IL TRIBUNALE 
 
    Il giudice Marco Viani nella causa iscritta  al  n.  379/10  r.g.
promossa da C.M. ricorrente con gli avv.ti Franco Scarpelli, Paolo M.
Angelone e Claudio Marelli 
    Contro Ministero della Salute, convenuto con  l'Avvocatura  dello
Stato ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione. 
    Osservato quanto segue. 
    1. Con ricorso depositato il 19  marzo  2010  C.M.,  titolare  di
indennizzo  ai  sensi  della  legge  n.  210/92  in  quanto  soggetto
danneggiato da epatite  cronica  HCV  e  HBV  post-trasfusionale,  ha
convenuto in giudizio  il  Ministero  della  Salute,  chiedendone  la
condanna al pagamento delle somme dovute a  titolo  di  rivalutazione
monetaria della indennita' integrativa speciale ai sensi dell'art.  2
della legge n. 210/92. 
    Il C. espone che l'allora Ministro della Sanita' ha  riconosciuto
nel suo caso il nesso di causa fra la somministrazione di emoderivati
e la epatoptia cronica da HCV e HBV ascrivibile alla  VIII  categoria
della tabella A allegata al d.P.R. n. 834/41, che in  data  8  maggio
1997 la Direzione Provinciale del Tesoro di B, gli ha  comunicato  il
riconoscimento del diritto all'indennizzo nella  misura  prevista  in
relazione alla VIII categoria della tabella A allegata al  d.P.R.  n.
834/81 con decorrenza maggio 2001, e che tuttavia tale indennizzo gli
e' sempre stato corrisposto con rivalutazione unicamente della  prima
delle due voci di cui si compone (e cioe' di quella determinata nella
misura prevista dalla tabella B allegata alla legge n. 177/96) e  non
anche di quella costituita  dalla  recte  da  una  somma  pari  alla]
indennita' integrativa di cui alla legge n. 324/59. 
    Il Ministero resiste alla domanda sostenendo che la rivalutazione
e'  dovuta  soltanto  sulla  componente  dell'indennizzo   costituita
dall'assegno determinato nella  misura  di  cui  alla  tabella  B  ed
eccependo comunque la prescrizione ai sensi dell'art. 2946 c.c. per i
ratei maturati oltre un decennio prima della notifica del ricorso. 
    2. Ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 210/92, come
modificato dalla legge n. 238/97: 
        «L'indennizzo di cui all'articolo 1, comma 1, consiste in  un
assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella  misura  di
cui alla tabella B allegata alla Legge 29 aprile 1976, n.  177,  come
modificata  dall'art.  8  della  Legge  2  maggio   1984,   n.   111.
L'indennizzo e' cumulabile con  ogni  altro  emolumento  a  qualsiasi
titolo percepito ed e' rivalutato annualmente sulla base del tasso di
inflazione programmato. 
        «L'indennizzo di cui al comma 1 e'  integrato  da  una  somma
corrispondente all'importo dell'indennita'  integrativa  speciale  di
cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324,  e  successive  modificazioni,
prevista per la prima qualifica  funzionale  degli  impiegati  civili
dello Stato, ed ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo  a
quello  della  presentazione  della  domanda.   La   predetta   somma
integrativa e' cumulabile con  l'indennita'  integrativa  speciale  o
altra analoga indennita' collegata alla variazione  del  costo  della
vita. Ai soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 1  della  legge  25
febbraio 1992, n. 210, anche nel caso in cui l'indennizzo  sia  stato
gia' concesso, e' corrisposto, a domanda, per il  periodo  ricompreso
tra   il   manifestarsi   dell'evento   dannoso    e    l'ottenimento
dell'indennizzo, un assegno una tantum nella misura pari, per ciascun
anno, al 30 per cento dell'indennizzo dovuto ai sensi del comma 1 del
presente articolo  e  del  primo  periodo  del  presente  comma,  con
esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria». 
    3. In  giurisprudenza  di  legittimita'  si  e'  interpretata  la
disposizione, a partire da Cass., 15894/05, nel senso  che  anche  la
somma integrativa di cui alla prima parte del  comma  2  dell'art.  2
fosse rivalutabile: 
        «L'indennizzo  in  questione  consta,  come   risulta   dalla
richiamata disposizione normativa, di un  importo  fisso  ex  lege  -
assegno reversibile per quindici anni -(art. 1 - comma 1 - e all'art.
2 - comma secondo  -  della  legge  n.  210/1992)  e  dell'indennita'
integrativa speciale, di cui alla legge  n.  324  del  1959  (art.  2
-comma 2 - della legge n. 210/1992). 
    «Cio' precisato, non sarebbe logico ritenere rivalutabile solo la
prima  componente  del  complessivo  indennizzo  e  non  la   seconda
componente -indennita' integrativa speciale -,  atteso  peraltro  che
quest'ultima, anche se nella sua originaria struttura portava in  se'
il   meccanismo    di    adeguamento    richiamato    dalla    difesa
dell'amministrazione ricorrente, non lo ha conservato a  seguito  del
c.  d.  taglio  della  scala  mobile  riguardante   l'indennita'   di
contingenza in generale e la stessa indennita'  integrativa  speciale
(si richiama al riguardo l'art. 3 del DL. n. 70 del 1984 - convertito
dalla legge n. 219 del 1984 - che dal 1 maggio  1984  fisso'  in  non
piu' di due i punti di variazione della misura di tali indennita'; si
richiama altresi' il protocollo d'intesa del 31 luglio 1992, con  cui
il  Governo  e  le  parti  sociali  presero   atto   dell'intervenuta
cessazione del sistema di indicizzazione dei salari). 
    «Orbene l'indennita' integrativa speciale, entrando a  far  parte
dell'indennizzo inteso nella sua globalita', ne ha  acquistato  tutte
le caratteristiche, ivi compresa quella della rivalutabilita' secondo
il tasso annuale di inflazione programmata,  previsto  all'art.  2  -
primo comma - della legge n. 210/1992. 
    «D'altro canto l'assunto di parte ricorrente non e' in linea  con
un'interpretazione conforme ai principi costituzionali,  giacche'  la
misura dell'indennizzo, se ritenuta non rivalutabile per intero nelle
sue componenti,  non  sarebbe  equa  rispetto  al  danno  subito,  da
rapportare  al  pregiudizio  alla  salute  (in  questo  senso   Corte
costituzionale sentenze n. 307 del 1990 e sentenza n. 118 del  1996),
tanto piu' che nel caso di specie gli aumenti ISTAT dal 1995 al  2000
dell'indennizzo (al netto della voce indennita' integrativa speciale,
come risultanti dalle tabelle ministeriali: doc. 10 del fascicolo per
il ricorso per decreto ingiuntivo, trascritto nel controricorso) sono
modesti e l'indennita' integrativa speciale e'  rimasta  ferma  a  L.
1.991.765 (euro 1028,66) nel periodo in questione" (Cass., 28  luglio
2005 n. 15894). 
    Tale principio e' stato seguito dalla  giurisprudenza  di  merito
assolutamente prevalente. 
    Verso la fine del 2009, la Corte di Cassazione si  e'  discostata
da tale orientamento, statuendo che la rivalutazione  non  e'  dovuta
sulla integrazione, cosi' argomentando in  critica  alla  motivazione
della sentenza 15894: 
        «a) il primo  canone  di  interpretazione  legale  e'  quello
letterale, imposto dall'art. 12 preleggi, comma 1, e la legge n.  210
del 1992, art. 2 non disciplina l'indennizzo in questione «nella  sua
globalita'» ma lo divide in  due  parti,  regolate  in  due  distinti
commi, prevedendo letteralmente la rivalutazione annuale soltanto per
la prima parte; 
        «b) l'indennita' integrativa speciale  serve  ad  impedire  o
attenuare  gli  effetti  della   svalutazione   monetaria   onde   e'
ragionevole  che  il   legislatore   non   ne   abbia   previsto   la
rivalutazione. Le ragioni che poi hanno indotto lo stesso legislatore
a bloccarla valgono anche per l'integrazione di cui qui si tratta; 
        «c) l'art. 32 Cost. garantisce la tutela della salute ma  non
impone scelte quantitative al  legislatore,  salvo  il  principio  di
equita' ossia ragionevolezza degli  indennizzi»  (Cass.,  13  ottobre
2009 n. 21703). 
    Il principio e' stato ribadito dalla successiva Cass., 19 ottobre
2009 n. 22212. 
    A quanto consta, i giudici di merito. in massima parte, non hanno
condiviso la nuova giurisprudenza, continuando  a  fare  applicazione
del principio affermato da Cass. 15894/05. 
    Il successivo art. 11, comma 13 del D.L. 31 maggio  2010  n.  78,
convertito in legge 30 luglio  2010  n.  122,  recita:  «Il  comma  2
dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992,  n.  210  e  successive
modificazioni si interpreta nel senso  che  la  somma  corrispondente
all'importo dell'indennita' integrativa speciale  non  e'  rivalutata
secondo il tasso d'inflazione». 
    Alla luce di tale disposizione, pertanto, che vincola il  giudice
a interpretare la disposizione dell'art. 2, comma 2 della  legge  210
nel senso contrario alla rivalutabilita' della  somma  corrispondente
all'importo della indennita' integrativa speciale, la domanda del  C.
non sarebbe fondata. 
    4.  Giova  premettere   che   la   disposizione   in   esame   ha
effettivamente natura interpretativa e non innovativa. 
    Infatti, la interpretazione che essa  da'  dell'art.  2  comma  2
della legge 210  non  soltanto  e'  effettivamente  desumibile  dalla
formulazione della disposizione interpretata  (ed  e'  apparentemente
piu' aderente alla sua lettera: l'art. 2 comma 2 della legge 210  non
menziona la  rivalutabilita'  della  integrazione,  diversamente  dal
comma i che afferma la rivalutabilita' dell'indennizzo, il quale,  ai
sensi del comma 1, "consiste" nell'assegno, ancorche' integrato dalla
somma di cui al comma 2), ma anzi e' l'interpretazione fatta  propria
dal giudice  della  nomofilassi  nelle  sue  piu'  recenti  prese  di
posizione sul punto. 
    Cio'  premesso,  sorge  dubbio  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 11 comma 13 del D.L. n. 78/10 convertito in legge n. 122/10
in relazione agli artt. 3 e 38 comma 1 Cost. 
    Deve osservarsi che gli indennizzi ai soggetti affetti da epatite
post-trasfusionale hanno natura assistenziale e non di  equo  ristoro
della salute lesa: 
    «La menomazione della salute conseguente a  trattamenti  sanitari
puo'  determinare,  oltre  al  risarcimento  del  danno  secondo   la
previsione dell'art. 2043 del codice civile, il diritto  ad  un  equo
indennizzo, in forza dell'art. 32 in collegamento con l'art. 2  della
Costituzione, ove il danno, non  derivante  da  fatto  illecito,  sia
conseguenza  dell'adempimento  di  un  obbligo  legale;  nonche'   il
diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 38 e
2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale disposte dal
legislatore nell'ambito della propria discrezionalita'  (sentenze  n.
226 del 2000 e n. 118 del 1996). La situazione  giuridica  di  coloro
che,  a  seguito  di  trasfusione,  siano  affetti  da   epatite   e'
riconducibile, come quella dei soggetti contagiati da HIV, all'ultima
delle ipotesi appena enunciate: l'indennizzo consiste in  una  misura
di sostegno economico fondata, non gia', come assume  il  rimettente,
sul dovere dello  Stato  di  evitare  gli  effetti  teratogeni  degli
interventi terapeutici, ma sulla solidarieta' collettiva garantita ai
cittadini, alla stregua degli articoli 2 e 38 della  Costituzione,  a
fronte di eventi generanti una situazione di bisogno» (C.  Cost.,  27
ottobre 2006 n. 342). 
    E, in  ordine  a  tali  misure  di  sostegno,  la  giurisprudenza
costituzionale ha anche affermato: 
        «Il diritto a misure di sostegno  assistenziale  in  caso  di
malattia, alla  stregua  dell'art.  38  della  Costituzione,  non  e'
indipendente dal necessario intervento del legislatore nell'esercizio
dei suoi poteri di apprezzamento della qualita', della misura e delle
modalita' di erogazione delle provvidenze da adottarsi, nonche' della
loro gradualita',  in  relazione  a  tutti  gli  elementi  di  natura
costituzionale  in  gioco,  compresi  quelli   finanziari,   la   cui
ponderazione rientra  nell'ambito  della  sua  discrezionalita'  (per
tutte, da ultimo, sentenza n. 372 del 1998).  Non  mancano  a  questa
Corte gli strumenti di controllo delle scelte del legislatore nemmeno
in questo caso, sotto il  profilo  specialmente  del  rispetto  della
parita' di trattamento e del nucleo minimo della  garanzia;  ma  tali
strumenti non le  consentono  certo  di  sostituire  alle  necessarie
valutazioni politiche del legislatore una propria decisione  che,  in
mancanza  di  criteri  giuridico-costituzionali  predeterminati,   si
risolverebbe in un'esorbitanza in un campo che non e'  il  proprio  e
nel  quale  trovano  comunque  applicazione  gli  strumenti  ordinari
dell'assistenza sociale, anche in  relazione  alle  menomazioni  alla
salute di cui e' questione» (C. Cost., 22 giugno 2000 n. 226). 
    Cio' premesso, la Corte costituzionale ha ritenuto: 
        «Ma, una volta estesa ai crediti  previdenziali,  in  base  a
tale principio, una regola analoga  a  quella  dell'art.  429,  terzo
comma, interviene, in favore dei crediti assistenziali, il  principio
di razionalita'. Sotto questo profilo dell'art. 3 della  Costituzione
il dispositivo della seni. n. 156 del 1991  viene  in  considerazione
per  se  stesso,  indipendentemente  dalla  ratio  decidendi  che  lo
sorregge. In ordine alla questione ora in esame, esso diventa  a  sua
volta ratio decidendi nella forma di un argomento a fortiori:  se  ai
crediti  previdenziali  di  qualsiasi  entita'  compresi  i   crediti
relativi a pensioni di elevato ammontare, si attribuisce al  titolare
una tutela speciale contro i  danni  cagionati  da  mora  debendi,  a
maggior ragione la medesima tutela deve essere  concessa  ai  crediti
per le prestazioni assistenziali previste dal primo  comma  dell'art.
38 della Costituzione. Esse hanno lo scopo di garantire ai  cittadini
inabili e bisognosi «il minimo esistenziale, i  mezzi  necessari  per
vivere, mentre il secondo comma dello stesso articolo garantisce  non
soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari di pura  sussistenza
materiale, bensi' anche  il  soddisfacimento  di  ulteriori  esigenze
relative al tenore di vita dei lavoratori (sent. n. 31 del 1986 cit.,
punto 3 in diritto). Si recupera cosi', coordinandolo  col  principio
di razionalita', anche il secondo parametro  costituzionale  indicato
dal Tribunale di  L'Aquila  nell'art.  38,  primo  comma.  Ma  questo
parametro puo' essere appropriatamente invocato non  con  l'argomento
analogico di una pretesa somiglianza di contenuto e di  funzione  del
precetto del primo comma a  quello  del  secondo  comma,  bensi'  con
l'argomento  di  meritevolezza  «a  maggior  ragione»  da  parte  dei
titolari  di  prestazioni   assistenziali   della   medesima   tutela
attribuita  ai  crediti  previdenziali  contro  i  danni  da  ritardo
dell'adempimento». (C. Cost., 27 aprile 1993 n. 196). 
    Ora,  con  riferimento  a  prestazioni  previdenziali,  la  Corte
costituzionale ha recentemente affermato: 
        «L 'art. 38, secondo comma, Cost. Impone  che  al  lavoratore
.siano garantiti «mezzi adeguati» alle esigenze di vita  in  presenza
di  determinate  situazioni  che  richiedono   tutela.   La   mancata
perequazione per un solo anno della pensione non  tocca  il  problema
della sua adeguatezza. Dal principio enunciato  nell'art.  38  Cost.,
infatti,   non    puo'    farsi    discendere,    come    conseguenza
costituzionalmente necessitata, quella dell 'adeguamento con  cadenza
annuale di tutti i trattamenti pensionistici. E cio', soprattutto ove
si consideri che le pensioni incise dalla  norma  impugnata,  per  il
loro importo piuttosto  elevato,  presentano  margini  di  resistenza
all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo. L'esigenza  di  una
rivalutazione  sistematica  del  correlativo  valore  monetario   e',
dunque, per esse meno pressante di quanto non sia per quelle di  piu'
basso importo" (C. Cost., 11 novembre 2010 n. 316). 
    Nella stessa pronuncia ha tuttavia anche precisato: 
        «Dev'essere, tuttavia, segnalato che la sospensione  a  tempo
indeterminato  del  meccanismo  perequativo,  ovvero   la   frequente
reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema
ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di  ragionevolezza
e  proporzionalita'  (su  cui,  nella  materia  dei  trattamenti   di
quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e n. 349 del  1985),  perche'
le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non  essere
sufficientemente  difese  in  relazione  ai  mutamenti   del   potere
d'acquisto della moneta» (ibidem). 
    In modo analogo,  la  Corte  costituzionale  aveva  a  suo  tempo
ricordato, a proposito della perequazione dei minimi pensionistici: 
        «Se pertanto i  predetti  «minimi»  possono  essere  diversi,
anche i sistemi adottati per  la  loro  perequazione  automatica  non
devono necessariamente essere identici, purche' a tutte le  categorie
di lavoratori sia comunque assicurata - come avviene con la normativa
impugnata - la conservazione nel tempo del  potere  d'acquisto  della
pensione minima, ritenuta adeguata  alle  «esigenze  di  vita»  della
singola categoria di lavoratori» (C. Cost., 23 gennaio 1986, n. 31). 
        Se ne  desume  che,  per  le  prestazioni  previdenziali,  la
esclusione di un  meccanismo  di  difesa  dai  mutamenti  del  potere
d'acquisto  inciderebbe   negativamente   sulla   adeguatezza   della
prestazione.  Per  il  principio  di  maggior   meritevolezza   delle
prestazioni assistenziali, enucleato  dalla  sentenza  196  del  1993
sopra richiamata, la conclusione deve valere a  maggior  ragione  per
queste ultime. 
    Le disposizioni in  esame,  nel  determinare,  al  momento  della
emanazione della legge n. 238/97, come adeguata alle esigenze di vita
del soggetto affetto da malattia post-trasfusionale  una  determinata
somma, composta da un assegno e da una integrazione, e nel  prevedere
che soltanto l'assegno, e non anche l'integrazione, venga adeguato ai
mutamenti del costo della vita,  da  un  lato  irragionevolmente  non
assicura, nei sensi di cui sopra si e' detto,  la  conservazione  del
potere di acquisto di  quell'importo  ritenuto  in  allora  adeguato,
dall'altro, anzi,  essendo  circostanza  notoria  che  il  potere  di
acquisto  e'  in  continua,  tendenziale  diminuzione,  comporta   la
ragionevole certezza che, col trascorrere degli anni, la  adeguatezza
verra' meno. 
    Da cio' il dubbio, non manifestamente  infondato,  di  violazione
degli artt. 3 e 38 comma 1 Cost. come parametri di  ragionevolezza  e
adeguatezza delle prestazioni assistenziali. 
    Deve precisarsi che, stante  la  natura  di  misura  di  sostegno
assistenziale, e non di equo ristoro di una lesione del diritto  alla
salute, non si  puo'  ritenere  applicabile  al  caso  di  specie  il
principio, enucleato da C.  Cost.,  23  febbraio  1998  n.  27:  «Nel
rispetto dell'ampia discrezionalita' che deve essere riconosciuta  al
legislatore,  a  questa  Corte,  nell'esercizio  del   controllo   di
costituzionalita' sulle  leggi,  compete  tuttavia  di  garantire  la
misura minima essenziale di protezione  delle  situazioni  soggettive
che la Costituzione qualifica come diritti, misura minima al di sotto
della  quale  si  determinerebbe,   con   l'elusione   dei   precetti
costituzionali, la violazione di tali  diritti.  Alla  stregua  delle
proposizioni che precedono, deve ritenersi che, nel caso in esame, la
determinazione legislativa di cio'  che  ha  da  essere  l'indennizzo
"equo", in relazione e nei limiti delle possibilita' della situazione
data, potrebbe essere oggetto di  censura  in  sede  di  giudizio  di
legittimita' costituzionale solo  in  quanto  esso  risultasse  tanto
esiguo da  vanificare,  riducendolo  a  un  nome  privo  di  concreto
contenuto, il diritto all'indennizzo stesso, diritto che,  dal  punto
di vista costituzionale, e' stabilito nell'an ma non nel quantum": la
stessa pronuncia prosegue infatti argomentando: "Cio' che conta,  nel
giudizio cui la Corte  e'  chiamata,  non  e'  la  percentuale  della
riduzione, ma l'entita' in se' della somma che  ne  risulta.  La  sua
valutazione in termini  di  legittimita'  costituzionale  deve  tener
conto che  l'assegno  una  tantum  previsto  dalla  legge  assume  il
significato   di   misura   di   solidarieta'   sociale,   cui    non
necessariamente si accompagna  una  funzione  assistenziale  a  norma
dell'art. 38, primo comma, della Costituzione. Esso e' infatti dovuto
indipendentemente dalle condizioni economiche dell'avente  diritto  e
non mira di per se' agli scopi per i quali l'art. 38 stesso e'  stato
dettato, aggiungendosi agli altri eventuali  emolumenti  a  qualsiasi
titolo percepiti, e quindi anche  a  quelli  di  natura  propriamente
assistenziale, in ipotesi dovuti anche in ragione dell'inabilita'  al
lavoro derivante dal danno  subito  in  conseguenza  del  trattamento
sanitario (art. 2, comma 1, seconda parte, della  legge  n.  210  del
1992). 11 fondamento della misura  indennitaria  in  questione  negli
arte. 2 e 32 della Costituzione e non nel diritto previsto  dall'art.
38 della Costituzione (sentenza n. 118 del 1996), e quindi non  nelle
esigenze di vita e di assistenza dei cittadini inabili  al  lavoro  e
sprovvisti dei mezzi  necessari  per  vivere,  vale  a  ulteriormente
sottolineare l'ambito delle scelte discrezionali entro  il  quale  il
legislatore e' in questo caso abilitato a operare. In tale ambito, la
stessa differenziazione del regime di determinazione  dell'indennita'
per il passato,  rispetto  a  quello  per  il  futuro,  puo'  trovare
giustificazione  alla  stregua  delle   valutazioni,   spettanti   al
legislatore, circa le conseguenze  di  ordine  finanziario  derivanti
dalle misure predisposte". 
    Sotto altro profilo si pone il dubbio di violazione  dell'art.  3
Cost. come parametro di ragionevolezza. 
    La Corte di  Cassazione,  nella  propria  sentenza  21703/09,  ha
identificato la  ratio  della  integrazione  dell'indennizzo  di  cui
all'art. 2 comma 1  legge  210  con  una  somma  corrispondente  alla
indennita' integrativa speciale: "l'indennita'  integrativa  speciale
serve  ad  impedire  o  attenuare  gli  effetti  della   svalutazione
monetaria". 
    Tale  essendo  la  ratio  della  disposizione,  sembra  possibile
dubitare della sua ragionevolezza, nel senso che, non prevedendosi la
rivalutazione della somma che ha la funzione di impedire o  attenuare
gli effetti della svalutazione monetaria, tale funzione e'  destinata
a venire progressivamente meno. 
    La rilevanza della questione e' evidente. 
    L'art. 1 l comma 13 del D.L. 78/10. convertito in  legge  122/10.
vincola il giudice a ritenere non dovuta la  rivalutazione  monetaria
sulla somma corrispondente alla indennita'  integrativa  speciale,  e
quindi a rigettare la domanda del ricorrente. 
    Ove la  disposizione  dell'art.  11  comma  13  del  D.L.  78/10,
convertito in legge 122/10, fosse ritenuta  illegittima,  il  giudice
potrebbe invece adottare la interpretazione  gia'  fatta  propria  da
Cass., 15894/05, accogliendo la domanda del ricorrente. 
    Sembra il caso di precisare che non sembra necessario  sottoporre
al vaglio della Corte costituzionale anche la disposizione  dell'art.
2 comma 2 della legge 210/92 nella parte in cui non prevede che anche
la somma corrispondente  alla  indennita'  integrativa  speciale  sia
rivalutata secondo quanto previsto dal comma 1, dato che. ove venisse
meno la disposizione di interpretazione autentica, sarebbe possibile,
in via interpretativa, seguendo il percorso gia' delineato da  Cass.,
15894/05, desumere dal testo della  disposizione  una  norma  in  tal
senso. Infine. occorre rilevare che non pregiudica la rilevanza della
questione la eccezione di prescrizione, che, quand'anche fondata, non
comporterebbe la reiezione integrale della domanda. 
    Deve anche precisarsi, sul punto della rilevanza della questione,
che la giurisprudenza costituzionale ha sempre qualificato  le  norme
CEDU come  norme  interposte,  con  la  conseguenza  che  l'eventuale
contrasto con le medesime non attribuisce al  giudice  il  potere  di
disapplicare la norma italiana, e che, nonostante  alcuni  precedenti
della giurisprudenza amministrativa abbiano ritenuto che di  un  tale
potere il giudice disponga dopo l'entrata in vigore del  Trattato  di
Lisbona, questa posizione risulta a oggi  minoritaria  nel  dibattito
giuridico (essendosi osservato che  la  CEDU  non  e'  equiparata  al
Trattato, come la Carta di Nizza, ne' al diritto comunitario,  bensi'
ai principi generali del diritto dell'Unione), sicche' allo stato,  a
prescindere dalla effettiva sussistenza dell'indicato contrasto,  non
sembra possibile, come invece chiede il ricorrente,  disapplicare  la
disposizione della cui costituzionalita' si dubita.