LA CORTE DI APPELLO 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di  estradizione
trattata in camera di consiglio; 
    Contro Chereleu Octavian Ovidiu nato ad Oradea  (Romania)  il  12
agosto 1977 e res. in Toscolano  Maderno  (Brescia)  via  Cavour  54,
richiesto in consegna dalla Repubblica di Romania, difeso di  fiducia
dagli avv. ti Raimondo Dal  Dosso  del  Foro  di  Brescia,  libero  -
contumace. 
 
                           Fatto e diritto 
 
    Il cittadino rumeno  Chereleu  Octavian  e'  stato  richiesto  in
consegna dalla Repubblica di  Romania  con  domanda  di  estradizione
pervenuta al Ministero della Giustizia che in data 2 marzo 2011  l'ha
trasmessa alla Procura Generale presso questa Corte. Dalla richiesta,
corredata dalla prescritta relazione, dalla copia della  sentenza  di
condanna e dal relativo ordine di esecuzione emerge che  il  Chereleu
e' stato condannato con sentenza, divenuta definitiva,  emessa  dalla
Pretura di Oradea in data 27 giugno 2007  per  i  reati  di  evasione
fiscale in concorso con altre persone ed associazione  a  delinquere,
in relazione a fatti avvenuti negli anni  2001  e  2002.  L'autorita'
giudiziaria rumena ha inflitto al soggetto richiesto in  consegna  la
pena finale di anni 4 di reclusione. Dalla lettura della sentenza  si
apprende che la condotta del Chereleu, all'epoca dei fatti rivestente
la carica di amministratore della societa' Termal Felix Comextur  sri
che  aveva  assunto  nel'ottobre  2001  a  cio'  indotto   da   altro
coimputato, regista dell'operazione illecita, sarebbe consistita  nel
favorire l'evasione fiscale da parte della societa' Megatroma srl cui
forniva apparentemente prodotti petroliferi per un valore diverso  ed
inferiore a  quello  indicato  sulla  documentazione  fiscale  e  sui
documenti di accompagnamento  dei  prodotti  (su  cui  la  merce  era
indicata  falsamente  come  gasolio  e  benzina   anziche'   frazioni
petrolifere) che venivano materialmente predisposta dal  Chereleu  su
indicazione del coimputato Coltescu Titus. In tal  modo  ha  concorso
con  l'amministratore  della  Megatroma  srl  nell'evasione   fiscale
consumata da tale societa' che  ha  operato  una  riduzione  illecita
della base di calcolo degli oneri fiscali, gonfiando artificiosamente
spese non aventi alla base operazioni  reali  (vedasi  pag.  9  della
sentenza della Pretura di Oradea). In realta' la  sentenza  da'  atto
(pag. 11) che la srl Termal  Felix  Comextur  aveva  una  consistenza
meramente cartacea, fungendo da impresa interposta fra  i  produttori
petroliferi e la societa' Magatroma, giacche' era priva  di  capitali
per lo svolgimento di attivita' commerciale nel settore. 
    I  fatti  per  cui  intervenne  condanna  sono   stati   ritenuti
configurare i reati di evasione fiscale previsti dall'art.  13  legge
n. 87/1994 della Romania, punito con la reclusione fino a 5 anni e di
associazione a delinquere previsto dall'art. 323  cod.  pen.  rumeno,
punti con pena da 3 a 15 anni di  reclusione.  Essi  corrispondono  a
fattispecie delittuose  previste  dall'ordinamento  interno  (art.  8
decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 e art. 416 cod. pen.)  punite
con pene detentive non inferiori ad un anno, sicche' e' rispettata la
condizione  di  cui  all'art.  2   della   Convenzione   Europea   di
estradizione. La richiesta di  consegna  e'  stata  poi  accompagnata
dalla produzione della documentazione  indicata  dall'art.  12  della
citata Convenzione. 
    Vedendosi poi in tema di estradizione c.d.  esecutiva  non  viene
neppure in rilievo la questione della prescrizione dei reati ai sensi
dell'art.  10  della  Convenzione  europea  di  estradizione  perche'
l'avvenuta prescrizione del reato e' causa ostativa  all'accoglimento
della domanda, secondo la  legislazione  della  parte  richiedente  o
della parte richiesta, unicamente nell'ambito delle estradizioni  cd.
"processuali", relative cioe'  all'esercizio  dell'azione  penale,  o
comunque ad un procedimento  in  corso  di  svolgimento,  non  ancora
esaurito    con    sentenza    definitiva,    dovendosi     escludere
l'applicabilita'  di  tale  motivo  di  rifiuto   nell'ambito   delle
estradizioni avviate per finalita' di esecuzione  penale.  (Corte  di
cassazione, sezione VI, 20 dicembre 2010 n. 45051). 
    La difesa del  Chereleu  ha  chiesto  che  la  Corte  emetta  una
decisione  contraria   alla   estradizione,   facendo   presente   la
eventualita' che il condannato sia sottoposto in patria a trattamenti
persecutori finalizzati ad ottenere informazioni utili a  individuare
altri  soggetti  complici  della  frode  fiscale  e  in   ogni   caso
sottolineando  come  la  condizione  delle  carceri  in  Romania  sia
caratterizzata da un importante degrado cosi' da fare ritenere che la
esecuzione della pena sia  tramuti  in  un  trattamento  inumano  con
violazione dei diritti fondamentali, tale da integrare la  condizione
ostativa prefigurata dall'art. 698 c.p.p. A conforto dell'assunto  la
difesa ha prodotto documentazione giornalistica tratta da Internet  e
due "report" 2008 di Amnesty International. Orbene, va  premesso  che
in  tema  di  estradizione  per  l'estero,  la  condizione   ostativa
all'estradizione  prevista  dall'art.  698  comma  1   c.p.p.   opera
esclusivamente nelle ipotesi in cui vi sia la ragionevole  previsione
che  l'estradando   verra'   sottoposto   ad   atti   persecutori   o
discriminatori ovvero  a  pene  o  trattamenti  crudeli,  disumani  o
degradanti o a violazione  di  uno  dei  diritti  fondamentali  della
persona, che siano riferibili esclusivamente all'autorita' del  Paese
richiedente e che tale accertamento puo' essere condotto anche  dalla
Corte di Appello sulla  base  sulla  base  di  documenti  e  rapporti
elaborati  da  organizzazioni   non   governative   (quali   "Amnesty
International"), la cui affidabilita'  e'  generalmente  riconosciuta
sul piano internazionale. (in tal senso Corte di  cassazione  ,  sez.
VI, 8 luglio 2010, n. 32685). L'esame della  documentazione  prodotta
dalla difesa non permette di  giungere  a  ritenere  giustificata  la
negativa previsione formulata dalla difesa perche': 
    la documentazione riferibile ad Amnesty concerne  alcuni  episodi
di violenza attribuiti alle forze di polizia e quindi  estranei  alla
situazione carceraria; 
    la relazione del comitato del Consiglio d'Europa si riferisce  ad
una visita al sistema carcerario rumeno compiuta nel 2006 dalla quale
risulta che molli detenuti intervistati hanno lamentato eccessivo uso
della forza da parte della polizia durante l'arresto  e  durante  gli
interrogatori. Anche in tal caso la critica non riguarda  ii  sistema
carcerario; 
    la  relazione  tratta  dal  sito  Osservatoriobalcani.org   sulla
situazione carceraria rumena risale ad una analisi compiuta nel  2005
e dunque essa non e' riferibile automaticamente alla realta'  attuale
e in ogni caso  disegna  una  situazione  non  peggiore  del  sistema
penitenziario italiano, riconoscendo anzi che la legislazione  rumena
prevede uno spazio di 6 mq per  ogni  detenuto,  superiore  a  quello
previsto dagli  standard  europei  e  dando  atto  dei  finanziamenti
previsti per il miglioramento del sistema penitenziario; 
    le massime delle sentenze Cedu prodotte dalla difesa  documentano
la prima un  caso  assai  risalente  nel  tempo  (1999),  l'altra  un
episodio attinente a un omicidio fra detenuti di cui non e' attestata
la  data  e  che  comunque  non  e'  la  spia   di   una   situazione
generalizzata. 
    Non ignora questo Collegio che  la  Corte  di  cassazione  ha  di
recente (Sezione VI ordinanza  26  gennaio  2011  n  5580)  sollevato
eccezione    di    costituzionalita'    afferente    la    situazione
discriminatoria fra il cittadino straniero stabilmente  radicato  sul
territorio nazionale richiesto in consegna ex art. 10 legge 22 aprile
2009 n 69 e quello in pari situazione al  quale  si  applica  ratione
tempori la procedura di estradizione. Ha osservato  in  proposito  la
Suprema Corte che:  «per  effetto  dell'individuazione  temporale  di
vigenza della normativa del mandato di arresto Europeo, si sia venuta
a creare, in relazione ad una situazione di fatto  analoga  a  quella
dell'estradando, una violazione dei diritti fondamentali, tra i quali
il  diritto  alla  risocializzazione  nella  esecuzione  della  pena,
previsto dall'art. 27 Cost., comma 3, e di  principi  comunitari,  in
particolare quello di non discriminazione di cui all'art. 12  CE,  di
uniformita' di trattamento dei cittadini Europei, previsto dall'art..
17 CE, e del diritto di stabilimento, riconosciuto dall'art.  18  CE,
con realizzazione nel concreto di una difformita' di  trattamento  di
situazioni  analoghe;  priva  di  ragionevolezza.  L'irragionevolezza
della scelta effettuata dal legislatore nel  regolare  l'applicazione
ratione temporis  della  nuova  disciplina  del  mandato  di  arresto
Europeo appare evidente sia in relazione alla ratio di "garanzia" che
aveva ispirato la normativa transitoria sia  dall'esame  dell'ipotesi
di rifiuto, disciplinata dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, art.  18,
comma 1, lett. r). La disciplina intertemporale contenuta nella legge
22 aprile 2005, n. 69, art. 40 costituisce attuazione  interna  della
dichiarazione  presentata  dal  Governo  italiano   al   Segretariato
generale dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 32  della  decisione
quadro del 13  giugno  2002,  n.  2002/584/GAI  (cfr.,  la  Relazione
illustrativa del disegno di legge Atto C/4246). 
    La norma da ultimo citata riconosce agli Stati membri la facolta'
di  dichiarare  di  continuare  a  trattare,  in  qualita'  di  Stato
dell'esecuzione della consegna, le richieste ricevute a  partire  dal
primo gennaio 2004 e relative a reati commessi prima di una  data  da
esso precisata - e comunque non posteriore alla data  di  entrata  in
vigore  della  decisione  quadro  -  conformemente  al   sistema   di
estradizione applicabile anteriormente  al  primo  gennaio  2004.  La
normativa transitoria consente pertanto agli  Stati  membri,  che  si
sono avvalsi di detta facolta', di non applicare il nuovo  regime  di
consegna, avendo riguardo, oltre che al momento  della  presentazione
della domanda - come di  norma  prevedono  tutte  le  convenzioni  di
cooperazione giudiziaria, in ossequio al tradizionale  principio  del
tempus regit actum (cfr., ex plurimis, il  Rapport  explicatif.  alla
Convenzione Europea di estradizione  del  12  dicembre  1957,  Annex,
punto   2;   l'art.   18,   par.   5   della   Convenzione   relativa
all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione Europea del 1996) -
anche al momento della commissione del reato per il quale la  domanda
e' avanzata. Per comprendere la ratio della disposizione  transitoria
contenuta  nella   decisione   quadro,   e'   necessario   brevemente
ripercorrere,  conformemente  ai  criteri  interpretativi.   indicati
dall'art. 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati,  i
lavori preparatori  che  hanno  portato  all'approvazione  del  testo
finale. Il progetto di decisione quadro, presentato dalla Commissione
Europea, prevedeva (art.  51  -  Disposizione  transitoria)  che  gli
strumenti giuridici  previgenti  continuassero  ad  applicarsi  "alle
richieste di estradizione presentate  prima  dell'entrata  in  vigore
delle misure necessarie a conformarsi alla presente decisione quadro"
(cfr. doc. Copen 51 del  24  settembre  2001).  La  proposta  di  far
riferimento anche al tempus commissi delicti per l'applicazione della
nuova disciplina  era  stata  avanzata  dalla  delegazione  italiana,
contestualmente ad una proposta alternativa e una  riserva  al  testo
del provvedimento, con  riferimento  all'eliminazione  del  controllo
sulla c.d. "doppia  incriminabilita'"  (cfr.  doc.  Copen  79  del  4
dicembre 2001). Come e' noto, il Governo italiano  aveva  manifestato
per tutta la durata del  negoziato  a  Bruxelles  la  difficolta'  di
accettare la soppressione di questo  tradizionale  presupposto  della
estradizione,  ipotizzandone  la  frizione  con   il   principio   di
legalita', dettato  dall'art.  25  Cost.,  sulla  base  anche  di  un
autorevole parere formulato da due illustri costituzionalisti. 
    E' significativo che, all'esito del compromesso finale  raggiunto
dalla  Presidenza  dell'U.E.  con   la   delegazione   italiana   per
l'approvazione  della  decisione  quadro,  quest'ultima  abbia  fatto
inserire nel verbale del Consiglio una dichiarazione che, da un lato,
impegnava il Governo italiano all'avvio delle  procedure  di  diritto
interno per rendere la decisione quadro  stessa  "compatibile  con  i
principi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema  di  diritti
fondamentali,  e   per   avvicinare   il   sistema   giudiziario   ed
ordinamentale italiano ai modelli Europei, nel rispetto dei  principi
costituzionali",  e,  dall'altro,  stabiliva  che  l'Italia   avrebbe
continuato a trattare in conformita' delle norme vigenti  in  materia
di estradizione tutte le richieste relative a  reati  commessi  prima
della data di entrata in vigore della decisione quadro. Questo  breve
excursus dimostra come l'esigenza di  ancorare  l'applicazione  della
disciplina del mandato arresto Europeo ai fatti commessi dopo la data
dell'entrata  in  vigore  della   decisione   quadro   sia   derivata
principalmente  da  un  approccio  "sostanzialista"  -  che  ha   poi
caratterizzato  l'intero  dibattito  parlamentare   in   Italia   per
l'approvazione della legge 22 aprile 2005, n. 69 (cfr. il Parere  del
29 ottobre 2003 della prima Commissione permanente della  Camera  dei
deputati; la Relazione illustrativa,  Camera,  Aula,  seduta  del  19
aprile 2004 nella  quale  viene  piu'  evocata  la  "riduzione  delle
garanzie" derivante dalla attuazione  della  decisione  quadro  e  la
necessita' di tutelare il "principio di non retroattivita'") -  volto
a  conferire  all'istituto   della   consegna   natura   di   diritto
sostanziale, oltre che squisitamente processuale. 
    La  trasposizione  interna  della  disciplina  transitoria  della
decisione quadro appare ulteriormente  confermare  la  preoccupazione
del legislatore italiano di salvaguardare anche in  subiecta  materia
il  principio  di  non  retroattivita'  delle  norme  penali  o   del
trattamento penale piu' sfavorevole, di cui all'art. 25  Cost.  (cfr.
art. 3, comma 1, e art. 40, comma 3, della  legge  attuativa).  Deve,
peraltro, rammentarsi la diversa interpretazione fatta propria  dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia, che ha affermato  la  natura
processuale dell'istituto del mandato di' arresto Europeo,  derivante
dalla natura meramente "strumentale" della carcerazione imposta  alla
persona  richiesta,  in  vista  della   sua   traditio   allo   Stato
richiedente,  escludendo  possibili  frizioni  con  il  principio  di
legalita' di cui all'art. 7 della CEDU, anche sotto il profilo  della
applicazione retroattiva della nuova normativa (cfr., in particolare,
Corte di giustizia, 12 agosto 2008, Santesteban Goicoechea, p.  80)..
Orbene, se la finalita'  perseguita  dal  legislatore  italiano,  nel
disciplinare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina  e  nel
dettare norme transitorie volte ad escludere  l'applicabilita'  delle
nuove norme ai reati commessi prima della data di entrata  in  vigore
delle  norme  sopravvenute,  era  quella  di  evitare  l'applicazione
retroattiva di un regime di consegna  considerato  "meno  favorevole"
per la persona richiesta,  ne  e'  derivato  invece  che  sono  state
irragionevolmente precluse ad essa le garanzie previste  dalla  legge
attuativa. La trasposizione della decisione quadro sul piano interno,
come e' noto, ha infatti per molti versi accresciuto  le  garanzie  a
favore della persona richiesta previste  dal  regime  estradizionale,
sia reintroducendo poteri di controllo  che  il  legislatore  Europeo
aveva eliminato, sia  stabilendo  ulteriori  parametri  di  legalita'
della consegna, non previsti dalla normativa  previgente  e  talvolta
neppure dalla stessa decisione quadro. 
    In  particolare,  innovativa,  rispetto  alla  normativa  interna
applicabile in tema di estrazione, e' la scelta della legge attuativa
di prevedere il potere-dovere di rifiuto di cui alla legge 22  aprile
2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), che  consente  alla  persona
richiesta  di  poter  eseguire  nello  Stato  di  cittadinanza  o  di
residenza la  pena  detentiva  cui  e'  stata  condannata.  Peraltro,
l'ipotesi  di  rifiuto  a  cui  si  ricollega   la   suddetta   norma
(segnatamente,  l'art.  4,  par.  6  della  decisione   quadro)   non
costituisce di per se' una novita' del nuovo regime  di  cooperazione
instaurato tra i Paesi membri dell'U.E., bensi' e' espressione di  un
potere gia' previsto dalla disciplina convenzionale  del  1957  (art.
6),  che  tuttavia  non  aveva  trovato  sul  piano  interno   alcuna
attuazione in termini obbligatori (cfr., tra le  tante,  Sez.  6,  n.
36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre 2006, Volo, Rv.  235436).
L'abbandono del sistema estradizionale doveva in linea  di  principio
comportare - per il mutato clima di reciproca fiducia  esistente  tra
gli  Stati  membri  -  la  soppressione  o   comunque   il   decisivo
contenimento  di  quei   tradizionali   poteri   di   rifiuto   della
cooperazione, funzionali alla "protezione"  dell'individuo  ricercato
nei  confronti  dell'esercizio  da  parte  di   altri   Stati   della
giurisdizione penale (quali, in  particolare,  il  presupposto  della
c.d. "previsione bilaterale" del fatto, il divieto  dell'estradizione
per  il  delitto  politico,  la  prescrizione,  ecc).   Tra   questi,
nondimeno,  gli  Stati  membri  hanno  ritenuto  di  mantenere  ferma
l'ipotesi del rifiuto della consegna del cittadino, di cui all'art. 6
della  Convenzione  Europea  del  1957,   in   considerazione   della
difficolta' di molti di essi ad accettarne la totale soppressione per
la previsione  espressa  nelle  Costituzioni  nazionali  del  divieto
dell'estradizione  del  cittadino.  Il  compromesso  raggiunto  dalla
decisione quadro (art. 4, par. 6) consentiva  agli  Stati  membri  di
conservare tale tradizionale facolta'  di  rifiuto  -  parificando,in
essa, in virtu' degli artt. 12 e 17 CE (attualmente artt. 18 e 20 del
TFUE), la posizione del cittadino a quello  del  cittadino  di  altro
Paese membro dell'Unione Europea residente o  dimorante  nello  Stato
richiesto -,  condizionandone  tuttavia  l'esercizio  -  in  caso  di
consegna c.d. esecutiva - all'assunzione dell'obbligo da parte  dello
Stato richiesto di  mettere  in  esecuzione  la  sentenza  definitiva
emessa dallo  Stato  richiedente  (aut  dedere  aut  punire).  Questa
soluzione, che costituiva un  passo  in  avanti  rispetto  al  regime
estradizionale, nel quale al rifiuto della consegna si  poneva  quale
contraltare  soltanto  il  mero  impegno  dello  Stato  richiesto  di
sottoporre il caso alle proprie autorita' giudiziarie, in vista della
eventuale instaurazione (ex  novo)  di  un  procedimento  penale  nei
confronti del cittadino (aut dedere aut  iudicare),  era  stata  resa
possibile dal radicale cambiamento di prospettiva della  cooperazione
giudiziaria derivante dalla  "libera  circolazione"  delle  decisioni
penali, in conseguenza dell'applicazione tra  gli  Stati  dell'Unione
Europea del principio del reciproco riconoscimento -  pietra  miliare
dello  sviluppo  dello  spazio  Europeo  di  liberta',  sicurezza   e
giustizia, indicata dal vertice di Tampere del  15-16  ottobre  1999.
Prospettiva che consentiva di giustificare il rifiuto della  consegna
del cittadino non piu', come in passato, con la  maggiore  tutela  da
apprestare al connazionale  a  fronte  delle  interferenze  derivanti
dall'esercizio dell'altrui giurisdizione, bensi'  con  l'esigenza  di
accordare "una particolare importanza alla possibilita' di accrescere
le opportunita' di reinserimento sociale della persona ricercata, una
volta scontata la pena cui essa e' stata condannata" (in  tal  senso,
Corte giustizia, 6 ottobre 2009, Wolzenburg;  cfr.  anche  l'art.  33
della versione originaria della proposta  di  decisione  quadro,  che
prevedeva espressamente "il  principio  del  reinserimento").  Ed  e'
proprio questo diverso atteggiarsi del  rifiuto  della  consegna  del
cittadino  che  sembra  conferire  razionalita'   alla   scelta   del
legislatore italiano di recepire come motivo di rifiuto  obbligatorio
(legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18,  lett.  r)  l'ipotesi  di  cui
all'art. 4, par.  6  della  decisione  quadro,  visto  che  lo  Stato
italiano era stato uno dei pochissimi Paesi aderenti alla Convenzione
Europea del 1957 che non aveva avanzato alcun veto alla  estradizione
del proprio cittadino. L'applicazione  del  principio  del  reciproco
riconoscimento dei  "giudicati"  nell'ambito  dell'Unione  Europea  e
della loro conseguente "libera circolazione", che  trovava  un  primo
recepimento nella decisione quadro sul mandato  di  arresto  Europeo,
consentiva, infatti, rispetto  al  passato,  di  attuare  nel  nostro
ordinamento il corretto  bilanciamento  tra  esigenze  costituzionali
potenzialmente in conflitto; da un lato,  la  funzione  espressamente
consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto  della  pena
di salvaguardare le esigenze di risocializzazione  del  reo,  che  ha
maggiori possibilita' di successo, se  effettuata  all'interno  della
comunita' di appartenenza (Corte  cost.,  sent.  n.  313  del  1990);
dall'altro, l'interesse pubblico alla repressione dei reati,  la  cui
effettivita' deve essere garantita anche attraverso  la  cooperazione
giudiziaria penale, evitando che il rifiuto della  consegna  comporti
la dispersione delle attivita' processuali gia' compiute nello  Stato
richiedente (cfr. Sez. I,  n.  3574  del  3  novembre  1986,  dep.  3
febbraio 1987, Richter, Rv. 174987). 
    8. Fatte queste  necessarie  premesse,  appare  evidente  che  la
disciplina transitoria dettata dall'art. 40  della  legge  attuativa,
disponendo che le domande di consegna relative a reati commessi prima
della data di entrata in vigore della legge n. 69/2005 siano trattate
secondo la previgente disciplina estradizionale, ha irragionevolmente
riservato alla persona richiesta da uno Stato dell'Unione Europea  un
trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a  coloro  che  sono
sottoposti al regime di consegna  del  mandato  di  arresto  Europeo,
escludendo in particolare  che  sia  rifiutata  la  estradizione  del
cittadino italiano e del cittadino di uno Stato  dell'U.E.,  radicato
in Italia, al fine di consentire l'esecuzione  della  pena  detentiva
nello Stato, ancorche' la relativa sentenza di condanna sia  divenuta
esecutiva dopo la entrata in vigore della decisione quadro del  2002.
Circostanza quest'ultima,  che  doveva  conferire  alla  sentenza  di
condanna emessa da uno Stato dell'U.E. quella  "riconoscibilita'"  in
ambito Europeo, ai fini della sua esecuzione nello Stato richiesto, e
consentiva al legislatore di attuare, come si e' detto in precedenza,
un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco. In
altri termini, appare  irragionevole  che  il  legislatore  italiano,
nello  stabilire  il  regime  transitorio  per  l'applicazione  della
normativa  sul  mandato  di  arresto  Europeo,  non   abbia   dettato
disposizioni interne, analoghe  a  quelle  previste  dalla  legge  22
aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), anche  per  l'ipotesi
di estradizione del cittadino e del cittadino di uno Stato  dell'U.E.
fondata su un titolo divenuto esecutivo dopo  la  entrata  in  vigore
della decisione quadro del 2002, e proprio in relazione a  situazioni
in cui il decorso di un  congruo  periodo  temporale  dall'epoca  del
commesso reato rendeva in fatto ancor piu' probabile la recisione dei
legami con il proprio paese d'origine e piu' radicata la presenza nel
territorio straniero intervenuta medio termine. La lacuna venutasi  a
creare nel regime estradizionale non consente pertanto  all'autorita'
giudiziaria  italiana  di  valutare,  nell'ambito  della   procedura,
l'esigenza rappresentata dalla persona richiesta che la traditio  non
vanifichi  la   finalita'   rieducativa   e   di   risocializzazione,
espressamente   consacrata   dalla    Costituzione    nel    contesto
dell'istituto della pena e da molteplici strumenti internazionali (in
particolare, la Raccomandazione n. R 87/3 del Comitato  dei  Ministri
del Consiglio d'Europa sulle regole penitenziarie  Europee,  adottata
il 12 febbraio 1987 e sostituita dalla raccomandazione  Rec.  2006/2,
adottata l'11 gennaio 2006; la Risoluzione del Parlamento Europeo sul
rispetto  dei  diritti  dell'uomo  nell'Unione  Europea,  A4-0468/98;
Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners, adottate dalle
Nazioni Unite il 30 agosto 1955), con la  recisione  dei  legami  del
condannato con il luogo in cui  mantiene  stabili  legami  familiari,
linguistici, culturali, sociali o economici. Legami che il  cittadino
dell'Unione  Europea  ha  legittimamente  creato   nello   Stato   di
residenza, esercitando il suo diritto alla libera circolazione  e  al
libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall'art. 18  T.F.U.E.
La predetta finalita'  rieducativa  e  di  risocializzazione  risulta
invece affidata, nella  procedura  estradizionale,  limitatamente  al
cittadino  italiano,  alla  sola  valutazione  discrezionale  -   non
vincolata o comunque indirizzatata da criteri o  parametri  normativi
del Ministro della Giustizia di rifiutare la consegna  estradizionale
(tra le tante, Sez. 6, n. 36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre
2006, Volo, Rv. 235436; Sez. 5, n. 2133 del 10 dicembre 1985, dep. 13
gennaio 1986, Bernardini,  Rv.  171526);  mentre  non  riceve  alcuna
tutela nel caso del cittadino dell'U.E.  che  ha  esercitato  il  suo
diritto alla libera circolazione e al libero  soggiorno  negli  Stati
membri, garantito dall'art. 18 T.F.U.E.,  trasferendo  in  Italia  il
centro dei suoi interessi economici, familiari e sociali (l'Italia, a
differenza di altri Stati, non ha effettuato alcuna dichiarazione, ai
sensi  dell'art.  6,  primo  par.,  della  Convenzione   Europea   di
estradizione del 1957, per ricomprendere il residente  nella  nozione
di "cittadino"). Conclusivamente deve ritenersi che, per effetto  del
quadro normativo sopra descritto, si sia  creata  una  disparita'  di
trattamento con situazioni analoghe rilevante ai  sensi  dell'art.  3
Cost.,  priva  di  ragionevole  giustificazione,  in   quanto   viene
preclusa, nonostante la "riconoscibilita'" del titolo  esecutivo,  al
cittadino italiano e al cittadino di  uno  Stato  dell'U.E.,  la  cui
consegna  e'  regolata  dalla  normativa  estradizionale,  richiamata
dall'art.  40  cit.,  la  possibilita'  di  ottenere  una   decisione
contraria alla  loro  estradizione,  al  fine  di  scontare  la  pena
privativa della liberta' personale nello Stato di cittadinanza  o  di
residenza,  e  di  accrescere  pertanto  le  opportunita'  del   loro
reinserimento  sociale.  (omissis).  Si   ritiene,   conseguentemente
necessario, al fine del decidere, sollevare d'ufficio, in riferimento
all'art. 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, art. 11 Cost.  e  art.  117
Cost., comma 1, la questione  di  legittimita'  costituzionale  della
legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 40 (Disposizioni per conformare  il
diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del
13  giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto  Europeo  e  alle
procedure di consegna tra Stati membri) e dell'art. 705 c.p.p.  nella
parte in cui non  prevedono,  in  una  situazione  analoga  a  quella
richiamata dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. r),  che
la corte di appello - in relazione ad  una  domanda  di  estradizione
presentata dopo il 14 maggio 2005 da  uno  Stato  membro  dell'Unione
Europea, sulla base di una sentenza di condanna,  divenuta  esecutiva
dopo il  1  gennaio  2004,  ad  una  pena  privativa  della  liberta'
personale, per un reato  commesso  prima  del  (Omissis)  -  pronunci
sentenza contraria alla estradizione di  un  cittadino  di  un  Stato
membro dell'Unione  Europea,  che  legittimamente  ed  effettivamente
abbia la residenza  o  la  dimora  nel  territorio  italiano,  quando
ritenga che tale pena sia eseguita in Italia conformemente al diritto
interno. 
    La predetta motivazione condivisa da  questo  giudice  si  adatta
perfettamente alla situazione  del  Chereleu  che  ha  dichiarato  di
essere presente in Italia fin dal 2003 e che ivi  e'  anagraficamente
registrato  a  far  tempo  dal  12  novembre  2007,  svolge  regolare
attivita' lavorativa presso la ditta Erreci snc con sede in Vobarno e
ha ormai in Italia il proprio centro di interessi anche dal punto  di
vista   affettivo   avendo   costituito    un    nucleo    famigliare
tendenzialmente stabile (vedi dichiarazioni rese in sede di convalida
e documentazione prodotta dalla difesa)