Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della richiesta di giudizio immediato da parte  della
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano del 9 febbraio
2011 e del decreto di giudizio immediato emesso dal  Giudice  per  le
indagini preliminari presso il Tribunale di Milano  del  15  febbraio
2011, nei confronti del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  in
carica, promosso dalla Camera dei deputati con ricorso depositato  in
cancelleria il 17 maggio 2011  ed  iscritto  al  n.  7  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del  6  luglio  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato il 17 maggio 2011, la Camera
dei deputati ha sollevato un conflitto  di  attribuzione  tra  poteri
dello Stato nei confronti del Procuratore della Repubblica presso  il
Tribunale di Milano (di seguito: P.M.) e del Giudice per le  indagini
preliminari di quest'ultimo Tribunale (di seguito: G.i.p.), chiedendo
che questa Corte:  dichiari  che  non  spettava  al  primo  «esperire
indagini nei confronti del Presidente del Consiglio dei  ministri  in
carica», on. Silvio Berlusconi, «nonche' procedere alla richiesta  di
giudizio  immediato»  «relativamente   al   contestato   delitto   di
concussione, omettendo di trasmettere gli  atti  al  Collegio  per  i
reati ministeriali» (d'ora in poi: Collegio), ai  sensi  dell'art.  6
della legge costituzionale 16 gennaio 1989,  n.  1  (Modifiche  degli
articoli  96,  134  e  135   della   Costituzione   e   della   legge
costituzionale  11  marzo  1953,  n.  1,  e  norme  in   materia   di
procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della  Costituzione),
«in  tal  modo  precludendo  alla  competente  Camera  dei   deputati
l'esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali in  materia  di
cui all'art. 96 Cost. ed alla legge costituzionale n. 1 del  1989,  e
comunque senza dare  la  dovuta  comunicazione»;  dichiari  che  «non
spettava» al secondo «procedere  in  via  ordinaria  ed  emettere  il
decreto di  giudizio  immediato  nei  confronti  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri in carica,  ne'  affermare,  in  relazione  al
contestato delitto di concussione, la natura non  ministeriale  dello
stesso, omettendo di rilevare la necessaria trasmissione degli  atti»
al Collegio «con i provvedimenti del caso, in  tal  modo  precludendo
alla  competente  Camera  dei  deputati  l'esercizio  delle   proprie
attribuzioni costituzionali in materia di cui all'art.  96  Cost.  ed
alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e  comunque  senza  dare  la
dovuta  comunicazione»  a  quest'ultima;  conseguentemente,  provveda
all'«annullamento delle  attivita'  poste  in  essere  e  degli  atti
adottati» dai citati P.M. e G.i.p.; 
    che, secondo la ricorrente, la Giunta per le autorizzazioni della
Camera  dei  deputati  (di  seguito:  Giunta),  in  occasione   della
ricezione, in data 14 gennaio 2011, della domanda  di  autorizzazione
del P.M.  ad  eseguire  perquisizioni  domiciliari  (nell'ambito  del
procedimento penale n. 55781/2010 RGNR, per i  delitti  di  cui  agli
artt. 317, 61, numero 2, 81  cpv  e  600-bis,  comma  2,  del  codice
penale), integrata con  ulteriori  atti  in  data  26  gennaio  2011,
apprendeva che, in relazione a tale  procedimento  penale,  erano  in
corso indagini nei confronti del Presidente del Consiglio di ministri
in carica, on. Silvio Berlusconi; 
    che  la  Giunta,  con  relazione  adottata  a   maggioranza,   in
riferimento al contestato delitto di  concussione:  in  primo  luogo,
osservava  che,  nonostante  l'omissione  da  parte  del   P.M.   «di
qualsivoglia argomentazione circa la non ministerialita'» del  reato,
sarebbe stata  prospettabile,  «in  forza  di  una  molteplicita'  di
elementi, "l'ipotesi  che  si  versi  nel  reato  ministeriale"»;  in
secondo luogo, riteneva che la competenza a qualificare il reato come
ministeriale  sarebbe  «essenzialmente  attribuita  dalla  legge»  al
Collegio,  «quanto  meno  per  i  fatti  per  i  quali  sussista   un
ragionevole dubbio circa il ricorrere di questo  requisito»,  poiche'
«l'attivazione della procedura  di  rimessione»  degli  atti  a  tale
organo avrebbe, «nella sistematica del procedimento, la  funzione  di
garantire l'interesse costituzionalmente  tutelato  delle  Camere  ad
operare  un'autonoma  valutazione  sulla  ministerialita'  del  reato
rispetto a quella operata dalla  magistratura,  garanzia»  totalmente
esclusa, qualora esso non sia «attivato»; in terzo  luogo,  proponeva
di deliberare la restituzione degli «atti  all'autorita'  giudiziaria
procedente», proposta accolta in data 3 febbraio 2011  dall'Assemblea
della Camera dei deputati; 
    che, ad avviso della ricorrente, il 1° marzo 2011 perveniva  alla
Presidenza della  Camera  dei  deputati  una  missiva,  con  relativi
allegati, sottoscritta  da  tre  Presidenti  di  Gruppo,  recante  la
richiesta di «accertare la sussistenza delle condizioni per sollevare
un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato», «a tutela delle
prerogative della  Camera  lese  [...]  dall'operato  omissivo  della
magistratura procedente», poiche' la delibera di  restituzione  degli
atti al P.M. non aveva «sortito alcun effetto» ed il  G.i.p.  si  era
espresso nel senso di «"confermare  l'atteggiamento  della  procura",
con quel che ne conseguiva sotto il  profilo  della  "portata  lesiva
delle prerogative della Camera"»,  in  quanto,  con  decreto  del  15
febbraio 2011, aveva disposto di procedere con giudizio immediato nei
confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica,  dando
atto della relativa richiesta avanzata dal P.M. in  data  9  febbraio
2011, della quale  non  era  stata  data  comunicazione  alla  Camera
competente; 
    che, secondo la Camera dei deputati, il G.i.p., in detto decreto,
non avrebbe tenuto conto degli elementi emersi in  sede  parlamentare
in  ordine  alla  natura  ministeriale  del   reato   in   questione,
sull'implicito presupposto che a lui spettasse in  via  esclusiva  il
potere  di  accertarla,  ed  aveva  rigettato,  sulla  scorta   delle
argomentazioni sintetizzate nel ricorso, l'eccezione di  incompetenza
funzionale sollevata dalla difesa rispetto alla cognizione  riservata
al Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Milano; 
    che la Giunta, in data 23 marzo 2011, approvava  la  proposta  di
parere diretta a sollevare conflitto di  attribuzioni  nei  confronti
del P.M. e del G.i.p., per denunciare la lesione  delle  attribuzioni
spettanti alla Camera dei deputati,  ai  sensi  dall'art.  96  Cost.,
accolta dall'Assemblea nella seduta del 5 aprile 2011; 
    che, secondo la  ricorrente,  il  P.M.  ed  il  G.i.p.  avrebbero
violato l'art. 6 della legge costituzionale  n.  1  del  1989,  nella
parte  in  cui  stabilisce  l'obbligo  di  trasmettere  gli  atti  al
Collegio, ai fini dell'attivazione delle  indagini  e,  all'esito  di
queste, dell'adozione delle relative determinazioni, con  conseguente
«menomazione delle attribuzioni costituzionali spettanti alla  Camera
dei deputati, a seguito della comunicazione  che  in  tutti  i  casi»
l'organo requirente avrebbe l'obbligo di assicurare (art. 8, comma 4,
della  legge  costituzionale  n.  1  del  1989),  «in   ordine   alla
qualificazione  del  reato  addebitato  nonche'  all'esercizio  della
potesta' autorizzatoria di cui all'art. 96 Cost.  e  all'art.  9»  di
tale legge, «alla stregua delle  ulteriori  valutazioni  di  cui»  al
comma 3 di quest'ultima norma; 
    che, ad avviso della Camera dei deputati,  il  conflitto  sarebbe
ammissibile, poiche' essa e' abilitata ad esprimere in via definitiva
la volonta' del  potere  che  rappresenta  e  sarebbe  legittimata  a
denunciare, mediante conflitto  di  attribuzioni,  la  lesione  delle
prerogative costituzionali di cui all'art. 96  Cost.,  in  quanto  e'
titolare del potere di  autorizzazione  previsto  da  tale  parametro
costituzionale, dato che il Presidente del Consiglio dei ministri  in
carica, on. Silvio Berlusconi, e' membro della Camera dei deputati; 
    che, a suo avviso, sarebbero legittimati a resistere al conflitto
di attribuzioni il P.M., in quanto ufficio investito  delle  funzioni
previste dall'art. 112 Cost., ed il  G.i.p.,  organo  giurisdizionale
che svolge  le  funzioni  allo  stesso  spettanti,  in  posizione  di
indipendenza costituzionalmente garantita; 
    che, secondo la ricorrente, sussisterebbe il requisito  oggettivo
del conflitto, poiche' gli atti impugnati sarebbero  stati  posti  in
essere  in  violazione  della  disciplina   stabilita   dalla   legge
costituzionale n. 1 del 1989 in materia di reati ministeriali di  cui
all'art.  96  Cost.,  riservati  alla  competenza  del  Collegio,   e
sarebbero, quindi, lesivi delle attribuzioni costituzionali  ad  essa
spettanti, in quanto l'omessa «comunicazione delle  risultanze  delle
indagini» non l'avrebbe  posta  in  grado  «di  poter  esprimere  con
cognizione di causa la propria valutazione  in  ordine  al  carattere
ministeriale   del   reato   nonche',   ai   fini   della   eventuale
autorizzazione a procedere nei confronti del titolare della carica di
Governo»,  mirando  il  conflitto  «a   reintegrare   le   specifiche
attribuzioni di pertinenza  della  Camera  che  sono  correlate  alle
competenze del c.d. Tribunale dei ministri»; 
    che, in contrario,  non  sarebbe  evocabile  l'art.  37,  secondo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla  costituzione  e
sul funzionamento della Corte costituzionale), anzitutto, perche'  il
conflitto di  giurisdizione  al  quale  fa  riferimento  detta  norma
concerne la definizione dei rapporti tra giudice ordinario e  giudice
speciale, quale non e' il Collegio per i reati ministeriali; inoltre,
in quanto i conflitti di giurisdizione e di competenza  attengono  al
caso in cui piu' giudici contemporaneamente prendano, ovvero ricusino
di prendere cognizione di uno stesso fatto, mentre nella specie  essa
ricorrente  non  rivendica  funzioni  giudiziarie,  ma  denuncia   la
menomazione delle attribuzioni costituzionali di cui e'  titolare  in
materia di reati ministeriali, destinate a rimanere altrimenti  priva
di tutela, poiche' soltanto essa e' legittimata a dolersene sotto  il
profilo  qui  considerato  e  la  controversia  va  decisa  all'esito
dell'identificazione delle attribuzioni costituzionali  spettanti  al
potere   legislativo   ed    al    potere    giudiziario,    mediante
l'interpretazione di disposizioni di rango costituzionale,  riservata
dall'art. 134 Cost. a questa Corte; 
    che, secondo la ricorrente, il P.M. ed il G.i.p.  hanno  ritenuto
di «poter procedere nelle vie ordinarie in  quanto  titolari  in  via
esclusiva del potere  di  qualificazione  dell'illecito»:  il  primo,
senza fornire nessuna motivazione sul punto; il  secondo,  rigettando
l'eccezione proposta dal Presidente del Consiglio  dei  ministri,  in
quanto ha escluso che l'ipotizzato delitto di  concussione  configuri
un reato ministeriale; entrambi, omettendo di comunicare alla  Camera
dei  deputati  siffatte  determinazioni,  senza  tenere  conto  delle
osservazioni svolte nel provvedimento di restituzione della richiesta
avente ad oggetto l'autorizzazione alle perquisizioni domiciliari; 
    che,  a  suo  avviso,  la  disciplina   stabilita   dalla   legge
costituzionale n. 1 del 1989, analiticamente riprodotta nel  ricorso,
evidenzierebbe, in primo  luogo,  che  la  stessa  e'  preordinata  a
concentrare in capo al Collegio l'attivita'  di  indagine  (finalita'
resa palese dalla previsione di un termine per la trasmissione a tale
organo della notizia di reato da parte del P.M.  e  dal  divieto  per
questi di procedere a qualunque indagine), allo scopo  di  realizzare
le garanzie offerte dallo stesso, poiche' sua «precipua finalita'  e'
assicurare  che  la  Camera  competente  abbia  contezza,   ai   fini
dell'assunzione delle  sue  decisioni,  di  un  esauriente  materiale
probatorio»; in secondo luogo, renderebbe  palese  che  le  norme  di
detta legge mirano a garantire che la Camera competente, sulla scorta
delle  indagini  effettuate  dal  Collegio,  nei  casi  di  richiesta
dell'autorizzazione  a  procedere  e   di   archiviazione   «anomala»
(sentenza n. 241 del 2009), sia posta in grado di conoscere tutti gli
elementi  necessari  per  assumere  le  determinazioni   di   propria
competenza in ordine al carattere  ministeriale  del  reato  ed  alla
sussistenza di eventuali esimenti; 
    che la brevita' dei termini stabiliti dalla legge  costituzionale
in esame dimostrerebbe la strumentalita' della disciplina rispetto al
fine  di  assicurare  che  le   ipotesi   di   reato,   anteriormente
all'eventuale esercizio dell'azione penale, siano sottoposte  ad  una
duplice  valutazione,  concernente   «la   meritevolezza   circa   la
prosecuzione del procedimento» (spettante al Collegio) e «l'esistenza
dei  presupposti  per  l'attivazione  della   relativa   guarentigia»
(riservata  alla  Camera  di  competenza),  in  considerazione  degli
«interessi di  natura  istituzionale»  in  gioco,  anche  in  ragione
dell'eventuale  incidenza  della  pendenza  del  procedimento   sulla
compagine di Governo e sulla connessa relazione fiduciaria; 
    che l'inosservanza del procedimento sopra descritto,  secondo  la
Camera dei deputati, vanificherebbe «l'intero sistema  disegnato  dal
legislatore costituzionale nel  quale  si  trovano  contemperate  "la
garanzia della  funzione  di  governo  e  l'uguaglianza  di  tutti  i
cittadini  davanti  alla  legge"»  (sentenza  n.   241   del   2009),
realizzate, da un canto, mantenendo fermo  il  potere  dell'autorita'
giudiziaria ordinaria di svolgere  le  indagini  necessarie  rispetto
alle notizie di reato a carico dei ministri; dall'altro,  assicurando
alla  Camera  competente,  ai   sensi   dell'art.   5   della   legge
costituzionale n. 1 del 1989, l'adeguata  e  tempestiva  informazione
sugli sviluppi e sull'esito dei  procedimenti  penali  a  carico  dei
componenti del Governo, costituente questo uno snodo  essenziale  del
procedimento,   comprovato    dall'affermazione    dell'obbligo    di
comunicazione  anche  nel  caso  di  archiviazione  conseguente  alla
ritenuta  non  ministerialita'  del  reato  oggetto  della  attivita'
investigativa (sentenza n. 241 del 2009); 
    che  sarebbe  inesatto  riferire  l'iter   procedimentale   sopra
sintetizzato al solo caso in cui  «sia  stato  previamente  accertato
dall'autorita' giudiziaria» il carattere ministeriale del reato,  con
tesi  in  contrasto  con  la   disciplina   stabilita   dalla   legge
costituzionale  n.  1  del  1989,  anche  perche',  ad  avviso  della
ricorrente,   l'equilibrio   tra   i   poteri    sarebbe    garantito
esclusivamente dalla riserva in capo  al  Collegio  della  definitiva
qualificazione in ordine alla natura del reato (anche quando il  P.M.
lo abbia ritenuto non ministeriale),  poiche'  questa  assicura  alla
Camera   competente   l'informazione   costituzionalmente    dovutale
(sentenza n. 241  del  2009),  in  ordine  alle  vicende  processuali
concernenti componenti del Governo,  ai  fini  delle  valutazioni  di
propria spettanza, eventualmente divergenti rispetto a quelle operate
da detto Collegio, con le conseguenze prefigurate nella  sentenza  n.
241 del 2009; 
    che, peraltro, cio' non implicherebbe che lo status di componente
del Governo  costituisca  condizione  necessaria  e  sufficiente  per
ritenere sussistente il carattere ministeriale del reato,  in  quanto
«sia la prima  e  "precaria"  valutazione  operata  dal  Procuratore,
finalizzata alla presentazione delle sue  "richieste"  al  Collegio»,
sia quella conclusiva di quest'ultimo «verteranno sui profili atti ad
integrare il reato ministeriale», come  risulterebbe  comprovato  dal
divieto per il P.M. di effettuare indagini sulla notizia di  reato  a
carico di un Ministro  e  dalla  brevita'  del  termine  fissato  per
presentare le proprie richieste al  Collegio,  incompatibili  con  la
possibilita' di operare una ponderazione conclusiva  ed  adeguata  in
ordine alla natura del reato; 
    che, infatti,  in  virtu'  dell'art.  6,  comma  2,  della  legge
costituzionale n. 1 del 1989, il P.M., nel trasmettere  gli  atti  al
Collegio,  deve  formulare  le   proprie   «richieste»,   concernenti
anzitutto la qualificazione del reato, le quali  non  possono  essere
sottratte alla valutazione di tale organo; 
    che, ad avviso della Camera dei deputati, siffatta configurazione
sarebbe confortata dai lavori preparatori della legge  costituzionale
n.  1  del  1989,  analiticamente  richiamati  nel  ricorso,   mentre
l'implausibilita'   dell'interpretazione   sostenuta   dall'autorita'
giudiziaria sarebbe confortata dal fatto che per  il  P.M.  il  breve
lasso di  tempo  accordatogli  da  detta  legge  e'  sufficiente  per
adottare le determinazioni del caso, senza alcun  ulteriore  supporto
investigativo, mentre al Collegio e' concesso un termine  di  novanta
giorni (prorogabili di altri sessanta giorni), per operare, in  forza
delle investigazioni  esperite,  la  qualificazione  del  reato  come
ordinario, disponendo la cosiddetta archiviazione anomala; 
    che, peraltro,  non  sarebbe  plausibile  che,  qualora  il  P.M.
ritenga il reato  non  ministeriale,  al  Collegio  sia  impedito  di
esprimersi in ordine a tale determinazione, risultando  tale  esegesi
inesatta,  in   considerazione   dell'impossibilita'   di   sottrarre
all'organo  parlamentare  «una  propria  autonoma  valutazione  sulla
natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di  indagine
giudiziaria» (sentenza n. 241 del 2009) ed essendo  desumibile  dalla
legge costituzionale n. 1 del 1989 il principio, in virtu' del  quale
la  natura  del  reato  non  puo'  essere  fissata  dal   P.M.,   con
determinazione suscettibile di impedire  alla  Camera  competente  la
valutazione alla stessa spettante, pena la  violazione  dell'esigenza
di  certezza  delle  attribuzioni  costituzionali,  del   ragionevole
equilibrio nell'esercizio delle  stesse  e  del  principio  di  leale
collaborazione tra poteri dello Stato; 
    che, secondo la Camera dei deputati, le  circostanze  emerse  nel
corso  del  dibattito  parlamentare,   la   vicenda   relativa   alla
deliberazione adottata sulla richiesta del P.M. di autorizzazione  ad
effettuare  alcune  perquisizioni  domiciliari  nei   confronti   del
Presidente del Consiglio dei ministri e le puntualizzazioni svolte in
tale atto parlamentare anche in ordine alla posizione di quest'ultimo
(analiticamente riportati nel ricorso), dimostrerebbero  l'esistenza,
nella specie, di dubbi in ordine alla natura ministeriale o meno  del
reato - i quali avrebbero dovuto indurre P.M. e G.i.p.  ad  investire
della relativa qualificazione il Collegio (Cass. penale, sez.  VI,  6
agosto 1992, n. 2865) - nonche' la violazione dell'obbligo  di  leale
collaborazione,  conseguente  alla   mancata   considerazione   della
delibera parlamentare  di  restituzione  degli  atti,  contenente  la
sollecitazione ad attivare  il  procedimento  stabilito  dalla  legge
costituzionale n.  1  del  1989,  e,  quindi,  la  sussistenza  della
denunciata lesione delle attribuzioni costituzionali in esame; 
    che,  ad  avviso  della  ricorrente,  un  «ulteriore  profilo  di
lesivita'» sarebbe «riscontrabile nella motivazione del  decreto  del
G.i.p.», nella parte in cui, per sostenere la natura non ministeriale
del reato, questi «si e' dovuto impegnare su svariati e  problematici
aspetti di ordine costituzionale inerenti  la  complessiva  posizione
istituzionale  della  figura  del  Presidente   del   Consiglio   dei
ministri», senza compiutamente apprezzare le valutazioni  svolte  sul
punto da essa istante in ordine  alle  funzioni  a  questo  spettanti
(puntualmente riportate nel ricorso); 
    che, «in via subordinata», il comportamento del P.M. e del G.i.p.
sarebbero lesivi delle  attribuzioni  costituzionali  spettanti  alla
Camera dei deputati, in quanto non avrebbero informato  quest'ultima,
«a tempo debito  e  nelle  forme  richieste»,  della  conduzione  del
procedimento nelle vie ordinarie,  «in  particolare  con  riferimento
alla richiesta di giudizio immediato avanzata dalla procura,  nonche'
al relativo decreto adottato dal G.i.p.», e  tale  omissione  avrebbe
comportato la «inibizione del potere della Camera di  procedere  alle
apposite determinazioni di sua pertinenza circa la natura  del  reato
ed eventualmente circa la sussistenza delle esimenti» di cui all'art.
9, comma 3, della legge costituzionale n. 1 del 1989; 
    che, secondo la ricorrente, qualora detti organi si arroghino  il
potere di qualificare il  reato  come  non  ministeriale,  sarebbero,
infatti, tenuti ad osservare  gli  obblighi  di  comunicazione  e  di
coinvolgimento della Camera competente, alla quale «non  puo'  essere
sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura  ministeriale
o  non  ministeriale  dei  reati  oggetto  di  indagine  giudiziaria»
(sentenza  n.  241  del  2009),  restando  escluso  che  essa  «debba
rimettersi  all'iniziativa  del  singolo  titolare  della  carica  di
governo, peraltro non necessariamente interessato  a  far  valere  il
carattere ministeriale del reato, posto che il compito assegnato alle
Camere, a seguito della novellazione  dell'art.  96  Cost.,  e'  oggi
quello di assicurare nel suo complesso il corretto funzionamento  del
sistema parlamentare e dell'integrita' delle funzioni di governo»; 
    Considerato che in questa fase del giudizio,  a  norma  dell'art.
37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  questa
Corte  e'  chiamata  a  delibare  senza  contraddittorio  in   ordine
all'ammissibilita' del conflitto di attribuzione,  sotto  il  profilo
della sussistenza della «materia di un conflitto la  cui  risoluzione
spetti alla sua competenza»; 
    che,  quanto   alla   sussistenza   dei   requisiti   soggettivi,
impregiudicata ogni ulteriore e diversa valutazione,  la  Camera  dei
deputati e' legittimata a sollevare conflitto, al fine  di  difendere
le  attribuzioni  che  le  spettano  ai  sensi  dell'art.  96   Cost.
(ordinanza n. 104 del 2011; sentenze n. 241 del 2009  e  n.  403  del
1994; ordinanze n. 211 del 2010; n. 8 del 2008; n. 217 del 1994); 
    che la legittimazione  a  resistere  nel  presente  conflitto  va
riconosciuta al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale  di
Milano, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente, nel
procedimento  di  cui  e'  investito,  la  volonta'  del  potere  cui
appartiene, in ragione  dell'esercizio  di  funzioni  giurisdizionali
svolte  in  posizione  di  piena   indipendenza,   costituzionalmente
garantita (in generale, sulla legittimazione  del  G.i.p.  ad  essere
parte nel giudizio *ex art. 37 della legge n. 87  del  1953,  tra  le
molte, sentenza n. 82 del 2011); 
    che e'  ugualmente  legittimato  a  resistere  nel  conflitto  il
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in quanto
direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 112 Cost. e,
quindi, gravato dall'obbligo  di  esercitare  l'azione  penale  e  di
svolgere le attivita' di indagine a questa finalizzate (ordinanza  n.
104 del 2011); 
    che,  con  riguardo  ai  presupposti  oggettivi,  il  ricorso  e'
indirizzato a garanzia di una sfera di  attribuzioni  costituzionali,
desumibili, secondo la  prospettazione  della  Camera  dei  deputati,
dall'art. 96 Cost. e dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1
(da ultimo, in fattispecie analoga a quella in  esame,  ordinanza  n.
104 del 2011); 
    che tale preliminare valutazione, adottata  prima  *facie  ed  in
assenza di contraddittorio, lascia impregiudicata  ogni  ulteriore  e
diversa  determinazione  concernente  la  stessa  ammissibilita'  del
ricorso,  avuto  riguardo,  fra  l'altro,  alla  natura  degli   atti
asseritamente lesivi e alla  sussistenza  di  un'idonea  "materia  di
conflitto"; 
    che, infine, ai sensi dell'art. 37, quarto comma, della legge  n.
87 del 1953,  va  disposta  la  notificazione  del  ricorso  e  della
presente  ordinanza  anche  al  Senato   della   Repubblica,   stante
l'identita'  della  posizione  costituzionale  dei   due   rami   del
Parlamento in relazione  alle  questioni  di  principio  da  trattare
(sentenza n. 7 del 1996; ordinanze n. 104 del 2011; n. 211 del  2010;
n. 8 del 2008; n. 102 del 2000; n. 470 del 1995);