Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  44,  comma
2,  della  legge  della  Regione  Calabria  13  giugno  2008,  n.  15
(Provvedimento  generale  di  tipo  ordinamentale  e  finanziario   -
collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2008 ai  sensi
dell'art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002,  n.  8),
promosso dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento vertente tra  B.
G. e la Regione Calabria con ordinanza del 14 maggio  2010,  iscritta
al n. 408 del registro ordinanze 2010  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  2,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2011. 
    Visto l'atto di costituzione di B.G.; 
    Udito nell'udienza pubblica del  20  settembre  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    Udito l'avvocato Rosario Chiriano per B.G. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Catanzaro, sezione controversie di lavoro  e
previdenza, con l'ordinanza indicata in epigrafe,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 44,  comma  2,  della  legge  della  Regione
Calabria 13 giugno  2008,  n.  15  (Provvedimento  generale  di  tipo
ordinamentale e finanziario  -  collegato  alla  manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2008 ai sensi dell'art. 3, comma 4, della  legge
regionale 4 febbraio 2002, n. 8). 
    1.1. - Il rimettente premette che nel  giudizio  principale,  con
ricorso depositato in  data  19  maggio  2009,  la  ricorrente,  gia'
dipendente della Regione  Calabria  presso  l'Assessorato  ai  lavori
pubblici, ha dedotto che aveva presentato domanda per la  risoluzione
consensuale del rapporto, ai sensi della legge  di  detta  Regione  2
marzo 2005, n.  8  (Provvedimento  generale  recante  norme  di  tipo
ordinamentale e finanziario  -  collegato  alla  manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2005, art. 3, comma 4, della legge regionale  n.
8/2002);  che  tale  normativa  era  finalizzata  a   realizzare   il
contenimento della spesa pubblica e  ad  accelerare  il  processo  di
riorganizzazione della amministrazione,  consentendo  ai  dipendenti,
titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato protratto per
almeno due anni,  di  usufruire,  quale  incentivo  alla  risoluzione
consensuale, di «un'indennita' supplementare pari a  otto  mensilita'
della  retribuzione  lorda  spettante  alla   data   della   predetta
risoluzione, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65  anni  e
l'eta' anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla  data
di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei
anni» (art. 7 della citata legge regionale); che, in data 26  ottobre
2005, era stato sottoscritto il contratto di risoluzione  consensuale
del rapporto di lavoro tra le parti, nel quale, tra gli emolumenti da
corrispondere alla  ricorrente,  era  stata  ricompresa  l'indennita'
supplementare di cui al  citato  art.  7,  da  calcolare  secondo  la
predetta disposizione legislativa e le modalita' applicative  di  cui
all'art. 11 della delibera della Giunta regionale 30 maggio 2005,  n.
532, in base al quale l'indennita' in questione «si compone di  tutti
quegli  elementi  che  assumono  i  connotati  di   compenso   fisso,
continuativo,  costante  e  generale,   con   eccezione   di   quelli
occasionali (...)»; che la Regione Calabria aveva omesso di computare
il  rateo  di   tredicesima   mensilita'   quale   componente   della
retribuzione lorda spettante al momento della  risoluzione  e  quindi
come base di calcolo dell'indennita' supplementare in questione; che,
successivamente, l'art. 44, comma 2, della legge regionale n. 15  del
2008 ha disposto che «l'art. 7, comma  6,  della  legge  regionale  2
marzo 2005, n. 8, deve essere inteso nel senso  che  la  retribuzione
lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto  di
lavoro, utile ai fini della definizione dell'indennita' supplementare
prevista  dalla  medesima  legge,  e'  quella  individuata,  per   il
personale in posizione non dirigenziale  alla  cessazione  volontaria
del servizio, all'art. 52, lettera c)  del  CCNL  1999  e  successive
modifiche,  con  esclusione   nella   determinazione   della   citata
indennita' del  rateo  di  tredicesima  mensilita'  (...)»;  che,  in
applicazione di tale ultima disposizione, la regione ha  negato  alla
ricorrente le  spettanze  richieste;  che,  ad  avviso  della  stessa
ricorrente, alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema  di
norme di interpretazione autentica, la disposizione di cui al  citato
art. 44  della  legge  regionale  n.  15  del  2008  e'  da  ritenere
costituzionalmente illegittima per violazione degli  artt.  3  e  111
Cost.,  nonche'  dell'art.  6  della  Convenzione  europea   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU); che, in particolare, la disposizione si pone in contrasto con
i principi di  ragionevolezza,  certezza  del  diritto,  affidamento,
nonche' equo processo  e  parita'  delle  parti  di  cui  alla  detta
convenzione; che la ricorrente ha chiesto, nel  merito,  la  condanna
dell'amministrazione  al  pagamento  della  differenza   tra   quanto
riscosso a titolo di indennita' supplementare e quanto  spettante  in
virtu' dell'inclusione del rateo di tredicesima mensilita' nella base
di calcolo della stessa. 
    Con memoria depositata in data 30 marzo 2010,  si  e'  costituita
nel giudizio a quo la regione rilevando la infondatezza della pretesa
della ricorrente alla  luce  della  nuova  normativa  regionale,  non
suscettibile di essere sospettata di  illegittimita'  costituzionale,
ben potendo il legislatore attribuire efficacia  retroattiva  ad  una
disposizione di legge, per non essere l'irretroattivita'  oggetto  di
copertura costituzionale, se non in materia penale. 
    1.2.  -  Il  rimettente  ritiene  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 44,  comma  2,  della  legge  della  Regione
Calabria n. 15 del 2008 non manifestamente infondata  in  riferimento
all'art.  3  Cost.,  con  particolare   riguardo   ai   principi   di
ragionevolezza e certezza delle  situazioni  giuridiche,  nonche'  di
tutela del legittimo affidamento. 
    In merito,  il  giudice  a  quo  precisa  che  la  ricorrente  ha
formulato proposta di risoluzione consensuale del rapporto lavorativo
alla luce del richiamato art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005 e
dei relativi criteri applicativi di cui alla  delibera  della  Giunta
regionale 30 maggio 2005, n. 532. 
    La citata delibera dispone che «l'indennita' prevista dalla  l.r.
in questione rappresenta  un  incentivo  all'esodo  ed  ha  carattere
aggiuntivo rispetto alla  indennita'  di  fine  rapporto  normalmente
spettante al pubblico dipendente (...) e si compone di  tutti  quegli
elementi che assumono i connotati di  compenso  fisso,  continuativo,
costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od  elargiti
a titolo di ristoro ed indennizzo per la particolare gravosita' delle
mansioni  richieste  (es.  indennita'   di   struttura)»;   che,   in
particolare, il punto 5) del contratto di risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro rinvia in modo espresso alle modalita' applicative
di cui alla detta  delibera  della  Giunta  regionale;  che,  con  la
disposizione  censurata,   la   Regione   Calabria   e'   intervenuta
rideterminando le modalita' di calcolo dell'indennita' supplementare,
escludendo  dalla  base  di  calcolo  della  stessa  la   tredicesima
mensilita'. 
    Pertanto, ad  avviso  del  rimettente,  nel  quadro  normativo  e
regolamentare previgente, la disposizione di cui  al  citato  art.  7
della legge regionale n. 8 del 2005 sarebbe stata  chiara  nel  senso
del  calcolo  della  indennita'  in  questione  in  riferimento  alla
retribuzione lorda spettante al momento della risoluzione,  per  tale
intendendosi  quella  formata  da  tutti  quegli  emolumenti   aventi
carattere di continuita' e generalita',  incluso,  quindi,  anche  il
rateo della tredicesima mensilita'. 
    In particolare, il giudice a quo ricorda  che  la  giurisprudenza
costituzionale ha  piu'  volte  affermato  che  il  legislatore  puo'
adottare norme che precisino il  significato  di  altre  disposizioni
legislative, quando  sussista  una  situazione  di  incertezza  nella
applicazione del diritto o vi  siano  contrasti  giurisprudenziali  e
quando la  scelta  imposta  dalla  legge  rientri  tra  le  possibili
varianti di senso  del  testo  originario,  con  cio'  vincolando  un
significato ascrivibile alla norma anteriore (ex  plurimis:  sentenze
n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994; ordinanza n. 480 del 1992). 
    Inoltre, la Corte costituzionale ha affermato che non e' decisivo
verificare se  la  norma  censurata  abbia  carattere  effettivamente
interpretativo e sia percio' retroattiva, ovvero sia  innovativa  con
efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi di accertare se
la retroattivita' della legge, il cui divieto non e' stato elevato  a
dignita' costituzionale, salvo che in materia penale, trovi  adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e  non  contrasti  con
altri valori ed interessi  costituzionalmente  protetti  (da  ultimo,
sentenza n. 234 del 2007). 
    In particolare, la Corte ha individuato una serie di limiti  alla
efficacia retroattiva di una data disposizione di legge, tra i  quali
i  principi  di  ragionevolezza   e   di   uguaglianza,   di   tutela
dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento
giuridico  nonche'  di  rispetto  delle  funzioni  costituzionalmente
riservate al potere giudiziario (ex plurimis: le citate  sentenze  n.
311 del 1995 e n. 397 del 1994). 
    Nel caso di specie, il  rimettente  dubita  che  la  lettura  del
citato art. 7,  fornita  dal  successivo  art.  44  censurato,  possa
ritenersi  ricompresa  in   una   delle   possibili   letture   della
disposizione originaria. Sul punto, osserva che l'art. 7 contiene  un
rinvio alla definizione contrattuale  di  «retribuzione  lorda»,  per
tale  dovendosi  intendere,  ai  sensi  dell'art.  10  del  contratto
collettivo  nazionale  di  lavoro  per  il  biennio  2004-2005   (che
sostituisce  integralmente  l'art.  52   del   precedente   contratto
dell'anno 2000), la «retribuzione globale di fatto mensile o  annuale
che e' costituita dall'importo della retribuzione individuale per  12
mensilita' cui si aggiunge il rateo della 13ª mensilita'», escludendo
«le somme corrisposte a titolo  di  rimborso  spese  o  a  titolo  di
indennizzo nonche' quelle pagate per trattamento  di  missione  fuori
sede e per trasferimento». 
    Pertanto, ad avviso del giudice  a  quo,  la  portata  precettiva
della nuova disposizione  non  sarebbe  compatibile,  come  possibile
opzione interpretativa, con la disciplina previgente che deponeva, al
contrario, nel senso della inclusione delle voci retributive costanti
e continuative - e, dunque, anche del rateo di tredicesima mensilita'
- nel concetto  di  retribuzione  lorda  riscossa  al  momento  della
risoluzione del rapporto. Anche in base ai  criteri  applicativi  del
citato  art.  7,  dettati   dalla   stessa   Giunta   regionale   con
deliberazione n.  532  del  2005,  la  indennita'  supplementare  «si
compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso
fisso, continuativo, costante e generale,  con  eccezione  di  quelli
occasionali od elargiti a titolo di  ristoro  ed  indennizzo  per  la
particolare gravosita' delle mansioni richieste  (es.  indennita'  di
struttura)». 
    Il rimettente ritiene, dunque,  la  norma  censurata  lesiva  dei
canoni  costituzionali  di  ragionevolezza,  perche'  essa   non   si
limiterebbe  ad   assegnare   alla   disposizione   interpretata   un
significato riconoscibile come una delle possibili letture del  testo
originario (sentenze n. 24 del 2009, n. 74 del 2008, n. 374 del 2002,
n. 29 del 2002 e n. 525 del 2000). 
    Inoltre, ad avviso del giudice a quo, la disposizione  censurata,
comportando,  in  modo  retroattivo,  una  sostanziale   decurtazione
dell'ammontare     dell'indennita'     supplementare,      tradirebbe
l'affidamento che i dipendenti regionali, aderendo alla  proposta  di
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, hanno  riposto  nella
certezza della inclusione del rateo di tredicesima  mensilita'  nella
base di calcolo dell'indennita' in oggetto. 
    Il rimettente ricorda come la  Corte  costituzionale  abbia  piu'
volte valorizzato il principio dell'affidamento del  cittadino  sulla
certezza  e  sicurezza  dell'ordinamento  giuridico,  quale  elemento
essenziale dello Stato di diritto, che non puo' essere leso da  norme
con effetti retroattivi, incidenti  irragionevolmente  su  situazioni
regolate da leggi precedenti. 
    Nel caso di specie, il giudice a quo ritiene che la  disposizione
censurata interferisca sulla regolamentazione giuridica del  rapporto
tra le parti, andando a modificare  situazioni  gia'  consolidate  ed
acquisite al patrimonio giuridico dei dipendenti pubblici, indotti  a
stipulare i contratti di risoluzione del  rapporto  confidando  nella
convenienza riferita a quello specifico quadro normativo. Sul  punto,
il  rimettente  richiama  le  pronunce  della  Corte  costituzionale,
secondo cui la norma successiva non puo'  tradire  l'affidamento  del
privato  sull'avvenuto  consolidamento  di   situazioni   sostanziali
(sentenze n. 156 del 2007, n. 416 del 1999),  pur  se  dettata  dalla
necessita' di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa
pubblica (sentenza n. 374 del 2002) o per  fare  fronte  a  evenienze
eccezionali (sentenza n. 419 del 2000). 
    La disposizione censurata interverrebbe, dunque, su situazioni in
cui  si  e'  consolidato  l'affidamento  del  privato  riguardo  alla
regolamentazione del rapporto,  con  sbilanciamento  a  favore  della
parte pubblica. Peraltro, il legislatore regionale avrebbe omesso  di
salvaguardare attraverso idonei strumenti normativi la posizione  dei
lavoratori che,  in  applicazione  della  disposizione  preesistente,
avrebbero dovuto ottenere la liquidazione di un  incentivo  all'esodo
secondo criteri piu' favorevoli  rispetto  a  quelli  previsti  dalla
legge di interpretazione. 
    Da quanto sopra, risulterebbe evidente, ad avviso del rimettente,
il  contrasto  della  disposizione  censurata  con  l'art.  3  Cost.,
costituendo  un'ipotesi  di  esercizio  irrazionale  del  potere  del
legislatore di emanare norme interpretative. 
    In punto di rilevanza, il giudice  a  quo  osserva  che,  qualora
venisse dichiarata incostituzionale la disposizione  regionale  sulla
base della quale si  e'  determinata  l'indennita'  supplementare  in
favore  della  ricorrente,  dovrebbe  essere   accolta   la   domanda
giudiziale promossa da quest'ultima di condanna  dell'amministrazione
al pagamento delle  differenze  tra  quanto  percepito  a  titolo  di
indennita' supplementare e quanto spettante in virtu' dell'inclusione
del rateo di tredicesima  mensilita'  nella  base  di  calcolo  della
stessa. 
    1.3. - Il rimettente ritiene, invece, manifestamente infondata la
questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  in  riferimento
all'art. 111 Cost. e all'art. 6 della CEDU. 
    2. - Con memoria depositata il 31 gennaio 2011 si  e'  costituita
in giudizio la signora B.G. chiedendo l'accoglimento della  sollevata
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma 2, della
legge regionale n. 15 del 2008, in  riferimento  agli  artt.  3,  24,
primo comma, 111 Cost. e 6  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo. 
    2.1. - La parte privata premette di avere presentato proposta per
la   risoluzione   consensuale   del   rapporto   di    lavoro    con
l'amministrazione regionale ai sensi  del  richiamato  art.  7  della
legge regionale n. 8 del 2005; che, con raccomandata del  16  gennaio
2006, la Giunta regionale ha notificato alla suddetta il contratto di
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro per accettazione; che,
avendo riscontrato delle inesattezze  nel  calcolo  della  indennita'
supplementare rispetto a quanto disposto dal citato art. 7, la stessa
ha indirizzato alla Regione, a far data dal 21 settembre 2009, alcune
note di richiesta di  correzione  delle  dette  discordanze;  che  il
calcolo da adottare, per come richiamato anche nella  delibera  della
Giunta  regionale  n.  532  del  2005  avente  ad  oggetto   «criteri
applicativi dell'art. 7 della legge regionale n.  8  del  2005»,  era
quello  che  considera  il  rapporto  proporzionale  ai  dodici  mesi
dell'anno comprendendo anche  la  tredicesima  mensilita';  che,  con
raccomandata  del  4  settembre  2008,  la  Regione   Calabria,   pur
ammettendo gli errori di calcolo  in  relazione  alla  necessita'  di
erogare  alla  dipendente  B.G.  le  somme  spettanti  a  titolo   di
differenze  retributive  in  adeguamento  al  disposto  del  CCNL  di
comparto 2004/2005, non ha riconosciuto il diritto  alla  tredicesima
mensilita' sull'indennizzo all'esodo; che e' seguito il diniego della
regione sulla base  dell'intervento  reso  dal  medesimo  legislatore
regionale con il citato art. 44 della legge regionale n. 15 del 2008. 
    La ricorrente sottolinea che le somme corrisposte dal  datore  di
lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto,  come  incentivo
alle  dimissioni  anticipate  del  dipendente  (cosiddetto  incentivo
all'esodo)  non  hanno  natura  ne'  liberale,  ne'  eccezionale,  ma
costituiscono reddito da lavoro dipendente  (come  tali  assoggettate
anche ai fini fiscali), essendo predeterminate  a  remunerare,  quale
controprestazione,  il  consenso  del  lavoratore  alla   risoluzione
anticipata del rapporto (Corte di cassazione, sezione lavoro  del  27
giugno 2007, n. 14821). 
    2.2. - Ad avviso della parte privata, l'art. 44 della legge della
Regione Calabria  n.  15  del  2008,  nell'escludere  la  tredicesima
mensilita' dalla base  di  calcolo  della  indennita'  supplementare,
avrebbe, in violazione dei canoni costituzionali  di  ragionevolezza,
arbitrariamente attribuito alla  «legge  esodo»  un  significato  non
riconoscibile in una delle possibili letture  del  testo  originario,
interferendo sulla regolamentazione giuridica  del  rapporto  tra  le
parti e andando a modificare situazioni gia' acquisite al  patrimonio
giuridico dei dipendenti. 
    Pertanto,  la  parte  privata  ritiene  lesiva  dei  principi  di
affidamento e di certezza del diritto una disposizione interpretativa
che indichi una soluzione  ermeneutica  non  prevedibile  rispetto  a
quella affermatasi nella prassi (in tal senso,  Consiglio  di  Stato,
sezione IV, 26 luglio 2008, n. 3689; sezione VI, 27 dicembre 2007, n.
6664; sezione IV, 12 settembre 2006, n. 5314). 
    In particolare, con il citato art. 44, il  legislatore  regionale
sarebbe intervenuto arbitrariamente  dopo  tre  anni  dall'emanazione
della «legge esodo», mirando esclusivamente a privare  la  ricorrente
di quanto quest'ultima aveva confidato di ricevere,  in  applicazione
della  detta  legge,  al  momento  dell'adesione  alla  proposta   di
risoluzione anticipata del rapporto  di  lavoro,  in  violazione  dei
diritti gia' acquisiti fin dalla firma del contratto. 
    L'art. 44  avrebbe  inciso  su  situazioni  in  ordine  alla  cui
regolamentazione  giuridica  si  era  consolidato  l'affidamento  del
privato, dettando una disciplina contrastante con quella previgente e
sbilanciandone l'equilibrio a favore di una parte (quella pubblica) e
a svantaggio dell'altra (quella privata). La parte privata  richiama,
altresi', alcune pronunce della Corte costituzionale in  merito  alla
definizione di norma di interpretazione autentica (sentenza n. 25 del
2000), ai  limiti  generali  all'efficacia  retroattiva  delle  leggi
(sentenza n. 397 del  1994)  ed,  in  particolare,  al  principio  di
affidamento dei consociati nella certezza del  diritto,  suscettibile
di essere leso da norme  retroattive  e  tali  da  rendere  privo  di
effettivita' il diritto dei cittadini di adire i giudici per ottenere
la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive (sentenza n.
209 del 2010). 
    Pertanto, la disposizione regionale censurata, oltre a violare il
canone generale della ragionevolezza delle norme ai sensi dell'art. 3
Cost., lederebbe anche  il  diritto  degli  ex  dipendenti  regionali
beneficiari della «legge esodo» di agire in giudizio  per  la  tutela
dei propri diritti e  interessi  legittimi  (art.  24,  primo  comma,
Cost.). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Catanzaro, sezione controversie di  lavoro  e
previdenza,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  dubita  della
legittimita' costituzionale,  in  riferimento  all'articolo  3  della
Costituzione, dell'art.  44,  comma  2,  della  legge  della  Regione
Calabria 13 giugno  2008,  n.  15  (Provvedimento  generale  di  tipo
ordinamentale e finanziario  -  collegato  alla  manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2008 ai sensi dell'art. 3, comma 4, della  legge
regionale 4 febbraio 2002, n. 8). 
    2. - Il rimettente premette di essere chiamato a  pronunciare  in
un giudizio promosso da una ex dipendente della Regione Calabria  nei
confronti dell'ente territoriale, al quale l'attrice aveva presentato
domanda per la risoluzione convenzionale del rapporto  d'impiego,  ai
sensi della  legge  regionale  2  marzo  2005,  n.  8  (Provvedimento
generale  recante  norme  di  tipo  ordinamentale  e  finanziario   -
collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005, art.  3,
comma 4, della legge regionale n. 8/2002). 
    La legge (art.  7,  comma  6)  prevedeva,  quale  incentivo  alla
risoluzione consensuale, il versamento  di  una  indennita',  la  cui
misura «sara' determinata sulla base della retribuzione mensile lorda
spettante alla data di cessazione del  rapporto  di  lavoro  e  sara'
corrisposta  alle  scadenze  di  cui  ai  commi  3  e  4».  Il  comma
successivo, poi, aggiungeva che la Giunta regionale  era  autorizzata
ad emanare, nel rispetto del termine di  cui  al  comma  2,  apposite
direttive per  l'applicazione  della  citata  norma.  Tali  direttive
furono adottate con delibera della detta Giunta regionale  30  maggio
2005, n. 532, e stabilirono, tra l'altro, «che l'indennita'  prevista
dalla legge regionale in questione rappresenta un incentivo all'esodo
ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennita' di fine  servizio
normalmente  spettante  al  pubblico  dipendente  al  momento   della
risoluzione del lavoro e si compone  di  tutti  quegli  elementi  che
assumono i connotati di  compenso  fisso,  continuativo,  costante  e
generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di
ristoro od indennizzo per la particolare  gravosita'  delle  mansioni
richieste (es. indennita' di struttura)». 
    Successivamente, la Regione Calabria, con  l'art.  44,  comma  2,
della legge n. 15 del 2008 statui' che l'art. 7, comma 6, della legge
regionale 2 marzo 2005, n. 8, dovesse «essere inteso nel senso che la
retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione della  indennita'
supplementare prevista nella medesima legge» sia «quella individuata,
per il  personale  in  posizione  non  dirigenziale  alla  cessazione
volontaria dal servizio, all'art. 52, lettera  c,  del  CCNL  1999  e
successive modifiche con esclusione nella determinazione della citata
indennita' del rateo di  tredicesima  mensilita'  e  retribuzione  di
risultato». 
    3. - Secondo il giudice a quo detta  norma  violerebbe  l'art.  3
Cost.,   perche'   lesiva:   a)   dei   canoni   costituzionali    di
ragionevolezza, in  quanto  non  si  limiterebbe  ad  assegnare  alla
disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle
possibili letture del testo originario.  Infatti,  essa  non  sarebbe
compatibile con la disciplina previgente, la quale deponeva nel senso
di includere le voci retributive costanti e continuative - e, dunque,
anche  il  rateo  di  tredicesima  mensilita'  -  nel   concetto   di
retribuzione  lorda  riscossa  al  momento  della   risoluzione   del
rapporto, cio' anche in base ai criteri applicativi del citato art. 7
dettati dalla stessa Giunta regionale con  la  delibera  n.  532  del
2005; b) dell'affidamento del privato sull'avvenuto consolidamento di
situazioni sostanziali, poiche' i dipendenti regionali,  nell'aderire
alla proposta di risoluzione  consensuale  del  rapporto  di  lavoro,
avrebbero confidato,  alla  luce  dello  specifico  quadro  normativo
previgente, nella certezza dell'inclusione del rateo  di  tredicesima
mensilita'  nella  base  di  calcolo  dell'indennita'   supplementare
(cosiddetto incentivo all'esodo). 
    4. - In via preliminare, si  deve  osservare  che,  per  costante
giurisprudenza  di  questa   Corte,   l'oggetto   del   giudizio   di
legittimita' costituzionale  in  via  incidentale  e'  limitato  alle
disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze  di  rimessione,
onde non possono essere presi in considerazione, oltre  i  limiti  in
queste fissati, ulteriori questioni o profili  di  costituzionalita',
dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice  a
quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto
delle stesse ordinanze. Pertanto,  sono  inammissibili  le  deduzioni
della  parte  privata,  dirette  ad  estendere  il  thema  decidendum
attraverso l'evocazione di  ulteriori  parametri  costituzionali  (ex
plurimis: sentenze nn. 236 e 56 del 2009, n. 86 del 2008, n. 244  del
2005). 
    5. - La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha piu'  volte  chiarito  che  il  legislatore  puo'
adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in  presenza
di incertezze sull'applicazione di una disposizione  o  di  contrasti
giurisprudenziali, ma anche quando  la  scelta  imposta  dalla  legge
rientri tra le possibili varianti  di  senso  del  testo  originario,
cosi' rendendo vincolante un significato  ascrivibile  ad  una  norma
anteriore (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010, n. 24 del 2009,  n.
170 del 2008 e n. 234 del 2007). 
    La Corte ha anche affermato che non e' decisivo verificare se  la
norma  censurata  abbia  carattere  interpretativo,  e  sia   percio'
retroattiva, ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Invero,
in entrambi i casi si tratta di accertare se la retroattivita'  della
norma, il cui divieto non e' stato elevato a dignita' costituzionale,
salvo il disposto dell'art. 25, secondo comma, Cost., trovi  adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e  non  contrasti  con
altri valori e interessi costituzionalmente  protetti  (ex  plurimis:
sentenze n. 93 del 2011, n. 234 del 2007 e n. 374 del 2002). 
    In particolare, la giurisprudenza costituzionale  ha  individuato
una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva  delle  leggi,
limiti attinenti alla salvaguardia di  principi  costituzionali,  tra
cui il principio generale di  ragionevolezza,  che  si  riflette  nel
divieto d'introdurre ingiustificate  disparita'  di  trattamento;  la
tutela dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei  soggetti,  quale
principio connaturato  allo  stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la
certezza  dell'ordinamento  giuridico;  il  rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente riservate  al  potere  giudiziario  (ex  plurimis:
sentenze n. 209 del 2010 e n. 397 del 1994). 
    6. - In questo quadro, si deve osservare che l'art. 7,  comma  1,
della legge della Regione Calabria n. 8  del  2005,  nel  dettare  la
disciplina della  risoluzione  consensuale  del  rapporto  di  lavoro
(dalla citata norma prevista per i dirigenti  ed  estesa  a  tutti  i
dipendenti  dall'art.   7,   comma   6),   stabili',   in   caso   di
perfezionamento  dell'accordo  risolutivo,  il  versamento   di   una
indennita' supplementare pari a otto  mensilita'  della  retribuzione
lorda spettante alla data della predetta risoluzione «per  ogni  anno
derivante  dalla  differenza  fra  65  anni   e   l'eta'   anagrafica
individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione  del
rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni». L'art.  7,
comma 6, a sua volta, dispose che «La misura della  indennita'  sara'
determinata sulla base della  retribuzione  mensile  lorda  spettante
alla data di cessazione del rapporto di lavoro  e  sara'  corrisposta
alle scadenze di cui ai commi 3 e 4». 
    Il riferimento alla retribuzione mensile  lorda  orientava  senza
dubbio nel senso di ritenere che il legislatore  avesse  inteso  fare
riferimento alla  retribuzione  comprensiva  delle  componenti  fisse
dello stipendio a carattere continuativo, tra le quali si colloca  la
tredicesima mensilita'. La natura  retributiva  di  questa  e'  stata
ripetutamente affermata dalla giurisprudenza  (Corte  di  cassazione,
sezione lavoro del 19 settembre 2010, n. 22760 e sezione lavoro del 2
settembre 2010, n. 18999; sezione tributaria del 16 aprile  2007,  n.
9000; Consiglio di Stato, sezione sesta del 22 giugno 1987,  n.  437;
sezione sesta, del 28 luglio 1982, n. 386; Corte dei  conti,  sezione
terza del 3 giugno 1977, n. 38233 e sezioni  riunite  del  12  luglio
1977, n. 79). 
    Del resto, il detto orientamento risultava condiviso anche  dalla
stessa Regione Calabria, dal momento che  la  Giunta  regionale,  con
delibera 30 maggio 2005, n. 532, recante «Criteri  applicativi  della
legge regionale  2  marzo  2005,  n.  8  art.  7»  (emanata  in  base
all'autorizzazione concessa dalla legge  ora  citata  con  l'art.  7,
comma 7), aveva stabilito nel preambolo  «che  l'indennita'  prevista
dalla legge regionale in questione rappresenta un incentivo all'esodo
ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennita' di fine  servizio
normalmente  spettante  al  pubblico  dipendente  al  momento   della
risoluzione del rapporto di lavoro  e  si  compone  di  tutti  quegli
elementi che assumono i connotati di  compenso  fisso,  continuativo,
costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od  elargiti
a titolo di ristoro od indennizzo per la particolare gravosita' delle
mansioni richieste (es. indennita' di struttura)». 
    La delibera proseguiva precisando che «per tale motivazione,  per
retribuzione lorda spettante alla data della risoluzione del rapporto
di  lavoro,  ai  fini  dell'applicazione  dell'art.  7  della   legge
regionale 2 marzo 2005, n.  8,  si  deve  intendere  la  retribuzione
spettante al dipendente  in  forza  delle  disposizioni  legislative,
regolamentari  e  dei  contratti  collettivi   nazionali,   ancorche'
maturata e non ancora corrisposta o derivante da rinnovi contrattuali
con efficacia retroattiva con riferimento alla  data  di  cessazione,
ovvero  nel  caso  operi  la  facolta'   della   amministrazione   di
scaglionare l'esodo, alla data di effettiva interruzione del servizio
in relazione alle esigenze di servizio». 
    Pertanto, sia il dato normativo sia  i  criteri  elaborati  dalla
regione  concorrevano  nel  far  ritenere  che   nella   nozione   di
retribuzione lorda rientrasse anche  la  tredicesima  mensilita',  in
quanto dotata di tutti i  requisiti  dianzi  indicati  e  considerati
dalla medesima regione. 
    Ne' varrebbe addurre che, nel citato provvedimento regionale,  al
punto 11 erano elencate le voci della  retribuzione,  spettanti  alla
data di cessazione e concorrenti alla determinazione delle indennita'
supplementari,  voci  tra  le  quali  non   figura   la   tredicesima
mensilita'. Si deve osservare che  al  primo  punto  dell'elenco  era
previsto lo stipendio tabellare  e  che  la  stretta  inerenza  della
tredicesima  mensilita'  allo   stipendio   o   salario,   rendendola
componente necessaria di  questi,  ben  poteva  indurre  a  ritenerla
compresa  nella  nozione  di  stipendio  tabellare,  specialmente  in
presenza di una espressione come «retribuzione lorda» con i caratteri
desumibili sia dalla norma, sia dai criteri elaborati dalla  medesima
regione, la quale aveva disposto  che,  con  quella  espressione,  si
dovesse intendere «la retribuzione spettante al dipendente  in  forza
delle  disposizioni  legislative,  regolamentari  e   dei   contratti
collettivi nazionali». 
    7. - In questa cornice e' stata emanata la norma qui  oggetto  di
censura. Essa ha  stabilito  che  l'art.  7,  comma  6,  della  legge
regionale n. 8 del 2005 deve essere inteso nel senso che nel concetto
di retribuzione lorda, ai fini della determinazione della  indennita'
supplementare, va escluso il rateo di tredicesima mensilita'. 
    Tale norma non e' conforme a Costituzione. 
    Infatti, non e' contestabile  che  i  dipendenti  regionali,  nel
proporre l'accordo di risoluzione consensuale e nel sottoscrivere  il
relativo contratto, abbiano  riposto  un  legittimo  affidamento  nel
fatto che, per la determinazione dell'indennita', si  dovesse  tenere
conto anche  della  tredicesima  mensilita',  perche'  in  tal  senso
deponevano l'espressione adottata (retribuzione lorda),  i  connotati
attribuiti ai suoi componenti dalla stessa regione  (compenso  fisso,
continuativo, costante e generale),  il  richiamo  alle  disposizioni
legislative, regolamentari e dei contratti collettivi  nazionali.  In
questo quadro si e' consolidata la posizione giuridica di coloro che,
come  la  parte  privata  nel  giudizio  a  quo,  hanno  perfezionato
l'accordo  di  risoluzione  del  rapporto  d'impiego  ben  prima  che
sopravvenisse la norma censurata. 
    Al contrario, nessun elemento suggeriva che la regione intendesse
escludere proprio la componente retributiva meglio caratterizzata dai
connotati che la stessa regione aveva indicato e che e'  di  generale
applicazione, salve espresse eccezioni. 
    Ne deriva che la norma di cui si tratta non ha imposto una scelta
rientrante tra le possibili varianti di senso del  testo  originario,
ne' e' intervenuta per risolvere contrasti che non risultano  neppure
allegati,  ma  ha  realizzato,   con   efficacia   retroattiva,   una
sostanziale  modifica  della  normativa  precedente,  incidendo,   in
violazione dell'art. 3 Cost., in  modo  irragionevole  sul  legittimo
affidamento  nella  sicurezza  giuridica,  che  costituisce  elemento
fondamentale dello Stato di diritto, (ex plurimis:  sentenze  n.  209
del 2010 e n. 236 del 2009). 
    Va dichiarata, dunque, l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
44, comma 2, della legge regionale della Calabria 13 giugno 2008,  n.
15.