Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 186,  comma
2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), promosso dal Giudice  di  pace  di  Osimo  nel  procedimento
vertente tra C. C. e  il  Prefetto  della  Provincia  di  Ancona  con
ordinanza del 5 giugno 2008, iscritta al n. 14 del registro ordinanze
2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,
prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    Udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il  Giudice
relatore Alfonso Quaranta. 
    Ritenuto che  il  Giudice  di  pace  di  Osimo,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe, ha sollevato - in riferimento agli articoli  3,
25  e  111   della   Costituzione   -   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 186, comma 2, del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «nella parte in  cui
consente che, alla violazione di un unico precetto»  conseguano  «due
distinte sanzioni accessorie, sempre relative alla sospensione  della
patente di guida, applicate da due diverse autorita' giudiziarie»; 
        che il rimettente  deduce,  in  punto  di  fatto,  di  essere
investito della  opposizione  avverso  provvedimento  prefettizio  di
sospensione  della  patente  (e  di   imposizione   dell'obbligo   di
sottoporsi a visita medica) adottato il 28 luglio  2004,  opposizione
proposta  da  un  soggetto  sanzionato  -  mediante  decreto  penale,
adottato dal Giudice per le indagini  preliminari  del  Tribunale  di
Ancona nelle more del giudizio pendente innanzi al giudice  a  quo  -
con l'ammenda nella misura di € 700,00 e la sospensione della patente
di guida per quindici giorni, essendo stato riconosciuto responsabile
del reato di cui all'art. 186, comma 2,  del  medesimo  codice  della
strada, commesso alla data del 25 luglio 2004; 
        che tanto premesso in fatto, il rimettente - nel sottolineare
come  l'autonoma  proponibilita'  dell'opposizione  al  provvedimento
prefettizio  di  sospensione   della   patente   sia   sempre   stata
riconosciuta  dalla  giurisprudenza   tanto   di   legittimita'   che
costituzionale (sono citate, a riguardo, le sentenze n. 239 del  2003
e n. 427 del 2000)  -  afferma  di  non  condividere  quell'indirizzo
giurisprudenziale che,  a  suo  dire,  «ha  assimilato»  la  sanzione
accessoria di cui predetto  art.  186,  comma  2,  del  codice  della
strada, e quella «di  cui  all'art.  222  e  seguenti»  dello  stesso
codice; 
        che, secondo il giudice  a  quo,  il  predetto  art.  222  si
riferirebbe unicamente alle violazioni delle norme del  codice  della
strada da cui «derivino danni alle persone» ed  al  fatto  dal  quale
«derivi una lesione  personale  colposa»,  ipotesi  nelle  quali  non
potrebbe essere ricompresa quella prevista dall'art. 186  del  codice
della strada, da  un  lato,  «perche'  non  prevista»  espressamente,
dall'altro, in quanto  il  rinvio  contenuto,  in  tale  norma,  alle
disposizioni di cui alla Sezione seconda, Capo II, Titolo  VI,  dello
stesso codice, dovrebbe intendersi soltanto come «rinvio  concernente
le modalita' attuative delle specifiche sanzioni ivi previste»; 
        che dalla descritta situazione deriverebbe -  sempre  a  dire
del giudice a  quo  -  «una  duplice  antinomia»:  da  un  lato,  non
sarebbero  «legislativamente  definiti  ne'  l'ambito  ne'  i  limiti
dell'intervento del giudice di pace nell'attribuita  giurisdizione  e
competenza dell'opposizione all'ordinanza  prefettizia»,  dall'altro,
non sarebbero «legislativamente  definite  le  interferenze»  tra  il
provvedimento  destinato  a  concludere  il  suddetto   giudizio   di
opposizione e quello con cui il giudice penale venga a  comminare  la
sospensione della patente come sanzione accessoria per  l'ipotesi  di
reato di cui al gia' citato art. 186 del codice della strada; 
        che  ricorrerebbe,  pertanto,  una  situazione   di   «dubbia
costituzionalita'», in quanto sarebbe violato, in  primo  luogo,  «il
parametro della ragionevolezza», giacche' «la stessa condotta» appare
destinata a dare «luogo  a  due  distinti  processi»,  potenzialmente
suscettibili  di  «definirsi  con  provvedimenti   anche   tra   loro
contrastanti»; 
        che  del  pari,  risulterebbero  violati  i  principi   della
«precostituzione, per legge, del giudice naturale ex art.  25,  primo
comma, della Costituzione», poiche' la disciplina normativa  suddetta
«individua  e  precostituisce  due  giudici,  entrambi  abilitati   a
decidere sulla medesima sanzione  accessoria»,  nonche'  quello  «del
giusto processo, ex articolo 111 della  Costituzione»,  da  intendere
come diretto ad assicurare anche  «una  giustizia  sostanziale  nella
quale i  precetti  e  le  relative  sanzioni  siano  ispirati  ad  un
effettivo e concreto  parametro  di  giustizia  nel  senso  che  alla
violazione di un precetto deve corrispondere una sanzione  accessoria
(e non due, come nel caso di specie)»; 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, al fine di far  dichiarare  la  manifesta  infondatezza  della
questione  sollevata,  alla  luce  di   numerosi   precedenti   della
giurisprudenza di questa Corte. 
    Considerato che il Giudice di pace di Osimo  ha  sollevato  -  in
riferimento agli articoli 3, 25 e 111 della Costituzione -  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  186,  comma  2,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), «nella parte in cui consente  che,  alla  violazione  di  un
unico precetto» conseguano «due distinte sanzioni accessorie,  sempre
relative alla sospensione della patente di guida,  applicate  da  due
diverse autorita' giudiziarie»; 
        che la questione e' manifestamente infondata; 
        che, infatti, questa Corte  ha  ripetutamente  affermato  che
«sussiste una radicale differenza di finalita' e presupposti  tra  il
provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente di
guida,  adottato  nei  casi  previsti  dall'art.  223   del   decreto
legislativo  n.  285  del  1992,  e  la  sanzione  accessoria   della
sospensione della patente di  guida,  inflitta  dal  giudice  penale»
all'esito dell'accertamento dei reati per i quali  tale  sanzione  e'
prevista, in quanto, «pur costituendo anch'essa misura afflittiva, la
sospensione provvisoria  della  patente  di  guida  e'  provvedimento
amministrativo    di    natura    cautelare,    strumentalmente     e
teleologicamente teso a tutelare con immediatezza  l'incolumita'  dei
cittadini e  l'ordine  pubblico,  impedendo  che  il  conducente  del
veicolo  continui  nell'esercizio  di   un'attivita'   potenzialmente
creativa di ulteriori pericoli» (ex  multis,  ordinanza  n.  344  del
2004); 
        che su tali basi, pertanto, deve ribadirsi che «gli  asseriti
vizi di incostituzionalita' del vigente sistema di  ripartizione  fra
organi, giurisdizionali  e  non,  della  competenza  ad  adottare  le
diverse»   misure   della   sospensione   cautelare   e   di   quella
sanzionatoria, risultano denunciati  anche  dall'odierno  rimettente,
come gia' in passato da altri giudici a quibus, «esclusivamente sulla
base di tale  palese  erronea  prospettiva  ermeneutica»,  che  tende
impropriamente a sovrapporre i due istituti  (ordinanza  n.  167  del
1998); 
        che tali rilievi, gia' utilizzati  da  questa  Corte  -  come
osserva la stessa difesa statale - per escludere un contrasto con gli
artt. 3 e 25 Cost., ben possono essere impiegati per  superare  anche
la censura di violazione dell'art. 111 Cost., sollevata  dall'odierno
rimettente sempre sulla base dell'errato rilievo che le  disposizioni
poste a confronto contemplerebbero «due distinte sanzioni accessorie,
sempre relative alla sospensione della patente di guida, applicate da
due diverse autorita' giudiziarie». 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale.