LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato al seguente ordinanza sul ricorso proposto da: 
        1) El Sobky Adel Kamel Moohamed Farag n. il 1° ottobre 1958; 
        2) Darwish Mohamed Shaban Ismail n. l'8 febbraio 1984; 
        3) Abdel Rahaman Ahmed Abdelmonem n. il 9 ottobre 1971; 
        4) Abdel Rahaman Abdel Alin Tarek n. il 25 gennaio 1966; 
    Avverso l'ordinanza n. 3252/2010 trib. Liberta' di  Roma,  del  3
novembre 2010; 
    Sentita la relazione fatta dal  Consigliere  Dott.  Luigi  Pietro
Caiazzo; 
    Lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Oscar Cedrangolo che ha
concluso per l'inammissibilita' del ricorso. 
    Uditi i difensori/avv. Arcangelo Barone e avv. Carlo Corbucci che
hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. 
    Con ordinanza in data 3  novembre  2010  il  Tribunale  di  Roma,
richiesto ex art. 309 c.p.p.  di  riesaminare  l'ordinanza  cautelare
emessa dal GIP del Tribunale di Latina in data 19 ottobre  2010,  con
la quale era stata disposta la  custodia  cautelare  in  carcere  nei
confronti di El Sobky Adel  Kamel  Moohamed  Farag,  Darwish  Mohamed
Shaban Ismail, Abdel Rahaman Ahmed Abdelmonem e Abdel  Rahaman  Abdel
Alin Tarek, cittadini egiziani  da  tempo  residenti  in  Italia,  ha
confermato il provvedimento impugnato. 
    Ai predetti  indagati  e'  contestato  il  delitto  di  cui  agli
articoli 110 c.p. e 12/ comma 3 lettere a),  b),  d)  del  d.lgs.  25
luglio 1998 n. 286, per aver compiuto tra il 3 e 4 ottobre 2010  atti
diretti a procurare  illegalmente  l'ingresso  nel  territorio  dello
Stato di stranieri, giunti con un peschereccio davanti alla costa  di
Borgo Grappa, trasportandoli a terra con un  gommone  e  conducendoli
presso l'abitazione di El Sobky Ade, Kamel Moohamed  Farag,  sita  in
Anzio. 
    Si tratta della ipotesi autonoma  del  reato  di  favoreggiamento
della immigrazione clandestina aggravata in relazione al  numero  dei
migranti trasportati, alle condizioni di pericolo in cui si e' svolto
il trasporto e al numero dei concorrenti nel reato. 
    Il Tribunale del riesame riteneva che la sostenuta estraneita' ai
fatti di El Sobky  non  fosse  logicamente  plausibile  e  che  fosse
smentita dal racconto di Daniela Lei, la quale aveva  riferito  dello
stato di agitazione del  predetto  -  evidentemente  coinvolto  nella
temporanea destinazione del suo appartamento a rifugio di clandestini
- quando, poche ore dopo l'ingresso di costoro nell'appartamento, gli
aveva chiesto cosa stesse succedendo. 
    La tesi degli scopi umanitari che avrebbero ispirato la  condotta
di Darwish Mohamed Shaban Ismail era in contrasto con  il  ruolo  nel
trasporto dei clandestini  dal  peschereccio  a  terra  svolto  dallo
stesso, che aveva a questo scopo acquistato un gommone per effettuare
detto trasporto. 
    Il coinvolgimento di Abdel Rahaman Ahmed Abdelmonem risultava dal
fatto che era stato sorpreso nei pressi della casa di El  Sobky  alla
guida della sua autovettura,  nella  quale  viaggiava  anche  Darwish
Mohamed e  nel  cui  portabagagli  erano  state  rinvenute  bottiglie
d'acqua e generi alimentari destinati  ai  clandestini;  la  consegna
dell'acqua e dei generi alimentari non era potuta  avvenire,  poiche'
sul  posto  erano  intervenuti  i  Carabinieri  e,  poco   prima,   i
clandestini si erano frettolosamente allontanati  dalla  casa  di  El
Sobky. 
    Abdel Rahaman  Abdel  Alin  Tarek  era  stato  riconosciuto  come
partecipante all'operazione da piu' persone (Sarno  Antonio,  Troiani
Achille e Lei Daniela) e  detti  riconoscimenti,  benche'  informali,
apparivano  idonei  in  questa  fase  di  indagini  a  supportare  la
provvista indiziarla, avvalorata anche dal  racconto  del  coindagato
Darwish. 
    Per quanto riguarda  le  esigenze  cautelari,  il  Tribunale  del
riesame affermava che non erano stati acquisiti  elementi  dai  quali
evincere l'insussistenza di esigenze cautelari, richiamando anche  il
contenuto sul punto dell'ordinanza del GIP del Tribunale di Velletri,
integralmente recepito nell'ordinanza cautelare del GIP del Tribunale
di Latina. 
    Il GIP del Tribunale di Velletri - che dopo aver  interrogato  le
suddette persone sottoposte a fermo aveva disposto in data 9  ottobre
2010 la provvisoria misura cautelare - aveva ritenuto la  sussistenza
di esigenze cautelari nei confronti degli indagati,  osservando  -  a
proposito della richiesta di arresti domiciliari  avanzata  dal  P.M.
nei confronti di Darwish Mohamed Shaban Ismail -  che  il  Requirente
non aveva tenuto conto del fatto che riguardo al  delitto  contestato
«il Legislatore  ha  sottratto  qualsivoglia  discrezionalita'  nella
scelta della misura. Riguardo a tale tipologia di  delitto,  infatti,
nel caso di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze  cautelati,  a
ben vedere presunte dalla legge - ma in  ogni  caso  ravvisabili  nel
caso in esame, come ritenuto dal  P.M.  -  sussiste  una  presunzione
assoluta di adeguatezza e  di  proporzionalita'  della  misura  della
custodia cautelare in carcere. Il P.M.,  in  sostanza,  formulata  la
domanda cautelare, non ha la possibilita'  di  scegliere  una  misura
diversa da quella inframuraria ...» . 
    Circa i dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12
comma 4-bis del citato decreto legislativo manifestati dai difensori,
il  Tribunale  del  riesame  non  ha  raccolto  la  sollecitazione  a
sollevare  davanti  alla  Corte  costituzionale   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  di  detta  norma,  ritenendo   che   la
severita' della stessa non contrastasse con  alcuna  norma  di  rango
costituzionale, essendo rimesso alla discrezionalita' del legislatore
un particolare rigore nei confronti di reati che destano un peculiare
allarme sociale. 
    Avverso la ordinanza del Tribunale  del  riesame  hanno  proposto
ricorso per cassazione gli indagati,  personalmente  l'Abdel  Rahaman
Abdel  Alin  Tarek  e  tramite  i  rispettivi  difensori  gli  altri,
chiedendo l'annullamento  del  provvedimento  impugnato  e  deducendo
alcuni  motivi  comuni  a  tutti  ed  altri  relativi  alle   singole
posizioni. 
    I ricorrenti hanno anche criticato la motivazione  del  Tribunale
del riesame con la quale era stata ritenuta manifestamente  infondata
l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 12/comma 4-bis
del d.lgs. n. 286/1998 ed  hanno  fatto  presente  che,  con  recente
sentenza della Corte costituzionale del 21 luglio 2010  n.  265,  era
stato ritenuto, in un  caso  analogo,  contrario  ai  principi  della
Costituzione il rigido sistema, previsto dall'art. 275/3  c.p.p.,  di
applicazione della custodia  cautelare  in  carcere  per  determinati
delitti, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono  esigenze  cautelari.   La   questione   di   legittimita'
costituzionale della suddetta norma meritava, secondo  i  ricorrenti,
di essere sollevata  nel  presente  procedimento,  poiche'  il  fatto
appariva occasionale e gli indagati, da anni residenti in Italia, non
apparivano dotati di una particolare pericolosita' sociale. 
    Hanno eccepito la nullita' dell'ordinanza impugnata,  poiche'  il
Tribunale di Latina aveva trasmesso al  Tribunale  del  riesame  solo
formalmente l'interrogatorio reso  da  Darwish  al  P.M.  in  data  7
ottobre 2010, in quanto la. registrazione dello stesso non  risultava
trascritta e in attivi era solo l'apertura del verbale  e  l'incarico
di trascrivere il contenuto della registrazione dell'interrogatorio. 
    Hanno ritenuto carente la motivazione  dell'ordinanza  impugnata,
in  quanto  la   stessa   aveva   fatto   rinvio   alla   motivazione
dell'ordinanza del GIP di Latina, il quale, a sua volta, aveva  fatto
rinvio alla motivazione dell'ordinanza cautelare emessa  dal  GIP  di
Velletri. 
    In favore di El  Sobky  Adel  Kamel  Moohamed  Farag  sono  stati
dedotti i seguenti motivi di ricorso. 
    La motivazione dell'ordinanza era carente  sui  gravi  indizi  di
colpevolezza,  ravvisati  esclusivamente  nella  dichiarazione  della
vicina di casa, Lei Daniela,  che  aveva  riferito  di  una  reazione
imbarazzata del predetto,  alla  richiesta  di  spiegazioni  circa  i
rumori che  la  notte  precedente  la  teste  aveva  udito  provenire
dall'appartamento dell'indagato. 
    Nella specie doveva essere applicata la disposizione del  secondo
comma dell'art. 12 d.lgs. n. 286/1998, in quanto gli stranieri  erano
in precarie condizioni fisiche dopo una  traversata  in  mare  durata
quattordici giorni. 
    In favore di Darwish Mohamed Shaban Ismail sono stati  dedotti  i
seguenti motivi di ricorso. L'indagato aveva  pienamente  collaborato
con la Polizia Giudiziaria, fornendo elementi  utili  ai  fini  delle
indagini. Poteva essergli riconosciuta l'attenuante speciale prevista
dall'art. 12/3- quinquies e, con la scelta di  un  rito  alternativo,
avrebbe potuto godere della sospensione condizionale della pena. 
    Darwish,  almeno  putativamente,  aveva  ritenuto  di  agire   in
presenza della causa di giustificazione prevista  dal  secondo  comma
del citato art. 12, e sul punto nulla aveva detto  il  Tribunale  del
riesame, nonostante risultasse dagli atti che  gli  indagati  avevano
fornito viveri ai clandestini e che  senza  il  loro  intervento  gli
stessi, con altissima probabilita', sarebbero stati fatti sbarcare  a
nuoto. 
    In favore di Abdel Rahaman Ahmed Abdelmonem sono stati dedotti  i
seguenti motivi. 
    A carico dell'indagato vi era solo la congettura che egli  avesse
partecipato  all'operazione,  basata  sul   fatto   che   era   stato
controllato dai Carabinieri alle ore 4,50  del  mattino,  nei  pressi
dell'abitazione di El Sobky, mentre era in macchina con Darwish e nel
cofano vi erano due casse d'acqua e numerose scatolette di tonno. 
    Anche il predetto indagato ha chiesto che fosse  riconosciuta  la
speciale causa di giustificazione di cui al secondo  comma  dell'art.
12 d.lgs. n. 286/1998, in quanto i clandestini versavano in  evidente
pericolo di vita. 
    Abdel Rahaman Abdel Alin Tarek ha dedotto i seguenti motivi. 
    Il Tribunale del riesame non aveva tenuto conto che gli  indagati
avevano agito al solo fine di aiutare gli immigrati clandestini,  che
erano gia' in territorio italiano da diversi giorni e  che  erano  in
pericolo di vita, perche' correvano il rischio di essere  buttati  in
alto mare, se il  peschereccio  fosse  tornato  indietro  senza  fare
sbarcare i clandestini. 
    Il  quadro  indiziario  a  carico  dell'indagato,   formato   dal
riconoscimento fotografico di alcuni testimoni e dalle  dichiarazioni
di El Sobky, era carente, poiche' i Carabinieri si erano  limitati  a
sottoporre ai testi solo la foto  dell'indagato;  il  possesso  delle
chiavi dell'appartamento di  El  Sobky  non  provava  che  l'indagato
avesse portato in questo appartamento i clandestini. 
    Questa Corte Ritiene che non debbano essere accolti i  motivi  di
ricorso dedotti degli indagati attinenenti alla questione procedurale
e alla esistenza delle condizioni di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p.,
non essendo ravvisabili vizi di legittimita' ne' in  rito  ne'  nella
motivazione del provvedimento impugnato. 
    Quanto alla  doglianza  relativa  alla  mancata  trasmissione  al
Tribunale del Riesame dell'interrogatorio reso da Darwish in  data  7
ottobre 2010, la stessa appare infondata in  quanto  non  sono  stati
dedotti elementi, con riferimento al suo contenuto, da cui  si  possa
evincere che dovesse essere, considerato un elemento  sopravvenuto  a
favore degli indagati, il che contrariamente a quanto  sostenuto  dai
ricorrenti non si puo' presumere. 
    Non appare carente la motivazione  dell'ordinanza  impugnata  per
aver fatto rinvio anche alla motivazione delle  ordinanze  cautelari,
sia perche' queste ordinanze erano in possesso degli indagati  e  dei
difensori, essendo state loro notificate, sia  perche'  il  Tribunale
del riesame ha motivato anche sui punti delle ordinanze cautelari che
ha richiamato ad integrazione della propria motivazione. 
    Sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli
indagati, la motivazione del Tribunale del riesame appare  congrua  e
scevra  da  vizi  logico  giuridici,  risultando  il   grave   quadro
indiziario  dalla  ricostruzione  complessiva  dell'operazione,  alla
quale  ciascuno  degli  indagati  ha  dato  uno  specifico   apporto,
svolgendo il ruolo  delineato  nell'ordinanza  impugnata.  I  ricorsi
degli indagati deducono solo motivi di  fatto,  non  apprezzabili  in
questa sede di legittimita', poiche' non denunciano vizi logici della
motivazione, ma si limitano a sostenere, come base  per  le  censure,
una possibile ricostruzione alternativa  del  ruolo  ricoperto  nella
vicenda da ciascun indagato e delle finalita' perseguite. 
    Non risulta,  se  non  da  mere  asserzioni  difensive,  che  gli
indagati avrebbero agito nei confronti di stranieri gia' presenti nel
territorio dello Stato al fine di prestare loro soccorso e assistenza
umanitaria. 
    Si deve, quindi, ritenere  correttamente  accertata,  allo  stato
degli atti, la sussistenza di gravi indizi di reita' in capo a  tutti
i suddetti indagati. 
    L'ordinanza impugnata  appare  congruamente  motivata  anche  sul
punto del mancato superamento della presunzione relativa di esistenza
delle esigenze cautelari,  avendo  fatto  uno  specifico  richiamo  a
quelle indicate nella motivazione dell'ordinanza del GIP di Velletri,
il quale, per ogni indagato,  ha  evidenziato  concreti  elementi  di
pericolosita', desunti dalla gravita' del fatto e dalle  capacita'  e
disponibilita' dimostrate nelle modalita' esecutive. 
    Appare, invece, rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
riferimento  agli  articoli  3,  13  comma  1  e  27  comma  2  della
Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
12 comma 4-bis del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, nella parte in cui -
nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza  in
ordine ai reati previsti  dal  comma  3,  e'  applicata  la  custodia
cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti  elementi  dai  quali
risulti che  non  sussistono  esigenze  cautelari  -  non  fa  salva,
altresi', l'ipotesi in cui siano  acquisiti  elementi  specifici,  in
relazione al  caso  concreto,  dai  quali  risulti  che  le  esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. 
    Non e' compito di questa Corte  scegliere  quale  sia  la  misura
cautelare  piu'  adatta  a  soddisfare  le  esigenze  cautelari   nei
confronti degli  indagati,  ma  nel  caso  de  quo  appare  rilevante
stabilire se sia compatibile con i  principi  della  Costituzione  la
citata norma che,  in  presenza  di  esigenze  cautelari,  impone  al
giudice del merito di  applicare,  come  unica  misura  adeguata,  la
custodia cautelare in carcere. 
    Nei motivi di ricorso si sostiene invero non senza  fondamento  -
cio' risultando dallo  stesso  provvedimento  impugnato,  in  cui  si
riconosce come «la  rudimentale  organizzazione  delle  attivita'  di
collaborazione poste in essere da ciascuno degli indagati deponga per
una condotta episodica e, in sostanza, di non peculiare  gravita'»  -
che non risulta in  alcun  modo  che  il  fatto  sia  stato  commesso
nell'ambito  di  una   struttura   criminale   organizzata   con   le
caratteristiche di quelle di stampo mafioso; inoltre fin  dall'inizio
del procedimento e' apparso opportuno allo stesso P.M. distinguere la
posizione di almeno uno degli imputati, chiedendo per il  Darwish  la
misura degli arresti domiciliari non accolta dai  Giudice  -  che  di
regola non puo'  applicare  una  misura  piu'  afflittiva  di  quella
richiesta dal P.M. - solo per  l'obbligo  derivante  dalla  norma  in
questione di applicare la custodia cautelare in carcere, in  presenza
di esigenze cautelari. 
    Con la sentenza della Corte costituzionale n. 263, depositata  in
data  21  luglio   2010,   con   la   quale   e'   stata   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  275/3,  secondo  e  terzo
periodo, del codice di procedura penale nella  parte  in  cui  -  nel
prevedere che, quando sussistono  gravi  indizi  di  colpevolezza  in
ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma,  609-bis
e 609-quater del codice penale, e' applicata la custodia cautelare in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelati - non fa salva, altresi', l'ipotesi  in
cui  siano  acquisiti  elementi  specifici,  in  relazione  al   caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono  essere
soddisfatte con altre misure, sono stati enucleati, con chiarezza  ed
incisivita', una serie di principi regolatori della delicata  materia
delle misure cautelar'personali che appaiono a questa Corte rilevanti
anche al fine di sottoporre a verifica la compatibilita' della  norma
di cui all'art. 12 comma 4-bis  del  d.lgs.  n.  286/1998  con  detti
principi. 
    Nella menzionata sentenza si e' Premesso che le restrizioni della
liberta'  personale  dell'indagato   o   imputato   nel   corso   del
procedimento possono essere compatibili con  la  presunzione  di  non
colpevolezza solo se assumono connotazioni nitidamente  differenziate
da quelle della pena, irrogabile solo dopo l'accertamento  definitivo
della responsabilita'. 
    La disciplina della materia  deve,  quindi,  essere  ispirata  al
criterio del «minore sacrificio necessario», dovendosi  contenere  la
compressione  delta  liberta'  personale  entro   i   limiti   minimi
indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari  riconoscibili  nel
caso concreto. 
    La gravita' in astratto dei reati oggetto  del  procedimento  non
puo' rilevare come criterio di scelta sul «se» e sulla «specie» della
misura, essendo le misure previste solo per  soddisfare  le  esigenze
cautelari specificamente individuate dalla legge. 
    Dal fondamentale principio di adeguatezza della  misura  discende
che il giudice ha l'obbligo di prescegliere la misura meno afflittivi
tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari  nel
caso concreto. 
    Tratto saliente complessivo del regime delle misure  cautelari  -
ha  puntualizzato  ancora  la   menzionata   sentenza   della   Corte
costituzionale  -  e'  quello  di  non  prevedere   automatismi   ne'
presunzioni. 
    Lo scostamento dal predetto principio, con riguardo ai delitti di
mafia,  e'  stato  dalla  Corte  costituzionale  con  l'ordinanza  18
ottobre1995 n. 450 ritenuto giustificato per la specificita' di detti
delitti, caratterizzati dalla permanenza e vischiosita' del  rapporto
del reo con  il  sodalizio  di  riferimento,  apparendo  la  custodia
cautelare In  carcere  la  sola  misura  idonea  a  neutralizzare  il
periculum libertatis connesso al verosimile  protrarsi  dei  contatti
tra   imputato   ed   associazione.   Il   legislatore   ha    pero',
successivamente, esteso la presunzione assoluta di adeguatezza  della
sola custodia cautelare in carcere per fattispecie  penali  in  larga
misura eterogenee fra loro, per alcune delle quali e' stata posta  in
dubbio la legittimita' costituzionale, apparendo  non  rispettato  il
principio del «minore sacrificio necessario». 
    L'estensione, a giudizio della  Corte  Costituzionale,  non  puo'
essere giustificata ne' dalla gravita' del  reato  ne',  tanto  meno,
dall'esigenza di contrastare situazioni  causa  di  allarme  sociale,
determinate dalla asserita crescita numerica di  taluni  delitti  non
potendo essere annoverati i suddetti profili -  ai  quali  invece  ha
fatto  riferimento  il   Tribunale   del   riesame   per   dichiarare
manifestamente infondata la questione di costituzionalita' -  tra  le
finalita' della custodia preventiva in relazione alle quali  il  solo
aspetto rilevante e',  lo  si  ripete,  l'idoneita'  della  misura  a
soddisfare concretamente le esigenze cautelari. 
    Alla  luce  di  tali  principi,  appare  a   questa   Corte   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 12 comma 4-bis d.lgs. n. 286/1998, essendo stato sottoposto
il delitto di atti  diretti  a  procurare  illegalmente  a  stranieri
l'ingresso nel territorio dello  Stato  -  delitto  che,  pure  nelle
ipotesi aggravate, puo' essere compiuto  anche  occasionalmente,  con
condotte individuali che possono presentare forti differenze, e al di
fuori di una struttura criminale organizzata - al medesimo regime dei
delitti compiuti nell'ambito di un'organizzazione di tipo mafioso. 
    Deve, quindi, essere  sottoposta  alla  Corte  costituzionale  la
sollevata  questione,  essendovi   validi   elementi   per   ritenere
sussistente una violazione dell'art. 3  Cost.,  per  l'ingiustificata
parificazione dei procedimenti relativi al delitto in  questione  con
quelli per i delitti di mafia; una  violazione  dell'art.  13  Cost.,
essendo derogato il regime ordinario delle misure cautelari privative
della liberta' personale senza una adeguata ragione;  una  violazione
dell'art. 27/2 Cost., in quanto vengono attribuiti  alla  coercizione
processuale tratti funzionali tipici della pena.