IL TRIBUNALE 
 
    Con  la  presente  ordinanza  si  intende   promuovere   giudizio
incidentale  di  costituzionalita'  in  merito   all'ultimo   periodo
dell'articolo 26, comma 3, legge n. 240/2010  il  quale  testualmente
recita «sono estinti i giudizi in  materia  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge». 
    Tale periodo si colloca al  termine  di  una  norma  definita  di
interpretazione autentica, con la quale il legislatore si  e'  inteso
pronunciare  in  merito  alla  questione  dei  collaboratori  esperti
linguistici delle  Universita'  italiane.  La  prima  parte  di  tale
articolo e' infatti dedicata a disciplinare il trattamento  economico
di tali soggetti; l'ultimo periodo, come sopra riportato,  e'  invece
una norma che non puo' essere considerata, per ovvi motivi logici, di
natura interpretativa del decreto-legge n. 2/2004, articolo 1,  comma
1: infatti tale disposizione  prevede  l'estinzione  dei  giudizi  in
corso alla data di entrata in vigore della «presente legge»,  laddove
pare ovvio che si faccia riferimento  alla  legge  del  2010  e  non,
com'e' evidente, al decreto-legge del 2004. 
 
                          I fatti di causa 
 
    Il procedimento da cui trae origine la presente ordinanza  e'  la
richiesta, da parte di un collaboratore esperto linguistico,  assunto
presso   l'Universita'   degli   studi   di   Torino,   di   ottenere
l'equiparazione  del  proprio  trattamento  economico  a  quello  del
ricercatore  assunto  a  tempo  definito,  con  conseguente  condanna
dell'Universita' convenuta al pagamento delle differenze  retributive
per il passato e all'adeguamento del  trattamento  economico  per  il
futuro. Nelle more del giudizio e' entrata in vigore la legge di  cui
oggi si tratta; durante la discussione orale, le  parti  hanno  preso
posizione in merito all'effettiva natura  interpretativa  o  meno  di
tale   norma   nonche'   in   merito   ai   profili   di    eventuale
incostituzionalita' della medesima: in particolare, parte  ricorrente
ha ritenuto che, qualora la norma fosse dichiarata interpretativa  (e
quindi con effetto retroattivo), vi sarebbero degli evidenti  profili
di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli articoli 3, 24
e 117  (con  riferimento  alle  pronunce  della  Corte  di  Giustizia
dell'Unione europea intervenute in merito)  della  Costituzione;  per
quanto riguarda l'ultimo periodo,  parte  ricorrente  ha  manifestato
chiaramente i propri dubbi sulla costituzionalita' di tale previsione
che imporrebbe per via legislativa di  estinguere  immediatamente  il
processo in corso,  impedendo  quindi  alla  parte  di  ottenere  una
pronuncia  nei  merito,  esistendo  inoltre  dei  dubbi  sul   regime
impugnatorio cui un tale  provvedimento  giudiziale  dovrebbe  essere
sottoposto. 
 
                      In merito alla rilevanza 
 
    La rilevanza della norma e' del tutto palese: infatti la  novella
legislativa e' senz'altro  applicabile  ai  giudizi  in  corso  e  la
controversia de quo dovrebbe essere necessariamente decisa (o  meglio
dovrebbe essere immediatamente estinta) sulla base dell'articolo  26,
comma 3, legge 240/2010. 
    Non vi e' infatti spazio per il giudice poiche' tale  previsione,
nella sua sinteticita' («sono estinti i giudizi in materia  in  corso
alla data di entrata in vigore della presente legge»), e' chiarissima
nell'imporre all'organo giudicante di  pronunciare  l'estinzione  del
processo: e' pacifico che, essendo la  pronuncia  di  estinzione  una
definizione della causa in mero rito, quindi preliminarmente ad  ogni
esame nel merito, preclude alle parti la possibilita' di ottenere una
sentenza definitiva. 
    Senza dubbio, quindi, qualora non si decidesse di  rimettere  gli
atti alla Corte costituzionale, lo scrivente dovrebbe necessariamente
applicare  tale  norma  di  legge  ed  estinguere  immediatamente  il
processo. 
 
              In merito alla non manifesta infondatezza 
 
    I plurimi rilievi in merito alla incostituzionalita' della  norma
contenuta  nell'ultimo  periodo  dell'articolo  26,  comma  3,  legge
240/2010, appaiono non manifestamente  infondati:  tale  disposizione
che impone al giudice di  estinguere  immediatamente  i  processi  in
corso alla data di entrata in vigore della legge,  appare  essere  in
contrasto  con  diversi  articoli  della  Costituzione  italiana.  Lo
scrivente, peraltro, non ritiene possibile fornire un'interpretazione
costituzionalmente orientata alla disposizione suddetta, la quale  e'
assolutamente stringente e, prevedendo un'ipotesi  extra  ordinem  di
estinzione del processo, impedisce ogni possibile ulteriore azione al
giudice    diversa    dalla    ordinanza    dichiarativa,    appunto,
dell'estinzione. 
    Le norme costituzionali che si  possono  ritenere  violate  dalla
disposizione di legge indicata sono, in particolare: 
        articolo 24: «Tutti possono agire in giudizio per  la  tutela
dei propri diritti  e  interessi  legittimi.  La  difesa  e'  diritto
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».  Il  profilo  di
contrasto della norma di cui si chiede l'esame alla  Consulta  appare
evidente: con l'applicazione della norma richiamata, la parte privata
vedrebbe  definire  il  procedimento  dalla  medesima  iniziata   per
tutelare il proprio asserito diritto mediante una pronuncia  di  mero
rito, che non prende in esame la fondatezza della propria pretesa  ma
che si limita a estinguere  il  processo.  Le  possibili  conseguenze
sarebbero quindi che o il  soggetto  privato  desista  dalla  propria
pretesa; oppure depositi un nuovo ricorso  giudiziale,  con  evidente
compressione del suo diritto  ad  ottenere  una  pronuncia  in  tempi
ragionevoli, in quanto egli dovrebbe iniziare l'iter giudiziario  dal
principio; oppure impugnare la pronuncia  di  estinzione  (e  non  e'
chiaro neppure sotto quale  profilo,  perche'  la  norma  non  lascia
discrezionalita' al giudice), decisione  che,  nella  migliore  delle
ipotesi (cioe' che il giudice di grado superiore ritenga errato  tale
provvedimento), porta nuovamente e inevitabilmente  ad  un  ulteriore
prolungamento dei tempi di giudizio. Pertanto il  contrasto  di  tale
norma con l'articolo 24 della Costituzione non appare  manifestamente
infondato,  perche'  gli  esiti  dell'applicazione  di   tale   norma
sarebbero o la negazione al cittadino  (mediante  una  pronuncia  che
definisce il processo senza esaminare la pretesa  sostanziale)  della
possibilita' di tutela del proprio diritto in via giudiziale  oppure,
nella migliore delle ipotesi, una dilatazione notevole dei tempi  per
poter arrivare ad un esame e ad una pronuncia di merito. 
    Qualunque soluzione consegua all'applicazione della norma di  cui
si chiede l'esame, si riflette in una lesione del diritto  di  difesa
che l'art. 24 Cost. definisce, al contrario, «inviolabile». 
        articolo 111: «La giurisdizione si attua mediante  il  giusto
processo  regolato  dalla  legge.  Ogni  processo   si   svolge   nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni  di  parita',  davanti  a
giudice terzo e imparziale.  La  legge  ne  assicura  la  ragionevole
durata». I profili di contrasto della disposizione di cui  si  tratta
con tale principio costituzionale sono due: la violazione del «giusto
processo» per disparita' delle parti e il prolungamento irragionevole
della durata del processo. 
    Sotto il primo profilo, si deve sottolineare come una delle parti
in causa sia pubblica: che lo Stato decida di  intervenire,  con  una
sua  legge,  definendo  (o  meglio  chiudendo)  in  via  autoritativa
mediante  l'estinzione  i  procedimenti  giudiziari  nei   quali   le
Universita' sono coinvolte, appare una  chiara  manifestazione  della
violazione del principio di parita' delle parti,  poiche'  una  delle
due utilizza  un  mezzo  inaccessibile  all'altra  parte,  posteriore
all'inizio  del  procedimento  nonche'  isolato  nel  nostro  sistema
giuridico, per ottenere  l'assoluzione  dalle  pretese  avanzate  nel
giudizio. 
    Sotto il secondo profilo, si e' gia' sottolineato che, sia che il
ricorrente decida di presentare un nuovo ricorso, sia che  decida  di
impugnare il provvedimento che dichiara l'estinzione del giudizio, vi
e' un'evidente e inevitabile  prolungamento  dei  tempi  processuali,
senza che vi sia alcuna ragione  effettiva  a  giustificarlo.  Appare
quindi che, con la presente disposizione, la legge intervenga non per
assicurare la ragionevole durata del processo ma in senso  del  tutto
contrario a questo principio costituzionale. 
        articolo 117: «La potesta' legislativa  e'  esercitata  dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della  Costituzione,  nonche'  dei
vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi
internazionali» in relazione all'articolo 6 della Convenzione europea
dei Diritti dell'Uomo: «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa
sia  esaminata  equamente,  pubblicamente   ed   entro   un   termine
ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per
legge, il quale decidera' sia delle controversie sui suoi  diritti  e
doveri di carattere civile,  sia  della  fondatezza  di  ogni  accusa
penale che  le  venga  rivolta  (...)».  Le  critiche  sollevate  nei
confronti della norma di cui si chiede l'esame, in base al  combinato
disposto di tali due articoli, sono sostanzialmente analoghe a quanto
riportato al  punto  precedente:  infatti  l'articolo  6  della  CEDU
contiene sia il principio di parita' delle parti  nel  processo,  sia
della ragionevole durata del medesimo. Inoltre la Corte  europea  dei
Diritti dell'Uomo ha ormai stabilito, con un orientamento che  appare
consolidato, che l'ingerirsi  dello  Stato,  qualora  sia  parte  del
processo ed il  medesimo  sia  gia'  instaurato  (come  nel  caso  di
specie),  mediante  provvedimenti  legislativi  o  regolamentari  che
mirino a tutelare la parte pubblica introducendo  una  disparita'  di
condizioni con quella privata, viola tale articolo della  Convenzione
(cfr. ex multis CEDU 10 giugno 2008 Grande Camera,  Bortesi  e  altri
contro Italia: «La Corte ha stabilito che, se in linea  di  principio
non e' vietato al potere legislativo regolamentare la materia  civile
con  nuove  disposizioni  aventi  effetto  retroattivo,   i   diritti
derivanti dalle leggi in vigore, il principio  della  preminenza  del
diritto e la nozione di equo processo di  cui  all'articolo  6  della
Convenzione  si  oppongono,  salvo  ragioni  imperiose  di  interesse
generale, all'ingerenza del potere  legislativo  nell'amministrazione
della giustizia allo scopo di influenzare la conclusione  giudiziaria
della controversia»). 
        articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale  e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di  lingua,  di  religione,  di  opinioni  politiche,  di  condizioni
personali e sociali». La disposizione esaminata presenta  profili  di
contrasto, di cui si ritiene la non manifesta infondatezza, anche con
tale  articolo  della  Costituzione  sia  sotto  il   profilo   della
uguaglianza dei cittadini  sia  sotto  profilo  della  ragionevolezza
della legge. 
    Dal primo punto di vista, infatti, non si puo' che  rilevare  che
la norma di cui  si  chiede  l'esame  alla  Corte  preveda  l'effetto
estintivo dei processi solo per  le  cause  in  corso  alla  data  di
entrate in vigore della legge.  Non  appaiono  quindi  manifestamente
infondati i rilievi che si possono muovere in merito alla  disparita'
di  trattamento  riservata  ai  soggetti  che  hanno   iniziato   una
controversia relativa  al  trattamento  economico  dei  collaboratori
esperti linguistici in base al mero dato temporale della  definizione
del processo prima o dopo l'entrata in vigore di tale legge; i  primi
avranno potuto  ottenere  una  sentenza  di  merito  che  dichiarasse
fondata  o  infondata  la   propria   pretesa,   mentre   i   secondi
necessariamente vedrebbero estinto il processo. Si noti,  oltretutto,
che tale effetto estintivo non si verifica nei  confronti  di  coloro
che abbiano promosso una controversia successivamente  alla  data  di
entrata in vigore di tale legge. E' quindi evidente che,  estinguendo
solo i giudizi in corso, la disposizione introduce una disparita'  di
trattamento tra i cittadini che non  appare  giustificata  da  alcuna
ragione comprensibile, perche' si basa su un mero dato temporale  (la
pendenza del processo) sul quale oltretutto  i  privati  non  possono
influire piu' di tanto, in quanto dipende sia dalla celerita' o  meno
della trattazione della causa, sia da un dato  totalmente  casuale  e
cioe' il momento del deposito dell'atto introduttivo. 
    Dal secondo punto di vista, non e' chiaro  a  quale  esigenza  di
tutela risponda la norma che  impone  di  estinguere  i  processi  in
corso, ne' quale correlazione vi sia tra la pronuncia di estinzione e
la volonta' del legislatore di fornire  un'interpretazione  autentica
dell'articolo 1, comma 1, decreto-legge n. 2/2004,  convertito  dalla
legge n. 63/2004. E' infatti del tutto pacifico che  l'estinzione  e'
un istituto processuale che ha precise finalita'  e  fondamentalmente
mira  a  una  definizione  in  rito  a  seguito   dell'inerzia,   del
disinteresse o del mancato adempimento  delle  parti  rispetto  a  un
ordine del giudice: tale istituto  e'  sostanzialmente  una  sanzione
processuale che risponde all'interesse generale di non portare avanti
procedimenti ove gli attori abbiano manifestato, in maniera  espressa
(ad esempio con la rinuncia) o in  maniera  implicita  (con  la  loro
inerzia), di non voler proseguire nella controversia:  l'utilizzo  di
tale istituto ope legis, per  paralizzare  le  azioni  in  corso,  e'
sicuramente singolare e non trova  analogie  nel  nostro  ordinamento
giuridico: E' evidente che il legislatore, intervenendo con la  legge
n. 240/2010, abbia  voluto  intervenire  in  una  controversia  ormai
dilagante: che tale intervento si sia poi tradotto in  una  norma  di
interpretazione autentica o in  una  disposizione  nuova,  e  compito
dell'interprete definirlo; l'imposizione al giudice di estinguere  il
processo che riguarda la materia in oggetto, e' pero' una  previsione
che appare ultronea  rispetto  allo  scopo  della  legge  quale  reso
manifesto dall'incipit del comma 3, articolo 26 («l'articolo 1, comma
1, del decreto-legge 14  gennaio  2004,  numero  2,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 5 marzo 2004, n.  63,  si  interpreta  nel
senso che [...]»). 
    Per   quanto   finora   esposto,   le    critiche    in    merito
all'incostituzionalita'  della  norma  non  appaiono   manifestamente
infondate e quindi e' necessario che la questione  sia  rimessa  alla
Corte costituzionale.