Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita'  costituzionale  degli  articoli  17-bis,
comma 2, 23, quinto comma, e 24, primo comma, del  regio  decreto  22
gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative  e  di  attuazione  del  regio
decreto-legge 27  novembre  1933,  n.  1578,  sull'ordinamento  della
professione  di  avvocato  e  di  procuratore),  come  novellato  dal
decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 18 luglio 2003, n. 180 (Modifiche urgenti alla disciplina
degli esami di abilitazione alla professione forense),  promossi  dal
Tribunale amministrativo regionale della Lombardia con una  ordinanza
del 6 aprile  2010  e  con  quattro  ordinanze  dell'8  aprile  2010,
rispettivamente iscritte ai numeri 217,  218,  219,  220  e  221  del
registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  M.  G.  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 2011 e nella camera  di
consiglio  del  20  aprile  2011  il  Giudice   relatore   Alessandro
Criscuolo; 
    Udito l'avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia,  con
le cinque ordinanze  di  analogo  tenore  indicate  in  epigrafe,  ha
sollevato - in riferimento agli articoli 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della
Costituzione  -  questioni  di  legittimita'   costituzionale   degli
articoli 17-bis, comma 2, 23, quinto  comma,  24,  primo  comma,  del
regio decreto  22  gennaio  1934,  n.  37  (Norme  integrative  e  di
attuazione  del  regio  decreto-legge  27  novembre  1933,  n.  1578,
sull'ordinamento della professione di  avvocato  e  di  procuratore),
come novellato dal decreto-legge 21  maggio  2003,  n.112  (Modifiche
urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla  professione
forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio  2003,
n.  180,  nella  parte  in  cui   essi,   secondo   l'interpretazione
giurisprudenziale, costituente «diritto vivente»,  consentono  che  i
giudizi di non ammissione dei candidati che partecipano agli esami di
abilitazione alla professione forense  possano  essere  motivati  con
l'attribuzione di un mero punteggio numerico. 
    1.1. - In ciascuna ordinanza  il  rimettente  premette  che,  nei
giudizi a quibus, alcuni partecipanti alle prove  scritte  dell'esame
per l'abilitazione  all'esercizio  della  professione  forense  nella
sessione 2008, presso la Corte d'appello di Milano, hanno  impugnato,
chiedendone  l'annullamento,   previa   sospensione,   i   rispettivi
provvedimenti di  non  ammissione  alle  prove  orali,  deducendo  la
insufficienza della mera votazione numerica (senza segni grafici  che
ponessero in evidenza  le  parti  non  positivamente  valutate  dalla
commissione) e la impossibilita' di  ricostruzione  dell'iter  logico
attraverso il quale le commissioni  erano  addivenute  a  valutazioni
negative; che, in ogni giudizio, si e' costituito il Ministero  della
giustizia chiedendo che la questione  sia  dichiarata  manifestamente
infondata; che il Tribunale  amministrativo  ha  accolto  la  domanda
cautelare dei ricorrenti, al fine di consentire loro  lo  svolgimento
delle prove orali. 
    1.2. - Sotto il  profilo  della  rilevanza  delle  questioni,  il
giudice a quo osserva che, alla luce del quadro normativo in tema  di
svolgimento dell'esame di ammissione alla professione di avvocato,  i
ricorsi dovrebbero essere respinti. 
    Dopo  avere  riportato  il  contenuto  delle   norme   censurate,
sottolinea come, secondo l'orientamento ormai costante del  Consiglio
di Stato, non sarebbe  necessario  che  la  commissione  esaminatrice
supporti   l'indicazione   del   voto   numerico   con   un'ulteriore
motivazione. 
    In particolare, in base al suddetto indirizzo  giurisprudenziale,
la motivazione espressa numericamente  rappresenterebbe  in  se'  una
«motivazione sintetica»,  idonea  a  rendere  palese  la  valutazione
compiuta dalla commissione, esternata attraverso la  graduazione  del
voto e la omogeneita' del giudizio attribuito all'elaborato dai  suoi
componenti in base a criteri predeterminati. 
    Cio'   sarebbe   sufficiente   a    consentire    il    sindacato
giurisdizionale sul provvedimento di non ammissione alle prove orali,
nel  caso  di  discordanza  di  giudizi  tra  i   commissari   e   di
contraddizione,  nella  attribuzione  del  voto,  tra  specifici   ed
obiettivi elementi di fatto e i criteri di massima prestabiliti dalla
commissione esaminatrice. 
    Il rimettente ricorda che questa Corte, dando atto dell'esistenza
di  un  diverso  orientamento  della  giurisprudenza,   propenso   ad
ammettere la necessita'  della  motivazione  del  voto  numerico,  ha
dichiarato (con ordinanze n. 28 del 2006, n. 419 del 2005, n. 233 del
2001 e n. 466  del  2000)  manifestamente  inammissibili,  in  quanto
finalizzate ad ottenere un avallo  interpretativo,  le  questioni  di
legittimita' costituzionale della  disciplina  de  qua,  per  assunto
contrasto  con   i   principi   di   imparzialita'   della   pubblica
amministrazione e di tutela giurisdizionale in relazione agli atti di
essa. 
    Successivamente la Corte, considerando  ormai  «diritto  vivente»
l'indirizzo  giurisprudenziale  a  sostegno  della  sufficienza   del
punteggio numerico, ha, con sentenza n. 20 del 2009,  dichiarato  non
fondata  la  medesima  questione  di   legittimita'   costituzionale,
sollevata con riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma,  111,
primo e secondo comma, 113, primo comma, e 117, primo  comma,  Cost.,
in quanto i parametri evocati erano volti a presidiare  l'adeguatezza
degli strumenti processuali posti a disposizione per  la  tutela  dei
diritti e degli interessi legittimi (artt.  24  e  113),  nonche'  ad
assicurare la  parita'  delle  parti  nel  processo  (art.  111),  in
coerenza  con  i  principi  espressi   nella   Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(art. 117, primo comma), cioe'  garanzie  non  messe  in  discussione
dalle norme in questione. 
    1.3. - Di qui la nuova  proposizione  della  medesima  questione,
alla luce di diversi parametri concernenti  gli  aspetti  sostanziali
dell'esercizio della potesta' amministrativa. 
    Sotto il profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  in  primo
luogo, il giudice a quo pone  in  evidenza  il  collegamento  tra  il
requisito della motivazione degli atti  amministrativi  -  diretta  a
rendere  trasparente   e   controllabile   l'esercizio   del   potere
discrezionale della pubblica amministrazione  -  con  i  principi  di
imparzialita' dell'azione amministrativa e di parita' di  trattamento
dei cittadini sanciti dagli artt. 97 e 3 Cost. 
    In  alcune  pronunce  questa  Corte  avrebbe  affermato  che   la
necessaria motivazione degli  atti  amministrativi  costituirebbe  un
baluardo dei cittadini contro  un  esercizio  arbitrario  del  potere
discrezionale della pubblica amministrazione (sentenze n. 12 del 1972
e n. 12 del 1965), nonche' strumento  di  controllo  democratico  del
Parlamento su scelte lato sensu politiche dell'esecutivo (sentenza n.
86 del 1977). 
    Inoltre, la Corte avrebbe asserito  la  copertura  costituzionale
(art. 97 Cost.) dei principi sanciti dalla legge 7  agosto  1990,  n.
241 (Nuove norme in  materia  di  procedimento  amministrativo  e  di
diritto di accesso ai  documenti  amministrativi),  con  riguardo  al
giusto procedimento  e  alla  regola  della  motivazione  degli  atti
amministrativi, in quanto  l'esternazione  delle  ragioni  alla  base
delle  scelte  amministrative  garantirebbe  la  trasparenza   e   la
verificabilita'  delle  stesse,  anche  in  funzione  del   controllo
giurisdizionale (sentenze n. 34 del 2010; n. 390 del 2008; n. 103 del
2007, in  tema  di  spoil  system;  n.  377  del  2007,  in  tema  di
responsabile del procedimento nelle procedure tributarie). 
    Alla  luce  delle  suddette   argomentazioni,   ad   avviso   del
rimettente, la regola della  motivazione  degli  atti  amministrativi
dovrebbe applicarsi anche nei procedimenti valutativi  di  correzione
di elaborati scritti nell'ambito di concorsi pubblici o di  esami  di
abilitazione allo svolgimento  delle  professioni,  essendo  comunque
necessaria una adeguata giustificazione quanto ai criteri prescelti e
alla loro applicazione al caso concreto. 
    Infatti,  non  potendo  il  giudice  amministrativo  operare   un
autonomo apprezzamento della  situazione  di  fatto,  la  motivazione
costituirebbe lo strumento, attraverso il quale egli potrebbe operare
un «sindacato indiretto» sulla correttezza della  valutazione,  anche
sulla  base  della  verifica  della   attendibilita'   del   criterio
scientifico applicato. 
    Come gia' affermato da questa Corte, la trasparenza delle  scelte
amministrative  andrebbe  assicurata  anche  se  assunte  da   organi
tecnici,  in  quanto  il  carattere  non  politico  dell'organo   non
assicurerebbe l'imparzialita' dell'esercizio della funzione  pubblica
(sentenza n. 453 del 1990). 
    Ad avviso del rimettente, la mancanza di  motivazione  del  «voto
numerico» dei provvedimenti di non ammissione alle  prove  orali  dei
candidati partecipanti agli esami di  abilitazione  alla  professione
forense comporterebbe un difetto di trasparenza in contrasto  con  il
principio  di  imparzialita'  che   postula   la   conoscibilita'   e
pubblicita' delle  scelte  amministrative  anche  tecniche  (art.  97
Cost.), nonche' con il principio di uguaglianza e di pari dignita' di
tutti i cittadini di fronte all'esercizio del  potere  amministrativo
(art. 3 Cost.). 
    Peraltro, secondo il giudice a quo,  la  «sufficienza»  del  voto
numerico per i provvedimenti di non ammissione dei partecipanti  agli
esami di abilitazione alla professione forense contrasterebbe con gli
artt. 4 e 41 Cost., sotto il profilo dell'interesse legittimo (avente
natura sostanziale e non solo  processuale)  degli  stessi  candidati
all'accesso al lavoro, nonche' con l'art. 24 Cost., sotto il  profilo
dell'interesse della collettivita', e degli  aspiranti  all'esercizio
della professione,  alla  adeguatezza  e  preparazione  della  classe
forense, stante l'imprescindibile ruolo degli avvocati ai fini  della
rappresentanza in giudizio e quindi  dell'esercizio  del  diritto  di
difesa. 
    Infine, sarebbe violato anche l'art.  117  Cost.,  costituendo  i
principi del  giusto  procedimento  e  della  trasparenza  parte  del
«patrimonio  costituzionale  comune  dei  Paesi  europei»  in   forza
dell'art. 253 del Trattato istitutivo delle Comunita' europee del  25
marzo 1957, operante nell'ordinamento interno come  norma  interposta
in forza del richiamo operato dallo stesso art. 117 Cost. 
    Secondo il rimettente,  il  punteggio  numerico  indicherebbe  il
risultato  finale  della  valutazione,  ma   non   consentirebbe   di
comprendere  l'iter  logico  attraverso  il  quale   la   commissione
esaminatrice ha fatto applicazione dei criteri di valutazione da essa
stessa prestabiliti secondo legge. Il giudizio  espresso  in  termini
meramente numerici impedirebbe, pertanto,  ogni  forma  di  controllo
sulla scelta tecnico - discrezionale  e  ogni  «sindacato  indiretto»
sulla correttezza della valutazione della  commissione  esaminatrice,
in violazione dei principi di trasparenza e imparzialita' dell'azione
della pubblica amministrazione. 
    2. - In ciascun giudizio e' intervenuto, con atti  depositati  il
14  settembre  2010,  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate. 
    2.1. - La difesa dello Stato - dopo avere richiamato le  pronunce
di questa Corte sulla manifesta inammissibilita' delle questioni (con
riferimento all'art. 3 della legge n.  241  del  1990  e  alle  norme
denunciate nei giudizi in oggetto), in quanto finalizzate ad ottenere
un  avallo  interpretativo  sulla  inesistenza  di  un   obbligo   di
motivazione analitica per gli esami di abilitazione e i  concorsi  in
genere,  senza  che  tale  tesi  costituisse  «diritto   vivente»   -
sottolinea che la Corte stessa, con la sentenza n. 20 del 2009, preso
atto della consolidata giurisprudenza del Consiglio  di  Stato  sulla
sufficienza della motivazione espressa  con  punteggio  numerico,  ha
dichiarato non fondata la questione di  legittimita'  delle  medesime
norme denunciate nei giudizi in oggetto, in  riferimento  agli  artt.
24, 111, 113 e 117, primo comma, Cost.,  ritenendo,  in  sostanza,  i
parametri evocati operanti sul piano esclusivamente processuale. 
    Pertanto,  ad  avviso  della  Presidenza   del   Consiglio,   con
riferimento all'art. 24 Cost., la presente questione dovrebbe  essere
dichiarata manifestamente infondata. 
    2.2. - Per quanto concerne l'asserita violazione del principio di
uguaglianza ai sensi dell'art. 3 Cost.,  secondo  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri non sarebbe ravvisabile -  ne'  il  rimettente
chiarirebbe al riguardo alcunche' -  disparita'  di  trattamento  dei
candidati  all'esame  di  abilitazione  rispetto  all'esercizio   del
potere, posto  che  per  tutti  il  criterio  di  manifestazione  del
giudizio sarebbe estrinsecato con le medesime modalita'. 
    Quanto all'asserita  violazione  anche  dell'art.  97  Cost.,  la
difesa dello Stato pone in evidenza come l'art. 3 della legge n.  241
del 1990, collegando la motivazione alle risultanze dell'istruttoria,
farebbe riferimento all'attivita'  amministrativa  provvedimentale  e
non gia' all'attivita' valutativa di giudizio. 
    Ne conseguirebbe che  il  voto,  associato  ai  criteri  generali
definiti a livello normativo (d.l. n. 112 del 2003, convertito  dalla
legge n. 180 del 2003), nonche' ai criteri di massima stabiliti dalla
commissione esaminatrice, consentirebbe di ricostruire l'iter  logico
seguito nella valutazione degli  elaborati  scritti  da  parte  della
commissione medesima. 
    La motivazione espressa numericamente, dunque, sarebbe  in  grado
di assicurare la chiarezza sulle valutazioni di merito compiute dalla
commissione e garantirebbe il rispetto dei principi costituzionali di
economicita', efficienza e speditezza  dell'attivita'  amministrativa
(avuto   riguardo   anche   all'elevato   numero    di    esaminandi,
all'eterogeneita' della preparazione degli stessi  e  all'obbligo  di
concludere le operazioni in tempi strettissimi). 
    La  difesa  dello   Stato   sottolinea,   inoltre,   come   anche
nell'ordinamento scolastico il giudizio in ordine  alla  preparazione
di un candidato sia stato sempre espresso con  l'attribuzione  di  un
voto numerico (artt. 81 e 82 del regio decreto 6 maggio 1923, n. 1054
[Ordinamento della istruzione media e dei  convitti  nazionali]).  In
ordine alla asserita limitazione di tutela giurisdizionale in ipotesi
di giudizi espressi in termini meramente numerici, il Presidente  del
Consiglio dei ministri evidenzia che le valutazioni delle commissioni
giudicatrici  degli  esami  di  abilitazione  o  dei  concorsi   sono
sindacabili   per   sviamento   logico,    errore    di    fatto    e
contraddittorieta'  rilevabile  ictu  oculi,  per  cui  la  affermata
«idoneita'»  del  punteggio  numerico  ad  integrare   l'obbligo   di
motivazione non farebbe venire  meno  la  possibilita'  di  sindacato
giurisdizionale  sulla  ragionevolezza,  coerenza,  logicita'   della
valutazione (anche sulla base del  possibile  accesso  agli  atti  di
competizione). 
    Quanto alla necessita' di assicurare la trasparenza delle  scelte
amministrative anche quando queste siano assunte da  organi  tecnici,
la difesa erariale richiama la pronuncia di  questa  Corte,  in  base
alla  quale   l'imparzialita'   dell'amministrazione   sarebbe   gia'
sufficientemente garantita dal carattere tecnico e non politico degli
organi amministrativi che procedono alla correzione degli elaborati. 
    Pertanto, anche con riguardo  agli  evocati  artt.  3  e  97,  la
questione andrebbe dichiarata manifestamente infondata. 
    2.3. - Con riferimento alla assunta violazione degli artt. 4 e 41
Cost.,  sotto  il  profilo  dell'interesse  all'accesso   al   lavoro
(subordinato o autonomo)  dei  candidati  partecipanti  all'esame  di
abilitazione all'esercizio della professione forense, la difesa dello
Stato sottolinea come, con specifico riferimento allo «statuto» delle
libere professioni, il  riconoscimento  in  capo  agli  Ordini  e  ai
Collegi professionali  di  particolari  poteri  di  accertamento  dei
requisiti  di  capacita'  e  idoneita'  di  coloro  che  aspirino   a
esercitare la professione (ad esempio: possesso di titolo di  studio;
esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio  della  professione),
di vigilanza sull'esercizio della professione  e  di  disciplina  nei
confronti    degli    iscritti,    garantirebbe    la    preparazione
tecnico-professionale  e  l'idoneita'  morale  degli   esercenti   la
professione  forense,  interessi  il  cui  fondamento  costituzionale
sarebbe da rinvenire  proprio  nell'art.  41,  secondo  comma,  Cost.
(l'attivita' economica privata non puo' svolgersi  in  contrasto  con
l'utilita' sociale,  o  in  modo  da  recare  danno  alla  sicurezza,
liberta' e dignita' umana). 
    La votazione costituirebbe una  sintesi  delle  ragioni  poste  a
fondamento della valutazione delle prove  scritte,  percepibili  ictu
oculi attraverso la semplice associazione della stessa con i  criteri
generali indicati sul  piano  normativo  e  integrati  dalla  singola
commissione esaminatrice. La finalita' di  tale  valutazione  sarebbe
quella di accertare la capacita'  e  la  preparazione  culturale  del
candidato  che  intenda  espletare   la   professione   forense   (la
sufficienza dell'onere motivazionale e' stata affermata dal Consiglio
di Stato, anche in relazione al concorso per uditore giudiziario). 
    2.4.  -  Quanto  all'asserita  violazione  dell'art.  117  Cost.,
attraverso la norma interposta di cui all'art. 253  del  Trattato  CE
(attualmente art. 296 TFUE), la difesa  dello  Stato  rileva  che  il
diritto  comunitario  non  disciplina  le  modalita'  in  cui   detta
motivazione deve essere esternata, potendosi ritenere conforme a tale
diritto anche la manifestazione di  giudizio  sintetizzata  nel  voto
numerico. Ad avviso del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  non
risulterebbe neanche invocabile l'obbligo  per  l'amministrazione  di
motivare le proprie decisioni ai sensi del Trattato 29  ottobre  2004
(Trattato  che  adotta  una   Costituzione   per   l'Europa),   norma
applicabile «agli Stati  membri  esclusivamente  nell'attuazione  del
diritto dell'Unione» (art. II-111, comma  1),  mentre  la  disciplina
degli esami di abilitazione all'esercizio della  professione  forense
non sarebbe attinente all'attuazione del diritto comunitario. 
    Anche sotto quest'ultimo profilo, la  questione  di  legittimita'
costituzionale sarebbe manifestamente infondata. 
    3. - Con riferimento al giudizio r. o. n. 219  del  2010,  si  e'
costituito, con memoria depositata il 13 settembre 2010, il signor G.
M., chiedendo la declaratoria di illegittimita' costituzionale  delle
norme  censurate,  in  riferimento  ai  medesimi  parametri   evocati
nell'ordinanza di rimessione. 
    3.1. - In punto di fatto, la  parte  privata  premette  che  essa
aveva partecipato agli  esami  di  abilitazione  all'esercizio  della
professione di avvocato nella  sessione  2008,  presso  la  Corte  di
appello di Milano; che l'esito della valutazione delle prove  scritte
era  stato  negativo;  che  aveva  impugnato   dinanzi   al   giudice
amministrativo il  giudizio  di  non  ammissione  alle  prove  orali,
espresso con voto numerico completamente immotivato; che il Ministero
della giustizia si era costituito in giudizio, chiedendo  il  rigetto
del ricorso;  che,  in  via  cautelare,  essa  era  stata  ammessa  a
sostenere le prove orali, poi superate in data 12 novembre 2009. 
    In punto di diritto, la parte privata sottolinea che l'obbligo di
motivazione del provvedimento  amministrativo,  sancito  dall'art.  3
della legge n. 241 del 1990, troverebbe uniforme applicazione, con la
sola eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale.
Inoltre, pone in evidenza che l'indicazione dei «presupposti fatto  e
delle  ragioni  giuridiche  che  hanno   determinato   la   decisione
dell'amministrazione» sarebbe necessaria per  la  verifica  dell'iter
logico  seguito  dall'autorita'  nell'adozione  del  provvedimento  e
l'obbligo di motivazione costituirebbe il corollario del principio di
buon andamento dell'Amministrazione enunciato nell'art. 97 Cost. 
    L'obbligo di motivazione  degli  atti  amministrativi  troverebbe
fondamento  anche  a  livello  di   diritto   comunitario,   tutelato
attraverso l'art. 117 Cost., e sarebbe da  ritenere  sufficientemente
adempiuto allorche' l'autorita' procedente esponga in modo plausibile
le ragioni di fatto e di diritto a sostegno dell'atto adottato. 
    Pertanto, la parte privata ritiene che le disposizioni  censurate
debbano essere lette ed integrate con l'art. 3 della legge n. 241 del
1990, essendo la motivazione  finalizzata  a  rendere  trasparente  e
controllabile l'esercizio del  potere  discrezionale  della  pubblica
amministrazione, garantendone l'imparzialita' (art. 97  Cost.)  e  la
parita' di trattamento dei cittadini di fronte alla medesima (art.  3
Cost.). 
    Al riguardo, segnala la molteplicita' dei casi  in  cui,  proprio
perche' carenti di motivazione, le valutazioni  delle  prove  scritte
degli  esami  di  abilitazione  o  di  concorso  sarebbero  risultate
totalmente diverse a seconda della commissione giudicatrice, deputata
alla  correzione.  Soltanto   una   valutazione   motivata   potrebbe
assicurare la conoscibilita' dei motivi di tali discrepanze. 
    Ne',   ad   avviso   della   parte    privata,    sussisterebbero
insormontabili ragioni pratiche di speditezza idonee ad  impedire  la
motivazione del  voto  negativo  delle  prove  d'esame  (ad  esempio,
sottolineatura dei brani censurati e/o indicazione  delle  parti  del
brano contenenti errori o insufficienze). 
    Infine,  la  parte  suddetta  sottolinea  l'interesse  al  lavoro
(subordinato o autonomo) dei candidati che partecipano  all'esame  di
abilitazione all'esercizio della professione forense (artt.  4  e  41
Cost.),  nonche'  l'interesse  della  collettivita'  e  degli  stessi
aspiranti  alla  detta  professione  affinche'   sia   garantita   la
professionalita' di coloro che superano l'esame  di  abilitazione  ai
fini della rappresentanza in giudizio  e  dunque  dell'esercizio  del
diritto  di  difesa  (art.  24  Cost.).  Tali   interessi   sarebbero
soddisfatti  esclusivamente   attraverso   la   esternazione   e   la
conoscibilita' delle motivazioni dei giudizi di non  ammissione  agli
esami di abilitazione all'esercizio della professione forense. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia,  con
le cinque ordinanze di analogo tenore indicate in  epigrafe,  dubita,
in  riferimento  agli  articoli  3,  4,  24,  41,  97  e  117   della
Costituzione, della legittimita' costituzionale degli  artt.  17-bis,
comma 2, 23, quinto comma, 24, primo  comma,  del  regio  decreto  22
gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative  e  di  attuazione  del  regio
decreto-legge 27  novembre  1933,  n.  1578,  sull'ordinamento  della
professione  di  avvocato  e  di  procuratore),  come  novellato  dal
decreto-legge  21  maggio  2003,  n.112   (Modifiche   urgenti   alla
disciplina degli esami di  abilitazione  alla  professione  forense),
convertito, con modificazioni, dalla legge  18  luglio  2003,  n.180,
nella parte in cui essi, secondo l'interpretazione  giurisprudenziale
costituente «diritto  vivente»,  consentono  che  i  giudizi  di  non
ammissione dei candidati che partecipano agli esami  di  abilitazione
all'esercizio della professione forense possano essere  motivati  con
l'attribuzione di un mero punteggio numerico. 
    In ciascun giudizio il rimettente premette che, alla  luce  della
normativa censurata, i ricorsi, proposti dalle parti private  avverso
i provvedimenti di non ammissione alle  prove  orali  dell'esame  per
l'iscrizione all'albo degli  avvocati,  dovrebbero  essere  respinti.
Infatti, tale normativa, secondo un  orientamento  del  Consiglio  di
Stato  divenuto  ormai  costante,  escluderebbe  che  la  commissione
esaminatrice, nel procedere alla correzione  degli  elaborati,  debba
supportare  l'indicazione  del  voto  numerico  con   una   ulteriore
motivazione.   Cio'   perche'   il   voto   espresso    numericamente
costituirebbe in se' una motivazione sintetica, ma comunque idonea  a
rendere palese la valutazione compiuta dalla  commissione,  esternata
attraverso la graduazione  del  voto  e  l'omogeneita'  del  giudizio
attribuito all'elaborato. 
    Tanto  sarebbe  sufficiente  a  rendere  possibile  il  sindacato
giurisdizionale sul provvedimento di non ammissione che, in  presenza
dell'ampio  potere  tecnico-discrezionale   spettante   agli   organi
preposti alla valutazione, potrebbe  avvenire  soltanto  in  caso  di
espressione  di  giudizi  discordanti   tra   i   commissari   o   di
contraddizione tra specifici elementi di fatto, i criteri di  massima
prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto. 
    Il  giudice  a  quo  richiama  i  precedenti  di  questa   Corte,
menzionati in narrativa,  e  pone  l'accento  sull'ordinanza  (recte:
sentenza) n. 20 del 2009, che ha  preso  atto  dell'evoluzione  della
giurisprudenza  del  Consiglio  di  Stato,  ormai   consolidata   sul
principio della sufficienza del punteggio  numerico,  da  considerare
diritto vivente e, quindi, suscettibile  di  essere  sottoposto  allo
scrutinio di legittimita' costituzionale, sia pur pervenendo  ad  una
declaratoria di non fondatezza in base ai parametri  in  quella  sede
evocati.  Tuttavia,  ritiene  che  la  questione  meriti  di   essere
riesaminata, alla luce  delle  argomentazioni  del  pari  esposte  in
narrativa. 
    2. - I cinque giudizi, aventi  ad  oggetto  identiche  questioni,
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione. 
    3. - Le questioni non sono fondate. 
    L'art. 17-bis, comma 2, del r.d. n. 37  del  1934,  e  successive
modificazioni, nel testo vigente stabilisce che «Per  ciascuna  prova
scritta ogni componente delle commissioni d'esame  dispone  di  dieci
punti di merito; alla  prova  orale  sono  ammessi  i  candidati  che
abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo
di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a  30  punti  per
almeno due prove». 
    L'art. 23, quinto comma, del medesimo testo normativo dispone che
«La commissione assegna  il  punteggio  a  ciascuno  dei  tre  lavori
raggruppati ai sensi dell'art. 22, comma 4, dopo la lettura di  tutti
e tre, con le norme stabilite nell'articolo 17-bis». 
    Infine, l'art. 24, primo comma, del r.d. n. 37 del 1934 statuisce
che «Il voto  deliberato  deve  essere  annotato  immediatamente  dal
segretario, in tutte lettere, in calce al  lavoro.  L'annotazione  e'
sottoscritta dal presidente e dal segretario». 
    Come si vede,  il  criterio  prescelto  dal  legislatore  per  la
valutazione delle prove scritte  nell'esame  de  quo  e'  quello  del
punteggio numerico, costituente  la  modalita'  di  formulazione  del
giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con
indicazione  del  punteggio  complessivo   utile   per   l'ammissione
all'esame orale. 
    Tale punteggio, gia' nella varieta' della graduazione  attraverso
la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in  modo
sintetico,  si  traduce  in  un  giudizio   di   sufficienza   o   di
insufficienza,  a  sua  volta  variamente  graduato  a  seconda   del
parametro numerico attribuito al candidato, che non  solo  stabilisce
se quest'ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per  accedere
alla fase successiva del procedimento valutativo, ma da' anche  conto
della   misura   dell'apprezzamento   riservato   dalla   commissione
esaminatrice all'elaborato  e,  quindi,  del  grado  di  idoneita'  o
inidoneita' riscontrato. 
    Inoltre, il punteggio espresso deve trovare  specifici  parametri
di riferimento nei criteri di valutazione contemplati  nell'art.  22,
nono comma,  del  regio  decreto-legge  27  novembre  1933,  n.  1578
(Ordinamento  della  professione  di   avvocato),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36; ed e'  soggetto  a
controllo da parte del giudice amministrativo che,  pur  non  potendo
sostituire  il  proprio   giudizio   a   quello   della   commissione
esaminatrice, puo' tuttavia sindacarlo, nei casi  in  cui  sussistano
elementi in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o
profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, previo accesso  agli
atti del procedimento. 
    3.1.  -  In  questo  quadro,  le   argomentazioni   addotte   dal
rimettente, con riferimento ai parametri costituzionali evocati,  non
possono essere condivise. 
    Infatti,  e'  vero  che  la  motivazione  e'  diretta  a  rendere
trasparente  e  controllabile  l'esercizio   della   discrezionalita'
amministrativa,  garantendo  cosi'  l'imparzialita'  della   pubblica
amministrazione nonche' la parita' di trattamento  dei  cittadini  di
fronte ad essa. Non e' esatto, pero', che il criterio  del  punteggio
numerico  sia  inidoneo  a  costituire   motivazione   del   giudizio
valutativo espresso dalla commissione esaminatrice. 
    Come poco  sopra  si  e'  notato,  il  detto  criterio  (peraltro
diffusamente adottato nelle  procedure  concorsuali  ed  abilitative)
rivela una  valutazione  che,  attraverso  la  graduazione  del  dato
numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza  o  di  insufficienza
della prova espletata e, nell'ambito di tale giudizio,  rende  palese
l'apprezzamento piu' o meno elevato che la  commissione  esaminatrice
ha attribuito  all'elaborato  oggetto  di  esame.  Pertanto,  non  e'
sostenibile che il punteggio  indichi  soltanto  il  risultato  della
valutazione. Esso, in realta', si traduce in un giudizio  complessivo
dell'elaborato, alla luce dei parametri dettati  dall'art.  22,  nono
comma, del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, suscettibile di  sindacato
in sede giurisdizionale, nei limiti individuati dalla  giurisprudenza
amministrativa. 
    D'altro canto, va anche considerato che il criterio in  questione
risponde ad esigenze di  buon  andamento  dell'azione  amministrativa
(art.  97,  primo  comma,  Cost.),  che  rendono  non  esigibile  una
dettagliata esposizione, da  parte  delle  commissioni  esaminatrici,
delle ragioni che hanno condotto ad un  giudizio  di  non  idoneita',
avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o
abilitative devono essere portate a compimento,  sia  al  numero  dei
partecipanti alle prove. 
    Neppure puo' sostenersi che la normativa censurata  si  ponga  in
contrasto con l'art. 3, comma 1, della legge 7 agosto  1990,  n.  241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di accesso  ai  documenti  amministrativi).  Fermo  restando  che  il
criterio del punteggio numerico e' idoneo ad  esprimere  un  giudizio
sufficientemente motivato, si deve osservare che il  citato  art.  3,
comma 1, va coordinato con l'art. 1, comma 1, della medesima legge n.
241 del 1990, in forza del quale l'attivita' amministrativa e'  retta
(tra gli altri) da  criteri  di  economicita'  e  di  efficacia,  che
giustificano  la  scelta   del   modulo   valutativo   adottato   dal
legislatore. 
    3.2. -  Cio'  posto,  venendo  all'esame  dei  singoli  parametri
evocati dalle ordinanze di rimessione, va rilevato  che  il  richiamo
all'art. 3 Cost. non e' fondato. 
    Al riguardo, il TAR della Lombardia ritiene  che  l'insufficienza
del criterio del punteggio numerico darebbe luogo ad  un  difetto  di
trasparenza  che  si  porrebbe  «in  inevitabile  contrasto  con   il
principio di imparzialita' che postula, invece, la  conoscibilita'  e
la  pubblicita'  delle  scelte  amministrative,  finendo  anche   per
riverberarsi a danno della posizione di uguaglianza e  pari  dignita'
di  tutti  i   cittadini   di   fronte   all'esercizio   del   potere
amministrativo». 
    Tuttavia, ribadite  le  considerazioni  sopra  esposte  circa  la
sufficienza della motivazione espressa tramite il punteggio numerico,
si deve escludere il difetto di trasparenza lamentato dal rimettente;
e, quanto  alla  censura  concernente  il  danno  alla  posizione  di
uguaglianza e pari  dignita'  di  tutti  i  cittadini,  essa  risulta
proposta in termini generici  ed  astratti,  che  non  consentono  di
coglierne la riferibilita' alla fattispecie, dato che il criterio  di
esternazione del giudizio tramite punteggio numerico si  applica  con
le stesse modalita' a tutti i candidati agli esami di cui si tratta. 
    Analoghi  rilievi  valgono  anche  per  la  censura   mossa   con
riferimento all'art. 97 Cost., alla luce di quanto sopra esposto. 
    Inoltre, ad avviso del giudice a quo, sarebbero violati gli artt.
4 e 41 Cost.,  perche'  sarebbe  pregiudicato  l'interesse  legittimo
(avente natura sostanziale e non soltanto processuale) dei  candidati
partecipanti  all'esame  di  abilitazione  professionale,  sotto   il
profilo dell'accesso al lavoro subordinato o autonomo. 
    Neppure questa doglianza e' fondata. 
    La normativa censurata si limita ad individuare, in base  ad  una
scelta del legislatore immune da irragionevolezza  e  non  arbitraria
(per quanto sopra detto), un criterio di valutazione delle  prove  di
esame per abilitazione all'esercizio della  professione  forense.  Il
Tribunale rimettente sostiene che la trasparenza  dell'operato  delle
commissioni esaminatrici sarebbe imposta dal  rilievo  costituzionale
degli interessi implicati nel procedimento. Ma gia' si e'  visto  che
il sistema individuato dal legislatore e' in grado di assicurare tale
trasparenza, onde la dedotta violazione non sussiste. 
    La violazione dell'art. 24 Cost. va, a sua volta, esclusa. 
    Invero, come gia' questa Corte ha chiarito (sentenza  n.  20  del
2009  e  giurisprudenza  in  essa  richiamata),   la   citata   norma
costituzionale,  che  enuncia  il  principio  dell'effettivita'   del
diritto di  difesa  in  ambito  generale,  e'  diretta  a  presidiare
l'adeguatezza  degli  strumenti  processuali  posti  a   disposizione
dall'ordinamento  per  la  tutela  in   giudizio   delle   situazioni
giuridiche ed opera esclusivamente sul piano processuale,  mentre  la
denunziata illegittimita'  costituzionale  concerne  un  momento  del
procedimento amministrativo che disciplina lo svolgimento degli esami
per l'abilitazione all'esercizio della professione forense e, dunque,
riguarda il  profilo  sostanziale  dei  requisiti  di  validita'  del
provvedimento di esclusione del candidato.  Pertanto,  la  disciplina
censurata, che non preclude il ricorso al giudice amministrativo, non
e'  idonea  ad  interferire  col  diritto  di  difesa  e  si  sottrae
all'ambito applicativo del citato art. 24. 
    Infine, il rimettente dubita  della  legittimita'  costituzionale
della  norma  censurata  in  riferimento  all'art.  117   Cost.   (da
intendere, alla luce della lettura congiunta della motivazione e  del
dispositivo delle ordinanze, come  art.  117,  primo  comma,  Cost.).
Infatti, i principi del giusto procedimento e della motivazione delle
scelte  amministrative  «non  sono  di  esclusiva  pertinenza   della
legislazione  interna   ma   costituiscono   parte   del   patrimonio
costituzionale comune dei Paesi europei in forza  dell'art.  253  del
Trattato istitutivo delle Comunita' europee ed operano, quindi, anche
nell'ordinamento interno come norme interposte in forza del  richiamo
operato dall'art. 117 Cost. (Corte costituzionale, 17 marzo 2006,  n.
104)». 
    Neppure tale doglianza e' fondata. 
    Infatti, a prescindere dall'erronea qualificazione dell'art.  253
del Trattato istitutivo delle Comunita' europee  del  25  marzo  1957
(oggi art. 296 del Trattato sul  funzionamento  dell'Unione  europea)
come norma interposta, la  disciplina  degli  esami  di  abilitazione
all'esercizio della professione forense  non  rientra  nel  campo  di
applicazione del diritto comunitario. 
    Ne segue l'inconferenza del richiamo all'art. 117,  primo  comma,
Cost. 
    3.3.   -   Conclusivamente,   le   questioni   di    legittimita'
costituzionale, sollevate dalle ordinanze di rimessione  indicate  in
epigrafe, devono essere dichiarate non fondate.