IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 2256 del 2006, proposto da: Collana Carmelo, rappresentato e difeso dagli avv. Girolamo Rubino, Valentina Blunda, con domicilio eletto presso Girolamo Rubino in Palermo, via G. Oberdan, 5; Contro Ufficio Territoriale del Governo di Agrigento, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Stato, domiciliata per legge in Palermo, via A. De Gasperi 81; Comune di Canicatti', rappresentato e difeso dall'avv. Livia Lo Cascio, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Palermo, via Butera, 6; Per l'annullamento diniego istanza di attribuzione qualifica di agente di pubblica sicurezza. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo di Agrigento e di Ministero dell'Interno e di Comune di Canicatti'; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2011 il dott. Pier Luigi Tomaiuoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; F a t t o Il signor Carmelo Collana e' stato assunto, unitamente ad altri sedici persone, dal Comune di Canicatti' con la qualifica di vigile urbano dal 30 dicembre 2004. Il Sindaco di Canicatti', il successivo 14 marzo 2005, formulava richiesta al Prefetto di Agrigento perche' conferisse la qualifica di agente di pubblica sicurezza, ai sensi dell'art. 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65, ai diciassette dipendenti assunti come vigili urbani. L'autorita' prefettizia accoglieva l'istanza per sedici dipendenti, ma non per il signor Collana, respingendo l'istanza del sindaco con decreto 21 agosto 2006. Avvero tale atto e' stato proposto ricorso avanti questo Tribunale amministrativo regionale contestandosene la legittimita' sotto i seguenti profili: 1) Violazione e falsa applicazione dell'articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla legge 15 del 2005; 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 65 del 1986; eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria ed illogicita', violazione falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione; 3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773; eccesso di potere. Si costituivano in giudizio l'Amministrazione intimata con memoria di mera forma e il Comune di Canicatti' con tesi del tutto favorevoli al ricorrente anche tramite una riproduzione delle medesime difese. All'udienza del 22 febbraio la causa e' stata assegnata in decisione. D i r i t t o Il signor Carmelo Collana ha impugnato il decreto prefettizio in epigrafe deducendo tre ordini di motivi. Con il primo si lamenta la violazione dell'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 per mancato preavviso del provvedimento negativo. Il motivo e' inammissibile, posto che la domanda di conferimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza e' stata presentata al Prefetto di Agrigento dal Comune di Canicatti' e non gia' dall'odierno ricorrente, che non ha acquisito, in tale contesto, la qualita' di parte istante ai fini e agli effetti previsti dalla norma della quale denuncia la violazione. Quand'anche si vagliasse l'ammissibilita' del gravame, lo stesso non costituirebbe ragione risolutiva e non consentirebbe in ogni caso l'acquisizione del bene della vita al quale tende il ricorrente, ma semplicemente una reiterazione della procedura con dilatazione di tempi non certo consona al principio di economia processuale. Il terzo motivo e' subordinato alla reiezione dei primi due e concerne la conformita' dei giudizi espressi dagli Uffici governativi, ove si ritenga superabile la doglianza proposta con il secondo mezzo. Quest'ultimo concerne la violazione dell'art. 5, comma 2 della legge 7 marzo 1986, n. 65, che recita: «2. A tal fine il prefetto conferisce al suddetto personale, previa comunicazione del sindaco, la qualita' di agente di pubblica sicurezza, dopo aver accertato il possesso dei seguenti requisiti: a) godimento dei diritti civili e politici; b) non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo o non essere stato sottoposto a misura di prevenzione; c) non essere stato espulso dalle Forze armate o dai Corpi militarmente organizzati o destituito dai pubblici uffici.». Secondo il ricorrente il Prefetto di Agrigento ha violato la norma qui trascritta estendendo la valutazione di conferibilita' della qualita' di agente di pubblica sicurezza oltre gli ambiti prefissati fino a sindacare la posizione familiare (con pericoli connessi di infiltrazione mafiosa) nonche' quella comportamentale del soggetto per il quale era stata presentata richiesta. L'assunto dell'esponente e' confermato da un consolidato indirizzo giurisprudenziale dei Tar e del Consiglio di Stato secondo il quale il conferimento (e la revoca) da parte dell'autorita' prefettizia della qualita' di agente di p.s., al personale addetto alla polizia municipale costituiscono atti vincolati, privi di qualsiasi margine di discrezionalita' (Tar Campania, Napoli, IV, 23 marzo 2010, n. 1560; Tar Lombardia, Milano, III, 31 luglio 2006, n. 1891; C.d.S., VI, 31 gennaio 2006, n. 309; Tar Toscana, II, 21 dicembre 2005, n. 8869; C.d.S., IV, 30 settembre 2002, n. 4982; C.G.A., 26 febbraio 1998, n. 70). La norma invocata sarebbe senz'altro applicabile al caso di specie con l'effetto di un accoglimento del gravame e la legittimazione all'espletamento delle funzioni di pubblica sicurezza, seppure limitate alle previsioni del primo comma del citato art. 5 della legge n. 65 del 1986, per un soggetto nei confronti del quale il Prefetto di Agrigento ha svolto due diverse valutazioni negative: una concernente l'ambito parentale (per essere il padre e lo zio del medesimo sospettati ed indiziati di affiliazione ad organizzazione mafiosa e il germano dello stesso condannato per spaccio di sostanze stupefacenti, anche se successivamente riabilitato) e l'altra il contegno dell'interessato (che risulta accompagnarsi con soggetti dediti all'uso e allo spaccio di sostanze stupefacenti ed appartenenti alla criminalita' sia comune sia organizzata). L'applicazione del precetto nei sensi ribaditi dalla giurisprudenza su richiamata appare largamente diatonica sia con i principi costituzionali relativi alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica e alla riserva delle attribuzioni agli uffici governativi sia con i presidi, conseguenti ai su citati principi, predisposti dall'ordinamento a tutela del buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione a fronte di attivita' anche esterne allo stesso apparato pubblico, ma che assumono il massimo rilievo quando a fruire (o comunque ad acquisire) le medesime sia una p.a. (la legislazione in materia di infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici ne e' prova evidente: legge 31 maggio 1965, n. 575; decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490; decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252). In altre parole: un quadro parentale e comportamentale che potrebbe giustificare la c.d. informativa prefettizia atipica, con effetti talora dirompenti su aggiudicazioni e contratti in essere con soggetti pubblici dovrebbe essere ritenuto irrilevante relativamente al conferimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza. In realta' il diritto vivente, rispetto alla chiara incongruenza tra una serie troppo ristretta di requisiti per il conferimento della predetta qualita', ha preferito usare un argomento che tanto logico non appare, re melius perpensa. Esso consiste nell'affermazione che il requisito della buona condotta, previsto peraltro dall'art. 11 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, sarebbe gia' stato acquisito dall'Amministrazione di appartenenza del pubblico dipendente (in questo caso il Comune di Canicatti') e che, conseguentemente, un allargamento degli accertamenti dell'autorita' prefettizia si rivelerebbe del tutto superfluo (cosi' C.d.S., IV, 30 settembre 2002, n. 4982). La certificazione della buona condotta, quando quest'ultima in concreto sussista (il che viene qui ammesso per ipotesi), va riferita a un modello valutativo diverso e meno ampio di quello preso in esame dal Prefetto di Agrigento in relazione a un contesto di istanze e cautele a garanzia dei valori prefigurati nella legislazione di contrasto ai fenomeni di criminalita' comune e organizzata. Si vuol dire che l'ordine e la sicurezza pubblica sono attribuzioni che, in base alla corrispondenza con funzioni legislative riservate (art. 117, comma 2 lettera h) della Costituzione), non possono essere dislocate in soggetti diversi da quelli che tale compito hanno specificamente: le autorita' governative, rispetto alle quali le autonomie locali non possono vantare alcuna riserva espressa di sindacato, quale in fondo si realizzerebbe se il quadro valutativo proprio di queste ultime dovesse prevalere nell'ambito proprio della pubblica sicurezza. La norma della quale si sospetta la parziale illegittimita' costituzionale (cioe' l'art. 5, comma 2 della legge n. 65 del 1986) si pone invero in contrasto con l'assoluta prevalenza, nel senso di prerogativa, delle funzioni conferite al Prefetto e al Questore della Provincia in materia di sicurezza pubblica, consentendo, a questa stregua, un risultato a dir poco abnorme: legittimare l'ingresso nell'organizzazione ampia della pubblica sicurezza di un soggetto che, per le stesse ragioni, potrebbe non essere neppure parte di un contratto d'appalto o di fornitura con una pubblica amministrazione. Si ravvisa pertanto la piena rilevanza della questione e la sua non manifesta infondatezza alla luce delle considerazioni appena svolte. Di qui la necessita' di investire del problema il Giudice delle Leggi sollevando d'ufficio la questione della legittimita' costituzionale del citato art. 5, comma 2 della legge 7 marzo 1986, n. 65 alla stregua dei seguenti parametri: articoli 3, 97 e 117 comma 2 lettera h) della Costituzione attesa l'evidente incongruenza ed irragionevolezza della norma che, in carenza di rinvii alla generale potesta' di accertamento e tutela del prefetto in subiecta materia, autorizza un soggetto ritenuto inidoneo dall'autorita' di pubblica sicurezza, legittimata per riserva espressa legislativa estesa al fenomeno attributivo in virtu' della sussidiarieta' verticale (Corte cost. n. 303/2003), all'esercizio di funzioni incompatibili con il giudizio espresso dalla medesima autorita'. La norma denunciata veicola, di conseguenza, un disvalore assegnando al giudizio degli enti locali non forniti della necessarie competenze ed informazioni una prevalenza illogica ed incongrua rispetto alle valutazioni degli organi deputati alla pubblica sicurezza in ragione del sistema delle attribuzioni prefigurato anche a livello costituzionale. Ne deriva altresi' l'evidente violazione del parametro del buon andamento ed imparzialita' dell'Amministrazione debilitato dal possibile inserimento di soggetti inidonei alla funzione loro assegnata; art. 3 quale principio emergente della coerenza e ragionevolezza intrinseca dell'intero sistema ordinamentale che ha precostituito tutele avanzate rispetto a fenomeni di infiltrazione malavitosa e comunque di vicinanza rispetto alla criminalita' comune ed organizzata e che, con la norma denunciata, non salvaguarda le potesta' di garanzia a quelle finalita' preordinate, consentendo l'inserimento nel comparto della sicurezza pubblica di soggetti privi, per giudizio delle autorita' riservatarie, delle caratteristiche idonee per l'espletamento delle funzioni ed anzi possibili attori di contrasto delle iniziative per la difesa della legalita'.