Ricorso del Presidente del Consiglio  dei  Ministri  in  carica,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e  presso
la stessa domiciliato in Roma alla  Via  dei  Portoghesi  12,  giusta
delibera del Consiglio dei Ministri adottata nella  riunione  del  16
aprile 2010, ricorrente; 
    Contro la Regione  Sardegna,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta Regionale in carica, con sede in Cagliari al viale  Trento  n.
69, intimata; 
    Per la declaratoria dell'illegittimita' costituzionale  dell'art.
3 della legge della Regione Sardegna  del  7  febbraio  2011,  n.  6,
pubblicata nel B.U.Sardegna del  18  febbraio  2011,  n.  5,  recante
«Modifiche all'articolo 2 della legge regionale 21 maggio 2002, n.  9
(Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del  commercio),
interpretazione autentica dell'articolo 15,  comma  12,  della  legge
regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale  delle  attivita'
commerciali) e norme sul trasferimento delle attivita')», nella parte
in cui introduce l'art. 15-bis, comma 4, nella l.r. Sardegna n. 5 del
2006; 
    Per violazione dell'art. 117, primo comma, cost.  e  dell'art.  3
L.C. 26 febbraio 1948, n. 3; dell'art. 117, secondo comma, lett.  e),
Cost, e dell'art. 41 Cost. 
 
                              F a t t o 
 
    La Regione Sardegna ha emanato  la  legge  regionale  7  febbraio
2001, n. 6, pubblicata sul B.U. Sardegna del 18 febbraio 2011, n.  5,
recante «modifiche all'art. 2 della legge regionale 21  maggio  2002,
n.  9  (Agevolazioni  contributive  alle  imprese  nel  comparto  del
commercio), interpretazione autentica  dell'articolo  15,  comma  12,
della l.r. 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle  attivita'
commerciali) e norme sul trasferimento delle attivita'». 
    L'art.  3  di  tale  legge  modifica  la  1.r.  n.  5  del  2006,
introducendo dopo l'art. 15, che riguarda la disciplina del commercio
su  aree  pubbliche,   l'art.   15-bis,   rubricato:   «Trasferimento
dell'attivita' commerciale». In  particolare,  il  quarto  comma  del
predetto art. 15-bis della 1.r. n. 5/2006, introdotto dall'articolo 3
della legge in esame, prevede che la cessione dell'attivita' per atto
tra vivi non puo' essere effettuata prima che siano decorsi tre  anni
dalla  data  del  rilascio  del  titolo   abilitativo   all'esercizio
dell'attivita' stessa. 
    Questa  disposizione  si  espone  a  censure  di   illegittimita'
costituzionale. 
    Giova premettere che in base al disposto dell'art. 10 della legge
costituzionale n.  3/2001,  che  ha  modificato  il  titolo  V  della
Costituzione, alla Regione Sardegna, cosi' come alle altre Regioni  a
statuto  speciale  ed  alle  province  autonome,  si   applicano   le
disposizioni del nuovo Titolo  V  della  Costituzione  che  prevedono
forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite dallo
Statuto  di  autonomia.  Pertanto,  ad  essa  Regione  e'  attribuita
competenza esclusiva di tipo residuale nella materia  del  commercio.
Tuttavia, tale competenza  legislativa  deve  essere  esercitata  nel
rispetto dei principi costituzionali, dei principi comunitari in tema
di trasparenza  del  mercato,  di  liberta'  d'impresa  e  di  libera
circolazione  dei  servizi,  nonche'  dei  principi  stabiliti  dalla
legislazione statale in tema di concorrenza. 
    Nel caso di specie, tali limiti risultano violati per le  ragioni
espresse nei seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
1. Violazione dell'art. 117, comma 1,  Cost.,  e  dell'art.  3  della
1.cost. 26 febbraio 1948, n. 3, recante l'approvazione dello  Statuto
di autonomia della Regione Sardegna. 
    La norma in esame risulta in contrasto  con  i  principi  sanciti
dalla Direttiva  2006/123/CE,  che  all'art.  16,  rubricato  «libera
prestazione dei servizi»,  prescrive  che  gli  Stati  Membri  devono
assicurare il libero accesso alla attivita' di servizi ed  il  libero
esercizio  della  predetta  attivita'  sul  proprio  territorio,  nel
rispetto dei principi  di  non  discriminazione,  di  necessita',  di
proporzionalita' . Tale direttiva e' stata poi  recepita  nel  nostro
ordinamento con d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che all'art. 10  prevede
che «l'accesso e l'esercizio delle attivita' di servizi costituiscono
espressione della liberta' di  iniziativa  economica  e  non  possono
essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie». 
    Secondo la citata Direttiva Comunitaria, dunque,  le  limitazioni
al  libero  esercizio  dell'attivita'  di  servizi   possono   essere
giustificate  esclusivamente  per  ragioni  di  ordine  pubblico,  di
pubblica sicurezza, di sanita' pubblica o di tutela dell'ambiente.  A
tali limiti non si e' attenuta  la  norma  regionale  impugnata  che,
vietando  indiscriminatamente  il  trasferimento  dell'attivita'  nei
primi tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, non e' rispettosa
del citato principio espresso dal diritto comunitario. 
    Cio' comporta la violazione sia dell'articolo 3, comma  1,  dello
Statuto speciale di autonomia, che non  conferisce  alla  Regione  le
potesta' legislative concretamente esercitate nel caso di specie, sia
dell'articolo 117, primo comma, Cost., per il quale  la  legislazione
regionale deve essere esercitata nel rispetto dei  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario. 
2. Violazione dell'art.  117,  comma  2,  Cost.,  in  relazione  agli
artt. 1 e 2 della legge n. 114 del 1998. 
    La norma  regionale  in  esame,  nel  prevedere  una  limitazione
temporale alla cessione dell'attivita', si pone inoltre in  contrasto
con il d. lgs. n. 114/1998,  che  -  nell'ambito  di  una  disciplina
organica del settore del commercio - prescrive agli artt. l e  2  che
l'attivita' commerciale si fonda  sul  principio  della  liberta'  di
iniziativa  economica  privata  ai  sensi  dell'articolo   41   della
Costituzione e deve  essere  esercitata  nel  rispetto  dei  principi
contenuti nella legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante norme  per  la
tutela della concorrenza e del mercato. Sembra evidente  infatti  che
il divieto di trasferire l'attivita' economica,  sebbene  temporaneo,
costituisce ostacolo alla libera esplicazione delle forze  economiche
sul mercato, che la normativa statale si propone invece di garantire. 
    Questo  contrasto  rappresenta  un'altra  autonoma   ragione   di
incostituzionalita' della norma impugnata in questa sede, perche'  la
norma  statale  con  cui  essa  si  pone  in  contrasto   costituisce
espressione della potesta' legislativa esclusiva  dello  Stato  nella
materia della tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, comma 2,
lett. e), cost. La norma statale  non  puo'  essere  dunque  derogata
dalla legge regionale,  cosi'  come  avvenuto  nella  fattispecie  in
esame. 
3. Violazione dell'art. 41 Cost. 
    In ultima analisi,  la  norma  in  oggetto  presenta  profili  di
illegittimita' costituzionale  perche'  contrasta  con  il  principio
della liberta' di iniziativa economica privata sancito  dall'art.  41
Cost. Infatti, la prevista restrizione  della  potesta'  di  cessione
dell'attivita'  d'impresa   si   traduce   in   una   discriminazione
nell'eguale garanzia della liberta' economica  e  della  liberta'  di
circolazione di persone e  servizi  nel  Paese,  per  effetto  di  un
vincolo temporale privo di un ragionevole fondamento.