Ricorso per conflitto tra enti n. 11 depositato il 7 ottobre 2011 per conflitto di attribuzione tra lo Stato e le Regioni ai sensi dell'art. 134, comma 2, Cost., dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953, e dell'art. 25 delle Norme integrative per i giudizi di fronte alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008 promosso dalla Regione Campania in persona del legale rappresentate pro tempore, on. Stefano Caldoro, Presidente della Giunta Regionale, rappresentata e difesa, giusta mandato a margine al presente ricorso e delibera di incarico dagli Avv.ti Maria d'Elia, Almerina Bove, dell'Avvocatura Regionale, nonche' dagli Avv.ti Prof. Beniamino Caravita di Toritto e Gaetano Paolino, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Poli, 29, presso gli uffici di rappresentanza della Regione contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore affinche' dichiari che non spetta allo Stato, e per esso, ai suoi organi giurisdizionali, la facolta' di annullare il D.P.G.R.C. n. 136 del 2010 con il quale, preso atto delle dimissioni irrevocabili di un assessore, e' stato nominato altro assessore. Fatto 1. Con ricorso proposto dinanzi al Tar Campania, l'Avv. Annarita Petrone ha impugnato i decreti presidenziali di nomina dei componenti della Giunta regionale campana. La ricorrente ha lamentato la violazione del principio della equilibrata presenza di uomini e donne nella formazione degli organi e degli uffici regionali (di cui agli artt. 1, 5, 22, 35, 46 e 47 dello Statuto), in ragione della presenza di una sola componente di sesso femminile nell'attuale composizione dell'organo esecutivo della Regione. In assenza di qualsiasi indicazione numerica nello Statuto che permetta di considerare perseguito l'obiettivo del riequilibrio di genere in seno agli organi di governo regionali, parte ricorrente ha affermato che in ogni caso, anche nella denegata ipotesi in cui fosse impossibile dare attuazione al principio in questione, le ragioni di una simile condizione avrebbero dovuto essere esplicitate nei provvedimenti presidenziali di nomina della Giunta. Nel decidere il giudizio, il Tar, con sentenza n. 1985 del 2011, ha accolto il ricorso, annullando il decreto presidenziale n. 136 del 16 luglio 2010, con cui, nelle more della definizione del primo grado di giudizio, il Presidente della Giunta aveva sostituito l'assessore dimissionario dott. Ernesto Sica con altro assessore di sesso maschile, nella persona del dott. Vito Amendolara. Nel merito, il Collegio ha affermato che gli atti di nomina dei componenti l'organo esecutivo regionale, seppur costituenti il risultato di una scelta caratterizzata da un elevato tasso di discrezionalita', non hanno natura di atto politico, bensi' di atto amministrativo, soggetti al rispetto dei parametri di legittimita' procedimentale e sostanziale che delimitano il potere presidenziale, e come tali suscettibili di sindacato in sede giurisdizionale. Con riguardo all'art. 51 della Costituzione, richiamandosi alle precedenti sentenze della stessa sezione (Tar Campania Napoli, sez. I, sentt. n. 12668/2010 e n. 1427/2011), il Tar Campania ne ha affermato la natura di "parametro di legittimita' sostanziale di attivita' amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite conformativo". Lo stesso giudice di prime cure, tuttavia, ricorda come la natura della norma costituzionale in oggetto sia tuttora dibattuta in giurisprudenza e foriera di orientamenti contrastanti (richiamandosi, in senso opposto a quello fatto proprio dalla gravata sentenza, TAR Milano, n. 354/2011 e TAR Lecce, n. 622/2010). Nella vicenda concreta, dirimente sarebbe comunque la previsione contenuta nell'art. 46, comma 3, dello statuto campano, per cui "il Presidente della Giunta regionale (...) nomina, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini, i componenti della Giunta". Detta disposizione, collocandosi in un quadro di disposizioni tese a riconoscere e promuovere l'uguaglianza tra i sessi (artt. 4 e 5 dello Statuto campano), si sostanzierebbe "in una azione positiva di riequilibrio in ambito politico delle presenze dei due sessi con riferimento (...) alla giunta regionale", delineando un precetto immediato e diretto sulla composizione dell'organo esecutivo della Regione. Ad avviso del giudice di primo grado, l'obiettivo dell'equilibrata presenza dei sessi in seno all'organo esecutivo si assicurerebbe, in concreto, attraverso un giudizio di ragionevolezza ed adeguatezza teso a scongiurare la realizzazione di eccessi in un senso o nell'altro. Tuttavia lo stesso TAR riconosce che la sussistenza di un vincolo siffatto, derivante dall'art. 46, comma 3, dello Statuto, non escluderebbe l'ipotesi in cui non possa garantirsi un'equilibrata presenza in seno all'organo esecutivo in virtu' di ragioni oggettive. Ragioni che, qualora ricorressero, dovrebbero essere esplicitate nella motivazione dei provvedimenti presidenziali di nomina. Alla luce delle argomentazioni richiamate, il giudice di primo grado ha ritenuto di accogliere il ricorso "nei limiti dell'interesse della ricorrente", annullando il D.P.G.R.C. n. 136 del 16 luglio 2010, ultimo decreto presidenziale in ordine di tempo, con il quale si e' provveduto a sostituire l'assessore dimissionario dott. Ernesto Sica con altro assessore di sesso maschile (dott. Vito Amendolara), perpetuando il disequilibrio tra i sessi esistente nella Giunta regionale. 2. La sentenza del Tar e' stata impugnata dalla Regione Campania e il Consiglio di Stato con la sent. n. 4502 del 2011 ha respinto l'appello in questione confermando la decisione del giudice di primo grado. Per quanto concerne la natura dell'atto di nomina degli assessori della Giunta, la decisione ha negato che esso possa ritenersi sottratto al controllo giurisdizionale in quanto avente natura di atto politico. Rifacendosi al dibattito che origina dalla prima meta' del XIX secolo, la pronuncia in commento tenta di enucleare i' tratti essenziali che caratterizzano gli atti politici (al fine delimitare la portata delle norme che ne escludono la sindacabilita' da parte del giudice amministrativo), in relazione agli atti amministrativi e agli atti di alta amministrazione. Il Consiglio di Stato sembra qui aderire a quell'orientamento in forza del quale e' possibile affermare la natura politica di un atto in presenza di un elemento oggettivo, consistente nella natura generale degli interessi perseguiti e nella liberta' nel fine dell'organo politico, e di un elemento soggettivo, caratterizzato dalla provenienza dell'atto da un organo costituzionale o di governo. Soggiunge tuttavia la sentenza n. 4502: "Ma il vero argumentum principis a sostegno della insindacabilita' sembra essere la mancanza di parametri giuridici alla stregua dei quali poter verificare gli atti politici. Le uniche limitazioni cui l'atto politico soggiace sono costituite dall'Osservanza dei precetti costituzionali, la cui violazione puo' giustificare un sindacato della Corte costituzionale di legittimita' sulle leggi e gli atti aventi forza di legge o in sede di conflitto di attribuzione su qualsivoglia atto lesivo di competenze costituzionalmente garantite". Il Consiglio di Stato prosegue poi definendo l'attivita' di alta amministrazione come "l'attivita' amministrativa immediatamente esecutiva dell'indirizzo politico (...) anello di congiunzione tra la fase della programmazione politica e l'attivita' di gestione amministrativa". Precisa che l'atto di alta amministrazione, "di regola adottato dall'organo politico in un clima di "fiduciarieta'", costituisce il primo momento attuativo, anche se per linee generali, dell'indirizzo politico a livello amministrativo". A differenza dell'atto politico, esso esprime una potestas vincolata nel fine e soggetta al principio di legalita'. Poiche' gli atti di alta amministrazione costituiscono una species del piu' ampio genus degli atti amministrativi, soggiacciono pertanto al relativo regime giuridico, ivi compreso il sindacato giurisdizionale, sia pure con talune peculiarita' connesse alla natura spiccatamente discrezionale degli stessi. La sentenza, inoltre, evidenzia come la giurisprudenza abbia tentato di restringere la categoria dell'atto politico (Consiglio di Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209), conferendo, al contempo, i caratteri dell'alta amministrazione agli atti ove non vengono in rilevo supremi ed unitari compiti statali, bensi' interessi puntuali e contingenti. Ricorda inoltre che, tipicamente, "gli atti politici costituiscono espressione della liberta' (politica) commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14 aprile 2001, n. 340) e sono liberi nella scelta dei fini"; gli atti amministrativi invece "anche quando sono espressione di ampia discrezionalita', sono comunque legati ai fini posti dalla legge (cfr. Cass., S. U., 13 novembre 2000, n. 170)" (in realta' n. 1170). Sulla base di queste premesse afferma conclusivamente che "non puo' certo riconoscersi natura di atto politico alla nomina degli assessori, a maggior ragione dove lo Statuto ponga un vincolo, che ne costituisce parametro di legittimita', con riguardo al rispetto dell'equilibrata composizione dei due sessi'. Prosegue inoltre il Supremo consesso ricordando come "pur nell'ambito di una pluralita' di ordinamenti giuridici integrati, ma autonomi, e' stato ribadito che il principio della tutela giurisdizionale contro gli atti dell'Amministrazione pubblica (art. 113 Cost.) ha portata generale e coinvolge, in linea di principio, tutte le Amministrazioni anche di rango elevato e di rilievo costituzionale" e inoltre che "L'atto di nomina di un assessore regionale, da un lato, non e' libero nella scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine di ausilio del Presidente della Regione nell'amministrazione della Regione stessa, e dall'altro e' sottoposto a criteri strettamente giuridici come quello citato dell'art. 46, comma 3, dello Statuto campano". Da ultimo, in ordine alla valenza programmatici della prescrizione statutaria, dedotta dagli appellanti, il Collegio precisa che in origine, l'utilizzo del concetto di "norme programmatiche" (concetto riferito, in particolare, alla Costituzione) era strumentale a negare l'efficacia giuridica delle disposizioni in cui esse erano contenute; al contrario, la dottrina e la successiva evoluzione giurisprudenziale hanno dimostrato che quelle norme dovevano considerarsi pur sempre precettive nei riguardi della successiva attivita' degli organi dello Stato, nel senso dell'esser pur sempre produttive di invalidita' delle leggi successive con esse contrastanti. Analogamente, sostiene il giudice dell'appello, la violazione del principio base posto dallo Statuto (art. 46) da parte dell'atto amministrativo si trasforma nella violazione di un vincolo propriamente obbligatorio e diventa, dunque, fonte di illegittimita' amministrativa. E, aggiunge la sentenza, "nell'enunciato normativo (dell'art. 46 dello Statuto della Regione Campania) nessun elemento testuale autorizza a ritenere che la norma stessa costituisca un programma promozionale da attuare successivamente ad opera di organi regionali". Diritto La Regione Campania - sostenendo la natura esclusivamente politica dell'atto con cui il Presidente della Giunta regionale, in forza dell'art. 122, comma 5, Cost., nomina gli assessori - Ritiene che ogni pronuncia di un organo giurisdizionale che abbia ad oggetto la validita' o meno del suddetto atto menomi poteri assegnati dalla Costituzione al Presidente della Giunta regionale e sia pertanto lesivo delle proprie attribuzioni. Pertanto, contro la sentenza n. 4502 del 2011 del Consiglio di Stato, con la quale il Supremo Giudice amministrativo ha confermato la sentenza del Tar Napoli, che aveva annullato l'atto di nomina di un assessore di sesso maschile, la ricorrente propone conflitto di attribuzioni, affinche' Codesta Ecc.ma Corte dichiari che non spetta(va) allo Stato - per il tramite di un organo giurisdizionale - sindacare la legittimita' di un atto politico, espressione di un'attribuzione costituzionalmente riconosciuta al livello di governo regionale, e per l'effetto annulli la decisione statale, eliminando dall'ordinamento le due decisioni della giustizia amministrativa di primo e secondo grado, previa sospensione in via cautelare. 1. I conflitti aventi ad oggetto atti giurisdizionali. Nessun dubbio puo' sorgere attorno l'ammissibilita' di un ricorso avverso un atto giurisdizionale. Infatti, secondo l'insegnamento tradizionale della Corte costituzionale, "nulla vieta che un conflitto di attribuzione tragga origine da un atto giurisdizionale, se ed in quanto si deduca derivarne una invasione della competenza costituzionalmente garantita alla Regione. La figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto" (Corte cost. n. 285 del 1990 e le ivi citate sentt. nn. 211 del 1972, 178 del 1973, 289 del 1974, 75 del 1977, 183 del 1981, 70 del 1985; cfr. anche Corte cost. n. 99 del 1991 e le ivi citate sentt. nn. 66 del 1964, 81 del 1975). Ancor piu' chiaramente, la giurisprudenza costituzionale ha espressamente dichiarato che "a partire dalla sentenza n. 66 del 1964, la Corte ha piu' volte ritenuto che un conflitto instaurato da parte regionale sia suscettibile di trarre origine da un atto giurisdizionale, la' dove ne possa conseguire la menomazione della competenza o dell'autonomia, costituzionalmente attribuite alla Regione (...): non gia' censurando l'illegittimita' del modo in cui si e' concretamente esplicata la giurisdizione (...); bensi' deducendo che al Pretore stesso, come anche a qualsiasi altro giudice penale, sarebbe sottratta in radice - alla stregua di norme o principi di rango costituzionale, sia pure inespressi ma univocamente desumibili dallo Statuto speciale siciliano - la facolta' di fare provvisoria applicazione di pene accessorie, nei riguardi dei titolari dei' pubblico ufficio di assessore o deputato regionale" (Corte cost. n. 183 del 1981 -preceduta dall'ordinanza n. 94 del 1980 di sospensione cautelare della sentenza impugnata -, caso particolarmente significativo, in quanto relativo alla titolarita' della facolta' di sospendere provvisoriamente, dall'esercizio del loro ufficio, i componenti degli organi regionali). Questi tipi di conflitti, d'altronde, sono gli unici ammessi dalla giurisprudenza costituzionale, giacche' tramite essi la Regione contesta "radicalmente il potere giurisdizionale che si pretende esercitato" (Corte cost., sent. nn. 99 del 1991, 289 del 1974 e ordd. nn. 244, 245 e 246 del 1988), vale a dire la diretta "riconducibilita' della decisione o di statuizioni in essa contenute alla funzione giurisdizionale" (Corte cost., ord. n. 338 del 2008, sentt. nn. 2 e 290 del 2007). Non e' dunque in contestazione la modalita' di esercizio della funzione giurisdizionale, cioe' non si lamentano errores in iudicando - circostanza che renderebbe inammissibile il conflitto che si tradurrebbe in un ulteriore grado di giudizio (Corte cost. sentt. nn. 357 del 1996, 27 del 1999, 29, 276 del 2003, 2, 39 e 150 del 2007) - ma si vuole ottenere, da parte della Regione che promuove il conflitto, la rimozione di un provvedimento che il giudice non poteva emanare perche' esorbitante dalle proprie attribuzioni e, come tale, lesivo delle prerogative regionali. 2. La natura dell'atto politico e la sua sottrazione al sindacato giurisdizionale. Nonostante le argomentazioni del supremo consesso di giustizia amministrativa, l'atto di nomina, da parte del Presidente della Giunta regionale, degli assessori appartiene alla categoria degli atti politici, e come tale, e' sottratto al sindacato da parte del potere giurisdizionale. Come e' noto, la configurabilita' dell'atto politico, la sua natura e il suo rapporto con gli altri atti tipici dell'ordinamento, e' stato uno dei temi piu' dibattuti nella dottrina costituzionalistica ed amministrativistica, soprattutto da quando l'art. 24 della legge n. 5992 del 1889, poi trasfuso nel T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato e, ancora oggi, nell'art. 7 del Codice del processo amministrativo, ha affermato che il ricorso innanzi il supremo Giudice amministrativo "non e' ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico". Si riconobbe da subito, pertanto, l'esistenza di una categoria di atti, riconducibili ai pubblici poteri, e in un certo senso "sui generis". D'altronde, gia' Sandulli, richiamando una posizione espressa anni prima da Mortati, ebbe a riconoscere che "tra le attivita' degli organi costituzionali dello Stato, alcune - e precisamente quelle attinenti alla suprema direzione della cosa pubblica (...) si rivelano, infatti, insuscettibili di essere assunte in seno a quelle che sogliono essere considerate tradizionalmente come le tre funzioni dello Stato - legislazione, giurisdizione, amministrazione" (A.M. Sandulli, Atto politico ed eccesso di potere, in Giur. compl. Corte di Cass. sez. civ., 1946, 517-525, ora in Id., Scritti giuridici, vol. III, Napoli 1990, 25 ss., e il richiamato contributo di C. Mortati, L'ordinamento del Governo nel nuovo diritto pubblico italiano, Roma, 1931). Orbene, al contrario degli atti legislativi e giurisdizionali, che sono sostanzialmente tipizzati, gli atti dell'"amministrazione" rimandano ad una categoria aperta e non strettamente definita. Certo e' che gli atti espressione della funzione amministrativa sono comunque quelli preordinati alla realizzazione degli obiettivi concreti ad essi assegnati dalle leggi, o sulla base delle leggi. Per gli organi che appartengono al potere esecutivo, questa funzione amministrativa si affianca ad un'altra funzione, quella di governo, che si esprime attraverso un'attivita' di natura diversa, politica appunto. L'attivita' politica di governo e' quella che esprime e realizza il c.d. indirizzo politico, ovvero quell'attivita' che la piu' autorevole dottrina ha inteso come svolta dagli organi costituzionali e consistente nella formulazione delle scelte con le quali si individuano i fini che si intende perseguire (Martines, Cheli). Si tratta di un'attivita' che - preordinata alla direzione suprema della cosa pubblica - si compone di atti "istituzionalmente sottratti ad ogni sindacato giurisdizionale. Essi sono sottratti per natura, non perche' esiste l'art. 31 T.U.: sarebbe infatti logicamente inconcepibile che la funzione sovrana di governo trovasse, nella sua esplicazione, altri limiti oltre quelli derivanti dalla Costituzione, ed assicurati dalla Corte costituzionale" (P. Barile, Atto di governo (e atto politico), in Enc. Dir., ad vocem, Milano 1959, neretto nostro). Esiste, dunque, ed e' una conquista ormai consolidata in dottrina, un ambito particolare, la sfera politica, all'interno del quale gli organi legittimati, attraverso determinate attivita', non sono ancorati al perseguimento di fini specifici prestabiliti dall'ordinamento giuridico una volta per sempre (come avviene per le attivita' amministrative), bensi' "al perseguimento di qualsiasi obiettivo di propria scelta (.) essendo percio' esenti, in relazione alle scelte effettuale e al criterio usato nell'effettuarle, da ogni controllo di legittimita'" (A.M. Sandulli, Governo e amministrazione, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1966, 737 ss., ora in Id., Scritti giuridici, I, op. cit., 259 ss., 264-265). Da qui, pertanto, e' di tutta evidenza come un siffatto ambito debba considerarsi "al di fuori della sfera d'azione del principio di legalita', che la Costituzione pone come canone fondamentale della funzione amministrativa (...); e cosi' pure del principio di imparzialita'" (A.M. Sandulli, ult. op. cit., 265). Ecco, dunque, che l'atto politico puo' e deve essere inteso come quella manifestazione tipica della funzione politica e di governo. Una funzione che per la causa che la connota e' certamente preminente rispetto alle altre funzioni: sarebbe pero' erroneo e (strumentalmente) fuorviante considerarla legibus soluta. Si tratta, in verita', di una "insindacabilita'" solo relativa, in quanto sono affidati al Presidente della Repubblica e alla Corte costituzionale (cd. poteri neutri) dei precisi e penetranti ruoli di garanzia, volti ad assicurare la legalita' costituzionale delle leggi e degli altri atti propriamente politici. La differenza rispetto alle altre funzioni e' che per essa non puo' esservi altro sindacato che quello derivante direttamente dalla Costituzione, assunta a parametro della funzione di governo, secondo gli schemi e i meccanismi di controllo da essa apprestati, riconducibili al ruolo del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale. Piu' recentemente, la dottrina ha ribadito l'esistenza della categoria degli atti politici (o di governo), circoscrivendola agli "atti costituzionali in senso tecnico: nei quali, si badi, sono compresi anche atti a carattere puntuale e senz'altro produttivi di effetti in ordine a determinati soggetti, ma attinenti, appunto, alla sfera costituzionale, circa i quali non si pone, ne' si e' mai posto un problema di sindacato giurisdizionale" (V. Cerulli treni, Politica e amministrazione: tra atti "politici" e atti "di alta amministrazione", in Riv. Dir. pubbl., 2009, 101 ss.). E all'interno di tale categoria tale piu' recente dottrina ha inserito gli atti di nomina dei membri della Giunta regionale (al pari della nomina dei ministri, dei sottosegretari etc.). Tutti atti in ogni caso sottratti al sindacato del giudice amministrativo (cfr. G. Ferrara, Gli atti costituzionali, Torino 2000). 3. Circa l'esistenza dell'atto politico regionale Invero, alla luce dell'ordinamento istituzionale della Repubblica delineato dalla Costituzione e dal suo Titolo V non sembra possibile dubitare dell'esistenza di atti politici o di governo regionali. Per far cio', infatti, occorrerebbe porre in dubbio che le regioni siano dotate di un'autonomia politica garantita dalla Costituzione e che possano adottare un proprio indirizzo politico anche non sintonico con quello del Governo. Invero, il carattere propriamente politico dell'autonomia regionale si puo' ricavare con certezza da molte previsioni costituzionali. Certamente e' possibile quantomeno riferirsi agli articoli: 122, comma 1 (la legge regionale disciplina il sistema di elezione del Presidente e degli altri componenti della Giunta nonche' dei consiglieri regionali), 121, comma 4 (il Presidente della Giunta dirige la politica della Giunta e ne e' responsabile), 123 (ciascuna Regione ha uno statuto che ne determina la forma di governo), 117, comma 1 (la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni), 117, comma 4 (spetta alle regioni la potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato); 117, comma 9 (nelle materie di sua competenza la Regione puo' concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato), 121, comma 2 (il Consiglio regionale puo' fare proposte di legge alle Camere), 75 (il consiglio regionale puo' chiedere l'indizione del referendum abrogativo di leggi e atti aventi valore di legge dello Stato), 127 (la Regione puo' promuovere la questione di legittimita' costituzionale della legge e dell'atto avente valore di legge dello Stato), 134 (la Corte costituzionale giudica sui conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni), 83 (all'elezione del Presidente della Repubblica partecipano i delegati regionali). 3.1. Circa la natura politica, discrezionale e fiduciaria dell'atto di nomina dei componenti della Giunta regionale. 3.1.1. A tutto concedere, anche in base alla piu' restrittiva lettura che si possa dare degli atti politici o di governo, si devono ritenere tali quantomeno gli atti costituzionali in senso tecnico. Si tratta in buona sostanza, per quanto in particolare riguarda le nomine, di quelle dei titolari dei principali organi politici della Repubblica: la nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri da parte del Presidente della Repubblica (art. 92 cost.); la nomina e la revoca dei componenti della Giunta regionale da parte del presidente eletto a suffragio universale e diretto (art. 123 Cost.); la nomina di senatori a vita e di giudici costituzionali da parte del Presidente della Repubblica (art. 59 e art. 135 Cost.). Al di sotto di questo non e' possibile scendere senza eliminare un'autonoma categoria di atti politici o di governo e senza determinare, inevitabilmente, un'interferenza del potere giudiziario nell'ambito dell'esercizio degli altri poteri. Non e' vero pertanto, come impropriamente affermato dal Consiglio di Stato, che gli atti politici si esprimono sempre ed esclusivamente attraverso direttive a carattere generale e non possano mai essere atti a carattere puntuale, produttivi di effetti per soggetti determinati. Immotivata appare inoltre, nella sentenza del Consiglio di Stato, l'affermazione secondo la quale non puo' riconoscersi natura di atto politico alla nomina degli assessori e del tutto contraddittoria con il pacifico riconoscimento di tale natura per la nomina dei ministri. Se, e lo si e' appena visto, la dottrina non ha avuto alcuna difficolta' a riconoscere la politicita' all'atto di nomina dei ministri, non v'e' dubbio alcuno sul fatto che tutte le caratteristiche che contraddistinguono l'atto politico, con le relative conseguenze, si ritrovano oggi, innanzitutto, proprio nell'atto di nomina degli assessori da parte del Presidente della Giunta regionale. Esso ha natura di atto politico sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, secondo una categorizzazione che la stessa giurisprudenza amministrativa ha utilizzato proprio per individuare le caratteristiche di tali atti: "alla nozione legislativa di "atto politico" concorrono due requisiti, l'uno soggettivo e l'altro oggettivo: occorre, da un lato, che si tratti di atto o provvedimento emanato "dal governo", e cioe' dell'autorita' amministrativa cui compete, altresi', la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica; dall'altro, che si tratti di atto o provvedimento emanato "nell'esercizio di potere politico", anziche' nell'esercizio di attivita' meramente amministrativa" (Consiglio di Stato, sent. n. 6094 del 2009). Per quanto concerne il criterio soggettivo, e' ben noto a Codesta Ecc.ma Corte - che lo ha piu' volte sottolineato - come lo scenario introdotto dalle Riforme attuate con le leggi cost. nn. 1 del 1999 e 3 del 2001, e sin qui recepito da tutti i nuovi statuti tra cui quello della Regione Campania, sia quello di una struttura istituzionale regionale fortemente incentrata sulla figura del Presidente della Giunta regionale, che riceve l'investitura popolare diretta e, dunque, rappresenta la Regione, dirige la politica della Giunta e ne e' responsabile (121, comma 3). A tal fine egli detiene il potere di nominare e revocare i "suoi" assessori che sono sottratti al rapporto fiduciario diretto con il Consiglio. A cio' si aggiunge il principio del simul stabunt, simul cadent per cui ogni circostanza che fa venir meno il Presidente determina l'automatico travolgimento della Giunta e del Consiglio (art. 126, comma 3). La particolare forma di governo cosi' delineata rende quindi da subito chiaro l'intento del legislatore costituzionale, che e' stato appunto quello di costruire un legame che unisse il corpo elettorale al potere esecutivo, oltre che naturalmente all'organo rappresentativo, garantendo altresi' un collegamento fra gli organi regionali, tale da consentire l'instaurazione di un rapporto solido tra maggioranza e Presidente-Giunta regionale. Proprio quel legame - e dunque l'investitura popolare del Presidente della Giunta - e' il segno evidente della volonta' da parte del processo di riforma di spostare il baricentro dell'assetto dei poteri regionali a favore del Presidente, in modo tale da assicurare effettiva capacita' decisionale all'esecutivo e una sua maggiore stabilizzazione. Cio' trova piena conferma in tutta la giurisprudenza costituzionale che, nel difficile percorso di attuazione da parte delle singole Regioni, ha interpretato la riforma del 1999, contribuendo in molti casi a coglierne in pieno la sua portata. Ebbene, in tali pronunce, la centralita' del Presidente della Giunta regionale e' un dato certo, inequivocabile, non revocabile in discussione. Si guardi in prima battuta alla nota sentenza n. 2 del 2004 allorquando Codesta Ecc.ma Corte non ha indugiato a ritenere la forma di governo espressa sinteticamente con le parole "Presidente eletto a suffragio universale e diretto" siccome "caratterizzata dall'attribuzione ad esso di forti e tipici poteri per la gestione unitaria dell'indirizzo politico e amministrativo della Regione". E non e' certo un caso che al primo posto di tali "tipici poteri", la stessa Corte ha collocato proprio quello di nomina e revoca dei componenti della Giunta. Poco piu' avanti, nella medesima pronuncia si riconosce come la scelta del legislatore costituzionale si sia mossa, oltre che per una semplificazione del sistema politico a livello regionale, verso una "unificazione dello schieramento maggioritario intorno alla figura del Presidente della Giunta (...) al cui ruolo personale di mantenimento dell'unita' di indirizzo politico e amministrativo si conferisce ampio credito, tanto da affidargli, come accennato, alcuni decisivi poteri politici". Lo stesso principio del simul stabunt simul cadent e' stato riconosciuto dalla Corte, oltre che profilo caratterizzante questo assetto di governo, come "indice della maggiore forza politica del Presidente, conseguente alla sua elezione a suffragio universale e diretto" (Corte cost., sent. n. 372 del 2004). E' dunque il Presidente della Giunta il primo titolare dei poteri di indirizzo politico regionale: e tali poteri "si esprimono, tra l'altro, anche nella predisposizione del fondamentale "programma di governo" della regione" (Corte cost., sent. n. 379 del 2004). Ulteriore e definitiva consacrazione della centralita' del Presidente nella nuova organizzazione dei poteri al livello regionale si legge qualche anno piu' tardi, quando Codesta Ecc.ma Corte lo ha riconosciuto come "l'unico soggetto esponenziale del potere esecutivo nell'ambito della Regione, munito di poteri che lo rendono interamente responsabile, sul piano politico, dell'operato di tutti i componenti della Giunta. L'equilibrio tra poteri configurato nel modello disegnato dalla Costituzione verrebbe alterato se si privasse il Presidente della possibilita' di scegliere e revocare discrezionalmente gli assessori della propria Giunta, del cui operato deve rispondere al Consiglio ed al corpo elettorale" (Corte cost., sent. n. 12 del 2006). La peculiare forza costituzionale del Presidente della Regione si percepisce poi meglio se la si compara con quella del Presidente del Consiglio dei Ministri: il primo, e non il secondo, riceve l'investitura popolare; il venir meno del primo, e non del secondo, determina il venir meno dell'organo esecutivo e contestualmente lo scioglimento dell'organo legislativo; il primo, e non il secondo, dunque, ha il potere di nominare e revocare i componenti dell'Esecutivo, ovvero gli assessori, che ben possono essere definiti "propri" del Presidente: infatti, il rapporto tra Presidente e assessori ruota attorno alla nomina e alla revoca presidenziale, che mette i componenti del Governo regionale "a disposizione" della linea politica creatasi nel raccordo Presidente-corpo elettorale. In altri termini, la previsione costituzionale che consente al Presidente della Regione di scegliere, e dunque nominare, direttamente i componenti della Giunta trova giustificazione proprio nella funzione di determinazione ed attuazione dell'indirizzo politico regionale che il processo di riforma ha voluto attribuire al Presidente stesso. Il Presidente si candida con un programma di governo: se vince le elezioni, si attiva un circuito con il corpo elettorale fondato sul consenso attorno a quel programma, che deve trovare immediata ed efficace attuazione. La Giunta, cosi', diviene organo strumentale all'attuazione del programma di governo; diventa organo che e' - e non puo' che essere - "nelle mani" del Presidente. Se cosi' non fosse, il processo di attuazione del programma grazie al quale il Presidente e' stato eletto, sarebbe a rischio, risultando pregiudicato l'equilibrio complessivo che la riforma del 1999 ha voluto assicurare al livello di governo regionale, anche sotto il cruciale profilo della accountability del sistema. Non e' corretta pertanto l'affermazione del Consiglio di Stato secondo la quale l'atto di nomina di un assessore e' posto in essere da un'autorita' amministrativa nell'esercizio di un potere amministrativo e nemmeno quella secondo la quale l'atto medesimo debba qualificarsi attivita' di alta amministrazione immediatamente esecutiva dell'indirizzo politico, "anello di congiunzione tra la fase della programmazione politica e l'attivita' di gestione amministrativa". A parte che cosi' ragionando si finisce inevitabilmente per politicizzare l'amministrazione in violazione del principio di separazione tra la politica e la gestione amministrativa (art. 66 Statuto Regione Campania) e dei principi di buon andamento e imparzialita' della Pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), quel che appare particolarmente grave e' che, nella decisione del Consiglio di Stato, non si coglie che l'atto di nomina degli assessori e' atto costitutivo dell'organo esecutivo della Regione, non solo dunque atto sicuramente politico, ma anche al piu' alto contenuto di politicita', in quanto la costituzione dell'organo precede e condiziona gran parte dell'attivita' di indirizzo politico ed e' fortemente connessa e strumentale al conseguimento dei fini cui l'attivita' medesima e' volta: l'attuazione del programma di governo. Ecco perche' proprio gli atti di nomina degli assessori, per il ruolo che la Giunta e' chiamata a ricoprire in stretto collegamento con il Presidente, sono naturalmente atti di natura politica, che non sono suscettibili ex se di sindacato giurisdizionale e che come tali non abbisognano di alcuna particolare motivazione che vada oltre il necessario intuitu personae. 3.1.2. Per quanto concerne il criterio oggettivo andra' pur evidenziato che l'atto di nomina degli assessori regionali costituisce esercizio di un potere politico da intendersi come "ampiamente discrezionale" solo in quanto nessun atto di governo (statale o regionale che sia) in regime di costituzione rigida e' del tutto libero nel fine. L'esistenza di norme di carattere promozionale (art. 51 Cost.), programmatico (art. 117.9 Cost.) o di principio (46 Statuto) che ne predeterminano i fini generalissimi e essenziali non degrada pertanto l'atto politico in atto di alta amministrazione, come impropriamente affermato dal Consiglio di Stato, ne' tanto meno consente che a farsi interprete della promozione, dei programmi e di principi di carattere generale (peraltro formulati in modo generico e indeterminato, senza che se ne possa determinare un contenuto precettivo di carattere vincolato) possa essere qualunque altro soggetto che non siano gli stessi organi di governo della Regione Campania cui la previsione e' chiaramente diretta (corpo elettorale regionale, Presidente della Giunta e Consiglio regionale). Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato, infatti, il canone della "equilibrata" presenza di genere non puo' essere ritenuta in grado di orientare l'attivita' di attuazione in senso strettamente vincolato. Equilibrata presenza potrebbe essere intesa come quota percentuale (ad es. rispetto alla popolazione o agli eletti in Consiglio), come minimo garantito (es. almeno una, almeno due, etc.) o piu' probabilmente, senza il ricorso a schematismi aritmetici, come equilibrata rispetto alla situazione di fatto che puo' essere valutata esclusivamente dal Presidente eletto e politicamente responsabile verso il Consiglio e, soprattutto, verso il corpo elettorale. Gravemente lesiva dell'autonomia politica della Regione appare la contestata decisione del Consiglio di Stato in base alla quale, senza alcuna motivazione in ordine alle modalita' di computo impiegate, si e' ritenuto che ... una donna e' poca e due sono sufficienti! Una simile valutazione, ampiamente discrezionale, potrebbe risultare persino ragionevole, se non fosse assolutamente abnorme che a compierla sia stata il Consiglio di Stato e non il Presidente della Giunta regionale cui la disposizione statutaria rimette in via esclusiva ogni decisione al riguardo. A piena dimostrazione della correttezza delle conclusioni sin qui rassegnate, sia inoltre consentito evidenziare che proprio la giurisprudenza della Corte di cassazione, sempre attenta a limitare al massimo il "deficit" di tutela che potrebbe derivare da una interpretazione piu' ampia della categoria degli atti politici, non ha esitato a precisare che, proprio con riferimento ad organi regionali (e veniva in tal caso in rilievo il ben piu' tenue - sotto il profilo dei poteri e della responsabilita' politica - ruolo del Consiglio regionale), "un difetto di giurisdizione del Giudice ordinario ed amministrativo puo' dunque sorgere solo nei confronti di atti del Consiglio regionale che ... siano espressione diretta di autonomia politica" (Corte di Cassazione, sez. un., 18 maggio 2006, n. 11623). Se, dunque il carattere politico, e il conseguente difetto di giurisdizione del giudice ordinario, e' stato pacificamente riconosciuto ad atti del consiglio regionale, non vi e' ragione per non addivenire ad una conclusione coerente anche con riguardo ad un atto, qual e' quello di nomina di un assessore, proprio del massimo organo politico regionale. 4. Circa l'esistenza di sindacati diversi da quello giurisdizionale per gli atti politici posti in essere dal Presidente della Giunta regionale. Asserendo in maniera incontrovertibile il difetto di giurisdizione del giudice sull'atto di nomina degli assessori da parte del Presidente della Giunta regionale, la Regione non intende certo - per tale via - sottrarre lo stesso atto a qualsiasi forma di sindacato, ma solo ribadire che quest'ultimo non e' (ne' puo' essere) quello giurisdizionale. Ed infatti, anche le teorizzazioni piu' drastiche sugli atti politici - lo si e' visto al punto 2 - affermano con nettezza che questi, tuttavia, non possono considerarsi legibus soluti. Rispetto agli atti politici, pertanto, esistono forme di controllo -esterne al potere giurisdizionale - che sono pienamente in grado di sindacare la legittimita' degli stessi. In primo luogo, va ribadito, che tutti gli atti politici devono in ogni caso essere conformi alla Costituzione e ai principi generali dell'ordinamento. Del resto, se si prende in esame l'atto normativo per eccellenza a livello regionale, la legge, nella sua altrettanto indubitabile natura politica - quale atto che implica scelte fortemente politiche, finalizzate alla realizzazione degli obiettivi di governo della comunita' regionale -ci si avvede subito di come essa sia sottratta al sindacato da parte tanto del giudice ordinario che del giudice amministrativo. L'unico organo legittimato a giudicare della legge regionale e' la Corte costituzionale, che e' organo giudicante sui generis, giacche' organo anche con connotati politici, che "opera sullo stesso piano sul quale si svolge l'attivita' politica" (A.M. Sandulli, Sulla posizione della Corte costituzionale nel sistema degli organi supremi dello Stato, in Riv. Trim. dir. pubbl. 1960, 705 ss.). Come chiarito dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte, ove il giudice (nel caso di specie si trattava addirittura della Corte di Cassazione) giungesse a disapplicare la normativa regionale "trattandola alla stregua di un atto amministrativo" eserciterebbe "un potere del tutto abnorme, non previsto nel nostro ordinamento costituzionale, con palese violazione degli artt. 101, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione" (Corte cost. n. 285 del 1990). Di talche', la Corte, in occasione della sentenza appena richiamata, dichiaro' che non spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, disapplicare le leggi regionali. Se, dunque, gia' l'atto politico per eccellenza, quale la legge regionale, e' sottratto al sindacato del giudice, anche l'atto su cui si e' illegittimamente pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza oggetto del presente conflitto, vale a dire la nomina degli assessori regionali, appartiene ad una ambito precluso alla funzione giurisdizionale, ma che e' suscettibile di altre e diverse forme di controllo. E' opportuno richiamare nuovamente e rapidamente il quadro costituzionale emergente dalle legge costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001 che, come gia' visto, hanno inciso profondamente sulla forma di governo regionale, ossia sull'organizzazione del sistema politico per il perseguimento dei fini posti dalla Costituzione e sulla struttura delle relazioni tra gli organi di governo. Alla luce del combinato disposto degli articoli 122, 123 e 126, comma 3 Cost., si evince che: a) lo Statuto regionale (espressione piu' significativa dell'autonomia politica delle regioni) determina la forma di governo delle regione ed i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, anche in deroga al modello previsto in Costituzione; b) la legge regionale disciplina il sistema di elezione ed i casi di ineleggibilita' ed incompatibilita' del presidente e degli altri componenti della giunta regionale; c) la discrezionalita' della regione nella definizione della forma di governo incontra, tuttavia, una limitazione: qualora, infatti, si opti per l'elezione diretta del presidente della giunta da parte del corpo elettorale, l'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della giunta, nonche' il suo impedimento permanente, la sua rimozione, morte o dimissioni volontarie, comportano le dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio. Le regioni hanno, quindi, un'autonomia non illimitata, ma certamente spiccata, nella definizione della propria forma di governo. Orbene, a fronte di un sistema nel quale, come gia' evidenziato, il Presidente della Giunta regionale costituisce l'unico soggetto esponenziale del potere esecutivo nell'ambito della Regione, munito di poteri che lo rendono interamente responsabile, sul piano politico, dell'operato di tutti i componenti della Giunta, esso e' certamente sottoposto a forme di controllo diverse da quello giurisdizionale, ma di pari dignita' e compiutezza. Innanzitutto, la prima forma di controllo e', appunto, di natura politica. Come ha avuto modo di precisare Codesta Ecc.ma Corte, nella gia' richiamata sent. n. 12 del 2006, il Presidente della Giunta regionale deve rispondere dell'operato della propria giunta al Consiglio ed al corpo elettorale (Corte cost., sent. n. 12 del 2006). Questo significa che ove la Regione, con sua autonoma scelta, non abbia abbandonato il modello delineato dall'art. 122, comma 5, cost. del Presidente eletto a suffragio universale e diretto, sussiste un naturale controllo di tipo politico esercitato dal Consiglio regionale sull'operato del Presidente della Giunta. Il Consiglio regionale, infatti, partecipa alla definizione dell'indirizzo politico ed amministrativo della Regione attraverso gli strumenti propri dell'attivita' assembleare (mozioni, risoluzioni, ordini del giorno, interpellanze, interrogazioni) e dell'attivita' di vigilanza svolta dalle commissioni. Il rafforzamento dell'esecutivo regionale, nella struttura delineata dalla Costituzione, trova quindi un robusto contrappeso nell'uso stringente da parte del Consiglio regionale di strumenti di verifica periodica dello stato di attuazione del programma. Come ricostruito da Codesta Ecc.ma Corte, l'art. 126, terzo comma, della Costituzione nonche' l'art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale n. 1 del 1999, (dettato in relazione al periodo transitorio, fino alla entrata in vigore dei nuovi statuti) hanno un significato evidente: "con esse si tende a garantire, mediante il vincolo del simul stabunt, simul cadent, la stabilita' dell'esecutivo regionale" (Corte cost. n. 304 del 2002). Quale estrema ratio, in caso di dissidio non risolubile tra Consiglio e Presidente della Giunta, si puo' giungere all'approvazione di una mozione di sfiducia che, ai sensi dell'art. 126, ultimo comma, Cost., comporta le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio stesso. In secondo luogo, vi e' una ulteriore forma di controllo, di natura democratica: il Presidente eletto a suffragio universale e diretto - in qualita' di vertice istituzionale e politico della Regione, nonche' di organo che ai sensi dell'art. 121, comma 4, Cost, dirige la politica della Giunta e ne assume la responsabilita' - e' infatti sottoposto alla ineludibile verifica della propria attivita', nonche' di quella posta in essere dai suoi assessori delegati, da parte dell'elettorato, che ben potra' sanzionare un deludente operato dirigendo altrove i propri voti. A cio' si aggiunga, inoltre, l'ulteriore limitazione, di carattere generale, di cui all'art. 2, comma 1, lett. f, della legge n. 165 del 2004, relativa al cd. divieto di terzo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale. Vi e', infine, ma certamente non meno pervasiva, tutt'altro, un'ultima forma di controlla, di tipo istituzionale: la rimozione del Presidente della Giunta che abbia compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, mediante decreto motivato del Presidente della Repubblica, di cui all'art. 126, comma 1, cost. Ove il Presidente della Regione dovesse mettere in atto comportamenti, e dunque dovesse approvare atti, contrari alla Costituzione, perche' incidenti su principi che connotano il nucleo essenziale dell'ordinamento costituzionale o perche' in contrasto con i limiti posti dalla Costituzione all'autonomia regionale, il meccanismo per rimuoverli e' previsto gia' a livello costituzionale, e certamente non e' il sindacato giurisdizionale. Sara' dunque dovere del Presidente della Repubblica, una volta accertata l'approvazione di atti particolarmente gravi, perche' contrari alla Costituzione, da parte del Presidente della Regione, provvedere a sanzionare quest'ultimo, attraverso il pesante strumento della rimozione, secondo la procedura prevista dall'art. 126 Cost. Se, per assurdo, sulla liberta' di scelta degli assessori da parte del Presidente eletto dovesse essere ritenuta costituzionalmente prevalente la necessita' (costituzionale e costituzionalmente sancita) della presenza di assessori di sesso femminile, saremmo allora di fronte ad una grave violazione di legge ovvero ad atti contrari alla Costituzione, la cui sanzione consiste nella rimozione del Presidente, secondo la procedura dell'art. 126 Cost. Nessuno spazio e' lasciato, in siffatti casi, ad attivita' giurisdizionali. Qualora, come nel caso qui in questione, il giudice si sia invece pronunciato, non puo' non ravvisarsi l'abuso del potere giurisdizionale, che ha esercitato una funzione che non gli spetta, invadendo la sfera di attribuzioni costituzionalmente riconosciuta alle Regioni. Istanza di sospensione in via cautelare. La Regione chiede la sospensione in via cautelare dell'esecuzione della sentenza oggetto del presente conflitto. Ai fini della sussistenza del fumus, valga tutto quanto sin qui dedotto. In relazione al periculum in mora va evidenziato che l'esecuzione medio tempore della sentenza porterebbe alla revoca di un assessore individuato espressamente attraverso un atto di nomina - di natura politica - del Presidente Caldoro nell'esercizio dei poteri conferitigli dalla vigente normativa regionale e alla nomina di un nuovo assessore (tra l'altro non necessariamente donna), previa valutazione del profilo della ricorrente ai fini della nomina stessa. Si tratterebbe di un'attivita' del tutto irrazionale e illogica, dal momento che nelle scelte operate originariamente dal Presidente esiste gia' la valutazione di idoneita' dei soggetti nominati e di inidoneita' dei non scelti. Si verrebbe cosi' a creare un gravissimo vulnus alla continuita' dell'azione amministrativa e istituzionale della Regione Campania, esponendola inoltre a rischi gravi, e pressoche' certi, di ulteriori interruzioni dell'azione di Governo. Concreta ed immediata sarebbe la paralisi delle attivita' regionali che conseguirebbe alla sospensione dalle funzioni dell'Assessore Amendolara, titolare di una delega che, anche in considerazione dei fondi europei da utilizzare, richiede lo svolgimento di attivita' politico-amministrative di primario interesse, che diversamente resterebbero paralizzate, in attesa della individuazione di un soggetto altrettanto idoneo. Al fine di scongiurare contraccolpi gravi o vere e proprie interruzioni nell'esercizio delle funzioni di governo della Regione - inevitabili ove si dovesse medio tempore dare esecuzione alla decisione revocando la Giunta o anche sostituendo uno o piu' assessori - si chiede, ai sensi dell'art. 40 della legge n. 87 del 1953, a Codesta Ecc.ma Corte di voler concedere, con ordinanza, la misura cautelare provvisoria della sospensione dell'efficacia della sentenza oggetto del presente conflitto.