Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito dell'ordinanza del Tribunale  di  Milano,  sezione  I
penale, del 1° marzo  2010  -  relativa  al  procedimento  penale  n.
11776/06 R.G.T. - con cui e' stata respinta la  richiesta  di  rinvio
dell'udienza dibattimentale del 1° marzo 2010, formulata dalla difesa
del Presidente del Consiglio dei ministri per legittimo  impedimento,
promosso con ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
depositato in cancelleria il 22 aprile 2011 ed iscritto al n.  2  del
registro  conflitti  tra   poteri   dello   Stato   2011,   fase   di
ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2011  il  Giudice
relatore Sabino Cassese. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato in data 22 aprile  2011,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  proposto  un  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  del  Tribunale  di
Milano, sezione I penale, in relazione all'ordinanza con la quale  il
predetto tribunale ha rigettato la richiesta di  rinvio  dell'udienza
dibattimentale  del  1°  marzo  2010,  formulata  dalla  difesa   del
Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole  Silvio  Berlusconi,
per legittimo impedimento di quest'ultimo, in quanto impegnato, nella
medesima data, nella presidenza  della  riunione  del  Consiglio  dei
ministri; 
        che il ricorrente chiede  in  particolare  che  questa  Corte
«dichiari che non spetta al Tribunale di  Milano  stabilire  che  non
costituisce impedimento assoluto  alla  partecipazione  alle  udienze
penali, e percio' causa di  giustificazione  della  sua  assenza,  il
diritto-dovere del Presidente del Consiglio dei ministri a presiedere
una riunione del Consiglio dei ministri, anche nell'ipotesi in cui la
predetta  riunione,  gia'  fissata  in  una   precedente   data   non
coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, venga  differita
ad altra data coincidente con un giorno di udienza»; 
        che il  ricorrente  chiede  altresi'  che,  conseguentemente,
questa Corte «annulli l'ordinanza, pronunciata in data 1° marzo 2010,
con riferimento al procedimento penale n.  11776/06  R.G.T.,  con  la
quale  e'  stata  rigettata  la  richiesta  di  rinvio   dell'udienza
dibattimentale del 1° marzo 2011», «nonche'  l'attivita'  istruttoria
compiuta nel corso della prefata udienza»; 
        che il ricorrente  espone  che  il  Tribunale  di  Milano  ha
rigettato la richiesta di rinvio dell'udienza dibattimentale  del  1°
marzo 2010 motivando come segue la  propria  decisione:  «Ritiene  il
Collegio che la deduzione di un  impedimento  per  una  udienza  gia'
concordata non possa prescindere quantomeno dalla  allegazione  della
specifica  inderogabile  necessita'  della  sovrapposizione  dei  due
impegni perche', altrimenti,  la  funzione  giudiziaria  verrebbe  ad
essere svilita, con  la  conseguenza  che  il  contemperamento  degli
opposti interessi di rilievo costituzionale allo svolgimento in tempi
ragionevolmente rapidi del processo e  all'esercizio  delle  funzioni
parlamentari o  governative  verrebbe  ad  essere  risolto  nel  dare
esclusiva rilevanza al secondo di tali interessi; nella specie  nulla
e' stato dedotto circa la necessita' di fissare in data 24.2.2010 una
riunione del Consiglio dei ministri per la data  del  1°  marzo  2010
coincidente con l'udienza gia' concordata e pertanto non puo'  essere
ritenuto il legittimo impedimento»; 
        che,  secondo  il  ricorrente,  il  ricorso  e'  ammissibile,
apparendo pacifica, sotto il profilo soggettivo, «la spettanza  della
qualificazione di potere dello Stato sia in capo al ricorrente che al
resistente»; 
        che, sotto il profilo oggettivo, il Presidente del  Consiglio
dei  ministri  rivendica  «l'integrita'  delle  proprie  attribuzioni
costituzionali  nell'esercizio  della   funzione   istituzionale   di
presidenza delle riunioni  del  Consiglio  dei  ministri»,  le  quali
sarebbero state lese dall'ordinanza del Tribunale di Milano,  che  ne
avrebbe «disconosciuto la rilevanza quale legittimo impedimento»; 
        che, ad avviso del ricorrente, l'ordinanza del  Tribunale  di
Milano avrebbe violato gli artt.  92  e  95  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 5 della legge 23 agosto 1988, n.  400  (Disciplina
dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento  della   Presidenza   del
Consiglio dei Ministri) e agli artt. 1, 5, 6  e  7  del  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre  1993  (Regolamento
interno del Consiglio dei Ministri), in quanto dal complesso di  tali
disposizioni emergerebbe che «il Consiglio dei ministri e' il momento
delle decisioni fondamentali per la politica del Governo»,  che  «per
il Presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, e'  l'atto
piu' elevato della propria funzione costituzionale di direzione della
politica    di     governo     e     dell'unita'     di     indirizzo
politico-amministrativo» e che, di conseguenza, «la convocazione  del
Consiglio dei ministri e l'eventuale rinvio della data della riunione
dello  stesso  Consiglio  sono  atti  politici  del  Presidente   del
Consiglio dei ministri»; 
        che,  secondo  il  ricorrente,   inoltre,   l'ordinanza   del
Tribunale di Milano avrebbe  anche  violato  il  principio  di  leale
collaborazione tra i poteri dello Stato, nel rispetto del quale, come
affermato da questa  Corte,  deve  essere  esercitato  da  parte  del
giudice il potere di valutare l'impedimento a comparire dei  titolari
di funzioni di governo (sentenza n. 23  del  2011),  cosi'  come  dei
membri del Parlamento (sentenza n. 225 del 2001); 
        che, ad avviso del ricorrente, il Tribunale di Milano avrebbe
manifestamente  disatteso  i  principi  affermati  dalla   richiamata
giurisprudenza costituzionale, in  quanto,  pur  avendo  inizialmente
programmato  il  calendario  delle  udienze  in   modo   da   evitare
coincidenze con gli impegni  istituzionali  gia'  calendarizzati  del
Presidente del Consiglio dei ministri, avrebbe poi, a  fronte  di  un
impegno istituzionale  sopravvenuto,  applicato  le  regole  generali
sull'onere della prova del legittimo impedimento,  «senza  tenere  in
debito conto  il  diritto-dovere  dell'esercizio  della  funzione  di
governo del Presidente del consiglio dei ministri»; 
        che, inoltre, secondo il ricorrente, il Tribunale di  Milano,
nel richiedere al Presidente del Consiglio dei ministri di allegare i
motivi della «specifica inderogabile necessita' della sovrapposizione
dei due impegni», si sarebbe «arrogato  un  inammissibile  potere  di
sindacato delle ragioni politiche sottese al rinvio di  una  riunione
del Consiglio dei ministri»; 
        che   la    valutazione    del    giudice    sull'assolutezza
dell'impedimento dovrebbe,  secondo  il  ricorrente,  limitarsi  alla
verifica  della  «impossibilita'  dell'organo  governativo  [...]  ad
essere presente all'udienza penale data la improrogabilita' del fatto
impeditivo di pertinenza costituzionale costituito  dalla  presidenza
del Consiglio dei ministri», non potendo riguardare «le motivazioni e
le ragioni  (di  politica  governativa)  sottese  alla  decisione  di
fissare, in una certa data, la seduta del  Consiglio  dei  ministri»,
ne' potendosi pretendersi «che l'organo governativo fornisca la prova
della necessita' di svolgere  la  funzione  governativa  in  un  dato
momento e in una certa data, attenendo tali valutazioni  «alla  sfera
delle attribuzioni costituzionali del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri»; 
        che ad avviso del ricorrente, inoltre, il Tribunale di Milano
non avrebbe tenuto conto della peculiare  natura  delle  funzione  di
governo, che, rispetto  a  quella  parlamentare,  si  svolge  secondo
cadenze   temporali   piu'   difficilmente   preventivabili   ed   e'
maggiormente soggetta a variazioni, come dimostrerebbe, nel  caso  di
specie, lo spostamento della riunione del Consiglio dei ministri, che
sarebbe «dipeso dalla necessita' di procedere ad una compiuta stesura
dell'importante  disegno  di   legge   contenente   le   disposizioni
anti-corruzione, che ha comportato una complessa  elaborazione  e  la
cui adozione era stata imposta dai ben noti avvenimenti legati ad una
indagine giudiziaria avviata  nelle  ultime  settimane  del  febbraio
2010». 
    Considerato che in questa fase del giudizio,  a  norma  dell'art.
37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  questa
Corte  e'  chiamata  a  delibare  senza  contraddittorio  in   ordine
all'ammissibilita' del conflitto di attribuzione,  sotto  il  profilo
della sussistenza della «materia di un conflitto la  cui  risoluzione
spetti alla sua competenza»; 
        che sussistono i requisiti soggettivi ed  oggettivi  previsti
dal primo comma del citato art. 37, ai fini della configurabilita' di
un conflitto tra poteri dello Stato; 
        che, sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio
dei ministri e' legittimato  a  sollevare  il  conflitto,  in  quanto
organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere
cui appartiene; 
        che al Tribunale di Milano, sezione I penale, va riconosciuta
la legittimazione a resistere nel presente conflitto, in  conformita'
al principio secondo  il  quale  i  singoli  organi  giurisdizionali,
svolgendo le  loro  funzioni  in  posizione  di  piena  indipendenza,
costituzionalmente garantita, sono competenti,  nei  procedimenti  di
cui sono investiti, a  dichiarare  definitivamente  la  volonta'  del
potere cui appartengono e, pertanto, sono legittimati ad essere parte
nei conflitti di attribuzione; 
        che, sotto il  profilo  oggettivo,  il  ricorso  e'  volto  a
tutelare una sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite,  che
nella prospettazione del ricorrente sono desumibili dagli artt. 92  e
95  della  Costituzione,  consistono  nel  potere  di   convocare   e
presiedere il Consiglio  dei  ministri  e  sarebbero  state  lese  in
ragione del mancato riconoscimento giudiziale del relativo  esercizio
quale causa  di  legittimo  impedimento  a  comparire  nelle  udienze
penali; 
        che tale preliminare valutazione lascia  impregiudicata  ogni
ulteriore   e   diversa   determinazione   concernente   la    stessa
ammissibilita' del ricorso.