IL GIUDICE DI PACE Nella causa sub n. 180/2010 promossa da M. L., con 1'Avv. Cosimo D'Alessandro, contro la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Udine, il Giudice di Pace di Latisana in fatto premette: Il giorno 09.07.2010 una pattuglia di carabinieri della compagnia di Latisana contestava al Sig. M. L., mentre si trovava alla guida regolare dell'autovettura targata ........., la violazione dell'art. 186 comma 2 lett. a) C.d.S. perche' sottoposto all'accertamento alcolemico, veniva rilevato in entrambe le prescritte prove un tasso di 0.59 g/1. I militari procedevano al contestuale ritiro della patente di guida. Il Prefetto di Udine, con propria ordinanza n. 36274/10 notificata il 31.07.2010, confermava l'operato della pattuglia dei carabinieri e disponeva la sospensione della patente di guida per la durata di mesi 3 a decorrere dal 09.07.2010 quale data di accertamento dell'illecito; Il M., a mezzo del suo difensore, impugnava tempestivamente con ricorso dd. 10.09.2010 la citata ordinanza prefettizia, chiedendo: in via preliminare: l'immediata sospensione perche' causativa di gravi ed irreparabili danni; nel merito: la dichiarazione di nullita' e/o l'annullamento, con rifusione delle spese. In istruttoria: chiedeva che venisse ordinato all'Amministrazione resistente di depositare copia di tutti gli atti di accertamento compiuti dai Carabinieri e posti a fondamento della contestata violazione dell'art. 186, 2° comma lett. a) del C.d.S.; Il ricorrente, con il proposto ricorso muoveva all'ordinanza prefettizia sostanzialmente due critiche. Con la prima si lagnava del fatto di non essere stato messo nelle condizioni di comprendere l'intervallo temporale intercorso tra la prima e seconda misurazione del tasso alcolemico e, quindi, un difetto di motivazione con conseguente ricaduta sul diritto di difesa. Con la seconda invece assumeva che, a suo giudizio, entrambe le prove avevano dato esito negativo perche' non avevano rilevato il superamento della soglia di 0.5 g/l come prescritto nell'art. 186 co. 2 lett. a) C.d.S.; Fissata l'udienza di comparizione l'Amministrazione si costituiva in giudizio, depositando gli atti di accertamento eseguiti dalla pattuglia dei carabinieri e chiedendo il rigetto del proposto ricorso, in quanto, a suo avviso, il provvedimento impugnato era stato correttamente adottato anche alla stregua del principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 12904/2010. All'udienza del 24.09.2010 compariva solo il difensore del ricorrente insistendo per la sospensione dell'ordinanza impugnata. Tale istanza veniva rigettata perche' appariva priva di fumus boni iuris anche alla luce del citato principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione e la causa veniva rinviata all'udienza del 12.11.2010 per la precisazione delle conclusioni e per la discussione. All'udienza del 12.11.2010 il difensore del ricorrente eccepiva l'incostituzionalita' dell'art. 186 comma 2 lett. a) C.d.S. rispetto agli artt. 2, 3, 117 Cost. ed artt. 7 e 8 della CEDU nonche' al fondamentale principio di ragionevolezza e di certezza del diritto. Tale eccezione non pare manifestamente infondata ed e' rilevante ai fini del giudizio per le seguenti ragioni di diritto: 1) I presupposti e le condizioni dell'azione. La controversia trae origine, come gia' detto, dall'impugnazione dell'ordinanza n. 3674/2010 con cui il Prefetto di Udine, in esito alla contestata violazione dell'art. 186, 2° comma, lett. a) del C.d.S., ha sospeso la patente di guida del Sig. M. per la durata di 3 mesi. Sul piano processuale si precisa che il ricorso presentato dal ricorrente si rivela tempestivo e, quindi, suscettibile di essere valutato nel merito da parte del Giudice a quo, quale giudice competente per territorio e per materia (Cass. civ. sez un 07.05.1998 n. 4629) e, quindi, legittimato ai sensi dell'art. 23 della L. 87/1953 a sollevare la questione di non manifesta incostituzionalita' della norma di legge di cui all'art. 186 2° comma lett. a) C.d.S. 2) L'oggetto del contendere. Dopo il deposito in giudizio degli atti di accertamento compiuti dalla Pattuglia dei Carabinieri la questione ancora controversa e, quindi, da decidere riguarda la rilevanza o meno dei centesimi di grammi/litro nella misurazione del tasso alcolemico. Il ricorrente ha, infatti, affermato di non aver violato l'art. 186, 2° comma lett. a) del C.d.S. per non aver superato la soglia minima di 0,5 g/1 stabilita dal legislatore, l'Amministrazione ha, invece, sostenuto che il tasso alcolemico di 0,59 g/1, come accertato dai Carabinieri, supera la soglia minima di legge invocando a sostegno della propria tesi il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza 3 marzo - 6 aprile 2010 n. 12904 e in forza del quale ai fini della configurabilita' dell'illecito contestato assumono rilevanza anche i centesimi di grammo/litro. 3) Rilevanza della questione di costituzionalita' nel giudizio a quo. La res litigiosa, cosi' come lucidamente esposta da entrambe le parti, postula la necessaria applicazione del principio di diritto enunciato nella citata sentenza n. 12904/2010 della Suprema Corte di Cassazione ed invocato dall'Amministrazione resistente essendo predicabile la medesima ratio decidendi. Nella citata sentenza la Corte di Legittimita' ha affermato che il legislatore, nel prevedere all'art. 186 del C.d.S. un trattamento sanzionatorio differenziato a seconda del valore del tasso alcolemico in concreto accertato, non avrebbe negato rilevanza alla seconda cifra decimale ovvero ai centesimi di grammo/litro. Per il Giudice di Legittimita' «Una diversa interpretazione sarebbe infatti contraddittoria rispetto all'intenzione del legislatore, sottesa all'intervento riformatore, di arginare il fenomeno della guida in stato di alterazione correlata all'assunzione smodata di alcolici, e finirebbe, in modo altrettanto contraddittorio, con l'innalzare i valori soglia di un decimo di grammo/litro per ciascuna delle fattispecie incriminatrici di cui alla lettera a), b), e c)». Questo Giudice ritiene, in adesione all'insegnamento della Suprema Corte di dover applicare alla fattispecie concreta, il principio di diritto in forza del quale l'art. 186, 2° comma del C.d.S. nel prevedere le tre distinte ipotesi sanzionatorie ha inteso attribuire rilevanza giuridica non gia' ad una sola cifra «significativa», ma a due come spiegheremo funditus infra. Il Giudice remittente ritiene, inoltre, che la regola di diritto affermata dalla Suprema Corte di legittimita' costituisca l'unico parametro utilizzabile per decidere la presente controversia in stretta osservanza della novella introdotta con l'art. 360 bis n. 1 c.p.c. 4) Il dinamico quadro normativo di riferimento. In questi ultimi anni l'eccezionale produzione legislativa e' stata caratterizzata da un cambiamento piu' veloce della luce cosi' da minare il fondamentale principio della certezza del diritto attraverso cui si esplica la funzione primaria di un democratico ordinamento giuridico che e' quella di garantire regole certe per assicurare una convivenza civile e pacifica. Come e' noto le disposizioni di legge contenute nel D. Lgs. 30.04.1992 n. 285 (C.d.S.) e che disciplinano le contravvenzioni di guida sotto l'influenza dell'assunzione di alcol e di sostanze stupefacenti hanno subito, in quattro anni, quattro modifiche in sincera applicazione della legge del contrappasso. Il decreto legge 03.08.2007 n. 117, entrato in vigore il 04.08.2007, aveva rivisto, in genere inasprendolo e diversificandolo in tre distinte fasce in ordine crescente di gravita', l'apparato punitivo delle fattispecie contravvenzionali stabilite dall'art. 186 C.d.S. Nella prima fascia, quella relativa alla violazione meno grave, (tasso alcolemico superiore a 0.5 g/l e non superiore a 0.8 g/l), la contravvenzione era sanzionata con l'ammenda da 500 a 2000 € e con l'arresto fino ad un mese, nonche' con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da 3 a 6 mesi (comma 2 lett. A). La Legge di conversione 02.10.2007 n. 160 muto' detto trattamento sanzionatorio sopprimendo la previsione dell'arresto e consentendo cosi' l'estinzione per oblazione ex art. 162 c.p. Ora la medesima fattispecie e' stata depenalizzata a far tempo dal 30 luglio 2010 come espressamente previsto dall'art. 33 co. 4 della Legge n. 120/2010 anche per altre norme concernenti gli artt. 186, 186-bis, 187 attraverso la sostituzione della sanzione penale con quella amministrativa del pagamento di una somma da € 500 a 2000, oltre alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da 3 a 6 mesi (comma 2 lett. A). La novella del luglio 2010, nella parte in cui dispone la depenalizzazione dell'ipotesi gia' contemplata nell'art. 186 2° comma lett.a C.d.S. in illecito amministrativo, puo' trovare applicazione nella fattispecie concreta a mente dell'art. 2 c.p. Detta depenalizzazione, pero', non ha comportato l'automatica caducazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida su cui questo Giudice e' stato chiamato a pronunciarsi. Sul punto il legislatore ha omesso di dare disposizioni transitorie o di diritto intertemporale, ma e' indubbio che la condotta ascritta al ricorrente abbia mantenuto la sua illiceita' sul piano amministrativo e, quindi, il giudizio a quo deve necessariamente concludersi con una decisione sull'illiceita' o meno di detta condotta. 5) La norma da scrutinare. Come sopra precisato, il Giudice a quo deve necessariamente pronunciarsi in ordine alla reale ed effettiva violazione della norma di cui all'art. 186 co. 2 lett. a) C.d.S., ancorche', medio tempore, la fattispecie considerata sia stata degradata a mero illecito amministrativo. Non va sottaciuto che la novella del 2010 non ha, peraltro, minimamente inciso sugli elementi costitutivi dell'illecito amministrativo come disciplinato dal citato art. 186 C.d.S. i1 quale ora, al 2° comma lett. a) testualmente recita: «Con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 500 ad € 2.000, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0.5 e non superiore a 0.8 grammi per litro (g/1). All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da 3 a 6 mesi». Dalla piana formulazione di detta norma e' indubbio che il Giudice a quo, essendo stato chiamato a giudicare della legittimita' della sanzione della sospensione della patente di guida, non puo' prescindere dalla previa valutazione della legittimita', o meno della condotta in concreto ascritta al ricorrente alla stregua della disposizione di cui al citato articolo 186 C.d.S. Cio' vale a dire che per definire il processo occorre necessariamente individuare la regola di diritto applicabile alla fattispecie concreta, ovvero affermare o negare la rilevanza dei centesimi ai fini della determinazione del superamento della soglia minima stabilita dal legislatore. Come sopra lumeggiato, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto gia' modo di pronunciarsi su questa specifica questione con la sentenza n. 12904/10 invocata dall'Amministrazione affermando che anche i centesimi assumono rilevanza giuridica ai fini della configurabilita' dell'illecito. Tale principio di diritto e' stato confermato dalla Suprema Corte di Cassazione anche con la sentenza n. 32055 pronunciata il 18.08.2010 e cioe' dopo l'entrata in vigore della novella introdotta con la L. 120/2010. E' evidente che la norma di diritto applicabile alla fattispecie concreta e' quella affermata dalla Suprema Corte di Legittimita' quale norma di diritto vivente cui il Giudice a quo ritiene di doversi conformare, visto che l'art. 360-bis n.1 ha previsto l'inammissibilita' dei ricorsi quando il provvedimento impugnato e' stato assunto in conformita' alla giurisprudenza del Giudice di Legittimita'. In altri termini, le decisioni della Corte di Legittimita' per il Giudice di Merito non rappresentano solo un'autorevole precedente giurisprudenziale da tenere in debita considerazione, ma uno stringente vincolo di interpretazione del diritto a detrimento del fondamentale principio dell'indipendenza del Giudice sancito dal combinato disposto di cui agli artt. 101, 2° co e 104 1° co Cost. Ora, a prescindere da ogni considerazione in ordine all'incidenza delle sentenze della Suprema Corte sull'indipendenza del giudice di merito, e' indubbio che il principio di diritto, ancorche' affermato solo in due sentenze, possa dar luogo alla cosiddetta creazione del diritto vivente sia perche' mancano precedenti contrari e sia perche' la nuova disposizione dell'art. 360-bis c.p.c., ha attribuito maggiore valore vincolante alle singole pronunce della Cassazione. In verita', le sentenze di segno contrario sono state pronunciate solo dai giudici di merito, tra cui si segnala quella della Corte d'Appello di Trieste dd. 21.04.2008 che ha escluso la rilevanza dei centesimi. Appare plausibile ritenere, pertanto, che il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte nelle citate sentenze abbia introdotto nel nostro ordinamento la regola di diritto vivente in forza della quale l'illecito amministrativo di cui all'art. 186, 2° co., lett. a) del C.d.S. sussiste ogni qualvolta venga accertato un tasso alcolemico uguale o superiore alla soglia di 0,51 g/1 anziche' di 0,5 g/l. Sul punto la Corte delle Leggi, ha piu' volte affermato (sent. n. 167/1976; 34/1979; 88/1977; 254/1992) l'ammissibilita' del vaglio di costituzionalita' delle regole di diritto vivente per cui si rivela plausibile la presente ordinanza di remissione ex art. 23 1. 87/53. 6) Impossibilita' di un'interpretazione adeguatrice. L'insegnamento del Giudice delle leggi, secondo cui prima di attivare il procedimento di annullamento di una disposizione di legge occorre accertare se sia possibile una interpretazione conforme alle norme costituzionali confligenti, e' stato applicato dal giudice a quo, ma non ha sortito l'esito sperato. Infatti, la specificita' della norma di diritto vivente da scrutinare non lascia margini ad interpretazioni diverse in quanto riguarda l'applicazione di uno specifico criterio aritmetico di misurazione del tasso alcolemico ovvero quello in centesimi anziche' quello in decimi previsto dalla disposizione di legge e che indica come cifra «significativa» solo quella decimale. In realta' l'accertamento riguarda la legittimita' o meno del criterio aritmetico stabilito dalla Cassazione per la misurazione del tasso alcolemico. 7) Il contenuto della norma di diritto vivente da scrutinare rispetto agli artt. 2, 3 e 32 Cost., al principio di ragionevolezza e certezza del diritto, 117 Cost. in relazione agli artt. 7, 8 CEDU. Preliminarmente, si ribadisce che la norma di cui si chiede lo scrutinio di costituzionalita', riguarda non gia' la disposizione dell'art. 186, 2° comma lett. a) del C.d.S. nella sua formulazione letterale, ma la norma di diritto vivente creata dalla Suprema Corte di Cassazione, con le sentenze n.ri 12904/2010 e 32055/2010. Nelle citate sentenze viene affermata la regola di diritto in forza della quale, ai fini dell'accertamento dell'illecito amministrativo e dei reati rispettivamente contemplati alle lettere a), b) e c) del 2° comma del citato art. 186, sono cifre «significative» non solo quelle decimali, ma anche quelle centesimali. Tale regola assume valore determinante ai fini della misurazione del tasso alcolemico e, pertanto, si rivela decisiva nel giudizio a quo perche' da essa dipende l'affermazione dell' illiceita' della condotta ascritta al ricorrente. Infatti, in applicazione della regola di diritto enunciata dalla Suprema Corte di Cassazione, il giudice remittente deve necessariamente affermare la responsabilita' del ricorrente. Tale regola, pero', non pare conciliabile con le regole e i principi di rango costituzionale che qui di seguito passiamo ad evidenziare: L'art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell'uomo mentre l'art. 3 Cost. assegna alla Repubblica il compito di garantire la liberta' e l'uguaglianza di tutti i cittadini rimuovendo quei limiti che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. L'art. 32 Cost. tutela la salute come fondamentale diritto sia dell'individuo che dell'intera collettivita'. Alla stregua delle citate norme deve essere ragionevolmente valutato il fenomeno dell'assunzione di sostanze alcoliche che non e', ex se, nocivo e/o illecito. Infatti, e' un dato di comune esperienza che la somministrazione di alcolici - vino, birra e liquori - viene effettuata generalmente in locali pubblici cioe' muniti di regolare autorizzazione amministrativa da parte della P.A. e, quindi, non e' plausibile che la somministrazione e la conseguente assunzione da parte dei cittadini (esclusi i minori) possa iscriversi tra le attivita' vietate e/o illecite, visto l'espresso placet manifestato dalla P.A. con il rilascio delle relative licenze. Per la verita', l'assunzione garbata di sostanze alcoliche, anche se giornaliera, esplica benefici effetti sulla salute e soprattutto sul sistema cardio-vascolare, senza contare l'effetto antiossidante del vino rosso come ormai riconosciuto in campo medico-scientifico. Da quanto sopra, discende che rientra tra i primari e fondamentali diritti della persona quello di decidere se assumere o meno modiche quantita' di sostanze alcoliche per garantirsi un buon sistema cardiocircolatorio a tutela della propria salute (art. 32 Cost.) e migliorare la propria qualita' di vita (art. 2, 3 Cost.). E' un dato altresi' pacifico che solo la smodata assunzione di sostanze alcoliche e' nociva alla salute ed incide negativamente sulle capacita' di guida in ragione del peso corporeo di ogni singolo soggetto ed e' tale comportamento che puo' essere considerato illecito. Il legislatore, con le specifiche norme contenute nel codice della strada ha, giustamente e correttamente, introdotto una disciplina di rigore volta a garantire la sicurezza della circolazione e l'incolumita' della persona, ma in misura graduata e cioe' proporzionata all'incidenza dell'assunzione delle sostanze alcoliche sulla capacita' di guida. E' indubbio che in materia il legislatore ordinario e' titolare di una discrezionalita' che puo' essere censurata solo se in contrasto con i canoni della ragionevolezza e si riveli del tutto arbitraria. La disposizione contenuta nel 2° comma dell'art. 186, nella sua formulazione letterale, non lascia dubbi di sorta sul fatto che il legislatore abbia correttamente, da un lato, creato tre distinte fasce in ordine crescente di gravita' e, dall'alto, utilizzato un unico criterio di misurazione del tasso alcolemico. Infatti, in tutte le tre fasce contemplate nell'art. 186 comma lettere a), b) e c) fa espresso riferimento alle sole cifre decimali, cosi' dimostrando di aver voluto attribuire rilevanza «significativa» solo ad una cifra e cioe' solo a quella decimale in considerazione dei margini di incertezza derivanti dalla misurazione mediante alcoltest. Tale scelta legislativa si rivela, poi, coerente con la specifica disposizione dell'art. 379 del Regolamento di attuazione del C.d.S. che ha previsto due misurazioni a distanza di 5 min. proprio in considerazione dell'imprecisione del test utilizzato. E' evidente che se il sistema di misurazione mediante alcoltest fosse stato ritenuto dal legislatore esente da incertezze, certamente il legislatore medesimo non avrebbe stabilito due prove e non avrebbe, inoltre, indicato come cifre significative solo quelle decimali proprio in perfetta coerenza con il grado di imprecisione dello strumento utilizzato. Il riferimento esclusivo alle cifre decimali sta a significare che il legislatore ha voluto consapevolmente negare rilevanza alle cifre successive e cioe' a quelle centesimali. Ne', del resto, e' opinabile ritenere che il legislatore non fosse in grado di apprezzare la diversa regola di misurazione in decimi e/o in centesimi. Le superiori considerazioni evidenziano come un'interpretazione logico-letterale della disposizione contenuta nell'art. 186 2° comma lettera a), b) e c) C.d.S. rende il pacchetto sanzionatorio coerente con il grado d'incertezza della misurazione alcolemica, mentre la regola di diritto vivente, oggetto di denuncia, si rivela incompatibile con il canone della ragionevolezza perche' finisce con porre a confronto grandezze diverse, ovvero tra loro non comparabili; infatti non e' ragionevole, da un lato, utilizzare uno strumento di misurazione impreciso, qual e' l'alcoltest e, dall'altro, pretendere di eliminare tale incertezza utilizzando grandezze di misura precise come le cifre centesimali. La regola di diritto vivente censurata, oltre ad introdurre un criterio di misurazione del tasso alcolemico palesemente irragionevole, perche' utilizza grandezze di misurazione diverse, introduce un sicuro vulnus al principio della certezza del diritto. Infatti, il testo letterale della disposizione di cui all'art. 189 2° comma lett. a) C.d.S. non lascia dubbi sul fatto che il legislatore abbia utilizzato, come soglia minima per la configurabilita' dell'illecito, la cifra decimale di 0.5, mentre la regola di diritto vivente affermata dalla Suprema Corte introduce la diversa soglia di 0.50 e, quindi, l'illecito, come nel caso in esame, sussiste gia' con 0.51. La Corte di Cassazione ha posto a fondamento della sua affermazione l'assunto secondo cui, diversamente opinando, si finirebbe col violare la ratio legis «sottesa all'intervento riformatore di arginare il fenomeno della guida in stato di alterazione correlata all'assunzione smodata di alcolici» e si finirebbe in modo contraddittorio «con l'innalzare i valori soglia di 1 decimo di gr/1 per ciascuna delle fattispecie incriminatrici di cui alle lettere a), b) e c)». Tale ratio decidendi risulta, ora, smentita dalla novella del 2010 con cui il legislatore ha stabilito la depenalizzazione della fattispecie contemplata alla lett. a) oggetto del giudizio a quo, cosicche' non pare piu' invocabile il principio del rigore per attribuire al testo scritto un maggior valore sanzionatorio. La comparazione del testo letterale della disposizione di cui all'art. 189, 2° comma lett. a) con la norma di diritto vivente, creata dalla Suprema Corte di Cassazione, rende evidente una frattura logico-giuridica perche' finisce con l'attribuire al testo scritto un significato diverso da quello reso palese facendo ricorso ad un criterio di ermeneutica interpretativa coerente con il disposto di cui all'art. 12, 1 comma delle Preleggi. In altri termini, l'applicazione della norma di diritto vivente introduce un alto grado d'incertezza nell'applicazione della citata disposizione scritta si' da violare proprio il fondamentale principio della certezza del diritto. In limine non va sottaciuto che l'applicazione della norma di diritto vivente in esame comporta il riconoscimento, in capo alla Corte di Cassazione, non gia' del solo potere di interpretare, in ultima istanza, le disposizioni di legge, ma anche quello di modificarle in aperta violazione del disposto di cui all'art. 101, 2° comma Cost. E' indubbio che la regola di diritto vivente, cosi' come creata dalla Suprema Corte di Cassazione con le citate sentenze, confligge sia con il testo scritto della disposizione di cui al citato art. 189, 2° comma lett. a), sia con la ratio legis espressa in modo non equivoco dalla novella del 2010. Da ultimo, la norma di diritto vivente sottoposta al vaglio di costituzionalita' pare in contrasto anche con il combinato disposto di cui agli artt. 7 e 8 della CEDU che garantiscono e tutelano la vita privata ovvero le scelte di ogni persona che non minino la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico, ecc. E' evidente che l'assunzione di sostanze alcoliche, che come detto non e' vietata se non supera la soglia di 0.5, e come tale costituisce piena esplicazione della «vita privata» meritevole di tutela ex artt. 2, 3 Cost. e 8 CEDU, non puo' essere considerata illecita alla stregua della norma di diritto vivente creata dalla Suprema Corte di Cassazione facendo ricorso ad una ratio decidendi incompatibile con la ratio legis resa palese dalla novella del 2010.