Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  comma  1,
lettera  a),  del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  504
(Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art.  4
della legge 23 ottobre 1992, n. 421), promossi dalla Corte suprema di
cassazione con due ordinanze depositate il 21 aprile  2010,  iscritte
al n. 196 e al n. 253 del registro ordinanze 2010 e pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  27  e  n.  38,  prima  serie
speciale, dell'anno 2010. 
    Visti l'atto di costituzione del Comune di Milano nonche'  l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19  aprile  2011  il  Giudice
relatore Franco Gallo; 
    Uditi l'avvocato  Irma  Marinelli  per  il  Comune  di  Milano  e
l'avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
    Ritenuto: 
        che,  nel  corso   di   un   giudizio   avente   ad   oggetto
l'impugnazione della sentenza con la quale la Commissione  tributaria
regionale della Lombardia, rigettando l'appello proposto  dal  Comune
di Locate Triulzi, aveva affermato il diritto del  Comune  di  Milano
all'esenzione dall'imposta comunale sugli  immobili  (ICI),  per  gli
anni  1995  e  1996,  relativa  a  alcuni  immobili  -  posseduti  da
quest'ultimo Comune e siti nel territorio del  primo  -  destinati  a
«provvedere alle esigenze  abitative  dei  non  abbienti»,  la  Corte
suprema di cassazione, con ordinanza depositata  il  21  aprile  2010
(r.o. n. 196 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2,  3
e 38 della Costituzione, questioni di legittimita' della  lettera  a)
del comma 1 dell'art. 7 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino
della finanza degli enti territoriali,  a  norma  dell'art.  4  della
legge 23 ottobre 1992,  n.  421),  secondo  la  quale:  «Sono  esenti
dall'imposta: a) gli immobili posseduti dallo Stato,  dalle  regioni,
dalle province, nonche' dai comuni, se  diversi  da  quelli  indicati
nell'ultimo periodo del comma  1  dell'articolo  4,  dalle  comunita'
montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unita' sanitarie  locali,
dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome  di  cui  all'art.  41
della legge 23 dicembre 1978, n.  833,  dalle  camere  di  commercio,
industria, artigianato ed agricoltura,  destinati  esclusivamente  ai
compiti istituzionali»; 
        che il giudice rimettente precisa, in punto di fatto, che: a)
il Comune di Locate Triulzi ha chiesto la cassazione  della  sentenza
impugnata  sulla  base  di  due  motivi,  contestando  sia  la  prova
dell'inserimento degli  immobili  nel  patrimonio  indisponibile  del
Comune di Milano sia la loro destinazione a compiti istituzionali del
medesimo Comune; b) il Comune di Milano, con ricorso incidentale, «ha
fra l'altro eccepito la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7
comma 1 del d.lgs. n. 504/1992, unitamente all'art. 4, comma 7  della
legge delega n. 421/1992, in  relazione  agli  artt.  2,  3  primo  e
secondo comma, 31, 38 e 97 Cost., nella parte in  cui  non  prevedono
esenzioni e agevolazioni dall'ICI sugli immobili posseduti dai Comuni
al  di  fuori  del  proprio  territorio  e  destinati   ad   Edilizia
Residenziale Pubblica, non essendo ne' legittimo ne' ragionevole  che
gli Enti Pubblici Territoriali non godano della medesima agevolazione
prevista per gli Enti non  territoriali  senza  scopo  di  lucro,  in
relazione ad immobili destinati ad attivita' sociali, assistenziali e
recettive, nonche' del trattamento piu'  favorevole  riconosciuto  ad
Enti  Pubblici  Economici  strumentali,  in  presenza  del   medesimo
presupposto oggettivo»; 
        che il rimettente ritiene l'eccezione del  Comune  di  Milano
«non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 38 della
Costituzione»; 
        che, al riguardo, il giudice a  quo  premette,  in  punto  di
diritto, che: a) il riferimento operato dalla  norma  censurata  agli
immobili  «destinati  esclusivamente  ai  compiti  istituzionali»  e'
interpretato  dalla  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione   -
interpretazione «strettamente aderente alla lettera  della  legge»  e
che costituisce ormai diritto vivente - nel senso che  detti  compiti
sono solo quelli  «che  comportano  la  destinazione  degli  immobili
all'attivita'  istituzionale  "diretta"   dell'Ente   locale   (cioe'
sostanzialmente ad uffici dell'Ente stesso), con implicita esclusione
delle altre funzioni  istituzionali  comunali»;  b)  tale  esclusione
riguarda anche le funzioni svolte dai comuni  nei  «settori  organici
dei servizi alla persona e alla comunita'», di cui  all'art.  13  del
d.lgs. n. 267 del 2000  (Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento
degli enti locali) e nella «gestione dei servizi pubblici che abbiano
per oggetto produzione di beni ed attivita' rivolte a realizzare fini
sociali», di cui all'art. 112 del medesimo d.lgs. n. 267 del 2000; c)
nell'ambito di detti servizi pubblici rientra anche «l'assegnazione e
gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica,  che  fanno
parte del  patrimonio  pubblico»,  in  quanto  attivita'  consistenti
«nella  predisposizione  di  interventi  [...]  diretti  al  fine  di
provvedere al servizio sociale della provvista degli  alloggi  per  i
lavoratori e le famiglie meno abbienti [...] mediante un procedimento
[...]  di  concessione/assegnazione  di  beni   facenti   parte   del
patrimonio pubblico»; d) che tale patrimonio e', «quindi, analogo,  a
quello degli IACP - i quali tuttavia, a differenza dei Comuni -  sono
enti commerciali»;  e)  che  detti  Istituti  autonomi  per  le  case
popolari  (IACP)  usufruiscono  attualmente,   «dopo   una   iniziale
riduzione dell'imposta al 50% ex art. 8 comma 4 del d.lgs. n. 504/92»
- introdotta «a seguito» della sentenza della Corte costituzionale n.
113 del 1996 - «dell'esenzione totale dall'ICI per effetto  dell'art.
1 comma 3 del d.l. 27  maggio  2008  n.  93  (conv.  nella  legge  n.
126/2008) con decorrenza dal 1° gennaio 2008»; 
        che, sulla  base  di  tali  premesse,  la  Corte  suprema  di
cassazione afferma che «nella  logica  del  sistema  complessivamente
rivolto alla creazione di alloggi destinati ad edilizia  residenziale
pubblica»,  si  e'  venuta  a  creare  «una  palese  discrepanza   ed
irragionevolezza  fra  l'assoggettamento  alla  imposta,  nella   sua
totalita', degli immobili costituiti  dai  Comuni  per  fini  sociali
senza scopo di  lucro,  e  soggetti  a  concessione/assegnazione  con
modalita'   pubblicistiche   [...]   indipendentemente   dalla   loro
ubicazione [...] e immobili destinati agli stessi fini, ma  posseduti
da Enti commerciali»; 
        che, secondo il rimettente, cio' integra un contrasto, «oltre
che  con  l'art.  3  Cost.,  con  l'art.  2   Cost.,   che   richiede
l'adempimento  dei  doveri  di  solidarieta'  politica,  economica  e
sociale nei confronti dei cittadini e con l'art. 38 Cost. che  tutela
il diritto delle persone non abbienti all'assistenza sociale»; 
        che, in punto di rilevanza delle questioni, la Corte  suprema
di cassazione afferma di ritenere «l'eccezione» del Comune di  Milano
«rilevante ai fini della decisione della causa»; 
        che si e'  costituito  nel  giudizio  il  Comune  di  Milano,
chiedendo, «in via principale»,  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate non fondate; 
        che, ad  avviso  del  Comune,  in  effetti,  la  disposizione
denunciata va interpretata - contrariamente  a  quanto  ritenuto  dal
giudice rimettente - nel senso che  gli  immobili,  posseduti  da  un
Comune e siti nel territorio di un altro Comune, destinati a edilizia
residenziale   pubblica,    si    devono    considerare    «destinati
esclusivamente  ai   compiti   istituzionali»   dell'ente,   con   la
conseguenza che ad essi spetta l'esenzione dall'ICI; 
        che il Comune di  Milano  fonda  tale  esegesi  sui  seguenti
argomenti: a) la disposizione denunciata non richiede, in base al suo
tenore letterale, che l'immobile sia «direttamente ed  immediatamente
utilizzato dall'ente pubblico», ma soltanto che esso  sia  destinato,
in via esclusiva, ai compiti  istituzionali;  b)  lo  svolgimento  di
detti compiti ben puo'  avvenire  tramite  un  utilizzo  non  diretto
dell'immobile;  c)  cio'  avviene,  appunto,  con  riferimento   agli
immobili destinati al compito istituzionale del Comune - riconosciuto
come tale anche dall'art. 4 del decreto-legge 7 febbraio 1985, n.  12
(Misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa),
convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 1985, n. 118 - di
fornire una  abitazione  ai  cittadini  che  non  sono  in  grado  di
reperirne una a prezzi di mercato, concedendola in  locazione  dietro
corresponsione di  un  canone  determinato  in  ragione  del  reddito
dell'assegnatario; d) la norma  denunciata,  letta  anche  alla  luce
dell'art. 4, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 502 del  1994  -
secondo il quale l'ICI «non si applica» per  gli  immobili  posseduti
dal Comune nel proprio  territorio  -  «riconosc[e]  che  l'attivita'
istituzionale dei Comuni puo' essere svolta  per  mezzo  di  immobili
siti nel territorio di altri Comuni»;  e)  l'opposta  interpretazione
renderebbe di fatto inapplicata la disposizione censurata «poiche' e'
logico che ogni Comune stabilisca i  propri  uffici  nell'ambito  del
proprio territorio»; f) l'esenzione dall'INVIM  gia'  prevista  dalla
lettera c) del secondo comma dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento  di  valore
degli immobili) - per la  spettanza  della  quale  la  giurisprudenza
richiedeva la  destinazione  diretta  degli  immobili  «all'esercizio
delle attivita' istituzionali» degli enti menzionati dalla  norma  di
agevolazione («enti di cui alla lettera c dell'art. 2 del  D.P.R.  29
settembre 1973, n. 598») - aveva «natura  e  contenuto  ben  diversi»
rispetto all'esenzione dall'ICI prevista dalla lettera a) del comma 1
dell'art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992; 
        che, nell'ipotesi in cui la disposizione  denunciata  dovesse
essere interpretata nel senso fatto proprio dal  giudice  rimettente,
il Comune di Milano chiede, «in via subordinata»,  che  la  questione
sia dichiarata fondata; 
        che, ad avviso  della  parte  costituita,  tenuto  conto  del
quadro normativo - in particolare, delle agevolazioni in  materia  di
ICI previste dagli artt. 7, comma 1, lettere i) e g), e 8,  comma  4,
del d.lgs. n. 504 del 1992 e dall'art. 1, comma 3, del  decreto-legge
27 maggio 2008, n. 93  (Disposizioni  urgenti  per  salvaguardare  il
potere di acquisto delle famiglie),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, nonche' degli  incentivi  che  il
legislatore ha sempre riconosciuto alle «attivita' svolte dai  Comuni
e dagli altri Enti Territoriali diversi dallo Stato, anche  sotto  il
profilo  tributario»,  in  ragione  dei  compiti,  pure  di   rilievo
costituzionale, ad  essi  attribuiti  -  l'esclusione  dall'esenzione
dall'imposta, come da qualsiasi altra agevolazione, per gli  immobili
di proprieta' comunale siti nel  territorio  di  un  altro  Comune  e
destinati  a  edilizia  residenziale   pubblica,   si   palesa   come
«irragionevole  e  arbitraria»   perche':   a)   differenzia,   senza
giustificazione, il trattamento fiscale dei Comuni «rispetto ad altri
soggetti possessori di immobili destinati ad  attivita'  identiche  o
simili, tra cui anche gli IACP»; b) equipara il regime  dell'ICI  per
gli  immobili  di  proprieta'  comunale,  vincolati  per  legge  alla
destinazione all'utilizzazione  per  fini  di  edilizia  residenziale
pubblica, a quello degli «immobili liberamente utilizzati dai privati
per fini speculativi e commerciali e in regime di piena liberta' e di
libera concorrenza»; 
        che, secondo il Comune di Milano,  la  norma  censurata,  non
prevedendo «alcuna forma di agevolazione o  di  esenzione»  a  favore
dell'ente  pubblico  territoriale   -   con   l'effetto   che   l'ICI
«assorbirebbe gran  parte  delle  risorse  destinate  a  un  servizio
pubblico volto al soddisfacimento del bisogno primario  abitativo»  -
oltre che essere irragionevole, viola anche gli artt. 2 e 38 Cost.; 
        che e' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili «e/o» non fondate; 
        che, secondo la difesa dello Stato, le questioni sollevate in
riferimento agli artt. 2 e 38 Cost. sono inammissibili per difetto di
motivazione dell'ordinanza di rimessione in ordine al contrasto della
norma denunciata con i suddetti parametri,  «meramente  enunciati  in
via generale»; 
        che, quanto alla questione sollevata in riferimento  all'art.
3 Cost., essa sarebbe «inammissibile ed infondata» perche':  a)  «non
puo' chiedersi alla Consulta una pronuncia additiva la quale operi in
sostanza come una vera e propria modifica normativa», anche alla luce
di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la  sent.  n.  113
del 1996, concernente la  materia  dell'esenzione  dall'ICI  per  gli
immobili  posseduti  dagli  IACP;  b)  il  rimettente  ha  omesso  di
ricercare  un'interpretazione  costituzionalmente   orientata   della
disposizione denunciata, intendendola nel senso che, tra gli immobili
posseduti   dai   comuni   «destinati   esclusivamente   ai   compiti
istituzionali», sono compresi anche gli immobili  comunali  destinati
esclusivamente  a  edilizia  residenziale  pubblica,  interpretazione
tanto  piu'  possibile  alla  luce  dell'art.   1,   comma   3,   del
decreto-legge n. 93  del  2008  e  della  risoluzione  del  Ministero
dell'economia e delle finanze 5 giugno 2008, n. 12/DF; 
        che,  nel  corso   di   un   giudizio   avente   ad   oggetto
l'impugnazione della sentenza con la quale la Commissione  tributaria
regionale della Lombardia, rigettando l'appello proposto  dal  Comune
di Milano, aveva negato il diritto del medesimo Comune  all'esenzione
dall'ICI, per gli anni «1994 e 1995» (recte: 1993 e  1994),  relativa
ad alcuni immobili posseduti nel  territorio  del  Comune  di  Locate
Triulzi e destinati a provvedere ad esigenze di edilizia residenziale
pubblica, la Corte suprema di cassazione, con ordinanza depositata lo
stesso 21 aprile 2010 (r.o. n. 253 del 2010), ha sollevato  questioni
di legittimita' identiche - sia quanto all'oggetto che in  ordine  ai
parametri - a quelle sollevate nel giudizio r.o. n. 196 del 2010; 
        che il giudice rimettente precisa, in punto di fatto, che: a)
la  Commissione  tributaria  regionale  aveva  escluso  la  spettanza
dell'esenzione dall'ICI per le  unita'  immobiliari  «in  quanto  non
destinate a finalita' istituzionali dirette del Comune appellante, le
cui funzioni [...] erano soltanto quelle di  regolare  l'assegnazione
degli alloggi, senza obbligo, per lo stesso Comune di realizzare  gli
alloggi stessi»; b) il Comune di  Milano  ha  chiesto  la  cassazione
della sentenza impugnata sulla base di sei motivi, censurandola,  con
i primi cinque, per la «operata differenziazione  fra  costruzione  e
assegnazione degli alloggi», con il sesto, per  violazione  dell'art.
7, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 504  del  1992,  «in  relazione
all'art. 8 comma 4 del d.lgs. n. 504/1992 e 12  delle  preleggi»,  in
quanto  erroneamente  ritenuto  non  applicabile   ad   immobili   di
proprieta'   di   un   ente   pubblico   territoriale   e   destinati
all'assolvimento «di compiti istituzionali di natura pubblicistica di
interesse collettivo»; c) «tale argomentazione» ha portato il  Comune
di  Milano  «ad  eccepire,  in  via  incidentale,  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 7 comma 1 del d.lgs. n. 504/1992, unitamente
all'art. 4, comma 7 della legge delega n. 421/1992, in relazione agli
artt. 2, 3 primo e secondo comma, 31, 38 e 97 Cost., nella  parte  in
cui non prevedono esenzioni e agevolazioni  dall'ICI  sugli  immobili
posseduti dai Comuni al di fuori del proprio territorio  e  destinati
ad Edilizia Residenziale Pubblica» d) il Comune di Locate Triulzi non
si e' costituito; 
        che il rimettente ritiene «l'eccezione» del Comune di  Milano
«rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2,
3, 38 della Costituzione»; 
        che, quanto alla non manifesta infondatezza delle  questioni,
il giudice a quo svolge argomentazioni  identiche  a  quelle  esposte
nell'ordinanza introduttiva del giudizio r.o. n. 196 del 2010; 
        che anche in questo giudizio e' intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate inammissibili «e/o» non fondate; 
        che, secondo la difesa erariale - le cui deduzioni coincidono
solo in parte con quelle presentate nel giudizio r.o. n. 196 del 2010
- l'inammissibilita' deriverebbe: a) quanto alle questioni  sollevate
in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost., dal difetto di motivazione in
ordine  alla  violazione  dei  parametri  evocati;  b)  quanto   alla
questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.,  parimenti,  dal
difetto di motivazione in ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,
perche' il rimettente costruisce la questione sull'identita'  tra  la
situazione degli IACP e  quella  dei  comuni  -  quando  operano  nel
settore dell'edilizia residenziale pubblica - e sulla coincidenza tra
il concetto di compito istituzionale e quello di  pubblico  servizio,
affermazioni  che  non  motiva;  c)  quanto  a  tutte  le   questioni
sollevate: c.1)  dal  fatto  che  il  rimettente  chiede  alla  Corte
costituzionale «una pronuncia additiva la  quale  operi  in  sostanza
come una vera e propria modifica normativa»; c.2) dal fatto  che,  in
presenza di «pronunce discordanti [...] della Corte  di  cassazione»,
il   rimettente   ha   omesso   di    ricercare    un'interpretazione
costituzionalmente   orientata    della    disposizione    censurata,
intendendola nel senso che tra  gli  immobili  posseduti  dai  comuni
«destinati esclusivamente ai  compiti  istituzionali»  sono  compresi
anche  gli  immobili  comunali  destinati  a  edilizia   residenziale
pubblica; 
        che l'infondatezza della questione sollevata  in  riferimento
all'art. 3 Cost. deriverebbe,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello
Stato, dalla  diversita'  delle  situazioni  poste  a  raffronto  dal
rimettente, resa palese: a) dal fatto che, mentre la realizzazione di
interventi di edilizia agevolata costituisce  il  fine  istituzionale
degli IACP, l'assegnazione e  la  gestione  di  alloggi  di  edilizia
residenziale pubblica da parte dei comuni e'  frutto  di  una  scelta
amministrativa che, «pur attuata nel campo  dei  "servizi  pubblici",
non costituisce un "fine istituzionale"» - cioe' un  fine  «non  solo
diretto  ma  anche  necessario  dell'attivita'  dell'Ente»,  il   cui
perseguimento «rientra nel potere-dovere del  Comune  che  e'  dunque
vincolato» - ma solo un  fine  generale,  «di  natura  discrezionale,
ovviamente consentit[o], ma non obbligatorio»; b) mentre il Comune e'
un ente territoriale «dotato di confini propri  entro  i  quali  puo'
realizzare i propri fini non direttamente istituzionali»,  gli  IACP,
in quanto enti non territoriali,  «nella  realizzazione  del  proprio
fine istituzionale, devono  operare  sul  territorio  di  altri  Enti
territoriali»; 
        che, pertanto, non e' irragionevole che, in relazione ad  una
attivita'  che  non  puo'  «qualificarsi  sic  et  simpliciter   come
rientrante nei "fini istituzionali"», il Comune sia soggetto all'ICI,
al pari di altri soggetti per i quali le medesime attivita' non  sono
inquadrabili nelle finalita' istituzionali, come pure  che,  in  tali
casi,  non  si  pervenga  «a  depauperare  le  entrate   del   Comune
ospitante», consentendo, al contempo, «al Comune ospite di continuare
a fruire dei servizi e  delle  attivita'  gestionali  comunali  senza
pagarle»; 
        che, in prossimita' della data fissata per la discussione  in
udienza  pubblica,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha
depositato, in entrambi i giudizi,  delle  memorie  illustrative,  di
analogo contenuto, con le quali rinnova la richiesta che le questioni
siano dichiarate inammissibili «e/o» infondate; 
        che la difesa dello Stato, nel ribadire  quanto  scritto  nel
proprio atto di intervento, svolge alcune  considerazioni  in  ordine
alle deduzioni del Comune di  Milano,  evidenziando,  in  particolare
che: a) tra l'art. 25 del d.P.R. n. 643 del 1972  e  la  disposizione
censurata non  vi  e'  «quella  ontologica  differenza  adombrata  da
controparte, tale per cui solo nel primo caso condizione per ottenere
l'esenzione  era  che  l'immobile   fosse   utilizzato   direttamente
dall'Ente  proprietario  per   i   suoi   fini   istituzionali»;   b)
l'accoglimento  delle  questioni,  da  un  canto,  comporterebbe   la
riduzione del gettito dell'ICI per il Comune nel  cui  territorio  si
trova l'immobile, dall'altro,  consentirebbe  «al  Comune  ospite  di
continuare a fruire dei servizi e delle attivita' gestionali comunali
senza pagarle», effetti entrambi irragionevoli «considerato che nulla
osta a che ogni Comune realizzi le proprie esigenze abitative entro i
propri confini»; c)  l'«equiparazione»  chiesta  dal  rimettente  non
considera «come il Comune sia un ente territoriale, dotato di confini
propri entro i quali puo' realizzare i propri fini  non  direttamente
istituzionali, laddove  gli  IACP  sono  Enti  non  territoriali  che
pertanto  necessariamente,  nella  realizzazione  del  proprio   fine
istituzionale,  devono  operare  sul   territorio   di   altri   Enti
territoriali»; d) l'esistenza di  «pronunce  discordanti  rese  dalla
stessa sezione tributaria della  Corte  di  Cassazione»  (che  si  e'
pronunciata in  materia  anche  con  la  sent.  n.  14094  del  2010,
successiva all'ordinanza di rimessione), dimostra che  «la  questione
sembra richiedere piu' che una pronuncia additiva della  Consulta  un
intervento chiarificatore dello stesso giudice di legittimita'». 
    Considerato: 
        che,  nel  corso   di   due   giudizi   aventi   ad   oggetto
l'impugnazione delle sentenze emesse in grado di appello con le quali
la  Commissione  tributaria  regionale   della   Lombardia   si   era
pronunciata in modo difforme in  ordine  al  diritto  del  Comune  di
Milano di  beneficiare  dell'esenzione  dall'imposta  comunale  sugli
immobili (ICI), per gli anni 1995 e 1996  (r.o.  n.  196  del  2010),
nonche' 1993 e 1994 (r.o. n. 253 del 2010), in  relazione  ad  alcuni
immobili  da  esso  posseduti,  destinati  a  edilizia   residenziale
pubblica ed ubicati nel territorio del Comune di Locate  Triulzi,  la
Corte   suprema   di   cassazione,   con   ordinanze   di   contenuto
sostanzialmente identico, ha sollevato - in riferimento agli artt. 2,
3 e 38 della Costituzione - questioni di legittimita'  della  lettera
a) del comma 1 dell'art. 7 del decreto legislativo 30 dicembre  1992,
n. 504 (Riordino della  finanza  degli  enti  territoriali,  a  norma
dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421); 
        che, in forza della  disposizione  denunciata,  «Sono  esenti
dall'imposta: a) gli immobili posseduti dallo Stato,  dalle  regioni,
dalle province, nonche' dai comuni, se  diversi  da  quelli  indicati
nell'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 4, dalle comunita' montane,
dai consorzi fra detti enti, dalle  unita'  sanitarie  locali,  dalle
istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all'articolo 41 della
legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria,
artigianato  ed  agricoltura,  destinati  esclusivamente  ai  compiti
istituzionali»; 
        che il giudice a quo  muove  dall'assunto  che  gli  immobili
destinati ad edilizia residenziale pubblica, posseduti da  un  Comune
ai sensi degli artt. 1 e 3 del d.lgs. n. 504 del 1992 ed ubicati  nel
territorio  di  un  altro  Comune,  non  beneficiano   dell'esenzione
dall'ICI, perche' non  possono  essere  considerati  direttamente  ed
immediatamente adibiti allo svolgimento dei compiti istituzionali del
Comune  stesso,  come  invece  esige,  ai  fini  dell'esenzione,   la
locuzione «destinati esclusivamente ai compiti istituzionali»,  quale
interpretata dalle  costanti  pronunce  della  Corte  di  cassazione,
integranti diritto vivente; 
        che,  secondo  il   giudice   rimettente,   la   disposizione
denunciata, cosi' intesa, si pone  in  contrasto  con:  a)  l'art.  3
Cost., perche' comporta un'ingiustificata disparita'  di  trattamento
fiscale tra gli immobili posseduti dai Comuni e destinati ad edilizia
residenziale  pubblica,  i  quali,  secondo  il  menzionato  «diritto
vivente», sono soggetti all'ICI se ubicati nel  territorio  di  altri
Comuni, e gli immobili posseduti dagli Istituti autonomi per le  case
popolari (IACP), aventi la medesima destinazione, i quali  invece,  a
decorrere  dal  1°  gennaio   1997,   usufruivano   della   riduzione
dell'imposta del 50 per cento prevista  dall'art.  8,  comma  4,  del
d.lgs. n. 504 del 1992, come sostituito dall'art. 3, comma 55,  della
legge 23 dicembre 1996, n. 662  (Misure  di  razionalizzazione  della
finanza pubblica), e, a decorrere dal 1°  gennaio  2008,  beneficiano
dell'esenzione  dall'imposta  prevista  dall'art.  1,  comma  3,  del
decreto-legge  27  maggio  2008,  n.  93  (Disposizioni  urgenti  per
salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito,  con
modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126; b) l'art. 2 Cost.,
«che richiede l'adempimento  dei  doveri  di  solidarieta'  politica,
economica e sociale nei confronti dei cittadini»; c) l'art. 38 Cost.,
«che tutela il diritto  delle  persone  non  abbienti  all'assistenza
sociale»; 
        che,  in  considerazione   dell'identita'   delle   questioni
sollevate, i giudizi promossi con  le  due  ordinanze  di  rimessione
devono essere riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi; 
        che la difesa del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
intervenuto in entrambi i  giudizi,  ha  eccepito  l'inammissibilita'
delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost., per
difetto di motivazione in ordine alla violazione di  tali  parametri,
«meramente enunciati in via generale»; 
        che l'eccezione e' fondata; 
        che, in effetti, il giudice a quo  si  limita  ad  evocare  i
suddetti parametri ed a  riportarne,  parafrasandolo,  il  contenuto,
senza   indicare   le   ragioni   della   denunciata   illegittimita'
costituzionale, tanto da rendere le questioni prive di motivazione e,
quindi, manifestamente inammissibili; 
        che la difesa  dello  Stato  ha  eccepito  l'inammissibilita'
anche delle questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost.,  per
difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza,  in
quanto il giudice rimettente non ha  fornito  alcuna  giustificazione
dell'affermazione  secondo  cui  la  situazione  degli  IACP  sarebbe
identica a quella dei Comuni, per cio' che  attiene  al  possesso  di
immobili destinati ad edilizia residenziale pubblica; 
        che l'eccezione non e' fondata; 
        che il rimettente espone in modo adeguato  le  ragioni  della
dedotta ingiustificata disparita' di trattamento, affermando  che  la
disciplina denunciata contrasta con  l'omogeneita'  delle  situazioni
poste a raffronto; omogeneita' che sarebbe evidenziata dal fatto  che
sia  gli  immobili  posseduti  dai  Comuni  e  destinati  a  edilizia
residenziale pubblica sia quelli posseduti dagli IACP  ed  aventi  la
stessa destinazione sono utilizzati per raggiungere il medesimo fine,
di pubblico  interesse,  di  soddisfare  le  esigenze  abitative  dei
cittadini meno abbienti; 
        che non e' fondata neppure l'ulteriore eccezione  prospettata
dalla difesa dello Stato, secondo cui le questioni sono inammissibili
perche'  il  rimettente  domanda  alla  Corte   costituzionale   «una
pronuncia additiva la quale operi in sostanza come una vera e propria
modifica normativa»; 
        che, in realta', il giudice a quo chiede a questa  Corte  non
una «modifica normativa», ma l'estensione delle agevolazioni in  tema
di ICI previste per gli immobili posseduti dagli IACP  agli  immobili
posseduti dai Comuni e destinati anch'essi  a  edilizia  residenziale
pubblica; estensione che,  secondo  la  sua  prospettazione,  sarebbe
imposta dalla stessa ratio dell'agevolazione prevista a favore  degli
IACP; 
        che,  nel  merito,  le  questioni  sollevate  in  riferimento
all'art. 3 Cost. sono manifestamente infondate; 
        che, al riguardo, va premesso  che  la  rimettente  Corte  di
cassazione, nel richiamare  il  "diritto  vivente"  costituito  dalle
proprie  pronunce  in   materia,   ha   inteso   farne   proprie   le
argomentazioni,  evidenziando  -  implicitamente,  ma  chiaramente  -
l'impossibilita' di pervenire ad una  diversa  interpretazione  della
disposizione denunciata; 
        che, in effetti, la Corte di cassazione  -  contrariamente  a
quanto riferito nella  memoria  depositata  dall'Avvocatura  generale
dello Stato - ha costantemente  affermato  che  l'esenzione  dall'ICI
prevista dalla censurata lettera a)  del  comma  1  dell'art.  7  del
d.lgs. n.  504  del  1992  non  spetta  in  relazione  agli  immobili
destinati a edilizia residenziale pubblica posseduti da un Comune  ed
ubicati nel territorio di un altro Comune, perche' essi  non  sono  -
come invece richiesto dalla locuzione  «destinati  esclusivamente  ai
compiti istituzionali» - direttamente e immediatamente  destinati  ai
compiti istituzionali dell'ente (sentenze n. 14094 del 2010; n. 20577
del 2005; n. 142 del 2004; in senso analogo, sentenza  n.  21571  del
2004); 
        che  il  rimettente,  come  visto,  argomenta   il   ritenuto
contrasto con l'art. 3 Cost. sulla base del duplice assunto  che:  a)
la  situazione  degli  immobili  destinati  a  edilizia  residenziale
pubblica posseduti dai Comuni e' omogenea  a  quella  degli  immobili
posseduti dagli IACP ed aventi la medesima destinazione;  b)  le  due
situazioni, negli anni dal 1993 al  1996  -  periodi  di  imposta  in
ordine  ai  quali  si  controverte  nei  giudizi  a  quibus  -,  sono
ingiustificatamente trattate in modo diverso dal legislatore, perche'
solo gli immobili  posseduti  dagli  IACP  godevano  di  agevolazioni
fiscali; 
        che, a prescindere  da  ogni  valutazione  sulla  correttezza
dell'assunto circa l'omogeneita' delle situazioni poste  a  raffronto
dal rimettente, va rilevato  che  il  secondo  di  detti  assunti  e'
errato; 
        che  il  rimettente  invoca  quali  tertia  comparationis  le
agevolazioni in tema di ICI relative agli  immobili  posseduti  dagli
IACP, previste, secondo  quanto  afferma  lo  stesso  ricorrente:  a)
dall'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 504  del  1992,  come  sostituito
dall'art. 3, comma 5, della legge n. 662 del 1996, il quale stabiliva
una riduzione dell'imposta del 50 per cento in favore degli  «alloggi
regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari»;
b)  dall'art.  1,  comma  3,  del  decreto-legge  n.  93  del   2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008, in  forza
del quale, «a  decorrere  dall'anno  2008»  (comma  1,  del  medesimo
articolo 1), si applica, in favore dei medesimi  alloggi,  la  totale
esenzione dall'imposta in luogo della suddetta riduzione del  50  per
cento; 
        che, tuttavia, tali agevolazioni sono  applicabili  solo  per
periodi d'imposta successivi a quelli rilevanti nei giudizi a  quibus
- anni dal 1993 al 1996 -, perche': a) l'agevolazione di cui all'art.
8, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1992, come sostituito dall'art.  3,
comma 5, della legge n. 662 del 1996, si applica a decorrere  dal  1°
gennaio 1997 (comma 217 del medesimo art. 3); b) l'esenzione  di  cui
all'art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 93 del 2008  si  applica  -
come riconosciuto dallo stesso rimettente  -  a  decorrere  dall'anno
2008; 
        che pertanto, negli anni  dal  1993  al  1996,  gli  immobili
posseduti dagli IACP non godevano delle agevolazioni fiscali indicate
dal rimettente, con conseguente palese insussistenza della denunciata
disparita'  di  trattamento  rispetto  agli  immobili  posseduti  dai
Comuni.