IL TRIBUNALE Decidendo sulla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, avanzata da Giangrande Candido Luigi, nato il 20.12.1936 a Squinzano, nell'ambito del procedimento di esecuzione n. 39/11, ha pronunziato la seguente ordinanza. Ai sensi dell'art. 75 co. 2 dpr 115/02 la disciplina del patrocinio a spese dello Stato si applica, ove ne ricorrano i presupposti di legge, anche nella fase dell'esecuzione, e l'istanza, peraltro formalmente corretta, non e' inammissibile e va quindi vagliata nel merito. Tra i presupposti di accoglibilita' dell'istanza rilevano, nel caso concreto, gli artt. 76 co. 4 bis e 91 co. 1. lett. a) del citato DPR 115/02, atteso che, dalla lettura del certificato penale, il Giangrande risulta essere stato condannato sia per il delitto di associazione mafiosa (per fatti di cui in casellario non e' riportata la data di commissione ma che devono ritenersi risalenti verosimilmente alla fine degli anni '80, primissimi inizi degli anni '90, atteso che la sentenza di primo grado e' del 1994), sia (piu' volte, ma per fatti tutti commessi negli anni '80) per reati in violazione delle norme per la repressione, dell'evasione in materia di imposte sui redditi e del valore aggiunto. L'istante, dalla certificazione allegata alla istanza, risulta essere da tempo affetto da invalidita' al 100% in quanto portatore di diverse patologie documentate in allegato alla istanza; dall'allegata relazione dei servizi sociali, risulta essere soggetto settantenne, con una figlia affetta da gravi problemi di salute e per tale ragione percipiente pensione di invalidita' e indennita' di accompagnamento; egli vive con la propria modesta pensione e quella della moglie (ex coltivatrice diretta e quindi anch'essa percipiente una pensione modesta) in unti casa che, a suo tempo pignorata per debiti, venne poi acquistata da un'altra sua figlia; pertanto, sebbene egli risulti impegnato nella gestione di alcuni terreni "di famiglia" (come indicato nella suddetta relazione) e, gratuitamente, di un complesso bandistico, si evidenzia un complesso di dati deponenti per la probabile sussistenza dei limiti reddituali previsti dall'art. 76 co. 1 DPR 115/02 (salvi gli eventuali approfondimenti sui redditi scaturenti dai suddetti terreni ed eventualmente - trattasi in realta' di attivita' spesso svolte a titolo gratuito dalla gestione del complesso bandistico), e tali da poter vincere la presunzione relativa di "abbienza" posta dall'art. 76 co. 4 bis DPR 115/02 nella formulazione conseguente alla pronunzia di parziale illegittimita' costituzionale di tale norma, resa dalla Corta costituzionale con la sua sentenza n. 139/2010 (originata, tra l'altro, da questione sollevata anche da questo stesso giudice), atteso che i "delitti locupletativi" considerati da detta norma, cosi' coglie quelli in materia di evasione delle norme sulle imposte, risalgono ad epoca particolarmente risalente nel tempo e tale da rendere estremamente dubbio, salvo verifiche concrete, che essi siano in grado di riverberare concreti effetti sulle attuali condizioni reddituali dell'istante, si' da rendere per contro estremamente significativi i dati, di tenore opposto, rilevabili dalla documentazione che la difesa ha allegato alla istanza. Tali eventuali approfondimenti, e senz'altro l'accoglimento dell'istanza, sono tuttavia allo stato preclusi dal tenore del gia' citato art. 91 co. 1 lett. a) del DPR 115/02 il quale, con formulazione assoluta, esclude dal beneficio dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, i soggetti che, come il Giangrande, abbiano riportato condanna (o siano anche solo imputati o addirittura indagati) per reati tributari. Va premesso che, come noto, ai sensi dell'art. 76 co. 1 DPR 115/02 il discrimine per l'ammissione al beneficio e' dato dal mancato superamento, nell'ultimo anno in relazione al quale sono scaduti i termini per la presentazione dei redditi, di un determinato limite reddituale (attualmente pari ad euro 10.628,18 da aumentarsi di euro 1.032,91 per ogni famigliare convivente e non in conflitto di interessi con l'istante), che l'istante non risulta superare (come meglio si dira'). Il legislatore, nell'intento di oggettivizzare gli indicatori di "abbienza" ai sensi dell'art. 24 co. 3 Cost,. ha quindi selezionato quello dato dal reddito conseguito ad una certa data, ritenuta significativa perche' sufficientemente prossima a quella di presentazione dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; trattasi di criterio di dubbia razionalita', atteso che le capacita' economiche necessarie ad assicurarsi una difesa effettiva possono ben essere indipendenti dai redditi conseguiti nell'ultimo anno, ma discendere da accumulazioni patrimoniali precedenti, anche illecite ed eventualmente improduttive di redditi, col possibile esito paradossale di escludere dal beneficio l'imputato lavoratore dipendente ed ammettervi il malavitoso recidivo che si sia arricchito negli anni precedenti; la questione tuttavia non e' allo stato rilevante. Rileva piuttosto che, a legislazione vigente, il criterio scelto dal legislatore e' un criterio reddituale in senso stretto; e che rispetto a tale criterio, che vale a determinare il concetto di "abbienza" ai sensi dell'art. 24 co. 3 Copst., l'art. 91 DPR 115/02 aggiunge ulteriori requisiti negativi, escludendo dall'ammissibilita' al patrocinio a spese dello Stato coloro che abbiano riportato determinate condanne. A parere di questo tribunale si tratta di norma che opera un'irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti che si trovino nelle medesime condizioni quanto al possesso dei restanti requisiti per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e che non si sottrae alle censure che la Corte costituzionale ha mosso all'art. 76 co. 4 bis del DPR 115/02 con la sentenza n. 139/2010, allorche' la Corte ha statuito che (si riporta la massima): "E' costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 24, commi secondo e terzo, cost., 1'art. 76, comma 4- bis, del d. P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti gia' condannati con sentenza definitiva per i reati ivi indicati il reddito si ritiene superiore ai' limiti previsti per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non ammette la prova contraria. La censurata disposizione - volta ad evitare che soggetti in possesso di ingenti ricchezze, acquisite con attivita' delittuose riferibili alle associazioni a delinquere di stampo mafioso e alle associazioni finalizzate al narcotraffico ed al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, possano paradossalmente fruire di un beneficio riservato, per dettato costituzionale (art. 24, terzo comma), ai «non abbienti» - non si sottrae ad un giudizio di irragionevolezza per il carattere assoluto della presunzione introdotta, che non ammette la prova del contrario e rende superflue eventuali indagini giudizi giudiziarie sulle effettive condizioni economiche dell'imputato. Tale presunzione, insensibile alle rilevanti differenze tra la posizione e il reddito dei capi delle associazioni criminali e dei semplici partecipi, nonche' ad eventuali percorsi di emancipazione dei singoli imputati dai sodalizi criminali, opera senza limiti di tempo, per qualunque tipo di reato e persino in ambito civile, amministrativo, contabile o tributario, producendo l'effetto sostanziale di un'impropria sanzione, per il fatto di appartenere o di essere appartenuto ad un'organizzazione criminale, consistente nella limitazione indiscriminata nell'esercizio di un diritto fondamentale come quello di difesa, e imprimendo sui soggetti considerati dalla norma uno stigma permanente e incancellabile. Invero 1'accesso al patrocinio a spese dello Stato puo' essere diversamente regolato per i non abbienti in presenza di altri principi costituzionali da salvaguardare, per garantire la tutela di beni individuali o collettivi di pari meritevolezza, purche' non venga inciso il pieno esercizio del diritto di difesa. Nel caso di specie, non puo', pertanto, ritenersi irragionevole che, sulla base della comune esperienza, il legislatore presuma che appartenente ad un'organizzazione criminale abbia tratto dalla sua attivita' delittuosa profitti sufficienti ad escluderlo in permanenza dal beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Cio' che, tuttavia, contrasta con i principi costituzionali e' il carattere assoluto di' tale presunzione, che determina un'esclusione irrimediabile, in violazione degli evocati parametri costituzionali. L'introduzione, costituzionalmente obbligata, della prova contraria non elimina dall'ordinamento la presunzione prevista dal legislatore, che continua dunque ad implicare un'inversione dell'onere di documentare la ricorrenza dei presupposti reddituali per l'accesso al patrocinio. Spettera' al richiedente dimostrare il suo stato di «non abbienza», non gia' con una semplice autocertificazione ma con 1'adeguata al legazione di concreti elementi di fatto, dai quali possa desumersi in modo chiaro e univoco la propria effettiva situazione economico-patrimoniale; e spettera' al giudice verificare rigorosamente l'attendibilita' di tali allegazioni, avvalendosi di tutti gli strumenti di indagine che la legge mette a sua disposizione. Nel senso che le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cio e' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit, v. le citate sentenze n. 225/2008, n. 333/1991 e n. 139/1982. Per il rilievo che 1'irragionevolezza della presunzione assoluta si puo' cogliere tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa, v. la citata sentenza n. 41/1999". Ed invero, la norma appare suscettibile di tre possibili e diverse interpretazioni, in dipendenza delle differenti possibili ragion d'essere della norma, tutte egualmente costituzionalmente illegittime, potendo ipotizzarsi che con essa il legislatore abbia inteso: a) escludere, in base ad una presunzioneiuris et de iure, la ricorrenza delle condizioni reddituali di "non abbienza" stabilite dall'art. 76 co. 1 DPR 115/02, in capo a chi abbia commesso reati tributari e quindi si sia arricchito trattenendo indebitamente risorse economiche destinate allo Stato: orbene, deve in primo luogo osservarsi che tale presunzione, gia' a livello meramente sistematico, appare poco ragionevole, laddove si consideri che la stessa norma esclude dall'ammissione al beneficio anche i soggetti solamente imputati o addirittura indagati per delitti fiscali, e quindi soggetti dei quali occorre presumere la non colpevolezza e quindi la mancata realizzazione delle supposte forme di indebito arricchimento richiamate (aderendosi alla contestata interpretazione, cosi' la norma manifesterebbe quindi un altro patente profilo di incostituzionalita' per contrasto con l'art. 27 co. 2 Cost., peraltro non rilevante in questa sede); in secondo luogo, anche laddove si intendesse comunque corretta la prospettata interpretazione della ratio della norma, in talcaso, osserva il tribunale, la disposizione di cui all'art. 91 co. 1 lett. a) dpr 115/02 esprimerebbe di fatto la stessa natura e funzione di quella di cui all'art. 76 co. 4 bis DPR 115/02, e dovrebbe conseguentemente essere ritenuta, negli stessi limiti gia' ritenuti dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 139/2010, non manifestamente infondata e senz'altro rilevante la questione relativa alla sua illegittimita' costituzionale (si noti che le condanne riportate dal Giangrande, per reati tributari, sono relative a fatti risalenti a circa 25 anni fa, e pertanto tali da apparire verosimilmente del tutto ininfluenti ai fini della determinazione delle capacita' economiche attuali del Giangrande stesso); oppure b) escludere la meritevolezza del beneficio in oggetto, espressione della attenta tutela assicurata dallo Stato al diritto di Difesa, in capo a coloro che si siano macchiati di reati esprimenti patente violazione dei principali doveri di solidarieta' sociale; orbene, anche in questo caso deve in primo luogo osservarsi che tale disposizione, a livello sistematico, appare poco ragionevole, atteso che la stessa norma, come gia' si e' osservato, esclude dall'ammissione al beneficio anche i soggetti solamente imputati o addirittura solo indagati per delitti fiscali, e nei cui confronti non puo' quindi fondatamente operarsi alcuna neppure sommaria valutazione di immeritevolezza (specie nel caso dei soggetti solamente indagati: anche in questo caso la norma manifesterebbe un altro patente profilo di incostituzionalita', peraltro non rilevante in questa sede, per violazione dell'art. 3 Cost., dovendosi ritenere il cittadino sottoposto ad indagini nella stessa situazione, quanto a prognosi di fondatezza di un giudizio di immeritevolezza, rispetto a chi non vi sia sottoposto, essendo l'adozione della veste di indagato un atto dovuto e meramente formale). Quand'anche invece si intendesse accedere alla interpretazione offerta in premessa, occorrerebbe in tal caso rilevare come la norma si ponga in contrasto con l'art. 24 co. 3 della Costituzione, che assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio, a prescindere da ogni valutazione circa profili diversi da quelli relativi alla "abbienza" o meno del soggetto; c) assegnare alla suddetta esclusione la natura di una sanzione accessoria ex lege in relazione ai soggetti che abbiano riportato determinate condanne; orbene, anche in questo caso, ancora una volta, si deve osservare che tale interpretazione, a livello sistematico, appare poco fondata, atteso che la stessa norma esclude dall'ammissione al beneficio anche i soggetti solamente imputati o addirittura indagati per delitti fiscali, e quindi soggetti insuscettibili di sottoposizione a pena (aderendosi invece alla contestata interpretazione, anche in tal caso la norma manifesterebbe quindi un altro patente profilo di incostituzionalita', peraltro non rilevante in questa sede, per violazione dell'art. 27 co. 2 Cost.); in ogni caso, la Corte costituzionale ha gia' ritenuto la natura impropria, e quindi illegittima, di una eventuale natura sanzionatoria della esclusione del beneficio associata ad una sentenza di condanna; ed invero, appare evidente che una simile disciplina, anche in tal caso, si porrebbe in contrasto con l'art. 24 co. 3 Cost., che assicura i mezzi per difendersi ai non abbienti, a prescindere da ogni altra considerazione che non sia la non abbienza, atteso che, in caso contrario, dovrebbe ammettersi che la completezza del diritto di difendersi difesa si atteggi diversamente, per i diversi cittadini, a seconda delle condanne che abbiano riportato: il che, nella sua patente irragionevolezza, si risolverebbe, a parere del Tribunale, in una violazione dell'art. 3 Cost. Il tribunale non ignora che la Corte ha affrontato in passato la questione con la ordinanza n. 94/2004, la quale, tuttavia, non affronto' il merito delle questioni qui sollevate, limitandosi a rilevare la irrilevanza della questione e la contraddittorieta' della sua formulazione nel giudizio in cui essa era stata sollevata. Poiche' dall'accoglimento della questione di incostituzionalita' prospettata puo' concretamente derivare l'accoglimento della istanza avanzata dal Giangrande, tale questione deve ritenersi senz'altro rilevante ai fini della decisione rimessa a questo giudicante.