LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di estradizione trattata in camera di consiglio; Contro Chereleu Octavian Ovidiu nato ad Oradea (Romania) il 12 agosto 1977 e res. in Toscolano Maderno (Brescia) via Cavour 54, richiesto in consegna dalla Repubblica di Romania, difeso di fiducia dagli avv. ti Raimondo Dal Dosso del Foro di Brescia, libero - contumace. Fatto e diritto Il cittadino rumeno Chereleu Octavian e' stato richiesto in consegna dalla Repubblica di Romania con domanda di estradizione pervenuta al Ministero della Giustizia che in data 2 marzo 2011 l'ha trasmessa alla Procura Generale presso questa Corte. Dalla richiesta, corredata dalla prescritta relazione, dalla copia della sentenza di condanna e dal relativo ordine di esecuzione emerge che il Chereleu e' stato condannato con sentenza, divenuta definitiva, emessa dalla Pretura di Oradea in data 27 giugno 2007 per i reati di evasione fiscale in concorso con altre persone ed associazione a delinquere, in relazione a fatti avvenuti negli anni 2001 e 2002. L'autorita' giudiziaria rumena ha inflitto al soggetto richiesto in consegna la pena finale di anni 4 di reclusione. Dalla lettura della sentenza si apprende che la condotta del Chereleu, all'epoca dei fatti rivestente la carica di amministratore della societa' Termal Felix Comextur sri che aveva assunto nel'ottobre 2001 a cio' indotto da altro coimputato, regista dell'operazione illecita, sarebbe consistita nel favorire l'evasione fiscale da parte della societa' Megatroma srl cui forniva apparentemente prodotti petroliferi per un valore diverso ed inferiore a quello indicato sulla documentazione fiscale e sui documenti di accompagnamento dei prodotti (su cui la merce era indicata falsamente come gasolio e benzina anziche' frazioni petrolifere) che venivano materialmente predisposta dal Chereleu su indicazione del coimputato Coltescu Titus. In tal modo ha concorso con l'amministratore della Megatroma srl nell'evasione fiscale consumata da tale societa' che ha operato una riduzione illecita della base di calcolo degli oneri fiscali, gonfiando artificiosamente spese non aventi alla base operazioni reali (vedasi pag. 9 della sentenza della Pretura di Oradea). In realta' la sentenza da' atto (pag. 11) che la srl Termal Felix Comextur aveva una consistenza meramente cartacea, fungendo da impresa interposta fra i produttori petroliferi e la societa' Magatroma, giacche' era priva di capitali per lo svolgimento di attivita' commerciale nel settore. I fatti per cui intervenne condanna sono stati ritenuti configurare i reati di evasione fiscale previsti dall'art. 13 legge n. 87/1994 della Romania, punito con la reclusione fino a 5 anni e di associazione a delinquere previsto dall'art. 323 cod. pen. rumeno, punti con pena da 3 a 15 anni di reclusione. Essi corrispondono a fattispecie delittuose previste dall'ordinamento interno (art. 8 decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 e art. 416 cod. pen.) punite con pene detentive non inferiori ad un anno, sicche' e' rispettata la condizione di cui all'art. 2 della Convenzione Europea di estradizione. La richiesta di consegna e' stata poi accompagnata dalla produzione della documentazione indicata dall'art. 12 della citata Convenzione. Vedendosi poi in tema di estradizione c.d. esecutiva non viene neppure in rilievo la questione della prescrizione dei reati ai sensi dell'art. 10 della Convenzione europea di estradizione perche' l'avvenuta prescrizione del reato e' causa ostativa all'accoglimento della domanda, secondo la legislazione della parte richiedente o della parte richiesta, unicamente nell'ambito delle estradizioni cd. "processuali", relative cioe' all'esercizio dell'azione penale, o comunque ad un procedimento in corso di svolgimento, non ancora esaurito con sentenza definitiva, dovendosi escludere l'applicabilita' di tale motivo di rifiuto nell'ambito delle estradizioni avviate per finalita' di esecuzione penale. (Corte di cassazione, sezione VI, 20 dicembre 2010 n. 45051). La difesa del Chereleu ha chiesto che la Corte emetta una decisione contraria alla estradizione, facendo presente la eventualita' che il condannato sia sottoposto in patria a trattamenti persecutori finalizzati ad ottenere informazioni utili a individuare altri soggetti complici della frode fiscale e in ogni caso sottolineando come la condizione delle carceri in Romania sia caratterizzata da un importante degrado cosi' da fare ritenere che la esecuzione della pena sia tramuti in un trattamento inumano con violazione dei diritti fondamentali, tale da integrare la condizione ostativa prefigurata dall'art. 698 c.p.p. A conforto dell'assunto la difesa ha prodotto documentazione giornalistica tratta da Internet e due "report" 2008 di Amnesty International. Orbene, va premesso che in tema di estradizione per l'estero, la condizione ostativa all'estradizione prevista dall'art. 698 comma 1 c.p.p. opera esclusivamente nelle ipotesi in cui vi sia la ragionevole previsione che l'estradando verra' sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o a violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, che siano riferibili esclusivamente all'autorita' del Paese richiedente e che tale accertamento puo' essere condotto anche dalla Corte di Appello sulla base sulla base di documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative (quali "Amnesty International"), la cui affidabilita' e' generalmente riconosciuta sul piano internazionale. (in tal senso Corte di cassazione , sez. VI, 8 luglio 2010, n. 32685). L'esame della documentazione prodotta dalla difesa non permette di giungere a ritenere giustificata la negativa previsione formulata dalla difesa perche': la documentazione riferibile ad Amnesty concerne alcuni episodi di violenza attribuiti alle forze di polizia e quindi estranei alla situazione carceraria; la relazione del comitato del Consiglio d'Europa si riferisce ad una visita al sistema carcerario rumeno compiuta nel 2006 dalla quale risulta che molli detenuti intervistati hanno lamentato eccessivo uso della forza da parte della polizia durante l'arresto e durante gli interrogatori. Anche in tal caso la critica non riguarda ii sistema carcerario; la relazione tratta dal sito Osservatoriobalcani.org sulla situazione carceraria rumena risale ad una analisi compiuta nel 2005 e dunque essa non e' riferibile automaticamente alla realta' attuale e in ogni caso disegna una situazione non peggiore del sistema penitenziario italiano, riconoscendo anzi che la legislazione rumena prevede uno spazio di 6 mq per ogni detenuto, superiore a quello previsto dagli standard europei e dando atto dei finanziamenti previsti per il miglioramento del sistema penitenziario; le massime delle sentenze Cedu prodotte dalla difesa documentano la prima un caso assai risalente nel tempo (1999), l'altra un episodio attinente a un omicidio fra detenuti di cui non e' attestata la data e che comunque non e' la spia di una situazione generalizzata. Non ignora questo Collegio che la Corte di cassazione ha di recente (Sezione VI ordinanza 26 gennaio 2011 n 5580) sollevato eccezione di costituzionalita' afferente la situazione discriminatoria fra il cittadino straniero stabilmente radicato sul territorio nazionale richiesto in consegna ex art. 10 legge 22 aprile 2009 n 69 e quello in pari situazione al quale si applica ratione tempori la procedura di estradizione. Ha osservato in proposito la Suprema Corte che: «per effetto dell'individuazione temporale di vigenza della normativa del mandato di arresto Europeo, si sia venuta a creare, in relazione ad una situazione di fatto analoga a quella dell'estradando, una violazione dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto alla risocializzazione nella esecuzione della pena, previsto dall'art. 27 Cost., comma 3, e di principi comunitari, in particolare quello di non discriminazione di cui all'art. 12 CE, di uniformita' di trattamento dei cittadini Europei, previsto dall'art.. 17 CE, e del diritto di stabilimento, riconosciuto dall'art. 18 CE, con realizzazione nel concreto di una difformita' di trattamento di situazioni analoghe; priva di ragionevolezza. L'irragionevolezza della scelta effettuata dal legislatore nel regolare l'applicazione ratione temporis della nuova disciplina del mandato di arresto Europeo appare evidente sia in relazione alla ratio di "garanzia" che aveva ispirato la normativa transitoria sia dall'esame dell'ipotesi di rifiuto, disciplinata dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r). La disciplina intertemporale contenuta nella legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 40 costituisce attuazione interna della dichiarazione presentata dal Governo italiano al Segretariato generale dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 32 della decisione quadro del 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI (cfr., la Relazione illustrativa del disegno di legge Atto C/4246). La norma da ultimo citata riconosce agli Stati membri la facolta' di dichiarare di continuare a trattare, in qualita' di Stato dell'esecuzione della consegna, le richieste ricevute a partire dal primo gennaio 2004 e relative a reati commessi prima di una data da esso precisata - e comunque non posteriore alla data di entrata in vigore della decisione quadro - conformemente al sistema di estradizione applicabile anteriormente al primo gennaio 2004. La normativa transitoria consente pertanto agli Stati membri, che si sono avvalsi di detta facolta', di non applicare il nuovo regime di consegna, avendo riguardo, oltre che al momento della presentazione della domanda - come di norma prevedono tutte le convenzioni di cooperazione giudiziaria, in ossequio al tradizionale principio del tempus regit actum (cfr., ex plurimis, il Rapport explicatif. alla Convenzione Europea di estradizione del 12 dicembre 1957, Annex, punto 2; l'art. 18, par. 5 della Convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione Europea del 1996) - anche al momento della commissione del reato per il quale la domanda e' avanzata. Per comprendere la ratio della disposizione transitoria contenuta nella decisione quadro, e' necessario brevemente ripercorrere, conformemente ai criteri interpretativi. indicati dall'art. 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, i lavori preparatori che hanno portato all'approvazione del testo finale. Il progetto di decisione quadro, presentato dalla Commissione Europea, prevedeva (art. 51 - Disposizione transitoria) che gli strumenti giuridici previgenti continuassero ad applicarsi "alle richieste di estradizione presentate prima dell'entrata in vigore delle misure necessarie a conformarsi alla presente decisione quadro" (cfr. doc. Copen 51 del 24 settembre 2001). La proposta di far riferimento anche al tempus commissi delicti per l'applicazione della nuova disciplina era stata avanzata dalla delegazione italiana, contestualmente ad una proposta alternativa e una riserva al testo del provvedimento, con riferimento all'eliminazione del controllo sulla c.d. "doppia incriminabilita'" (cfr. doc. Copen 79 del 4 dicembre 2001). Come e' noto, il Governo italiano aveva manifestato per tutta la durata del negoziato a Bruxelles la difficolta' di accettare la soppressione di questo tradizionale presupposto della estradizione, ipotizzandone la frizione con il principio di legalita', dettato dall'art. 25 Cost., sulla base anche di un autorevole parere formulato da due illustri costituzionalisti. E' significativo che, all'esito del compromesso finale raggiunto dalla Presidenza dell'U.E. con la delegazione italiana per l'approvazione della decisione quadro, quest'ultima abbia fatto inserire nel verbale del Consiglio una dichiarazione che, da un lato, impegnava il Governo italiano all'avvio delle procedure di diritto interno per rendere la decisione quadro stessa "compatibile con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, e per avvicinare il sistema giudiziario ed ordinamentale italiano ai modelli Europei, nel rispetto dei principi costituzionali", e, dall'altro, stabiliva che l'Italia avrebbe continuato a trattare in conformita' delle norme vigenti in materia di estradizione tutte le richieste relative a reati commessi prima della data di entrata in vigore della decisione quadro. Questo breve excursus dimostra come l'esigenza di ancorare l'applicazione della disciplina del mandato arresto Europeo ai fatti commessi dopo la data dell'entrata in vigore della decisione quadro sia derivata principalmente da un approccio "sostanzialista" - che ha poi caratterizzato l'intero dibattito parlamentare in Italia per l'approvazione della legge 22 aprile 2005, n. 69 (cfr. il Parere del 29 ottobre 2003 della prima Commissione permanente della Camera dei deputati; la Relazione illustrativa, Camera, Aula, seduta del 19 aprile 2004 nella quale viene piu' evocata la "riduzione delle garanzie" derivante dalla attuazione della decisione quadro e la necessita' di tutelare il "principio di non retroattivita'") - volto a conferire all'istituto della consegna natura di diritto sostanziale, oltre che squisitamente processuale. La trasposizione interna della disciplina transitoria della decisione quadro appare ulteriormente confermare la preoccupazione del legislatore italiano di salvaguardare anche in subiecta materia il principio di non retroattivita' delle norme penali o del trattamento penale piu' sfavorevole, di cui all'art. 25 Cost. (cfr. art. 3, comma 1, e art. 40, comma 3, della legge attuativa). Deve, peraltro, rammentarsi la diversa interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che ha affermato la natura processuale dell'istituto del mandato di' arresto Europeo, derivante dalla natura meramente "strumentale" della carcerazione imposta alla persona richiesta, in vista della sua traditio allo Stato richiedente, escludendo possibili frizioni con il principio di legalita' di cui all'art. 7 della CEDU, anche sotto il profilo della applicazione retroattiva della nuova normativa (cfr., in particolare, Corte di giustizia, 12 agosto 2008, Santesteban Goicoechea, p. 80).. Orbene, se la finalita' perseguita dal legislatore italiano, nel disciplinare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina e nel dettare norme transitorie volte ad escludere l'applicabilita' delle nuove norme ai reati commessi prima della data di entrata in vigore delle norme sopravvenute, era quella di evitare l'applicazione retroattiva di un regime di consegna considerato "meno favorevole" per la persona richiesta, ne e' derivato invece che sono state irragionevolmente precluse ad essa le garanzie previste dalla legge attuativa. La trasposizione della decisione quadro sul piano interno, come e' noto, ha infatti per molti versi accresciuto le garanzie a favore della persona richiesta previste dal regime estradizionale, sia reintroducendo poteri di controllo che il legislatore Europeo aveva eliminato, sia stabilendo ulteriori parametri di legalita' della consegna, non previsti dalla normativa previgente e talvolta neppure dalla stessa decisione quadro. In particolare, innovativa, rispetto alla normativa interna applicabile in tema di estrazione, e' la scelta della legge attuativa di prevedere il potere-dovere di rifiuto di cui alla legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), che consente alla persona richiesta di poter eseguire nello Stato di cittadinanza o di residenza la pena detentiva cui e' stata condannata. Peraltro, l'ipotesi di rifiuto a cui si ricollega la suddetta norma (segnatamente, l'art. 4, par. 6 della decisione quadro) non costituisce di per se' una novita' del nuovo regime di cooperazione instaurato tra i Paesi membri dell'U.E., bensi' e' espressione di un potere gia' previsto dalla disciplina convenzionale del 1957 (art. 6), che tuttavia non aveva trovato sul piano interno alcuna attuazione in termini obbligatori (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre 2006, Volo, Rv. 235436). L'abbandono del sistema estradizionale doveva in linea di principio comportare - per il mutato clima di reciproca fiducia esistente tra gli Stati membri - la soppressione o comunque il decisivo contenimento di quei tradizionali poteri di rifiuto della cooperazione, funzionali alla "protezione" dell'individuo ricercato nei confronti dell'esercizio da parte di altri Stati della giurisdizione penale (quali, in particolare, il presupposto della c.d. "previsione bilaterale" del fatto, il divieto dell'estradizione per il delitto politico, la prescrizione, ecc). Tra questi, nondimeno, gli Stati membri hanno ritenuto di mantenere ferma l'ipotesi del rifiuto della consegna del cittadino, di cui all'art. 6 della Convenzione Europea del 1957, in considerazione della difficolta' di molti di essi ad accettarne la totale soppressione per la previsione espressa nelle Costituzioni nazionali del divieto dell'estradizione del cittadino. Il compromesso raggiunto dalla decisione quadro (art. 4, par. 6) consentiva agli Stati membri di conservare tale tradizionale facolta' di rifiuto - parificando,in essa, in virtu' degli artt. 12 e 17 CE (attualmente artt. 18 e 20 del TFUE), la posizione del cittadino a quello del cittadino di altro Paese membro dell'Unione Europea residente o dimorante nello Stato richiesto -, condizionandone tuttavia l'esercizio - in caso di consegna c.d. esecutiva - all'assunzione dell'obbligo da parte dello Stato richiesto di mettere in esecuzione la sentenza definitiva emessa dallo Stato richiedente (aut dedere aut punire). Questa soluzione, che costituiva un passo in avanti rispetto al regime estradizionale, nel quale al rifiuto della consegna si poneva quale contraltare soltanto il mero impegno dello Stato richiesto di sottoporre il caso alle proprie autorita' giudiziarie, in vista della eventuale instaurazione (ex novo) di un procedimento penale nei confronti del cittadino (aut dedere aut iudicare), era stata resa possibile dal radicale cambiamento di prospettiva della cooperazione giudiziaria derivante dalla "libera circolazione" delle decisioni penali, in conseguenza dell'applicazione tra gli Stati dell'Unione Europea del principio del reciproco riconoscimento - pietra miliare dello sviluppo dello spazio Europeo di liberta', sicurezza e giustizia, indicata dal vertice di Tampere del 15-16 ottobre 1999. Prospettiva che consentiva di giustificare il rifiuto della consegna del cittadino non piu', come in passato, con la maggiore tutela da apprestare al connazionale a fronte delle interferenze derivanti dall'esercizio dell'altrui giurisdizione, bensi' con l'esigenza di accordare "una particolare importanza alla possibilita' di accrescere le opportunita' di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena cui essa e' stata condannata" (in tal senso, Corte giustizia, 6 ottobre 2009, Wolzenburg; cfr. anche l'art. 33 della versione originaria della proposta di decisione quadro, che prevedeva espressamente "il principio del reinserimento"). Ed e' proprio questo diverso atteggiarsi del rifiuto della consegna del cittadino che sembra conferire razionalita' alla scelta del legislatore italiano di recepire come motivo di rifiuto obbligatorio (legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. r) l'ipotesi di cui all'art. 4, par. 6 della decisione quadro, visto che lo Stato italiano era stato uno dei pochissimi Paesi aderenti alla Convenzione Europea del 1957 che non aveva avanzato alcun veto alla estradizione del proprio cittadino. L'applicazione del principio del reciproco riconoscimento dei "giudicati" nell'ambito dell'Unione Europea e della loro conseguente "libera circolazione", che trovava un primo recepimento nella decisione quadro sul mandato di arresto Europeo, consentiva, infatti, rispetto al passato, di attuare nel nostro ordinamento il corretto bilanciamento tra esigenze costituzionali potenzialmente in conflitto; da un lato, la funzione espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena di salvaguardare le esigenze di risocializzazione del reo, che ha maggiori possibilita' di successo, se effettuata all'interno della comunita' di appartenenza (Corte cost., sent. n. 313 del 1990); dall'altro, l'interesse pubblico alla repressione dei reati, la cui effettivita' deve essere garantita anche attraverso la cooperazione giudiziaria penale, evitando che il rifiuto della consegna comporti la dispersione delle attivita' processuali gia' compiute nello Stato richiedente (cfr. Sez. I, n. 3574 del 3 novembre 1986, dep. 3 febbraio 1987, Richter, Rv. 174987). 8. Fatte queste necessarie premesse, appare evidente che la disciplina transitoria dettata dall'art. 40 della legge attuativa, disponendo che le domande di consegna relative a reati commessi prima della data di entrata in vigore della legge n. 69/2005 siano trattate secondo la previgente disciplina estradizionale, ha irragionevolmente riservato alla persona richiesta da uno Stato dell'Unione Europea un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a coloro che sono sottoposti al regime di consegna del mandato di arresto Europeo, escludendo in particolare che sia rifiutata la estradizione del cittadino italiano e del cittadino di uno Stato dell'U.E., radicato in Italia, al fine di consentire l'esecuzione della pena detentiva nello Stato, ancorche' la relativa sentenza di condanna sia divenuta esecutiva dopo la entrata in vigore della decisione quadro del 2002. Circostanza quest'ultima, che doveva conferire alla sentenza di condanna emessa da uno Stato dell'U.E. quella "riconoscibilita'" in ambito Europeo, ai fini della sua esecuzione nello Stato richiesto, e consentiva al legislatore di attuare, come si e' detto in precedenza, un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco. In altri termini, appare irragionevole che il legislatore italiano, nello stabilire il regime transitorio per l'applicazione della normativa sul mandato di arresto Europeo, non abbia dettato disposizioni interne, analoghe a quelle previste dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), anche per l'ipotesi di estradizione del cittadino e del cittadino di uno Stato dell'U.E. fondata su un titolo divenuto esecutivo dopo la entrata in vigore della decisione quadro del 2002, e proprio in relazione a situazioni in cui il decorso di un congruo periodo temporale dall'epoca del commesso reato rendeva in fatto ancor piu' probabile la recisione dei legami con il proprio paese d'origine e piu' radicata la presenza nel territorio straniero intervenuta medio termine. La lacuna venutasi a creare nel regime estradizionale non consente pertanto all'autorita' giudiziaria italiana di valutare, nell'ambito della procedura, l'esigenza rappresentata dalla persona richiesta che la traditio non vanifichi la finalita' rieducativa e di risocializzazione, espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena e da molteplici strumenti internazionali (in particolare, la Raccomandazione n. R 87/3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sulle regole penitenziarie Europee, adottata il 12 febbraio 1987 e sostituita dalla raccomandazione Rec. 2006/2, adottata l'11 gennaio 2006; la Risoluzione del Parlamento Europeo sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'Unione Europea, A4-0468/98; Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners, adottate dalle Nazioni Unite il 30 agosto 1955), con la recisione dei legami del condannato con il luogo in cui mantiene stabili legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici. Legami che il cittadino dell'Unione Europea ha legittimamente creato nello Stato di residenza, esercitando il suo diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall'art. 18 T.F.U.E. La predetta finalita' rieducativa e di risocializzazione risulta invece affidata, nella procedura estradizionale, limitatamente al cittadino italiano, alla sola valutazione discrezionale - non vincolata o comunque indirizzatata da criteri o parametri normativi del Ministro della Giustizia di rifiutare la consegna estradizionale (tra le tante, Sez. 6, n. 36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre 2006, Volo, Rv. 235436; Sez. 5, n. 2133 del 10 dicembre 1985, dep. 13 gennaio 1986, Bernardini, Rv. 171526); mentre non riceve alcuna tutela nel caso del cittadino dell'U.E. che ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall'art. 18 T.F.U.E., trasferendo in Italia il centro dei suoi interessi economici, familiari e sociali (l'Italia, a differenza di altri Stati, non ha effettuato alcuna dichiarazione, ai sensi dell'art. 6, primo par., della Convenzione Europea di estradizione del 1957, per ricomprendere il residente nella nozione di "cittadino"). Conclusivamente deve ritenersi che, per effetto del quadro normativo sopra descritto, si sia creata una disparita' di trattamento con situazioni analoghe rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost., priva di ragionevole giustificazione, in quanto viene preclusa, nonostante la "riconoscibilita'" del titolo esecutivo, al cittadino italiano e al cittadino di uno Stato dell'U.E., la cui consegna e' regolata dalla normativa estradizionale, richiamata dall'art. 40 cit., la possibilita' di ottenere una decisione contraria alla loro estradizione, al fine di scontare la pena privativa della liberta' personale nello Stato di cittadinanza o di residenza, e di accrescere pertanto le opportunita' del loro reinserimento sociale. (omissis). Si ritiene, conseguentemente necessario, al fine del decidere, sollevare d'ufficio, in riferimento all'art. 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, la questione di legittimita' costituzionale della legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 40 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) e dell'art. 705 c.p.p. nella parte in cui non prevedono, in una situazione analoga a quella richiamata dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. r), che la corte di appello - in relazione ad una domanda di estradizione presentata dopo il 14 maggio 2005 da uno Stato membro dell'Unione Europea, sulla base di una sentenza di condanna, divenuta esecutiva dopo il 1 gennaio 2004, ad una pena privativa della liberta' personale, per un reato commesso prima del (Omissis) - pronunci sentenza contraria alla estradizione di un cittadino di un Stato membro dell'Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente abbia la residenza o la dimora nel territorio italiano, quando ritenga che tale pena sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno. La predetta motivazione condivisa da questo giudice si adatta perfettamente alla situazione del Chereleu che ha dichiarato di essere presente in Italia fin dal 2003 e che ivi e' anagraficamente registrato a far tempo dal 12 novembre 2007, svolge regolare attivita' lavorativa presso la ditta Erreci snc con sede in Vobarno e ha ormai in Italia il proprio centro di interessi anche dal punto di vista affettivo avendo costituito un nucleo famigliare tendenzialmente stabile (vedi dichiarazioni rese in sede di convalida e documentazione prodotta dalla difesa)