultima una mera  legge  di  ratifica,  si
deve intendere che l'espressa abrogazione del decreto legislativo  14
febbraio 1948 n. 43 comporti  la  perdita  di  effetti  di  ogni  sua
disposizione, senza che sia necessario  che  il  legislatore  abroghi
anche la legge del 1956 n. 561 di ratifica. 
2. Fonti sulle quali e' fondata l'adozione del decreto legislativo n.
66 del 15 marzo 2010. 
    Il decreto legislativo n. 66 del 15  marzo  2010,  come  indicato
nella sua stessa premessa, trova la propria  legittimazione  generale
negli articoli 76,  87  e  117,  secondo  comma,  lettera  d),  della
Costituzione, che autorizzano il Governo a legiferare in materie allo
stesso delegate dal Parlamento e, nel dettaglio, nella  legge  delega
28 novembre 2005, n. 246, articolo 14, comma 14 e comma 15. 
    La prima delle due  previsioni  ora  indicate  (comma  14),  come
sostituita dall'articolo 4, comma  1,  lettera  a),  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, ha conferito al Governo la  delega  ad  adottare,
con le modalita' di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n.
59, decreti legislativi che individuano le  disposizioni  legislative
statali, pubblicate  anteriormente  al  1°  gennaio  1970,  anche  se
modificate con  provvedimenti  successivi,  delle  quali  si  ritiene
indispensabile la permanenza in vigore, secondo i principi e  criteri
direttivi fissati nello  stesso  comma  14,  dalla  lettera  a)  alla
lettera h). 
    La seconda  previsione  (comma  15),  stabilisce  che  i  decreti
legislativi di cui al citato  comma  14  provvedono,  altresi',  alla
semplificazione o al riassetto della materia che ne e'  oggetto,  nel
rispetto dei principi e criteri  direttivi  di  cui  all'articolo  20
della legge 15 marzo 1997, n. 59, anche al  fine  di  armonizzare  le
disposizioni   mantenute   in   vigore    con    quelle    pubblicate
successivamente alla data del 1° gennaio 1970. 
    Sia in relazione alla delega di cui al citato  comma  14  che  in
relazione alla delega ricavabile dal comma 15 in realta'  il  Governo
non aveva il potere di abrogare il decreto  legislativo  14  febbraio
1948 n. 43. 
3. Profili di illegittimita' costituzionale. 
    A) Insussistenza del potere di abrogazione in forza del comma 14,
art. 14, legge 28 novembre 2005, n. 246. 
    Rispetto alla delega di cui al citato comma 14,  che  demanda  al
Governo  di  individuare   le   disposizioni   legislative   statali,
pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, delle quali  si  ritiene
indispensabile la permanenza in vigore, si tratta, in realta', di una
delega che il Governo aveva gia' esercitato. 
    Infatti, con il d.lgs. n. 179 del 2009  il  legislatore  delegato
aveva gia' indicato tutte le norme  pubblicate  anteriormente  al  1°
gennaio 1970 che era indispensabile mantenere in vigore. 
    E tra queste norme aveva espressamente indicato anche il  decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43. 
    E' certo, quindi, che il potere dimesso al Governo con il  citato
art. 14, comma 14, della legge 28 novembre  2005,  n.  246  non  puo'
essere nuovamente esercitato e per  di  piu'  non  puo'  esserlo  per
conseguire un effetto opposto a quello gia' prodotto con  l'esercizio
della delega avvenuto con il d.lgs. n. 179 del 2009. 
    La delega, infatti, era conferita per  individuare  le  norme  da
mantenere in vigore, non gia' per abrogare norme mantenute in vigore. 
    Quindi, una volta individuato tra le norme che era indispensabile
mantenere in vigore il decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43, la
sua successiva abrogazione  non  poteva  che  essere  deliberata  dal
Parlamento o dal legislatore delegato in forza di altra delega. 
    Se, dunque,  il  Governo  ha  ritenuto  di  abrogare  il  decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43 avvalendosi dei poteri a suo tempo
delegatigli con l'art. 14, comma 14, della legge 28 novembre 2005, n.
246, lo ha fatto in totale  assenza  di  delega  per  due  ordini  di
ragioni. 
    La prima, perche' il potere delegato si  era  gia'  esaurito  con
l'emanazione  del  decreto  legislativo  n.  179  del  2009,  che  ha
mantenuto in vigore la norma ritenendola indispensabile. 
    La seconda, perche' la delega era  conferita  al  solo  scopo  di
selezionare le norme da mantenere in vigore  e,  una  volta  compiuta
questa selezione, non vi  era  alcuno  spazio  nella  delega  per  un
successivo intervento abrogativo. 
    E nulla nel corpo  della  delega  consente  di  ritenere  che  il
Parlamento avesse delegato al Governo la possibilita'  di  rimeditare
successivamente, fra l'altro senza limiti  di  tempo,  il  potere  di
individuazione delle norme da non abrogare, perche', come detto, cio'
realizzerebbe  l'effetto  opposto  e  non  voluto   dal   legislatore
delegante  di   demandare   al   Governo   la   decisione   di   cosa
successivamente abrogare malgrado l'affermata permanenza in vigore. 
    Peraltro, l'abrogazione non  era  (come  invece  sostenuto  dalle
difese) consentita dal criterio  sub  b)  secondo  cui  non  potevano
essere mantenute in vigore le «disposizioni che abbiano  esaurito  la
loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o  siano
comunque  obsolete»,  perche'  la   norma   in   questione   non   e'
assolutamente obsoleta. 
    E cio' in quanto quella norma e' espressione di un principio  che
e'  stato  inserito  nel  corpo  della  Costituzione,  tra  le  norme
fondamentali, a differenza, ad esempio, di altri divieti  espressione
del particolare momento storico, che sono inseriti, non a caso, nelle
norme transitorie della  stessa  Costituzione,  come  il  divieto  di
riorganizzazione del partito fascista (disp. XII). 
    Non ha, poi, alcun rilievo il fatto che la  norma  incriminatrice
abbia  avuto  scarsa  applicazione,  argomento  che,  al   contrario,
potrebbe anche  portare  a  ritenere  la  sua  particolare  efficacia
deterrente ed utilita'. Il fatto che un reato sia commesso  raramente
non lo rende per cio' solo obsoleto. 
    A.2). Eventuale subordinata illegittimita'  costituzionale  comma
14, art. 14 legge 28 novembre 2005, n. 246. 
    Inoltre, ove si  dovesse  ritenere,  che,  per  qualche  ragione,
permanga in capo al Governo un potere di  abrogazione  in  forza  del
citato comma 14, in tale  ipotesi  ci  si  dovrebbe  confrontare  con
l'illegittimita' costituzionale  della  stessa  disposizione  di  cui
all'art. 14, comma 14, qui in esame,  per  contrasto  con  l'art.  76
della  Costituzione  e  con  la  conseguente   illegittimita'   della
disposizione abrogatrice in discussione per assenza di delega. 
    Infatti, la norma costituzionale consente di delegare  il  potere
legislativo al Governo solo previa fissazione di principi  e  criteri
direttivi e solo «per oggetti  definiti»,  ossia  previa  definizione
della materia dell'intervento normativo delegato. 
    Nel caso di specie, al contrario, la legge delega  e'  totalmente
muta in ordine  al  settore  nel  quale  il  Governo  e'  chiamato  a
legiferare, in quanto a fronte di una deliberata abrogazione di tutte
le norme anteriori ad una certa data senza distinzione di materie, il
Governo e' stato delegato  a  scegliere  quali  pregresse  discipline
normative mantenere in vigore. 
    Con  l'effetto  che  al  Governo,  in  questo  modo,   e'   stato
trasferito, sia pure indirettamente, il potere di  normazione,  senza
delimitazione nella  delega  della  materia  oggetto  dell'intervento
normativo delegato. 
    Inoltre, anche i principi  e  criteri  direttivi  indicati  nella
legge delega sono del tutto privi  del  requisito  di  determinazione
voluto  sempre  dall'art.  76  della  Costituzione,  in   quanto   si
risolvono, in  gran  parte,  in  prospettazioni  prive  di  contenuto
concreto ed effettivamente delimitante del potere delegato. 
    Infatti, a  parte  l'ovvia  previsione  che  non  debbano  essere
mantenute in vigore le norme gia' abrogate o quelle  ormai  prive  di
effetto (lettere a) e b), per il resto nessun criterio appare  idoneo
a   condizionare   e   dirigere   la   scelta   del   Governo   circa
l'individuazione delle  norme  che  siano  da  mantenere  in  vigore.
Escluso forse solo il criterio citato previsto nella lettera c),  che
impedisce  di   abrogare   le   disposizioni   la   cui   abrogazione
comporterebbe lesione dei diritti costituzionali. 
    L'effetto e' che i  predetti  criteri  lasciano  al  Governo  una
totale  discrezionalita',  il  che  contrasta  indiscutibilmente  con
l'art. 76 Cost. 
    B) Insussistenza del potere di abrogazione in forza del comma 15,
art. 14, legge 28 novembre 2005, n. 246. 
    In relazione alla seconda  previsione  indicata  come  fonte  del
potere esercitato dal Governo, ossia il comma 15 dell'art. 14 citato,
si tratta di una delega alla «semplificazione o al  riassetto»  delle
norme mantenute in vigore, anche al fine di armonizzarle  con  quelle
pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio 1970. 
    In questo caso, i principi e criteri direttivi cui il Governo  si
dovra' attenere sono quelli  gia'  elencati  nell'articolo  20  della
legge 15 marzo 1997, n. 59, espressamente richiamato dal citato comma
15. 
    Al riguardo l'art. 20 (dettato a sua  volta  all'interno  di  una
procedura  di  semplificazione  legislativa)  prevede  l'adozione  di
decreti legislativi che si conformino ai seguenti principi e  criteri
direttivi specifici: 
    «a) definizione del riassetto  normativo  e  codificazione  della
normativa primaria regolante  la  materia,  previa  acquisizione  del
parere del Consiglio di Stato, reso nel termine di novanta giorni dal
ricevimento  della  richiesta,  con   determinazione   dei   principi
fondamentali nelle materie di legislazione concorrente; 
    a-bis)  coordinamento  formale  e  sostanziale  del  testo  delle
disposizioni  vigenti,  apportando  le   modifiche   necessarie   per
garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa
e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo; 
    b)  indicazione  esplicita  delle  norme  abrogate,  fatta  salva
l'applicazione dell'articolo 15 delle  disposizioni  sulla  legge  in
generale premesse al codice civile; 
    c) indicazione dei principi generali, in particolare  per  quanto
attiene alla informazione, alla partecipazione,  al  contraddittorio,
alla  trasparenza  e  pubblicita'   che   regolano   i   procedimenti
amministrativi ai quali si attengono i regolamenti previsti dal comma
2 del presente articolo, nell'ambito  dei  principi  stabiliti  dalla
legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni; 
    d) eliminazione degli interventi amministrativi  autorizzatori  e
delle misure di condizionamento della liberta' contrattuale, ove  non
vi  contrastino  gli  interessi  pubblici  alla   difesa   nazionale,
all'ordine  e  alla  sicurezza  pubblica,  all'amministrazione  della
giustizia,  alla  regolazione  dei  mercati  e  alla   tutela   della
concorrenza,   alla   salvaguardia   del   patrimonio   culturale   e
dell'ambiente,  all'ordinato  assetto  del  territorio,  alla  tutela
dell'igiene e della salute pubblica; 
    e)  sostituzione   degli   atti   di   autorizzazione,   licenza,
concessione, nulla osta, permesso e di consenso  comunque  denominati
che non implichino esercizio di discrezionalita' amministrativa e  il
cui rilascio dipenda dall'accertamento dei requisiti e presupposti di
legge, con una denuncia di inizio di attivita' da presentare da parte
dell'interessato  all'amministrazione  competente   corredata   dalle
attestazioni e dalle certificazioni eventualmente richieste; 
    f) determinazione dei casi in cui le domande di  rilascio  di  un
atto di consenso, comunque denominato, che non implichi esercizio  di
discrezionalita' amministrativa,  corredate  dalla  documentazione  e
dalle  certificazioni  relative  alle  caratteristiche   tecniche   o
produttive dell'attivita' da svolgere,  eventualmente  richieste,  si
considerano   accolte   qualora   non   venga   comunicato   apposito
provvedimento di diniego entro il termine fissato  per  categorie  di
atti in relazione alla complessita' del procedimento, con esclusione,
in ogni caso, dell'equivalenza tra silenzio e diniego o rifiuto; 
    g)  revisione  e  riduzione  delle  funzioni  amministrative  non
direttamente rivolte: 
    1)   alla   regolazione   ai   fini   dell'incentivazione   della
concorrenza; 
    2) alla eliminazione delle rendite e dei diritti di esclusivita',
anche alla luce della normativa comunitaria; 
    3) alla eliminazione dei limiti all'accesso e all'esercizio delle
attivita' economiche e lavorative; 
    4)  alla  protezione  di  interessi  primari,  costituzionalmente
rilevanti, per la realizzazione della solidarieta' sociale; 
    5) alla tutela dell'identita' e della qualita'  della  produzione
tipica e tradizionale e della professionalita'; 
    h) promozione degli interventi di  autoregolazione  per  standard
qualitativi e delle certificazioni  di  conformita'  da  parte  delle
categorie produttive, sotto la  vigilanza  pubblica  o  di  organismi
indipendenti, anche privati, che accertino e garantiscano la qualita'
delle fasi delle attivita' economiche e  professionali,  nonche'  dei
processi produttivi e dei prodotti o dei servizi; 
    i)  per  le  ipotesi  per  le  quali  sono  soppressi  i   poteri
amministrativi  autorizzatori  o  ridotte   le   funzioni   pubbliche
condizionanti  l'esercizio  delle   attivita'   private,   previsione
dell'autoconformazione degli interessati a  modelli  di  regolazione,
nonche' di adeguati strumenti di verifica e controllo  successivi.  I
modelli  di  regolazione  vengono  definiti   dalle   amministrazioni
competenti in relazione all'incentivazione  della  concorrenzialita',
alla riduzione dei costi privati per il  rispetto  dei  parametri  di
pubblico interesse, alla flessibilita' dell'adeguamento dei parametri
stessi alle esigenze manifestatesi nel settore regolato; 
    l) attribuzione delle funzioni amministrative ai comuni, salvo il
conferimento di funzioni a province, citta' metropolitane, regioni  e
Stato al fine di assicurarne l'esercizio unitario in base ai principi
di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza; determinazione dei
principi fondamentali di  attribuzione  delle  funzioni  secondo  gli
stessi criteri da parte delle regioni  nelle  materie  di  competenza
legislativa concorrente; 
        m) definizione dei criteri di adeguamento dell'organizzazione
amministrativa alle modalita' di esercizio delle funzioni di  cui  al
presente comma; 
        n) indicazione esplicita dell'autorita' competente a ricevere
il  rapporto  relativo  alle  sanzioni   amministrative,   ai   sensi
dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689». 
    Si vede bene come  questi  criteri  per  la  parte  preponderante
attengano alla regolamentazione di procedimenti amministrativi  o  di
compiti propri di enti pubblici (lettere da c) a n)  e  pertanto  non
siano pertinenti rispetto alla materia di cui al decreto  legislativo
n. 66 del 15 marzo 2010 e, tanto meno, di cui al decreto  legislativo
14 febbraio 1948 n. 43. 
    Gli unici criteri effettivamente idonei a definire l'ambito entro
cui doveva muoversi il legislatore delegato sono, quindi,  quelli  di
cui alla lettera a)  e,  in  parte,  a-bis),  i  quali  prevedono  la
possibilita'  di  un  «riassetto  normativo  e  codificazione   della
normativa primaria regolante  la  materia»  e  di  «un  coordinamento
formale  e  sostanziale  del  testo   delle   disposizioni   vigenti,
apportando  le  modifiche  necessarie  per  garantire   la   coerenza
giuridica, logica e  sistematica  della  normativa  e  per  adeguare,
aggiornare e semplificare il linguaggio normativo». 
    Quanto al criterio sub b), che richiede l'«indicazione  esplicita
delle norme abrogate», e' solo una previsione funzionale ad una buona
normazione, in quanto ha lo scopo esclusivo di imporre di indicare in
modo espresso le norme che debbono essere  abrogate  proprio  perche'
sostituite da altre disposizioni confluite nel Codice o incompatibili
con queste. 
    I criteri indicati come rilevanti  (a  e  in  parte  a-bis)  sono
fondamentali perche' confermano che la delega non era  conferita  per
riformare  le  diverse  materie  individuate,  ma  semplicemente  per
realizzare Testi Unici delle  disposizioni  ante  1970  mantenute  in
vigore (con eventuale armonizzazione  delle  disposizioni  successive
vigenti), con la facolta' aggiuntiva costituita dalla possibilita' di
modificare le disposizioni medesime, ma esclusivamente per «garantire
la coerenza logica e sistematica della normativa», anche al  fine  di
adeguare e semplificare il linguaggio normativo,  nell'ambito  di  un
coordinamento  formale  del  testo.  Questa   precisa   delimitazione
dell'oggetto  del  potere  legislativo  attribuito   al   legislatore
delegato, d'altro canto, emerge  direttamente  anche  dal  testo  del
comma 15 in esame, il quale, come si e' visto,  testualmente  prevede
la delega «alla semplificazione o al riassetto della materia»,  anche
al fine di «armonizzare  le  disposizioni  mantenute  in  vigore  con
quelle pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio 1970». 
    Che questo fosse il  contenuto  della  delega,  peraltro,  emerge
anche dai lavori preparatori, nel corso dei quali  si  osservo'  come
alla luce del quadro normativo «il provvedimento assume un valore  di
ricognizione della  legislazione  vigente»  (v.  Nota  breve  del  11
gennaio 2010 della Commissione per la  semplificazione  della  Camera
dei Deputati, ma analogamente si e' espresso il  Consiglio  di  Stato
citato dalle stesse difese, il quale espressamente riconosce  che  se
cosi' non fosse la delega sarebbe violata). 
    La  suddetta  delimitazione  dell'intervento  delegato,   d'altra
parte, spiega e giustifica l'assenza di criteri e principi  direttivi
sull'oggetto delle singole materie, come altrimenti  sarebbe  imposto
dall'art. 76 Cost., perche' le strutture portanti che  la  disciplina
delle diverse materie gia' possiede non  possono  essere  modificate,
mentre oggetto di modifica possono essere  solo  quegli  aspetti  che
servono a semplificare il linguaggio o a garantire armonizzazione tra
piu' testi, nonche' coerenza logica e sistematica alla normativa. 
    Non puo', quindi,  discendere  da  questa  delega  il  potere  di
abrogare sic et simpliciter una disposizione mantenuta in  vigore  ai
sensi  del  comma  14,  qual  era  il  decreto  legislativo  1948/43,
espressamente mantenuto in vigore dal decreto legislativo del 2009 n.
179. 
    Infatti, l'abrogazione di questa norma, senza  alcuna  attrazione
nel  Codice  dell'ordinamento  militare  di  una   disposizione   dal
contenuto corrispondente, realizza un effetto del  tutto  diverso  da
quello legittimato dal legislatore delegante con principi  e  criteri
gia' analizzati. 
    In  vero,  la  specifica   disciplina   contenuta   nel   decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43, con particolare riferimento  alla
fattispecie penale  oggetto  del  presente  procedimento,  non  trova
alcuna regolamentazione ne'  identica,  ne'  analoga  nel  corpo  del
Codice, cosicche' rispetto a quel reato non si sono realizzati ne' un
riassetto  normativo   ne'   tanto   meno   una   codificazione,   ma
semplicemente se ne  e'  disposta  l'abrogazione,  con  l'effetto  di
rendere lecito un comportamento prima penalmente punito. 
    E non si puo' neppure  sostenere  che  quella  abrogazione  fosse
imposta o consentita, da esigenze di coordinamento  o  armonizzazione
con altre previsioni contenute nel Codice,  sia  perche'  il  decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43 aveva ad oggetto una  materia  del
tutto  diversa  da  quella  regolata  nel   Codice   dell'ordinamento
militare, sia perche', in ogni caso, il mantenimento del reato di cui
si discute non  si  pone  in  contrasto  (come  non  potrebbe  essere
altrimenti) con alcuna previsione dettata nel Codice. 
    E il fatto che nel  Codice  non  si  rinvenga  alcuna  disciplina
riguardante le associazioni con scopi politici a  struttura  militare
conferma che la materia di cui al  decreto  legislativo  14  febbraio
1948 n. 43 nulla ha a che fare con  la  materia  oggetto  del  Codice
dell'ordinamento militare,  come  specifica,  del  resto,  lo  stesso
articolo 1 del decreto legislativo 66 del 2010, il quale precisa  che
"il   presente   decreto,   con   la   denominazione    di    «codice
dell'ordinamento  militare»,  e  le  altre   disposizioni   da   esso
espressamente richiamate, disciplinano l'organizzazione, le  funzioni
e l'attivita'  della  difesa  e  sicurezza  militare  e  delle  Forze
armate". 
    Anche per questo, pertanto, va esclusa in radice la  possibilita'
che con quel Codice  il  legislatore  delegato  potesse  abrogare  il
decreto  legislativo  14  febbraio  1948  n.  43,  che  non  riguarda
«l'organizzazione, le funzioni e l'attivita' della difesa e sicurezza
militare e delle Forze armate». 
    Tanto piu', inoltre, era precluso in un  ambito  come  quello  in
esame, di mero coordinamento  tra  disposizioni  in  vigore,  che  il
legislatore delegato potesse abrogare una  disposizione  direttamente
attuativa di un precetto costituzionale (art. 18  Cost.),  senza  far
confluire nel Codice militare una norma penale analoga. 
C) Illegittimita' in relazione all'art. 18 Cost. 
    In relazione all'art. 18 Cost., infatti,  proposto  dal  Pubblico
ministero  come  parametro  costituzionale  di  riferimento,  occorre
osservare che, in realta', come sostenuto da alcuni difensori, l'art.
18 non impone la previsione di una sanzione e, men che meno,  di  una
sanzione penale. 
    Tuttavia, l'abrogazione della norma che costituisce  la  concreta
attuazione del precetto costituzionale  fa  venir  meno  il  supporto
sanzionatorio penale apprestato al divieto costituzionale. 
    L'effetto di un simile intervento e' che la condotta, pur vietata
dalla Costituzione, diviene  lecita  per  l'ordinamento  penale,  non
essendo sanzionata da altre norme penali. 
    Di conseguenza, proprio il fatto che  il  divieto  di  costituire
associazioni con struttura militare che perseguono scopi politici sia
fissato dalla Costituzione comporta che la  scelta  di  sanzionare  o
meno quel divieto e la selezione degli interventi  sanzionatori  piu'
adeguati tanto piu' non puo' essere compiuta dal  Governo  senza  una
delega specifica sul punto. 
    E  per  la  stessa  ragione  non  puo'  qui  essere  invocata  la
possibilita' di una lettura ampia dei criteri direttivi. 
3. Rilevanza e ammissibilita' della questione di Costituzionalita'. 
    In merito alla rilevanza e' evidentemente indubbio  che,  ove  la
norma che ha abrogato il reato per cui si procede fosse legittima, il
presente  procedimento  si  dovrebbe  concludere  con  una   sentenza
immediata di improcedibilita' per intervenuta abrogazione; mentre ove
l'intervento  abrogativo  fosse  da  ritenere  illegittimo,   perche'
adottato da  un  organo  privo  del  potere  legislativo  idoneo,  il
procedimento dovrebbe proseguire per pervenire ad una  pronuncia  nel
merito, anche eventualmente in applicazione dell'art. 2 c.p. 
    Al riguardo si puo' richiamare l'orientamento gia' espresso dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 148 del 1983, nonche' con  la
sentenza 394 del 2006. 
    La circostanza che, nel caso di specie, si invochi da parte della
Corte costituzionale un sindacato di legittimita'  costituzionale  su
una norma abrogatrice di altra disposizione sanzionatoria  di  natura
penale impone preliminarmente una riflessione in merito all'esistenza
del potere della Corte di sindacare detta norma abrogatrice. 
    Aspetto sul quale si sono soffermate anche le difese. 
    In proposito questo Collegio ritiene che detto  potere  esista  e
che non trovi un limite nella giurisprudenza della Corte adita  circa
i limiti al controllo di costituzionalita' delle norme penali. 
    E' noto, infatti, che  la  Corte  costituzionale  ha  stabilmente
ritenuto di non poter estendere il proprio  controllo  su  interventi
legislativi in materia penale ove l'effetto della  propria  decisione
si risolva in una violazione della riserva di legge vigente in  forza
dell'art. 25, comma 2, Cost. 
    Afferma, in particolare, la Corte costituzionale che  il  proprio
sindacato su interventi legislativi in materia penale sia limitato al
vaglio delle  sole  "norme  penali  di  favore",  tra  le  quali  non
rientrerebbe il caso qui  in  esame,  di  una  norma  direttamente  e
integralmente abrogativa di un reato. 
    Rispetto ad interventi  integralmente  abrogativi  di  un  reato,
afferma  la  Corte  che  una  propria  pronuncia  di   illegittimita'
costituzionale della norma abrogatrice comporterebbe la  reviviscenza
dell'originaria norma incriminatrice e  che  cio'  determinerebbe  la
sostituzione della Corte al legislatore nella scelta  delle  condotte
passibili di sanzione penale. 
    In relazione a questa problematica va premesso, in  primo  luogo,
che una simile limitazione dei  poteri  della  Corte  non  appare  in
realta' condivisibile, proprio perche',  quanto  meno,  in  tal  modo
vengono a residuare aree dell'ordinamento sottratte al  controllo  di
costituzionalita',  mentre  cio',  come  afferma  la   stessa   Corte
costituzionale (1983 n. 148), non dovrebbe essere possibile alla luce
della collocazione della Corte quale organo preposto al controllo  di
compatibilita' costituzionale delle leggi: di tutte le leggi. 
    Con questa limitazione, infatti, si puo'  arrivare  al  paradosso
che scelte legislative di abrogazione di reati  offensivi  di  valori
costituzionalmente protetti o di diritti  inviolabili  dell'uomo  non
potrebbero mai essere sindacate dal giudice delle leggi. 
    In   ogni   caso,   anche   considerando   condivisibile   quella
giurisprudenza e ritenendo che la riserva di legge  di  cui  all'art.
25, comma 2, Cost., precluda alla  Corte  un  sindacato  sulle  leggi
abrogative di reati, di certo quella giurisprudenza non pua'  trovare
applicazione nel caso di specie. 
    In questa sede, infatti, la pronuncia che e' richiesta alla Corte
e' diretta espressamente a riaffermare il  principio  di  riserva  di
legge  di  cui  all'art.  25,  comma  2,   Cost.,   violato   proprio
dall'illegittimo intervento di un organo diverso dal Parlamento. 
    Ove la Corte ritenesse di ricondurre  questa  vicenda  nell'alveo
della propria richiamata giurisprudenza si produrrebbe l'effetto  non
gia' di garantire il rispetto da  parte  della  Corte  del  monopolio
riservato al Parlamento dall'art.  25,  comma  2,  Cost.,  bensi'  di
legittimare la violazione del medesimo principio ad opera del Governo
in carenza assoluta del relativo potere. 
    Negare questo potere  di  intervento  alla  Corte  costituzionale
potrebbe   produrre   effetti   paradossali   come,    ad    esempio,
l'intangibilita' dell'abrogazione  del  reato  di  violenza  sessuale
operata in appendice ad un decreto legislativo fondato su una  delega
al riordino della disciplina dei contratti agrari. 
    E' evidente come cio', a tacer d'altro (come la  possibilita'  di
strumentalizzazioni personali), realizzi un totale stravolgimento dei
rapporti tra i  Poteri  dello  Stato,  rispetto  al  quale  la  Corte
costituzionale non avrebbe alcun potere di intervento dirimente. 
    E merita che si segnali come in tal modo la decisione della Corte
legittimerebbe effetti assai piu' gravi e pervasivi di quelli che  la
stessa Corte ha voluto impedire con la  pronuncia  n.  51  del  1985,
allorche', esattamente, ritenne di escludere che i decreti legge  non
convertiti implicanti, per quel che interessa in questa sede, effetti
abrogativi di norme penali, potessero esplicare gli effetti di favore
di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 2 c.p. 
    Se, infatti, in quella sede si ritenne di privare di  effetti  il
decreto legge  non  convertito,  perche'  senza  conversione  non  e'
parificabile ad un atto legislativo, tanto piu' deve essere  precluso
ad un atto di valore ancora inferiore, come  un  decreto  legislativo
adottato senza delega, di esplicare effetti abrogativi. 
    In sede di adozione di un decreto legge quanto meno il Governo ha
il potere di introdurre norme anche penali,  mentre  non  ha  neppure
tale potere ove agisca con la forma  del  decreto  legislativo  senza
delega o in eccesso rispetto alla delega. 
    Posizione Pollini Alfredo 
    Per la posizione dell'imputato Pollini Alfredo, per il  quale  si
e' gia' accertata la morte, e' necessario,  come  per  i  coimputati,
attendere la chiesta pronuncia della Corte costituzionale, in  quanto
deve prevalere, tra le formule terminative, quella di estinzione  del
reato per abolitio criminis rispetto a quella di estinzione del reato
per morte del reo,. 
    Questioni di costituzionalita' relative all'art. 161 c.p. 
    Anche rispetto alle questioni svolte dalle difese con riferimento
all'art. 161 c.p. occorre osservare che l'eventuale  accoglimento  di
esse comporterebbe la necessita' di una pronuncia di  estinzione  del
reato per intervenuta  prescrizione,  rispetto  alla  quale  dovrebbe
prevalere  una  pronuncia  di  estinzione  del  reato  per   abolitio
criminis. 
    Fermo  che,  rispetto  all'art.   161   c.p.,   potrebbe   essere
prospettata una lettura coerente con la Costituzione ove si ritenesse
che la norma sostanziale operi solo nel  caso  in  cui  non  si  sia,
illegittimamente,  proceduto  alla   separazione   del   procedimento
prevista dall'art. 18 c.p.p. 
    Nullita' del capo di imputazione 
    Non puo' essere valutata in questa fase l'eventuale nullita'  del
capo di imputazione atteso che,  ove  la  fattispecie  incriminatrice
fosse stata legittimamente abrogata, non si potrebbe  che  dar  corso
alla  consequenziale  pronuncia  di  proscioglimento,  senza  potersi
sindacare in ordine alla completezza dell'accusa. 
    Sulla competenza territoriale 
    In relazione alla competenza territoriale di questo Tribunale, va
preliminarmente sottolineato che, subito  dopo  l'accertamento  della
regolare costituzione delle parti, in prima udienza, le difese  hanno
richiesto  a  questo  Tribunale  una  pronuncia  di   proscioglimento
immediato adducendo l'avvenuta abolitio criminis. 
    Solo con la memoria autorizzata  in  replica  alla  questione  di
costituzionalita' sollevata dal Pubblico ministero  l'Avv.  Gasperini
ha prospettato l'incompetenza  di  questo  Tribunale,  rilevando  che
dall'incompetenza conseguirebbe l'impossibilita' per questo Tribunale
di sollevare la questione di costituzionalita'. 
    In realta' proprio l'ambito processuale in  cui  ci  si  trova  a
seguito della richiesta delle stesse  difese  di  un  proscioglimento
immediato impedisce una  verifica  approfondita  della  questione  di
competenza,  sulla  quale,  peraltro,  anche  alla  luce  degli  atti
contenuti nel fascicolo per il dibattimento, non vi sono elementi  di
evidenza che escludano con sicurezza il radicamento della  competenza
territoriale presso questo  Tribunale.  Tanto  piu'  considerato  che
rispetto ai reati associativi l'orientamento giurisprudenziale che si
ritiene  corretto  fissa  la  regola   per   cui   "ai   fini   della
determinazione del giudice territorialmente  competente,  essendo  il
reato ' associativo reato  permanente,  il  criterio  principale  cui
occorre avere riguardo e' quello dell'art. 8 comma 3, c.p.p., secondo
cui e' competente il giudice del luogo in  cui  ha  avuto  inizio  la
consumazione. A tale riguardo, ai fini cioe' dell'individuazione  del
luogo in cui ha avuto inizio la consumazione  del  reato  associativo
questo va individuato  non  in  quello  della  stipula  dell'accordo,
perche' non e' con questo che il delitto si consuma, ma in quello  in
cui   e'   concretamente   iniziata   la   vita   e   la   permanenza
dell'associazione, ossia il luogo in cui il sodalizio criminoso si e'
manifestato per la prima volta all'esterno  con  la  concretizzazione
dei primi segni della sua operativita'" (Cassazione penale , sez.  I,
17 novembre 2009, n. 49627). 
    Peraltro,  nella  stessa  discussione  odierna  le  difese  hanno
variamente  indicato   come   luogo   di   radicamento   territoriale
dell'associazione varie localita' (Varese,  Bergamo,  Mantova,  Busto
Arsizio), a riprova  dell'impossibilita',  in  questa  fase,  di  una
delibazione che abbia caratteri di certezza circa  l'incompetenza  di
questo Tribunale,  allo  stato  esclusa  dal  G.U.P.  in  ragione  di
attivita'   di   concreta    operativita'    dell'associazione    che
emergerebbero dagli atti, in questa fase non a conoscenza del giudice
del dibattimento, come poste in essere nel territorio veronese. 
    Come indicato dallo stesso difensore, mediante richiamo  all'Ord.
120 del 1993, e' solo in caso di manifesta incompetenza del giudice a
quo, rilevabile ictu oculi, che la  questione  puo'  essere  ritenuta
inammissibile dalla Corte costituzionale.