Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  10,  comma  3,
della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche  al  codice  penale  e
alla  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi  dalla
Corte d'appello di Messina con ordinanza del 29 novembre 2010 e dalla
Corte di cassazione con ordinanza del 17 febbraio 2011,  iscritte  ai
nn. 74 e 76 del registro ordinanze 2011 e pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 19,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2011. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 18 ottobre  2011  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che la Corte d'appello di Messina, con ordinanza del  29
novembre 2010, pervenuta alla Corte costituzionale l'11  aprile  2011
(r.o. n. 74 del 2011), ha sollevato, per  violazione  dell'art.  117,
primo  comma,   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione); 
        che la Corte rimettente premette  di  procedere  in  sede  di
giudizio di rinvio, in seguito all'annullamento, da parte della Corte
di  cassazione,  della  sentenza  della  Corte  d'appello  di  Reggio
Calabria del  26  aprile  2001,  che  aveva  dichiarato  non  doversi
procedere nei confronti di alcuni imputati in ordine  al  delitto  di
omicidio  colposo,  in  quanto  estinto  per   prescrizione,   previa
concessione delle circostanze attenuanti generiche; 
        che, aderendo  all'eccezione  formulata  dalle  difese  degli
imputati sulla scorta dell'ordinanza  della  seconda  sezione  penale
della Corte di cassazione  n.  22357  del  27  maggio  2010  (che  ha
sollevato la questione di legittimita'  costituzionale  decisa  dalla
Corte costituzionale con la sentenza  n.  236  del  2011,  successiva
all'ordinanza di rimessione in esame), la Corte  rimettente  riporta,
con riguardo alla non manifesta infondatezza della  questione,  parte
della citata ordinanza n. 22357,  osservando,  con  riferimento  alla
rilevanza della questione stessa, che ove venissero applicati i  piu'
brevi termini di prescrizione previsti  dalla  nuova  normativa,  «il
reato  sarebbe  gia'  prescritto  -   con   esigenza   di   immediata
declaratoria  della   causa   estintiva   ed   efficacia   preclusiva
dell'ulteriore attivita' istruttoria in corso  -  a  prescindere  dal
riconoscimento  delle  circostanze  attenuanti  generiche»,  la   cui
decisione e' stata rimessa al giudizio di rinvio; 
        che e' intervenuto nel  giudizio  di  costituzionalita',  con
atto depositato il 24 maggio 2011, il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile,  per
omessa descrizione della fattispecie sottoposta alla  cognizione  del
rimettente, e, in via  subordinata,  manifestamente  infondata,  alla
luce dell'orientamento, espresso dalla Corte  costituzionale  con  le
sentenze n. 393 del 2006 e n. 72 del 2008, secondo cui  il  principio
della   retroattivita'   della   lex   mitior,   lungi    dall'essere
assolutamente cogente, sulla base delle indicazioni  provenienti  dai
trattati internazionali cui l'Italia ha dato esecuzione o dal diritto
comunitario,  puo'   essere   disatteso   qualora   le   disposizioni
derogatorie siano conformi al canone della ragionevolezza; 
        che la  Corte  di  cassazione,  quinta  sezione  penale,  con
ordinanza del 17 febbraio 2011, pervenuta alla  Corte  costituzionale
il 12 aprile 2011 (r.o. n. 76 del 2011), ha sollevato, per violazione
dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n.
251; 
        che il giudice a quo premette che con sentenza del 3 febbraio
2010 la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza
del Tribunale di Torino dell'11 dicembre 2002, aveva condannato  alla
pena di un anno e quattro mesi di reclusione l'imputato G. B. per  il
delitto  di  bancarotta  fraudolenta  patrimoniale,  commesso   quale
amministratore di una societa' dichiarata fallita il 17 giugno 1996; 
        che  avverso  la  sentenza  di   secondo   grado   l'imputato
presentava  ricorso  per  cassazione,  articolando  vari  motivi   di
impugnazione e  deducendo,  con  il  primo  di  essi,  la  violazione
dell'art. 157 del codice penale e dell'art. 10 della legge n. 251 del
2005, in relazione alla mancata declaratoria di estinzione del  reato
per prescrizione; 
        che, richiamata la citata  ordinanza  della  seconda  sezione
penale della Corte di cassazione n. 22357  del  27  maggio  2010,  il
giudice a quo osserva che «il principio di retroattivita' della legge
piu' favorevole e' sancito sia a livello internazionale sia a livello
comunitario»  e  che  gia'  l'art.  15,  primo   comma,   del   Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato  a  New
York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con  legge  del
25 ottobre  1977,  n.  881,  se  assunto  quale  parametro  non  gia'
dell'art.  3  Cost.,  bensi'  dell'art.  117,  primo  comma,   Cost.,
renderebbe non manifestamente infondata la questione di  legittimita'
costituzionale della  disciplina  transitoria  in  esame,  in  quanto
«priva l'imputato, il cui processo sia gia' pendente in appello o  in
Cassazione, dell'ottemperanza  alla  regola  cogente,  imposta  dalla
norma pattizia, per la quale la legge piu' favorevole deve essere  di
immediata applicazione, senza che le  deroghe  disposte  dalla  legge
ordinaria possano essere giustificate per effetto  del  bilanciamento
con interessi di analogo rilievo»; 
        che, alla luce della giurisprudenza  costituzionale,  secondo
cui le norme  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora in avanti  CEDU),
integrano,  quali  norme  interposte,  il  parametro   costituzionale
espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., e  della  sentenza  della
Grande Camera della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  del  17
settembre  2009  (ric.  n.   10249/03,   Scoppola   contro   Italia),
risulterebbe  evidente,  secondo  la  Corte   rimettente,   come   il
significato innovativo attribuito all'art. 7 della  CEDU  imponga  lo
scrutinio di legittimita' costituzionale della «disciplina  che  pone
dei limiti all'efficacia nei procedimenti penali in corso della nuova
previsione della legge n. 251 del 2005 in tema di determinazione  dei
termini  di  prescrizione,  ove  gli  stessi  siano  piu'  favorevoli
all'imputato»; 
        che  la  questione  sarebbe  rilevante,  in  quanto:  con  la
sentenza impugnata, escluse la recidiva e la  circostanza  aggravante
di cui all'art. 219, comma 2, numero 1), del regio decreto  16  marzo
1942, n. 267 (cosiddetta legge fallimentare),  la  pena,  determinata
nella misura base di tre anni di reclusione, era  stata  ridotta  per
l'applicazione della circostanza  attenuante  di  cui  all'art.  219,
comma 3, della  citata  legge  fallimentare;  secondo  la  previgente
disciplina il  termine  di  prescrizione,  tenuto  conto  degli  atti
interruttivi e  dei  periodi  di  sospensione,  risulterebbe  pari  a
quindici anni, due mesi e quattordici  giorni,  sicche'  non  sarebbe
ancora decorso; sulla base della normativa sopravvenuta, tale termine
sarebbe pari a dodici anni, otto mesi e quattordici  giorni,  sicche'
all'applicabilita'  della  disciplina  sopravvenuta   seguirebbe   la
declaratoria di estinzione del reato; 
        che la Corte rimettente precisa che gli ulteriori  motivi  di
ricorso, se accolti, non  provocherebbero  regressioni  del  processo
implicanti  l'applicazione  dei  nuovi  termini   prescrizionali   e,
pertanto, l'eventuale dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251  del  2005,  determinerebbe
l'applicazione di una disciplina piu' favorevole per l'imputato; 
        che, con atto depositato il 24 maggio  2011,  e'  intervenuto
nel giudizio di costituzionalita' il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata  infondata,  poiche'
la deroga al principio  di  retroattivita'  della  nuova  norma  piu'
favorevole al reo contenuta nell'art. 10, comma 3, della legge n. 251
del  2005  sarebbe  ragionevole  e  rispettosa  di   altri   principi
costituzionali. 
    Considerato che la Corte d'appello di Messina, con ordinanza  del
29 novembre 2010 (r.o. n. 74 del 2011)  e  la  Corte  di  cassazione,
quinta sezione penale, con ordinanza del 17 febbraio 2011 (r.o. n. 76
del 2011), dubitano della legittimita' costituzionale  dell'art.  10,
comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n.  251,  nella  parte  in  cui
esclude l'applicazione dei nuovi termini  di  prescrizione,  se  piu'
brevi, ai «processi gia' pendenti in grado di appello o  avanti  alla
Corte di Cassazione»; 
        che la norma indicata sarebbe in contrasto  con  l'art.  117,
primo comma, della Costituzione,  in  relazione  all'art.  15,  primo
comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici
adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso  esecutivo
con legge del 25 ottobre 1977, n. 881, e all'art. 7 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,
n. 848, interpretato alla luce della  sentenza  della  Grande  Camera
della Corte europea dei diritti dell'uomo del 17 settembre 2009 (ric.
n. 10249/03, Scoppola contro Italia), secondo  cui  «l'art.  7  della
Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di  applicazione
retroattiva della legge penale, incorpora  anche  il  corollario  del
diritto dell'accusato al trattamento piu' lieve»; 
        che le ordinanze di rimessione sollevano questioni  analoghe,
sicche' i relativi giudizi vanno  riuniti  per  essere  definiti  con
un'unica decisione; 
        che l'eccezione di inammissibilita' proposta  dall'Avvocatura
generale dello Stato con riferimento alla questione  sollevata  dalla
Corte d'appello di Messina non e' fondata, in  quanto  il  rimettente
precisa di essere chiamato a  decidere,  quale  giudice  del  rinvio,
dell'applicazione delle circostanze generiche, cui  si  ricollega  la
prospettata rilevanza della questione; 
        che  le  questioni  di   legittimita'   costituzionale   sono
manifestamente infondate; 
        che la sentenza n. 236 del 2011 di questa Corte ha dichiarato
non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10,
comma 3, della legge n.  251  del  2005,  sollevata,  in  riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost.,  dalla  Corte  di  cassazione,  con
l'ordinanza  n.  22357  del  2010,  alla  quale  hanno  fatto   ampio
riferimento le ordinanze di rimessione in esame; 
        che la citata sentenza n. 236 ha  rilevato  che  la  sentenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo del 17 settembre  2009  nel
caso Scoppola non ha escluso la  possibilita'  che,  in  presenza  di
particolari situazioni, il  principio  di  retroattivita'  in  mitius
possa  subire  deroghe  o   limitazioni,   sottolineando   come   «il
riconoscimento  da  parte  della  Corte  europea  del  principio   di
retroattivita' in mitius - che gia' operava nel nostro ordinamento in
forza dell'art. 2, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen.  e  aveva
trovato un fondamento costituzionale attraverso la giurisprudenza  di
questa Corte -  non  abbia  escluso  la  possibilita'  di  introdurre
deroghe o limitazioni alla sua operativita', quando siano sorrette da
una valida giustificazione»; 
        che la sentenza n. 236 del 2011 ha altresi' affermato che  il
principio   di   retroattivita'   della   lex    mitior    presuppone
un'omogeneita' tra i contesti fattuali o normativi in cui operano  le
disposizioni che si succedono nel tempo e  ha  rimarcato  come  detto
principio  «riconosciuto   dalla   Corte   di   Strasburgo   riguardi
esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena,  mentre  sono
estranee  all'ambito  di  operativita'  di  tale   principio,   cosi'
delineato, le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole
al reo, nella valutazione sociale del fatto, che  porti  a  ritenerlo
penalmente lecito o comunque  di  minore  gravita'»,  giungendo  alla
conclusione che esso «non puo' riguardare le norme  sopravvenute  che
modificano,  in  senso  favorevole  al  reo,  la   disciplina   della
prescrizione, con  la  riduzione  del  tempo  occorrente  perche'  si
produca l'effetto estintivo del reato»; 
        che, nell'argomentare della sentenza n. 236  del  2011,  tale
conclusione e' avvalorata anche dal richiamo all'art.  15  del  Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici, che, cosi' come
l'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea,
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, non si riferisce  a  qualsiasi
disposizione penale, ma solo alla «legge [che] prevede l'applicazione
di una pena piu' lieve» e, quindi, anche sotto  l'aspetto  letterale,
non riguarda la prescrizione, diversamente  dall'art.  2  cod.  pen.,
che, con il piu' generale riferimento alla legge penale, ha un ambito
di applicabilita' non limitato alle fattispecie incriminatrici e alle
pene; 
        che, pertanto, alla luce delle  argomentazioni  svolte  dalla
sentenza  n.  236  del  2011  di  questa  Corte,  le   questioni   di
legittimita'  costituzionale  sollevate  dalla  Corte  d'appello   di
Messina e dalla Corte di  cassazione,  quinta  sezione  penale,  sono
manifestamente infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale.