Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
degli articoli 2, comma 5, 10-bis del decreto legislativo  25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero) e 331, comma 4, del codice di procedura  penale,  promosso
dal Tribunale per i minorenni di Roma  nel  procedimento  relativo  a
M.J. con ordinanza del 30 settembre  2010,  iscritta  al  n.  84  del
registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2011; 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    Ritenuto che il Tribunale per i minorenni di Roma, con  ordinanza
del 30 settembre 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli  2,
11, 24, primo comma, e 117, primo comma,  della  Costituzione  ed  in
relazione all'articolo  2  del  Trattato  sull'Unione  europea,  agli
articoli 21, 23,  47  e  52  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (di seguito:  Carta  dei  diritti  fondamentali),
alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma  di  discriminazione
nei confronti della donna adottata a New York il  18  dicembre  1979,
ratificata con legge 14 marzo 1985, n. 132  (Ratifica  ed  esecuzione
della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di  discriminazione
nei confronti della  donna,  adottata  a  New  York  il  18  dicembre
1979),al Protocollo opzionale a  detta  Convenzione,  adottato  il  6
ottobre 1999, firmato dall'Italia il 10 dicembre 1999, ratificato  il
22  settembre  2000,  alla  Dichiarazione   sull'eliminazione   della
violenza contro le donne proclamata  con  risoluzione  dell'Assemblea
Generale  delle  Nazioni  Unite  del  20  dicembre  1993,   ed   alla
Raccomandazione Rec(2002)5 del Comitato dei  ministri  del  Consiglio
d'Europa  agli  Stati  membri  sulla  protezione  delle  donne  dalla
violenza adottata  il  30  aprile  2002,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2,  comma  5,  del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero) «nel combinato disposto» con gli articoli 10-bis di  detto
decreto legislativo e 331, comma 4, del codice di procedura penale; 
        che, secondo l'ordinanza di rimessione, il Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma (infra:  P.M.)
ha chiesto, ai sensi dell'art.  330  del  codice  civile,  che  M.J.,
cittadino del Pakistan, sia dichiarato decaduto  dalla  potesta'  sui
due figli minorenni, allegando, a conforto, una dichiarazione in  cui
J.N., moglie del predetto, premesso di avere raggiunto il  marito  in
Italia, nel 2009, insieme ai figli, successivamente alla  definizione
del procedimento amministrativo per  il  ricongiungimento  familiare,
esponeva che questi  l'aveva  segregata  in  casa,  sottoponendola  a
molteplici e ripetute  minacce  e  vessazioni  sino  a  quando  ella,
sottrattasi al suo controllo, aveva sporto denuncia alla  Polizia  di
Stato ed era stata, quindi, ospitata in Roma in un centro pubblico di
accoglienza per le donne che hanno subito violenza; 
        che, ad avviso del  giudice  a  quo,  J.N.  non  e'  comparsa
all'udienza a tal fine fissata nel  processo  principale  ed  il  suo
difensore, dopo averne motivato  l'assenza  con  il  fatto  che  ella
sarebbe stata priva del permesso di soggiorno e che il Tribunale  per
i minorenni avrebbe avuto  l'obbligo  di  denunciarla  per  il  reato
previsto dall'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del  1998,  introdotto
dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n.  94
(Disposizioni  in  materia  di  sicurezza  pubblica),   ha   eccepito
l'illegittimita' costituzionale di detta norma, in  riferimento  agli
artt. 24 e 117 Cost., denunciandone il contrasto «con il diritto alla
tutela  giurisdizionale  a  tutti  riconosciuto»,  in  considerazione
«degli obblighi comunitari ed internazionali assunti  dall'Italia  in
materia di protezione delle donne dalla violenza domestica»; 
        che il rimettente espone che, in virtu' dell'art. 331,  comma
4,  cod.  proc.  pen.,  sarebbe  tenuto  a  denunciare  al   pubblico
ministero, senza ritardo, J.N., per il reato previsto  e  punito  dal
citato  art.  10-bis,  poiche'  tale  obbligo  non  sarebbe   escluso
dall'eventuale ricorrenza di  cause  di  giustificazione,  ma  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 5, del d.lgs. n.
286 del 1998, «nel combinato disposto» con  gli  articoli  10-bis  di
detto decreto legislativo e 331, comma  4,  cod.  proc.  pen.,  nella
parte in cui dette norme non prevedono che, «nel  caso  sia  proposta
azione giudiziaria finalizzata alla tutela  di  diritti  fondamentali
della persona, l'autorita'  giudiziaria  adita  non  sia  tenuta  ne'
all'obbligo  di  redigere  ed  effettuare  la  denuncia  al  pubblico
ministero di cui all'art. 331 comma  quarto  c.p.p.,  ne'  ad  alcuna
segnalazione all'autorita'  amministrativa  competente  all'emissione
del provvedimento di espulsione»; 
    che,  a  suo   avviso,   siffatta   questione   di   legittimita'
costituzionale sarebbe rilevante sia perche' il diritto  alla  tutela
giurisdizionale dovrebbe ritenersi vulnerato qualora colui che ne  e'
titolare  abbia  la   certezza   che,   «rivolgendosi   all'autorita'
giudiziaria», e' costretto all'autoincriminazione e,  cosi'  facendo,
«deve certamente essere sottoposto ad un  procedimento  penale»,  sia
perche', nel giudizio principale, occorre procedere all'audizione dei
figli minorenni di J.N., necessaria anche in virtu' degli articoli  3
e 6, lettera b), della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti
dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata  con
legge 20 marzo 2003, n. 77 (Ratifica ed esecuzione della  Convenzione
europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a  Strasburgo
il  25  gennaio  1996),  e  dell'art.  24  della  Carta  dei  diritti
fondamentali,  e  che,  tuttavia,  sarebbe  impedita  dalla   mancata
comparizione di quest'ultima; 
    che, in particolare, secondo il Tribunale  per  i  minorenni,  le
norme censurate violerebbero gli artt. 2 e 24, primo comma, Cost., in
quanto «l'esercizio dell'azione giurisdizionale a tutela  di  diritti
fondamentali della persona risulta radicalmente inciso dalla certezza
che a tale esercizio fara' seguito sia l'incriminazione per il  reato
di cui all'art. 10-bis, sia l'avvio del  procedimento  amministrativo
il cui esito e' l'espulsione dal territorio nazionale»; 
    che dette disposizioni si porrebbero in contrasto anche  con  gli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., anzitutto perche'  recano  vulnus
al  principio  di  tutela   giurisdizionale   effettiva,   il   quale
costituisce principio generale e fondante  del  diritto  comunitario,
derivante  dalle  tradizioni  costituzionali   degli   Stati   membri
dell'Unione europea, confermato anche dagli artt. 47 e 52 della Carta
dei diritti fondamentali; 
    che detti parametri costituzionali sarebbero,  inoltre,  lesi  in
quanto sussisterebbero «profili di contrasto con i vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario», poiche'  la  disciplina  recata  dalle
norme censurate inciderebbe su diritti e liberta' spettanti  ad  ogni
individuo,  indipendentemente  dalla  nazionalita',   garantiti   dal
diritto dell'Unione europea e, in particolare, il citato art.  10-bis
realizzerebbe  «una  compressione  dell'esercizio  del  diritto  alla
tutela  giurisdizionale»,  privandolo  «di  qualsiasi  effettivita'»,
anche quando tale tutela, in virtu' di principi stabiliti dall'art. 2
del Trattato UE e dagli  artt.  21  e  23  della  Carta  dei  diritti
fondamentali, e' preordinata,  come  nella  fattispecie  oggetto  del
processo principale, ad assicurare l'effettivita' di diritti inerenti
alla dignita' della persona, compromessa o minacciata dalla  violenza
esercitata in danno delle donne, in ambito domestico; 
    che, infine, ad avviso del giudice a quo, «gli obblighi derivanti
all'Italia dai principi e dalle determinazioni espresse sul tema  dal
diritto internazionale configurano profili di contrasto con l'art. 11
Cost.», venendo in rilievo: la Convenzione sull'eliminazione di  ogni
forma di discriminazione nei confronti della  donna  adottata  a  New
York il 18 dicembre 1979, ratificata con legge n. 132 del 1985, ed il
Protocollo opzionale a detta Convenzione, adottato il 6 ottobre 1999,
firmato dall'Italia il 10 dicembre 1999, ratificato il  22  settembre
2000; la Dichiarazione sull'eliminazione  della  violenza  contro  le
donne  proclamata  con  risoluzione  dell'Assemblea  Generale   delle
Nazioni Unite del 20 dicembre 1993 (il cui  art.  1  precisa  che  il
termine «violenza contro le donne»  include  ogni  atto  di  violenza
basato  sul  genere,  inclusi  quelli  di  coercizione  e  privazione
arbitraria della liberta', posti in  essere  nella  vita  pubblica  o
nella vita privata); la Raccomandazione Rec(2002)5 del  Comitato  dei
ministri del Consiglio d'Europa agli Stati  membri  sulla  protezione
delle donne dalla  violenza  adottata  il  30  aprile  2002  (che  ha
impegnato gli Stati membri alla revisione delle proprie  legislazioni
e politiche al  fine  di  assicurare  alle  donne  l'esercizio  e  la
protezione dei loro diritti umani e delle liberta' fondamentali); 
    che nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata; 
    che, a suo avviso, il  rimettente  ha  denunciato  un  «combinato
disposto», ma «il legame  interpretativo»  prospettato  (e  cioe'  il
«combinato disposto») sarebbe stato «spezzato» dalla  sentenza  della
Corte di giustizia dell'Unione europea 28 aprile 2011,  C-61/11  PPU,
El Dridi, secondo la quale al giudice nazionale spetta il  potere  di
non applicare le norme del d.lgs. n. 286 del 1998 in contrasto con la
direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE (Direttiva del  Parlamento
europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni  applicabili
negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi  terzi  il  cui
soggiorno e' irregolare) e, tra queste, quelle che  stabiliscono  una
sanzione detentiva nel caso di irregolare permanenza  nel  territorio
nazionale, con conseguente insussistenza del presupposto dell'obbligo
di  denuncia  e,  quindi,  della   rilevanza   della   questione   di
legittimita' costituzionale; 
    che  la  questione  sarebbe,  altresi',   inammissibile   perche'
dall'ordinanza di rimessione risulta che il  giudizio  principale  e'
stato promosso dal P.M. e che J.N. e' ospitata in un centro  pubblico
di accoglienza per le donne che hanno  subito  violenza,  sicche'  la
situazione di irregolarita' in cui  ella  eventualmente  versava  era
gia' conosciuta  dall'autorita'  giudiziaria  e  dalla  autorita'  di
pubblica  sicurezza,  con  la  conseguenza  che  tale   provvedimento
«suscita perplessita' laddove riconduce  il  rischio  della  denuncia
penale, ai fini della rilevanza della questione, alla  partecipazione
della cittadina extra-comunitaria al processo»; 
    che,  nel  merito,  le  censure  sarebbero   infondate,   poiche'
l'ordinamento  prevede   strumenti   a   garanzia   della   straniera
extracomunitaria, assicurando piena tutela dei diritti  fondamentali,
«indipendentemente  dall'incriminazione  per  il   reato   in   esame
(peraltro  non  piu'   possibile,   in   base   alla   giurisprudenza
comunitaria)  o  dalla   segnalazione   alla   competente   autorita'
amministrativa per l'espulsione»; 
    che, infine,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  gli
articoli 17, 18 e 31, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 recano  una
disciplina che garantisce allo straniero extracomunitario il  diritto
ad  una  piena  ed  effettiva  tutela  giurisdizionale,  non  essendo
giuridicamente rilevante che, qualora questi versi in una  situazione
di   irregolarita',   possa   «di   fatto   avere    delle    remore»
nell'esercitarlo, «per timore di rendere ulteriormente "evidente"  la
propria posizione», peraltro «nel  caso  di  specie  gia'  nota  alle
autorita'»; 
    Considerato che il Tribunale per i minorenni di Roma  dubita,  in
riferimento agli articoli 2, 11, 24, primo comma, e 117, primo comma,
della Costituzione  ed  in  relazione  all'articolo  2  del  Trattato
sull'Unione europea, agli articoli 21, 23, 47 e 52  della  Carta  dei
diritti fondamentali  dell'Unione  europea  (di  seguito:  Carta  dei
diritti fondamentali), alla  Convenzione  sull'eliminazione  di  ogni
forma di discriminazione nei confronti della  donna  adottata  a  New
York il 18 dicembre 1979, ratificata con legge 14 marzo 1985, n.  132
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione sull'eliminazione  di  ogni
forma di discriminazione nei confronti della donna,  adottata  a  New
York  il  18  dicembre  1979),  al  Protocollo  opzionale   a   detta
Convenzione, adottato il 6 ottobre 1999, firmato  dall'Italia  il  10
dicembre 1999, ratificato il 22 settembre  2000,  alla  Dichiarazione
sull'eliminazione della  violenza  contro  le  donne  proclamata  con
risoluzione  dell'Assemblea  Generale  delle  Nazioni  Unite  del  20
dicembre 1993, ed alla Raccomandazione Rec(2002)5  del  Comitato  dei
ministri del Consiglio d'Europa agli Stati  membri  sulla  protezione
delle  donne  dalla  violenza  adottata  il  30  aprile  2002,  della
legittimita' costituzionale dell'articolo 2,  comma  5,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero) «nel combinato disposto» con gli articoli 10-bis  di
detto decreto legislativo e 331, comma 4,  del  codice  di  procedura
penale; 
    che, secondo il rimettente, l'art. 2, comma 5, del d.lgs. n.  286
del 1998, «nel combinato disposto» con gli articoli 10-bis  di  detto
decreto legislativo e 331, comma 4, cod, proc. pen., nella  parte  in
cui dette norme non prevedono che,  «nel  caso  sia  proposta  azione
giudiziaria finalizzata alla tutela  di  diritti  fondamentali  della
persona, l'autorita' giudiziaria adita non sia tenuta ne' all'obbligo
di redigere ed effettuare la denuncia al pubblico  ministero  di  cui
all'art.  331  comma  quarto  c.p.p.,  ne'  ad  alcuna   segnalazione
all'autorita'    amministrativa    competente    all'emissione    del
provvedimento di espulsione», si porrebbe in contrasto con gli  artt.
2 e 24,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  «l'esercizio  dell'azione
giurisdizionale  a  tutela  di  diritti  fondamentali  della  persona
risulta radicalmente inciso dalla certezza che a tale esercizio fara'
seguito sia l'incriminazione per il reato di cui all'art. 10-bis, sia
l'avvio del procedimento amministrativo il cui esito e'  l'espulsione
dal territorio nazionale»; 
    che le disposizioni censurate violerebbero, altresi',  gli  artt.
11 e 117, primo comma, Cost.,  anzitutto  perche'  recano  vulnus  al
principio  di  tutela  giurisdizionale  effettiva,  che   costituisce
principio generale e  fondante  del  diritto  comunitario,  derivante
dalle  tradizioni  costituzionali  degli  Stati  membri   dell'Unione
europea, confermato anche dagli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti
fondamentali; 
    che, inoltre, detti parametri costituzionali  sarebbero  lesi  in
quanto sussisterebbero «profili di contrasto con i vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario», conseguenti alla  circostanza  che  la
disciplina recata dalle norme censurate incide su diritti e  liberta'
spettanti ad ogni individuo,  indipendentemente  dalla  nazionalita',
garantiti dal diritto  dell'Unione  europea  e,  in  particolare,  il
citato art. 10-bis realizzerebbe «una compressione dell'esercizio del
diritto  alla  tutela  giurisdizionale»,  privandolo  «di   qualsiasi
effettivita'», anche  quando  tale  tutela,  in  virtu'  di  principi
stabiliti dall'art. 2 del Trattato UE e dagli articoli 21 e 23  della
Carta  dei  diritti  fondamentali,   e'   strumentale,   come   nella
fattispecie   oggetto   del   processo   principale,   a    garantire
l'effettivita' di  diritti  inerenti  alla  dignita'  della  persona,
compromessa o minacciata dalla violenza  esercitata  in  danno  delle
donne, in ambito domestico; 
    che, infine, «gli obblighi derivanti all'Italia  dai  principi  e
dalle determinazioni espresse sul  tema  dal  diritto  internazionale
configurano profili di contrasto con l'art.  11  Cost.»,  venendo  in
rilievo:  la  Convenzione  sull'eliminazione   di   ogni   forma   di
discriminazione nei confronti della donna adottata a New York  il  18
dicembre 1979, ratificata con legge n. 132 del 1985, ed il Protocollo
opzionale a detta Convenzione, adottato il 6  ottobre  1999,  firmato
dall'Italia il 10 dicembre 1999, ratificato il 22 settembre 2000;  la
Dichiarazione  sull'eliminazione  della  violenza  contro  le   donne
proclamata con  risoluzione  dell'Assemblea  Generale  delle  Nazioni
Unite del 20 dicembre 1993 (il cui art.  1  precisa  che  il  termine
«violenza contro le donne» include ogni atto di violenza  basato  sul
genere, inclusi quelli di coercizione e privazione  arbitraria  della
liberta', posti in essere nella vita pubblica o nella vita  privata);
la Raccomandazione Rec(2002)5 del Comitato dei ministri del Consiglio
d'Europa  agli  Stati  membri  sulla  protezione  delle  donne  dalla
violenza adottata il 30 aprile  2002  (che  ha  impegnato  gli  Stati
membri alla revisione delle proprie legislazioni e politiche al  fine
di assicurare alle donne l'esercizio e la protezione dei loro diritti
umani e delle liberta' fondamentali); 
    che,  in  linea  preliminare,  va  rilevato  che  l'ordinanza  di
rimessione presenta carenze in punto di descrizione della fattispecie
concreta e di motivazione  sulla  rilevanza  tali  da  precludere  lo
scrutinio nel merito della questione; 
    che il giudice a quo  non  ha,  infatti,  precisato  se  e  quali
verifiche siano state svolte  in  ordine  all'eventuale,  asserita  e
perdurante  situazione   di   irregolarita'   di   J.N.   alla   data
dell'ordinanza di  rimessione  (presupposto  imprescindibile  per  la
rilevanza  della   questione),   come   sarebbe   stato   necessario,
soprattutto in considerazione delle  circostanze  della  fattispecie,
tenuto conto che, secondo tale provvedimento, e' stata la predetta  a
denunciare alla Polizia di Stato i fatti i quali hanno  dato  origine
all'instaurazione da parte del P.M. del processo principale ed  ella,
a seguito della denuncia, e'  stata  ospitata  presso  un  centro  di
accoglienza e, successivamente,  e'  stata  assistita  da  un  centro
provinciale per donne in difficolta'; 
    che, sotto un ulteriore e concorrente profilo, va ricordato  che,
secondo la giurisprudenza costituzionale, il rimettente e'  tenuto  a
motivare specificamente in ordine alla  necessita'  di  applicare  la
disposizione censurata ai fini della definizione della  controversia,
sussistente quando la norma riguardi il thema decidendum su cui  egli
e' chiamato a pronunciare (sentenza n. 281 del 2010) e di essa  debba
essere fatta applicazione, quale passaggio obbligato  ai  fini  della
risoluzione della  questione  oggetto  del  giudizio  principale  (ex
plurimis, sentenze n. 151 del 2009 e n. 303 del 2007); 
    che il giudice a  quo  non  ha,  invece,  esposto  i  motivi  che
dovrebbero far  ritenere  sussistente  l'obbligo  di  denuncia  anche
qualora l'amaffiutorita' di pubblica sicurezza, prima, e  l'autorita'
giudiziaria, poi (in particolare, il P.M. presso il Tribunale  per  i
minorenni di Roma, che ha promosso  il  giudizio  principale),  siano
gia' venute a conoscenza del fatto oggetto dello stesso −  come  pure
risulta dalla stessa ordinanza  di  rimessione  −  ed  ha,  altresi',
omesso di  esplicitare  le  ragioni  che,  nel  giudizio  principale,
dimostrerebbero la  riconducibilita'  del  denunciato  pregiudizio  a
siffatto obbligo,  anziche'  alle  modalita'  della  regolamentazione
dell'espulsione conseguente all'accertamento  del  reato  del  citato
art. 10-bis ed  all'eventuale  difetto  di  rimedi  atti  a  renderla
compatibile con il diritto dello straniero extracomunitario ad  agire
in giudizio a tutela dei diritti fondamentali allo stesso spettanti; 
    che, pertanto, anche indipendentemente  dalla  considerazione  di
ulteriori profili ostativi alla  decisione  nel  merito,  conseguenti
alle  modalita'  della  denuncia  del  contrasto  delle  disposizioni
censurate con norme del diritto dell'Unione europea  (effettuata  dal
rimettente  senza  indicare  le  ragioni  che  osterebbero  alla  non
applicazione del diritto interno da parte del giudice ordinario,  con
omissione che, secondo la costante giurisprudenza  di  questa  Corte,
comporta un difetto di motivazione della  rilevanza,  tra  le  molte,
sentenze n. 288  e  n.  227  del  2010),  la  questione  deve  essere
dichiarata manifestamente inammissibile;