IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 7099 del 2010, integrato da motivi aggiunti,
proposto da: Vittorio Zambrano, rappresentato e difeso dall'Avv.
Mario Sanino, dall'Avv. Marco Di Lullo e dall'Avv. Fabrizio Viola,
con domicilio eletto presso lo Studia dell'Avv. Mario Sanino sito in
Roma, Viale Parioli n. 180;
Contro la Corte dei conti ed il Consiglio di Presidenza della
Corte dei conti, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,
rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura Generale dello
Stato, domiciliata per legge in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
Nei confronti di Raffaele Squitieri, rappresentato e difeso
dall'Avv. Domenico Paternostro e dall'Avv. Elio Vitale, con domicilio
eletto presso lo Studio dell'Avv. Domenico Paternostro sito in Roma,
Viale Giuseppe Mazzini n. 6;
Per l'annullamento:
della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte
dei conti, adottata nell'adunanza dell'11-12 maggio 2010 - di estremi
sconosciuti - con la quale e' stata deliberata l'assegnazione delle
funzioni di Presidente della Sezione Controllo Enti al Presidente di
Sezione Dott. Raffaele Squitieri, di cui alla sintesi dei lavori del
Consiglio n. 26/2010;
della deliberazione prot. Corte dei conti n. 133 del 25
maggio 2010, con la quale e' stato deliberato che a decorrere dal 18
maggio 2010 il Presidente di Sezione Dott. Raffaele Squitieri cessa
dal posto di funzione di Presidente della Sezione Giurisdizionale per
la Regione Molise ed e' assegnato, a domanda, al posto di funzione di
Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti;
di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale ivi
compresi:
l'art. 31 della deliberazione del Consiglio di Presidenza
della Corte dei conti n. 121/CP/2009 del 18 marzo 2009;
la successiva deliberazione prot. 241 del 28 luglio 2009
con la quale il medesimo Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti ha modificato le disposizioni contenute nell'art. 31, comma 1,
lett. c) della deliberazione n. 121/CP/2009 del 18 marzo 2009,
portando il punteggio discrezionale, precedentemente fissato per
ciascun componente nella misura di 0,80 punti, a 1,20 punti;
il D.P.R. del 13 maggio 2009 di costituzione del Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti;
e con ricorso per motivi aggiunti
Per l'annullamento:
della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte
dei conti, adottata nell'adunanza dell'11-12 maggio 2010 - di estremi
sconosciuti - con la quale e' stata deliberata l'assegnazione delle
funzioni di Presidente della Sezione Controllo Enti al Presidente di
Sezione Dott. Raffaele Squitieri, di cui alla «sintesi dei lavori del
Consiglio» n. 26/2010;
della deliberazione prot. Corte dei conti n. 133 del 25
maggio 2010, con la quale e' stato deliberato che a decorrere dal 18
maggio 2010 il Presidente di Sezione Dott. Raffaele Squitieri cessa
dal posto di funzione di Presidente della Sezione Giurisdizionale per
la Regione Molise ed e' assegnato, a domanda, al posto di funzione di
Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti;
di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale ivi
compresi:
l'art. 31 della deliberazione del Consiglio di Presidenza
della Corte dei conti n. 121/CP/2009 del 18 marzo 2009;
la successiva deliberazione prot. n. 241 del 28 luglio 2009
con la quale il medesimo Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti ha modificato le disposizioni contenute nell'art. 31, comma 1,
lett. c) della deliberazione n. 121/CP/2009 del 18 marzo 2009,
portando il punteggio discrezionale, precedentemente fissato per
ciascun componente nella misura di 0,80 punti, a 1,20 punti;
il D.P.R. del 13 maggio 2009 di costituzione del Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Corte dei conti,
del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti e di Raffaele
Squitieri, Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2011
il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Fatto
Espone in fatto l'odierno ricorrente, Presidente della Sezione
Regionale di Controllo per il Lazio, di aver presentato domanda per
l'assegnazione del posto di funzione di Presidente della Sezione di
Controllo sugli Enti della Corte dei conti, di cui alla procedura
concorsuale bandita nell'adunanza del Consiglio di Presidenza della
Corte dei conti del 20-21 aprile 2010, comunicata con circolare n.
2808 del 23 aprile 2010.
Con delibera assunta nell'adunanza del Consiglio di Presidenza
dell'11-12 maggio 2010, il Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti ha assegnato il posto di funzione di Presidente della Sezione
di Controllo sugli Enti della Corte dei conti al Dott. Raffaele
Squitieri.
Con deliberazione prot. Corte dei conti n. 133 del 25 maggio
2010, il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti ha quindi
disposto l'assegnazione, a domanda, del Dott. Raffaele Squitieri al
posto di funzione di Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti
a decorrere dal 18 maggio 2010, con cessazione dal posto di funzione
di Presidente della Sezione Giurisdizionale per la Regione Molise.
Avverso tali atti, e con riserva di proposizione di motivi
aggiunti avverso gli atti del procedimento, ivi comprese le delibere
impugnate, di cui ad apposita istanza di accesso non ancora
soddisfatta, deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:
I - Illegittimita' derivata per incostituzionalita', dell'art.
11, comma 8, della legge 4 marzo 2009 n. 15 per violazione degli
artt. 3, 97, 100, 103, 104 e 108 della Costituzione. Eccesso di
potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per
irragionevolezza, illogicita', perplessita', contraddittorieta',
travisamento, erroneita' dei presupposti, ingiustizia manifesta.
Disparita' di trattamento, difetto di motivazione e sviamento.
Precisa parte ricorrente come con la delibera del 20-21 aprile
2010, con cui e' stata bandita la procedura concorsuale per
l'assegnazione del posto di funzione di Presidente della Sezione di
Controllo sugli Enti, e' stato stabilito di applicare a tale
procedura i criteri relativi all'assegnazione di posti di funzione di
Presidente di Sezione di cui al Titolo IV, Capo I, della
deliberazione 121/CP/2009 del 18 marzo 2009, recante il testo unico
della deliberazione n. 92/CP/2002, coordinato con le deliberazioni
nel tempo intervenute in materia di nomine, promozioni e
assegnazioni.
Nel richiamare, in particolare, parte ricorrente, i criteri
dettati dall'art. 31 della citata delibera, significa come
l'assegnazione del posto di funzione di Presidente della Sezione
Controllo Enti avviene, alla luce delle disposizioni applicabili alla
procedura concorsuale, a favore del candidato che abbia ottenuto il
punteggio piu' elevato attribuito sulla base del curriculum,
dell'anzianita' di servizio, della carriera svolta all'interno della
Corte dei conti e delle capacita' organizzative e professionali dallo
stesso dimostrate.
Avuto riguardo al profilo inerente l'attribuzione del punteggio,
precisa il ricorrente che con delibera n. 241 del 28 luglio 2009 il
Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, in considerazione
della riduzione del numero dei componenti del Consiglio intervenuta
ai sensi dell'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009 n. 15 -che
ha ridotto da 10 a 4 il numero dei componenti del Consiglio di
Presidenza della Corte dei conti eletti dai magistrati della Corte
dei conti, in numero pari ai membri laici - ha modificato il
punteggio distrezionale previsto dall'art. 31, comma 1, lett. c)
della delibera n. 121 del 18 marzo 2009, fissato in punti 0,80 per
ciascun componente, elevandolo a punti 1,20.
Deduce, quindi, parte ricorrente l'illegittimita' della
composizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti come
delineato dalla citata novella legislativa per incostituzionalita'
della norma che ne ha modificato la composizione, determinando
l'equiparazione numerica tra i componenti togati con conseguente
illegittimita' della gravata delibera di conferimento dell'incarico.
Al riguardo, afferma parte ricorrente che la Costituzione, pur
non prevedendo per le magistrature speciali, contrariamente a quanto
disposto dall'art. 104 della Costituzione per la magistratura
ordinaria, una determinata composizione dell'organo di autogoverno,
lasciando la liberta' di scelta al legislatore, abbia comunque inteso
garantirne l'indipendenza, ricordando come la Corte costituzionale,
con la sentenza n. 87 del 2009, abbia sancito la piena equiparazione
tra il Consiglio Superiore della. Magistratura e gli organi di
autogoverno delle magistrature speciali, costituendo il principio
dell'indipendenza dei magistrati un principio generale posto a
garanzia del corretto svolgimento della funzione giurisdizionale
complessivamente intesa. Ricorda in proposito parte ricorrente come
questo Tribunale, con ordinanza n. 503 del 23 marzo 2010, abbia
rimesso la questione di legittimita' costituzionale della norma di
cui all'art. 11, comma 8, della legge n. 11 del 2009 alla Corte
costituzionale, riportandosi alle considerazioni ivi espresse.
Afferma dunque parte ricorrente come, dalla riduzione del numero
dei componenti elettivi togati del Consiglio di Presidenza, fissato
in numero pari a quello dei componenti laici, discenda un pregiudizio
per l'imparzialita' ed indipendenza dell'organo di autogoverno, con
conseguenti riflessi sulla contestata procedura.
II - Illegittimita' derivata per incostituzionalita' dell'art.
31, lettera c) della deliberazione n. 121 del 18 marzo 2009 e
successive modificazioni per violazione e falsa applicazione degli
artt. 3 e 97 della Costituzione. Eccesso di potere in tutte le sue
figure sintomatiche ed in particolare per irragionevolezza,
illogicita', perplessita', contraddittorieta', travisamento,
erroneita' dei presupposti, ingiustizia manifesta. Disparita' di
trattamento, difetto di motivazione.
Afferma parte ricorrente come per effetto della modifica del
punteggio discrezionale attribuito a ciascun componente del Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti, elevato da 0,80 punti a 1,20
punti con delibera n. 241 del 28 luglio 2009 in considerazione della
riduzione del numero dei componenti togati, senza apportare alcuna
contestuale modifica al punteggio relativo all'anzianita' nelle
qualifica e a quello relativo alla professionalita' specifica, il
peso del giudizio di ogni componente sarebbe divenuto
irragionevolmente piu' consistente, ai fini dell'individuazione del
candidato da nominarsi, a scapito del peso degli altri criteri, con
conseguente compromissione della natura concorsuale della procedura.
La modifica del punteggio attribuibile da ciascun componente non
risponderebbe, peraltro, secondo parte ricorrente, ad una reale
esigenza di garantire l'equilibrio tra i criteri indicati dall'art.
31 della delibera n. 121 del 18 marzo 2009 - e segnatamente
l'anzianita' nella qualifica, la professionalita' specifica e il
punteggio discrezionale - contestando la motivazione sottesa a tale
modifica, che muove dalla considerazione dell'alterazione del
rapporto proporzionale stabilito tra i criteri precedentemente alla
modifica della composizione del Consiglio di Presidenza, significando
in proposito l'assenza di indicazioni circa tale rapporto
proporzionale tra le tipologie di punteggio e la mancata
predeterminazione di un punteggio unico complessivo riferito al
criterio discrezionale.
III -Illegittimita'. derivata per incostituzionalita' dell'art.
31, lettera c) della deliberazione n. 121 del 18 marzo 2009 e
successive modificazioni per violazione e falsa applicazione degli
artt. 3 e 97 della Costituzione. Eccesso di potere in tutte le sue
figure sintomatiche ed in particolare per irragionevolezza,
illogicita', perplessita', contraddittorieta', travisamento,
erroneita' dei presupposti, ingiustizia manifesta. Disparita' di
trattamento, difetto di motivazione e sviamento, illegittima
limitazione del punteggio attribuito alla professionalita' specifica.
Denuncia parte ricorrente l'incostituzionalita', per violazione
degli artt. 3 e 97 della Costituzione, dell'art. 31, lettera b) della
deliberazione n. 121 del 18 marzo 2009 nella parte in cui, con
riferimento alla professionalita' specifica, prevede l'attribuzione
di un massimo di 10 punti calcolati con riferimento agli ultimi 20
anni di carriera, con riconoscimento di 0,80 punti per ogni anno o
frazione di anno superiore a sei mesi nell'area nella quale si
colloca la funzione da assegnare, sostenendo parte ricorrente come il
tetto massimo del punteggio attribuibile per tale voce azzererebbe il
valore della professionalita', specifica acquisita dopo il periodo
necessario a conseguire tale punteggio.
IV - Violazione e falsa applicazione della deliberazione del
Consiglio di Presidenza della Corte dei conti prot. n. 241 del 2009 e
successive modificazioni e integrazioni. Eccesso di potere in tutte
le sue figure sintomatiche ed in particolare per irragionevolezza,
illogicita', perplessita', contraddittorieta', travisamento,
erroneita' dei presupposti, ingiustizia manifesta. Disparita' di
trattamento, difetto di motivazione e sviamento, illegittima
limitazione del punteggio attribuito alla professionalita' specifica.
Afferma parte ricorrente che una corretta applicazione dei
criteri fissati dall'art. 31 della delibera n. 121 del 2009 avrebbe
dovuto determinare il riconoscimento della propria prevalenza sul
controinteressato, in ragione delle risultanze emergenti dal proprio
curriculum, di cui illustra i relativi elementi.
Con ricorso per motivi aggiunti, proposti successivamente
all'acquisizione, a seguito di istanza di accesso, del verbale
dell'adunanza dei Consiglio di Presidenza della Corte dei conti
dell'11 maggio 2010 relativa all'audizione dei candidati ed all'esito
della procedura, rappresenta parte ricorrente di aver ottenuto il
punteggio complessivo di 22,48 punti a fronte dei 28,30 punti
attribuiti al controinteressato, rispetto al quale aveva ottenuto un
maggior punteggio sulla base dei criteri automatici.
Avverso tale verbale deduce parte ricorrente i seguenti motivi di
censura:
I - Violazione e falsa applicazione dell'art. 31, comma 1,
lettera c), della deliberazione n. 121 del 18 marzo 2009 della Corte
dei conti. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della
legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni. Eccesso di potere
in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per
irragionevolezza, illogicita', perplessita', contraddittorieta',
travisamento, erroneita' dei presupposti, ingiustizia manifesta.
Disparita' di trattamento, difetto di motivazione e sviamento,
illegittima limitazione del punteggio attribuito alla
professionalita', specifica.
Denuncia parte ricorrente l'intervenuta violazione dei criteri
fissati dall'art. 31, comma 1, lettera c), della deliberazione n. 121
del 18 marzo 2009 della Corte dei conti, per l'attribuzione del
punteggio discrezionale, significando come alcuni dei componenti del
Consiglio di Presidenza - e segnatamente i componenti Trancanella,
Caravita di Torino, Ferraci e Lentini - abbiano attribuito il loro
voto al controinteressato Squitieri senza fornire alcuna motivazione,
neanche per relationem, con riferimento al curriculum del candidato
prescelto ed alle capacita' organizzative e professionali dello
stesso, laddove la citata disposizione prevede che venga espresso un
giudizio motivato.
Lamenta, altresi', parte ricorrente l'erroneita' e
contraddittorieta' delle motivazioni poste a sostegno del voto di
preferenza espresso a favore del controinteressato Squitieri da parte
degli altri componenti il Consiglio di Presidenza - e segnatamente
dai componenti Manzella, Pandolfo, Ristuccia, Lazzaro - in quanto
basate su elementi, quali i risultati dell'audizione e l'avvenuto
svolgimento, da parte del controinteressato, dell'incarico di
Segretario Generale, asseritamente estranei a quelli che debbono
essere presi in considerazione ai sensi della disciplina di
riferimento.
Contesta, inoltre, parte ricorrente le valutazioni espresse dal
Presidente Lazzaro in ordine al maggior numero di anni di servizio
garantiti dal controinteressato Squitieri rispetto al ricorrente,
significando come ai fini della partecipazione alla procedura
concorsuale de qua sia richiesto unicamente un residuo periodo di
permanenza in servizio di 18 mesi.
II - Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della
legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni. Violazione e falsa
applicazione dell'art. 31, comma 1, lettera c), della deliberazione
n. 121 del 18 marzo 2009 della Corte dei conti. Eccesso di potere in
tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per
irragionevolezza, illogicita', perplessita', contraddittorieta',
travisamento, erroneita' dei presupposti, ingiustizia manifesta.
Disparita' di trattamento, difetto di motivazione e sviamento,
illegittima limitazione del punteggio attribuito alla
professionalita' specifica.
Contesta parte ricorrente la decisione del Consiglio di
Presidenza di considerare non valutabili due titoli del ricorrente
tardivamente documentati, affermando l'insussistenza di un onere di
loro allegazione per essere essi gia' in possesso
dell'Amministrazione.
Si e' costituita in resistenza l'intimata. Amministrazione
sostenendo, con articolate controdeduzioni e successiva memoria,
l'infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.
La resistente Amministrazione ha, in particolare, significato
come la questione di illegittimita' costituzionale della norma
dettata dall'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009, analoga a
quella sollevata da parte ricorrente, e' stata dalla Corte
costituzionale definita con sentenza n. 16 del 13 gennaio 2011,
dichiarandola inammissibile.
Si e' costituito in giudizio anche il controinteressato Dott.
Squitieri, sostenendo, con articolate controdeduzioni e con
successiva memoria, l'infondatezza del ricorso con richiesta di
corrispondente pronuncia.
Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha
controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, insistendo nelle proprie
deduzioni e ulteriormente argomentando.
Alla pubblica udienza del 22 giugno 2011, la causa e' stata
chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la
decisione, come da verbale.
Diritto
Con il ricorso in esame, integrato da motivi aggiunti, e'
proposta azione impugnatoria avverso, innanzitutto, gli atti - meglio
descritti in epigrafe nei loro estremi - concernenti l'esito della
procedura concorsuale, cui ha partecipato l'odierno ricorrente, per
la copertura del posto di funzione di Presidente della Sezione di
Controllo sugli Enti della Corte dei conti, conclusasi con
l'assegnazione del posto al Dott. Squitieri.
La proposta, azione impugnatoria si estende alla disciplina
consiliare che governa la procedura di assegnazione dei posti
funzione, come in particolare dettata dall'art. 31 della
deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti n.
121/CP/2009 del 18 marzo 2009, recante i criteri di valutazione dei
candidati, e dalla deliberazione prot. N. 241 del 28 luglio 2009,
recante la modifica del criterio di cui al citato art. 31, comma 1,
lett. c) della deliberazione n. 121/CP/2009 del 18 marzo 2009,
concernente il punteggio discrezionale il quale, precedentemente
fissato per ciascun componente nella misura di 0,80 punti, e' stato
innalzato a 1,20 punti quale conseguenza della riduzione del numero
dei componenti del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti
intervenuta per effetto dell'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo
2009 n. 15.
L'impianto ricorsuale, come delineato dalle censure proposte, si
snoda innanzitutto attraverso la denuncia di illegittimita' della
composizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti in
ragione della lamentata illegittimita' costituzionale dell'art. 11,
comma 8, della legge 4 marzo 2009 n. 15 - recante delega al Governo
finalizzata all'ottimizzazione della produttivita' del lavoro
pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni nonche' disposizioni integrative delle funzioni
attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla
Corte dei conti - che ha modificato la composizione dell'organo,
individuandone i relativi membri nel Presidente della Corte, che lo
presiede, nel Presidente aggiunto, nel Procuratore generale, in
quattro rappresentanti del Parlamento eletti ai sensi dell'articolo
7, comma 1, lettera d), della legge 27 aprile 1982, n. 186, e
successive modificazioni, e dell'articolo 18, comma 3, della legge 21
luglio 2000, n. 205, e in quattro magistrati eletti da tutti i
magistrati della Corte.
Con riferimento a tale modifica della composizione del Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti, che nel fissare in quattro il
numero dei componenti eletti dai magistrati della Corte dei conti, ha
ridotto il numero precedentemente fissato in dieci componenti, cosi'
stabilendo la parita' numerica tra componenti togati eletti dai
magistrati e componenti laici eletti dal Parlamento, deduce parte
ricorrente l'incostituzionalita' della norma che tale modifica ha
introdotto - id est il citato art. 11, comma 8, della legge 4 marzo
2009 n. 15 - per violazione degli artt. 3, 97, 100, 103, 104 e 108
della Costituzione, censurando sotto il profilo della illegittimita'
derivata le gravate delibere di assegnazione del posto di funzione di
Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti della Corte dei
conti al Dott. Raffaele Squitieri.
Il Collegio - anticipando le conclusioni che, alla luce delle
considerazioni che si andranno ad esporre, intende trarre - ritiene
non manifestamente infondata la sollevata eccezione di illegittimita'
costituzionale della citata norma con riferimento agli artt. 100,
101, 103 e 108, comma 2, della Costituzione, in relazione agli artt.
3 e 104 della Costituzione e, previo positivo riscontro della
rilevanza della questione, ritiene di dover adottare ordinanza di
rimessione della questione alla Corte costituzionale, in tal modo
sollecitando nuovamente il vaglio della Consulta la quale, con
sentenza n. 16 del 13 gennaio 2011, ha dichiarato inammissibile, per
inammissibilita' del petitum, analoga questione, relativa alla citata
norma, sollevata da questo Tribunale - con parzialmente diversa
prospettazione - con ordinanza n. 503 del 2010.
Cio' posto, rileva il Collegio - avuto riguardo alla verifica
della condizione di ammissibilita', dell'incidente di
costituzionalita', rappresentata dalla rilevanza della questione di
illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8, della legge 4
marzo 2009 n. 15 in quanto strumentalmente necessaria alla
definizione del giudizio - come la denunciata illegittimita' della
composizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, come
asseritamente derivata dalla incostituzionalita' della norma che la
disciplina, si riflette, in via derivata e consequenziale, sulla
legittimita' delle deliberazioni adottate, gravate con il ricorso in
esame, in base alle quali il controinteressato Squitieri e' stato
preferito all'odierno ricorrente per l'assegnazione del posto di
funzione di Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti della
Corte dei conti, in quanto adottate dal Consiglio di Presidenza nella
composizione ritenuta illegittima.
La rilevanza della questione risiede nella considerazione che
l'illegittimita' della composizione del Consiglio di Presidenza della
Corte dei conti, come derivante dalla ritenuta illegittimita'
costituzionale della normativa vigente che stabilisce la nomina dei
relativi componenti, incide in modo diretto sull'esercizio delle
funzioni allo stesso attribuite.
Va, dunque, positivamente riscontrata la sussistenza di una delle
condizioni di ammissibilita' dell'incidente di costituzionalita'
della norma che disciplina la composizione del Consiglio di
presidenza, data la rilevanza che una questione siffatta sicuramente
riveste nel corso di qualsivoglia giudizio in cui si discuta della
regolarita' degli atti adottati da tale organo.
Inoltre, laddove venisse accertata l'illegittimita' della
composizione del Consiglio di Presidenza della. Corte dei conti in
ragione dell'eventuale illegittimita', costituzionale della norma che
tale composizione stabilisce, ne conseguirebbe l'invalidita' degli
atti adottati dall'organo viziato nella sua composizione, ivi
comprese le gravate delibere.
Cio' in applicazione delle ordinarie regole secondo cui
l'illegittima composizione dell'organo deliberante determina, quale
conseguenza obiettiva e senza necessita' del riscontro, in concreto,
di ulteriori profili di illegittimita', l'invalidita' dell'operato
dell'organo, conseguendo da cio' l'annullamento degli atti
procedimentali adottati in tale composizione.
Cio' non senza segnalare le problematiche inerenti la concreta
individuazione dello strumento decisionale che consenta alla Corte di
censurare la composizione prevista per il Consiglio di presidenza
senza ledere il principio di continuita' dell'ordinamento normativo
il quale, nel bilanciamento dei valori, potrebbe essere ritenuto
prevalente sulle censure di illegittimita' costituzionale - potendo
manifestarsi l'esigenza di limitare gli effetti caducatori della
pronuncia della Corte - in tal modo confliggendo con la natura
incidentale del sindacato effettuato dal Giudice delle leggi, senza
comunque incidere sul riscontro del requisito della rilevanza.
In disparte la questione inerente la scelta del concreto
strumento con cui la Corte potrebbe aderire ai manifestati dubbi di
illegittimita' costituzionale della norma,deve osservarsi, quindi,
sotto lo specifico profilo della rilevanza della questione deve
osservarsi che in ragione della portata e degli effetti di una
eventuale pronuncia che dichiari l'illegittimita' costituzionale
della norma in questione la stessa non potrebbe piu' trovare
applicazione con riferimento ai rapporti pendenti o non ancora
esauriti, quale quello di cui si controverte.
Alle conseguenze invalidanti da annettere alla
incostituzionalita' della norma che disciplina la composizione
dell'organo, che nella prospettazione di parte ricorrente
determinerebbe l'illegittimita' delle gravate delibere, va, dunque,
ricondotta la rilevanza della questione. Inoltre, nella gradata
elaborazione logica delle questioni sollevate con il ricorso in
esame, riveste priorita' giuridica, oltre che logica, la preliminare
disamina dei profili inerenti la dedotta illegittimita' della
composizione dell'organo deliberante, stante l'incontrovertibile
portata invalidante dell'illegittima composizione dell'organo
collegiale rispetto agli atti da questo adottati, avente carattere
assorbente rispetto ad ogni altro profilo in quanto inerente la
legittimita' dello stesso esercizio della funzione attribuita
all'organo deliberante.
Conduce, quindi, ad esito positivo la verifica in ordine alla
sussistenza di uno dei presupposti di ammissibilita' della questione
incidentale della norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge 4
marzo 2009 n. 15 - inerente il profilo della rilevanza della
questione ai fini del decidere in ordine alla controversia in esame -
in quanto trattasi di norma strumentale alla definizione del giudizio
a quo, derivando dall'applicazione di tale norma la composizione
dell'organo della cui legittimita' si discute, che si riflette in via
derivata sulle delibere impugnate, lesive dell'interesse di cui il
ricorrente e' portatore.
Quanto all'ulteriore requisito di ammissibilita' dalla questione
di illegittimita' costituzionale, costituito dalla non manifesta
infondatezza della, stessa, il Collegio, come anticipato e per le
ragioni che si andranno ad esporre, nutre dubbi consistenti sulla non
conformita' della norma alla Costituzione, ritenendo conseguentemente
di dover sollecitare l'intervento della Corte costituzionale
affinche' risolva i prospettati dubbi e dirima la pregiudiziale
costituzionale.
Prima di procedere all'illustrazione delle motivazioni in base
alle quali il Collegio ritiene la non manifesta infondatezza della
questione, e' tuttavia necessario soffermarsi su talune precisazioni
sollecitate dalla consapevolezza che analoga questione, con ordinanza
n. 503 del 23 marzo 2010, e' gia' stata sottoposta dalla Sezione al
vaglio della Corte costituzionale la quale, con la sentenza n. 16 del
13 gennaio 2011, ha dichiarato la questione inammissibile per
incertezza del petitum.
A fronte di una statuizione della Corte costituzionale che ha
definito con una pronuncia di rito la questione, dichiarandola
inammissibile, permangono nel Collegio i dubbi in ordine ai profili
di illegittimita' costituzionale della norma, il che, nel non
consentire di risolvere tali dubbi in via interpretativa alla luce
delle indicazioni recate dalla citata sentenza, costituisce il
fondamento della attuale decisione di rimettere nuovamente la
questione alla Consulta.
Invero, la Corte costituzionale ha affermato, nella sentenza n.
16 del 2011, che il rapporto numerico tra membri togati e membri
laici del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti puo' essere
variamente fissato dal Legislatore ordinario nel rispetto del
principio costituzionale di indipendenza dei giudici delle
giurisdizioni speciali, affermando la necessita' della sussistenza di
un organo di garanzia di cui facciano necessariamente parte sia
componenti eletti dai giudici delle singole magistrature, sia
componenti esterni di nomina parlamentare, nel bilanciamento degli
interessi, costituzionalmente tutelati, in modo da evitare tanto la
dipendenza dei giudici dal potere politico, quanto la chiusura degli
stessi in caste autoreferenziali, escludendo la percorribilita' delle
due soluzioni estreme al problema delle garanzie istituzionali di
indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali - imposta
dall'art. 108 della Costituzione - sintetizzabili, l'una, nella
integrale estensione, agli organi di garanzia delle suddette
giurisdizioni, del modello previsto dall'art. 104 Cost. per la
magistratura ordinaria e, l'altra, consistente nel ritenere del tutto
priva di vincoli finalistici la riserva di legge contenuta nel citato
art. 108, secondo comma, della Costituzione.
In tali statuizioni non rinviene il Collegio utili elementi che
consentano di delibare nel senso della manifesta infondatezza in
ordine alla, prospettata questione di illegittimita' costituzionale
della norma di cui all'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009 n.
15, in base ai quali dirimere i relativi dubbi che hanno condotto
alla precedente rimessione della stessa alla Corte costituzionale.
Il necessario bilanciamento degli interessi di rilievo
costituzionale, segnalato dalla Consulta, appare invero connotato da
profili di criticita' e di dubbia compatibilita' costituzionale in
presenza della scelta legislativa di stabilire una composizione del
Consiglio di Presidenza numericamente uguale sia per i membri eletti
in rappresentanza dei magistrati della Corte dei conti sia per i
membri non togati eletti dal Parlamento.
Rispetto a tale peculiarita' numerica della composizione
dell'organo, data, dalla parita' delle relative componenti, il
Collegio non riesce a trarre dalle statuizioni rese dalla Consulta
indicazioni utili a dirimere i persistenti dubbi di illegittimita'
costituzionale della norma, avuto particolare riguardo alla
compatibilita' della scelta discrezionale del legislatore con il
principio di indipendenza delle magistrature speciali, presidiato
dall'art. 108, comma 2, della Costituzione.
Alle ragioni dianzi illustrate vanno dunque ricondotte le
motivazioni sottese alla decisione di investire nuovamente la Corte
costituzionale della questione di illegittimita' costituzionale della
norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009 n. 15,
emendando l'ordinanza di rimessione della questione dai profili di
inammissibilita' riscontrati con riferimento alla precedente
ordinanza della Sezione n. 503 del 2010.
Non si intende, difatti, con il riproporre la questione,
sollecitare da parte della Consulta l'esercizio di una funzione
sostitutiva del Legislatore ordinario, invadendo la discrezionalita'
a questi riservata nell'attuazione della riserva di legge e, quindi,
nella determinazione del numero dei componenti dell'organo, ma e'
indubbio che esista un limite di compatibilita' costituzionale nel
rapporto numerico tra componenti laici e componenti togati oltre il
quale si determina un vulnus all'indipendenza dell'organo di garanzia
che non trova piu' giustificazione nella necessita' di bilanciamento
dei contrapposti interessi identificati dalla Consulta nella sentenza
n. 16 del 2011.
E', dunque, con riferimento al rapporto numerico tra componenti
laici e componenti togati del Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti, in concreto stabilito dal legislatore in pari misura con la
norma di cui all'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009 n. 15,
che si profilano i dubbi di legittimita' costituzionale che si
intendono sottoporre all'esame della Corte costituzionale, alla quale
si chiede di vagliare la conformita' alla Costituzione della concreta
scelta, effettuata dal Legislatore nell'esercizio della
discrezionalita' allo stesso riconosciuta.
La questione sollecita, quindi, una pronuncia sulla norma della
cui legittimita' costituzionale si dubita, cosi' da escludere tra le
soluzioni costituzionalmente compatibili, in caso di positivo esame
della questione, la soluzione adottata dal Legislatore della parita'
numerica tra componenti togati e componenti laici, indirizzando il
successivo esercizio della discrezionalita' del Legislatore alla
stregua di affermazioni di principio, individuando, con riferimento
alla prospettata questione, i principi essenziali, cui tale
discrezionalita' deve informarsi, senza che il sollecitato vaglio
costituzionale si estenda alla individuazione, da parte della
Consulta, di un concreto rapporto numerico mediante adozione di una
sentenza additiva.
Una volta individuato il paradigma costituzionale entro cui la
discrezionalita' del Legislatore puo' legittimamente estendersi ed
eventualmente censurata, la concreta scelta effettuata, spettera' al
Legislatore l'individuazione di soluzioni normative diverse, idonee a
rimuovere il denunciato vizio di legittimita' costituzionale,
conformi ai principi dettati dall'art. 108, comma 2, della
Costituzione.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che la questione di
illegittimita' costituzionale della norma dettata dall'art. 11, comma
8, della legge 4 marzo 2009 n. 17 non sia manifestamente infondata,
apparendo in contrasto con gli artt. 100, 101, 103 e 108, comma 2, in
relazione agli artt. 3 e 104 della Costituzione, dovendo pertanto
essa essere sottoposta al vaglio della. Corte Costituzionale per le
ragioni che si andranno ad illustrare e sulla base del quadro di
riferimento delineato dalle norme di cui appresso.
L'art. 100, comma 2, della Costituzione, stabilisce che la legge
assicura l'indipendenza della Corte dei conti e dei suoi componenti
di fronte al Governo.
L'art. 101, comma 1, della. Costituzione, con cui si apre il
titolo IV della seconda parte della Costituzione, afferma che la
giustizia e' amministrata in nome del popolo e che i giudici sono
soggetti soltanto alla legge.
L'art. 103 della Costituzione delinea il settore di giurisdizione
e le competenze del Consiglio di Stato e degli altri organi di
giustizia amministrativa, della Corte dei conti e dei Tribunali
militari in tempo di pace.
L'art. 108, comma 2, stabilisce che la legge assicura
l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.
L'art. 104 della Costituzione stabilisce che la magistratura
costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere,
declinando la composizione del Consiglio Superiore della
Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, di cui sono
membri di diritto il primo Presidente e il Procuratore generale della
Corte di cassazione, mentre gli altri componenti sono eletti per due
terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie
categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra
professori ordinari di universita', in materie giuridiche ed avvocati
dopo quindici anni di esercizio.
Ai fini della rimessione della questione alla Corte
costituzionale, giova preliminarmente soffermarsi su alcune
riflessioni in ordine all'approdo dell'elaborazione, anche alla luce
delle pronunce della Corte costituzionale, della problematica
inerente l'unitarieta' della giurisdizione quale principio sotteso,
ancorche' implicitamente, al dettato costituzionale, che nella sua
piu' stringente accezione condurrebbe ad una reductio ad unitatem
delle diverse giurisdizioni sia da un punto di vista strutturale che
procedimentale.
L'unitarieta' o unicita' della giurisdizione e' stata variamente
declinata quale espressione attinente alla organizzazione degli
uffici giurisdizionali o quale concetto relativo alla funzione
giurisdizionale. A tale principio di unitarieta' si contrappone la
diversa concezione, ormai risalente e piuttosto isolata, che vuole la
Costituzione come informata alla pluralita' delle giurisdizioni, da
cui correlativamente la conseguenza argomentativa secondo cui la
mancata previsione a livello costituzionale di istituti di garanzia
per le giurisdizioni speciali farebbe si' che i giudici speciali
risultino necessariamente meno tutelati dei giudici ordinari.
La tematica sembra aver trovato sistemazione nel senso di dover
respingere una lettura «forte» del principio di unitarieta' della
giurisdizione nel senso della necessaria unificazione, strutturale e
procedimentale, delle singole giurisdizioni, a favore della
configurazione di un sistema caratterizzato dalla presenza di piu'
giurisdizioni, distinte fra loro per organizzazione, competenze e
poteri, ma tutte comunque assistite da sufficienti garanzie di
indipendenza, pena il venir meno dello stesso carattere della
giurisdizionalita' della funzione.
Ne discende la sostanziale assimilazione delle diverse
magistrature a quella ordinaria per quel che riguarda, innanzitutto,
lo stato giuridico e le garanzie di indipendenza, senza peraltro che
si possa parlare di unicita' sostanziale delle giurisdizioni.
Giova, al riguardo, richiamare la sentenza n. 278 del 1987, con
la quale la Corte ha espressamente riconosciuto che «(...) esistono
principi e valori, costituzionalmente vincolanti, che attengono a
tutte le giurisdizioni: ad esempio, il principio dell'indipendenza
dei giudici vale per tutte le giurisdizioni ordinarie e speciali (per
queste ultime cfr. l'art. 108 comma 2 Cost.) (...). Tali principi non
attengono alla giurisdizione ordinaria ma al concetto stesso
"generale" di giurisdizione: sicche' organi o procedimenti
disciplinati in violazione dei predetti principi non possono
qualificarsi ne' ordinari ne' speciali in quanto, ancor prima, non
costituiscono organi o procedimenti giurisdizionali.
Conseguentemente, prevedere il superamento delle lacune
(eventualmente esistenti prima dell'entrata in vigore della
Costituzione) relative alla violazione dei principi in discussione,
non equivale a rendere ordinaria una magistratura speciale bensi' a
rendere costituzionale la medesima».
Analogamente, nella sentenza 1° marzo 1995 n. 71, a proposito del
divieto di istituire giudici speciali di cui all'art. 102 Cost., la
Corte esplicitamente ha sostenuto che la disposizione in questione
«pur perseguendo il principio di unita' della giurisdizione, che
riflette le garanzie di indipendenza proprie della magistratura e si
combina con esse, non impone l'unicita' degli organi di
giurisdizione, ne' esclude che possano ancora permanere giudici non
regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario, la cui
indipendenza sia ugualmente assicurata» (art. 108)».
Dal sistema costituzionale emerge che la funzione giurisdizionale
e' unica, anche se ripartita tra quattro complessi giurisdizionali
diversi. Il principio di unita' della giurisdizione deve, pertanto,
essere attuato garantendo l'unita' delle garanzie, sia pure nella
pluralita' dei complessi giurisdizionali. La norma di chiusura di
questo sistema di garanzie unitario va individuata nell'art. 101,
comma 2, Cost., il quale, sancendo il principio per cui i giudici
sono soggetti soltanto alla legge, rappresenta il valore
costituzionale su cui si fonda l'autonomia e indipendenza di tutti i
soggetti chiamati ad esercitare la funzione giurisdizionale.
L'unita' delle garanzie va certamente intesa come omologazione
dei risultati, nel senso della necessita', come affermato dalla
Consulta nella sentenza n. 16 del 2011, dell'esistenza di un organo
di garanzia che deve assicurare, qualunque sia la strutturazione del
sistema di autogoverno, l'indipendenza delle singole compagini
giurisdizionali, essendo piena ed assoluta la, loro unita' con
riferimento all'indipendenza che da tali sistemi deve essere
assicurata.
In tale contesto, l'autonomia organizzativa degli apparati
giurisdizionali, che e' strumentale all'indipendenza di cui devono
godere coloro che sono deputati all'esercizio della funzione
giurisdizionale, richiede quindi necessariamente la istituzione di un
organo di autogoverno, come peraltro affermato dalla Consulta nella
sentenza n. 16 del 2011, con cio' affermando che l'istituzione, per
le diverse giurisdizioni speciali, di appositi organi di autogoverno
o di garanzia, rappresenti una soluzione necessitata anche in assenza
di una specifica previsione costituzionale analoga a quella di cui
all'art. 104 della Costituzione.
Ai descritti paradigmi va ricondotta la problematica della
composizione dei Consigli di presidenza delle magistrature speciali,
trattandosi di questione fondamentale non solo per la garanzia della
autonomia delle magistrature dagli altri poteri dello Stato, ma anche
per la garanzia della indipendenza dei singoli giudici, stante la
stretta e profonda connessione tra tali aspetti, capaci di incidere
l'uno sull'altro sulla base di un rapporto di osmosi necessaria.
Ed invero, l'indipendenza della magistratura come ordine non puo'
credibilmente essere predicata laddove non venga assicurata
l'indipendenza dei singoli magistrati, altrimenti risolvendosi in un
concetto astratto privo di reale efficacia, ancorato a concezioni
istituzionalistiche della magistratura quale ordine autonomo e
indipendente e ordinamento a se' stante, ed inidoneo ad assicurare
l'esercizio imparziale della funzione giurisdizionale.
In ragione delle funzioni, delle attribuzioni e delle competenze
degli organi c.d. di autogoverno delle magistrature - ovvero di
governo della magistratura mediante adozione di atti a carattere
generale e astratto e di provvedimenti concreti, concernenti, tra gli
altri, l'organizzazione e la composizione degli uffici giudiziari, le
assegnazioni dei magistrati, i trasferimenti, le nomine e le sanzioni
disciplinari - il funzionamento di tali organi deve essere
disciplinato in modo da garantire sia l'indipendenza e l'autonomia
dagli altri poteri della magistratura intesa quale ordine, che
l'indipendenza dei singoli magistrati, potendo derivare intuitivi ed
inevitabili condizionamenti nello svolgimento delle funzioni da parte
del singolo magistrato dalle concrete modalita' di esercizio dei
poteri di competenza dei Consigli di presidenza (cosi' come dal
C.S.M.) in materia di aspettative di carriera, di trasferimenti o di
sanzioni disciplinari (a tale ultimo proposito: Corte costituzionale,
sentenza n. 87 del 2009) in ragione dei riflessi dell'attivita'
svolta, dagli organi di garanzia sulle prerogative giudiziarie di
ogni singolo magistrato e, dunque, sulla sua indipendenza.
Di particolare rilievo, ai fini che qui interessano, sono le
considerazioni espresse dalla Consulta nella citata sentenza n. 87
del 2009 - con cui ha sancito l'illegittimita' costituzionale del
divieto posto ai magistrati amministrativi e contabili di avvalersi
di un avvocato di fiducia nel procedimento disciplinare - sulla
scorta dell'affermazione dell'indipendenza come carattere unitario di
tutti i giudici ordinari e speciali, configurando l'indipendenza
della magistratura come principio unitario comune e indifferenziato
per tutti gli ordini giudiziari, sul fondamento giuridico individuato
nell'art. 104, che dispone che la magistratura costituisce un ordine
autonomo e indipendente da ogni altro potere », e nell'art. 108
dispone che la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle
giurisdizioni speciali e che dunque reca il precetto costituzionale
che garantisce piena indipendenza anche ai giudici amministrativi e
contabili, configurando l'indipendenza della magistratura come
principio unitario comune e indifferenziato per tutti gli ordini
giudiziari e valore irrinunciabile.
Secondo la. Consulta, la Costituzione distingue tra la
giurisdizione ordinaria e le giurisdizioni speciali ma detta anche
norme generali sulla giurisdizione e sul processo, preoccupandosi di
definire le garanzie necessarie al corretto svolgimento della
funzione e, tra queste garanzie, vi e' quella dell'indipendenza dei
magistrati, che riguarda tanto la magistratura ordinaria quanto le
giurisdizioni speciali.
Nell'omogenea definizione data all'indipendenza di tutti i
giudici, dunque, la Corte costituzionale, con la citata decisione ha
affermato che l'unita' della giurisdizione rappresenta un inequivoco
dato insito nell'ordinamento pur nella conservazione della
distinzione oggettivo-funzionale tra giudici ordinari e giudici
speciali, dovendo in tale prospettiva l'autogoverno magistratuale -
distintamente regolato all'interno del dettato costituzionale -
essere inteso non alla salvaguardia di interessi corporativi, bensi'
alla tutela dell'indipendenza del potere giurisdizionale,
distinguendosi tra loro, a norma della costituzione, i magistrati,
tanto ordinari quanto amministrativi, soltanto per la diversita'
delle funzioni giurisdizionali esercitate.
Deve, pertanto, darsi per acquisita l'indipendenza dei giudici
speciali, esistenti all'interno dell'ordinamento giuridico italiano,
in misura equivalente a quella dei giudici ordinari, come desumibile
dal principio di indipendenza di tutta la magistratura, sulla scorta
dell'insegnamento della Corte costituzionale, potendo quindi
ritenersi consolidato e definitivamente chiarito l'assunto in base al
quale detta garanzia spetti indistintamente a chiunque appartenga
alla magistratura, essendo a tutti i giudici di ogni ordine e grado
dovuta pari indipendenza in quanto soggetti soltanto alla legge e non
ad autorita', poteri o influssi estranei.
Il riferito valore dell'indipendenza non puo' essere promosso o
compresso nel suo contenuto a seconda della tipologia di giudice,
perche' non sono configurabili diversi livelli di indipendenza, che
e' stata voluta dal Costituente per tutti i magistrati, ordinari e
speciali, affinche' essi siano assoggettati soltanto alla legge e
lavorino affrancati dalle interferenze provenienti dagli altri poteri
e dai condizionamenti derivanti dall'interno dell'apparato
giudiziario.
Nella descritta prospettiva - di garanzia dell'indipendenza della
magistratura e dei singoli magistrati - assume decisivo ed
imprescindibile rilievo la composizione dei consigli di presidenza,
dovendo in proposito osservarsi come, a fronte della comune esigenza
di garanzia dell'indipendenza delle magistrature e dei singoli
magistrati e del possibile vulnus che a tale indipendenza puo'
derivare dalla configurazione e dal funzionamento degli organi di
autogoverno, la Carta Costituzionale abbia espressamente
disciplinato, all'art. 104, unicamente l'organo di autogoverno della
magistratura ordinaria, stabilendone la composizione e cosi' ponendo
stringenti limiti al Legislatore ordinario, laddove per le
magistrature speciali non ha disciplinato tale profilo, rimettendolo
al Legislatore ordinario.
Se l'autonomia organizzativa degli apparati giurisdizionali e'
strumentale sia alla loro indipendenza che a quella di cui devono
godere coloro che sono deputati all'esercizio della funzione
giurisdizionale, la garanzia della indipendenza delle magistrature
speciali e dei giudici che ne fanno parte, e' stata affidata, dagli
artt. 100, comma 3, e 108, comma 2, della Costituzione, alla legge,
la quale deve «assicurare» - e significativamente la scelta
dell'espressione «assicura», ribadita in entrambe le disposizioni,
nella sua cogente valenza, richiama il concetto di effettivita' -
tale indipendenza, ovvero deve predisporre strumenti adeguati a
garantirla effettivamente.
Mentre, quindi, il Consiglio Superiore della Magistratura e'
organo la cui composizione, durata e competenza sono fissate dalla
Costituzione (articoli 104 e 105) ed e' presieduto dal Presidente
della Repubblica, recando la stessa Costituzione le regole
concernenti le incompatibilita' e la rieleggibilita' dei suoi
componenti, gli organi di garanzia delle altre magistrature sono,
invece, organi istituiti con legge ordinaria, in conformita' a quanto
stabilito nel secondo comma dell'art. 108 della Costituzione, che
vuole appunto che l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni
speciali sia assicurata mediante le previsioni contenute in leggi
ordinarie.
La Costituzione, nel prevedere la necessita', sul piano formale,
della fonte legislativa per la disciplina dell'indipendenza delle
magistrature speciali e lasciando piena liberta' al Legislatore
quanto al contenuto di tale disciplina, ha contestualmente anche
previsto che la legge debba effettivamente garantire tale
indipendenza, senza peraltro fornire un preciso modello al quale il
legislatore dovesse uniformarsi, unicamente imponendo il vincolo
finalistico volto ad «assicurare» tale indipendenza.
La Costituzione prevede, quindi, che gli organi di garanzia delle
magistrature siano diversamente disciplinati e distintamente
regolati, potendo conseguentemente l'interesse pubblico generale,
perseguito dall'insieme delle norme costituzionali dettate con
riferimento alla magistratura di ogni ordine e grado, costituito
dall'indipendenza, essere attuato tramite differenti schemi e moduli
organizzativi elaborati in connessione alle peculiari caratteristiche
delle singole giurisdizioni.
Il Legislatore puo' quindi articolare diversamente da quanto
previsto per il C.S.M. gli organi di garanzia delle singole
giurisdizioni, non trovando l'uniformita' organizzativa rango
costituzionale, ne' costituendo il modello del C.S.M. scelta
costituzionalmente obbligata, non incidendo peraltro la relativa
diversita' degli organi di garanzia, di per se', sul precetto
costituzionale di indipendenza valevole per tutti i giudici, la,
quale, per le magistrature speciali, deve essere tradotta a livello
di fonti primarie a condizione, tuttavia, che siano rispettati i
principi costituzionali comuni.
Risulta, quindi, pienamente compatibile con l'assetto
costituzionale il riconoscimento della, legittimita' di un sistema
diversificato di garanzie a tutela della indipendenza dei giudici
speciali, articolato e modulato in rapporto alle peculiarita'
ordinamentali delle diverse giurisdizioni, risultando maggiormente
aderente al dettato costituzionale la lettura del principio di
unitarieta' della giurisdizione nel senso di giurisdizioni che
restano distinte quanto ad organizzazione degli uffici, a competenze
e poteri.
L'assimilazione delle magistrature speciali a quella ordinaria
riguarda le garanzie di indipendenza e lo status giuridico, con
conseguente assimilazione dal punto di vista funzionale, senza che da
cio' possa desumersi la necessaria identita', strutturale e
l'omologazione dei rispettivi organi di garanzia, che ben possono
rispondere a distinti schemi organizzativi e ordinamentali.
Se l'istituzione di appositi organi di autogoverno rappresenta,
come detto, alla luce della recente pronuncia della Consulta n. 16
del 2011, una soluzione necessitata, e se a fronte dell'assenza di
una specifica previsione analoga a quella di cui all'art. 104 della
Costituzione e' rimessa al Legislatore la scelta, di quale modello
adottare, non puo' peraltro sfuggire al sindacato del Giudice delle
leggi la, disciplina concernente la composizione ed il funzionamento
degli organi di garanzia, pur in assenza - e forse a maggior ragione
stante tale assenza - del carattere di prescrittivita' del modello
adottato per il C.S.M. e di stringenti vincoli per il Legislatore di
ricalcare tale modello.
Difatti, se la disciplina legislativa dei sistemi di autogoverno
o di garanzia delle magistrature non ordinarie puo' discostarsi dal
modello costituzionale di riferimento delineato dall'art. 104 della
Costituzione, e' tuttavia necessario che tale discostamento sia
ragionevole e che le differenze dal modello ritenuto dai Costituenti
idoneo a garantire l'indipendenza della magistratura ordinaria siano
giustificate dalla peculiarita' della giurisdizione, ferma restando
la necessita' che lo strumento organizzativo adottato risulti idoneo
a garantire in modo adeguato l'indipendenza dei giudici cui si
riferisce. L'architettura costituzionale impone, quindi, il sindacato
intrinseco e sostanziale della. Corte sulla congruita' degli
strumenti prescelti dal Legislatore rispetto al fine da realizzare.
Solo in presenza di piu' soluzioni tutte idonee a garantire il
perseguimento di tale fine deve essere fatta salva la
discrezionalita' del Legislatore, ad esso non potendosi sostituire la
Corte costituzionale con il suo sindacato, cosi' come affermato dalla
stessa Corte nelle ordinanze n. 377 del 1998 e n. 161 del 1999
proprio in relazione a questioni di legittimita' costituzionale,
dichiarate inammissibili, sollevate circa la composizione del
Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa.
La posizione della Corte espressa nelle citate pronunce consente
di affermare che l'assetto degli organi di garanzia delle
magistrature speciali si presta ad essere disciplinato in modi
diversi, con i consueti limiti della ragionevolezza e non
arbitrarieta', dovendo la scelta trovare adeguata giustificazione
nella peculiarita' dell'ordinamento giurisdizionale ed essere
comunque idonea a garantire l'indipendenza sia dell'ordine nel suo
complesso, che dei singoli componenti, da affiancare all'indipendenza
funzionale assicurata dall'inamovibilita', dall'irrevocabilita',
dall'assenza di vincoli gerarchici, ecc.
L'intervento della Consulta va quindi sollecitato laddove la
scelta del Legislatore non appaia in grado di assicurare
l'indipendenza della magistratura speciale, dovendo conseguentemente
tale scelta essere sottoposta al vaglio di legittimita',
costituzionale, altrimenti traducendosi la discrezionalita' del
Legislatore in liberta' assoluta ed arbitrio, esautorando la Corte
costituzionale del sindacato sulla congruita' delle scelte del
Legislatore rispetto al fine posto dalla Costituzione di assicurare
l'indipendenza dei giudici speciali.
La Corte peraltro, ha in passato dichiarato fondata la relativa
questione sia a proposito della precedente composizione del Consiglio
di presidenza della Corte dei conti che della mancata costituzione
dell'organo di autogoverno della magistratura militare (C.cost.
sentenze n. 230 del 1987 e 266 del 1988).
Il sindacato di costituzionalita' sulla congruita' delle scelte
del Legislatore ordinario rispetto al perseguimento del fine posto
dalla Costituzione pone dunque, in concreto, il problema della
individuazione dei parametri ai quali far riferimento e, in
particolare, se ed entro quali limiti la disciplina costituzionale
della magistratura ordinaria e del suo organo di autogoverno possa
costituire un punto di riferimento a questi fini.
Al riguardo, riprendendo le considerazioni gia' accennate, sembra
potersi affermare che, a differenza di quanto avviene in relazione
alla indipendenza funzionale (concernente l'esercizio concreto della
giurisdizione da parte dei singoli magistrati, che si traduce nella
loro sottrazione a qualsiasi vincolo o prescrizione di attivita' che
non derivi direttamente dalla legge) non esistano, quanto alla
costituzione degli organi di garanzia delle magistrature, scelte
costituzionalmente obbligate da porre a presidio della indipendenza
istituzionale (attinente cioe' alla organizzazione della magistratura
che risulti idonea a porre il giudice nelle condizioni di esercitare
liberamente le proprie funzioni), a differenza di quanto avviene per
la magistratura ordinaria.
Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 266
del 1988, la Costituzione, mentre per la magistratura ordinaria
prevede espressamente il Consiglio superiore, disciplinandone, in
maniera specifica (art. 104) la composizione, rimette, invece, al
Legislatore ordinario (art. 108) l'assicurazione delle garanzie
d'indipendenza dei magistrati delle giurisdizioni speciali,
spettando, pertanto, alla legge di provvedere in ordine alle predette
garanzie, segnalando come «ove la Costituzione avesse inteso
"rimettere" al Consiglio superiore previsto dall'art. 104 anche
l'autogoverno dei magistrati delle giurisdizioni speciali, l'avrebbe
espressamente dichiarato» ed osservando altresi' che il secondo comma
dell'art. 108 Cost. impone alla legge d'assicurare l'indipendenza a
tutti i magistrati delle giurisdizioni speciali senza sottoporre ad
alcuna condizione l'assicurazione delle predette, oggettive garanzie
d'indipendenza.
Segnalando, tuttavia, che «quali che siano i riflessi, "in foro
interno", nel giudicante, della carenza di reali, oggettive garanzie
d'indipendenza, le medesime, appunto perche' "garanzie", valgono a
prevenire attacchi all'autonomia ed indipendenza dell'esercizio delle
funzioni giudiziarie e, comunque, non sono condizionate, nella loro
attuazione, alla concreta esistenza di specifiche aggressioni alle
predette autonomia ed indipendenza» essendo l'indipendenza «forma
mentale, costume, coscienza d'un'entita' professionale, non e' men
vero che, in mancanza di adeguate, sostanziali garanzie, essa, come
e' stato rilevato, degrada a velleitaria aspirazione.»
Tra le garanzie assicurate dalla Costituzione alle magistrature,
necessarie al corretto svolgimento della funzione, vi e' quello
dell'indipendenza dei magistrati, declinata dall'art. 104 per la
magistratura ordinaria e dall'art. 108 per le magistrature speciali.
Ferma la non vincolativita' del modello delineato dall'art. 104
ai fini della istituzione e conformazione degli organi di garanzia
delle magistrature speciali - in quanto non evincibile dal dettato
costituzionale ed in potenziale conflitto con il solo vincolo
finalistico imposto dall'art. 108 della Costituzione, il quale non
reca indicazioni ordinamentali e organizzative, con la conseguenza
che annettere carattere prescrittivo al modello delineato per il
C.S.M. si tradurrebbe altresi' in una non consentita limitazione
della discrezionalita' attribuita da tale disposizione al Legislatore
- e richiamata la necessita' del vaglio di costituzionalita' in
ordine alla congruita' delle scelte in concreto effettuate dal
Legislatore, l'individuazione dei parametri di riferimento cui
ricondurre il vaglio di legittimita' costituzionale della norma
dettata dall'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009, avuto
riguardo alla prevista composizione paritaria tra la componente
togata e quella, laica, deve prendere le mosse dalla ricognizione
delle ragioni sottese alla presenza di membri laici negli organi di
garanzia. In tale direzione deve osservarsi come in seno
all'Assemblea costituente, a proposito della composizione che si
andava delineando per il Consiglio superiore della magistratura, fu
rilevato che l'istituzione di un organo di autogoverno della
magistratura ordinaria aveva lo scopo di sganciare il potere
giudiziario dagli altri poteri dello Stato, per evitare qualsiasi
ingerenza, ma anche e nello stesso tempo di impedire il crearsi di
una casta chiusa della magistratura, cioe' di un ordine insensibile
alle esigenze sociali o di un corpo chiuso ad ogni influenza della
volonta' popolare, con cio' manifestando il timore che un organo
formato unicamente da magistrati potesse determinare la degenerazione
della magistratura da ordine autonomo ed indipendente ad ordinamento
chiuso e corporativo che ha rappresentato uno dei motivi della
configurazione del Consiglio superiore della magistratura come un
organo a struttura mista o composita, giungendo a prevedere che un
terzo della componente elettiva del collegio venisse scelta dal
Parlamento in seduta comune nell'ambito di alcune categorie
professionali di cittadini, espressamente e tassativamente
individuate nell'art. 104, comma 4, della Costituzione.
Tale composizione mista si raccorda con una delle possibili
letture dell'art. 101, comma 1, della Costituzione, con cui si apre
il titolo IV della seconda parte della Costituzione - ai sensi del
quale «la giustizia e' amministrata in nome del popolo» - che
suggerisce una stretta connessione tra sovranita' popolare e funzione
giurisdizionale, cosicche' uno dei tanti coronari che possono essere
desunti dal principio enunciato nell'art. 101, comma 1, della
Costituzione si identifica con l'esigenza, precisa ed irrinunciabile,
di evitare che gli organi di autogoverno delle diverse magistrature
possano assumere un ruolo di rappresentanza meramente corporativa del
rispettivo ordine giudiziario determinandone il relativo isolamento
in assenza di un legame, sia pure indiretto, con la sovranita'
popolare.
La composizione del Consiglio superiore della magistratura, cosi'
come delineata dall'art. 104, comma 4, della Costituzione,
rappresenta quindi il punto di equilibrio tra i due principi
(potenzialmente in tensione) che sono sanciti dagli artt. 101, comma
1, e 104, comma 1, della Costituzione.
Se, pertanto, nel disegno elaborato dall'Assemblea costituente il
principio di autonomia e di indipendenza della magistratura deve
raccordarsi con il principio di sovranita' popolare, tale momento di
raccordo tra i due principi in questione viene poi individuato - per
quel che concerne la composizione dell'organo di autogoverno della
magistratura ordinaria - in un assetto di tale collegio che, se da un
lato tiene conto delle istanze ricollegabili alla necessita' di
assicurare l'autonomia dell'ordine giudiziario e quindi
l'indipendenza del singolo giudice, dall'altro, tuttavia, non
trascura - ma anzi sottolinea - un'altra esigenza, che e' quella di
realizzare gli opportuni collegamenti tra la magistratura e gli altri
poteri dello Stato, allo scopo precipuo ed imprescindibile di
impedire che l'autonomia dell'ordine si trasformi in isolamento o
separatezza.
La presenza dei laici designati dal Parlamento assicura una voce
alla sensibilita' della societa' civile, e rappresenta, quindi, in
quest'ottica, una presenza irrinunciabile, in quanto garantisce una
significativa continuita' tra governo della magistratura e
istituzioni rappresentative della sovranita' popolare.
Poste tali precisazioni in ordine alle ragioni sottese alla
presenza di componenti laici nel Consiglio Superiore della
Magistratura, e precisato come tale soluzione non sia
costituzionalmente obbligatoria per le altre magistrature, non
essendovi per esse analoghe espresse previsioni, l'opzione
legislativa per la composizione mista deve tuttavia ritenersi
aderente allo spirito costituzionale, e pur avendo la Corte
costituzionale, con le ricordate ordinanze n. 161 del 1999 e n. 377
del 1998 dichiarato l'inammissibilita' delle relative questioni
sollevate con riferimento al Consiglio di presidenza della Giustizia
Amministrativa, ricordando che i problemi di struttura dell'organo
vanno apprezzati nell'ambito dell'intero sistema, quale risultante
dei diversi elementi che in esso intervengono e fra loro si
combinano, nella sentenza n. 16 del 2011 la Corte ha altresi'
affermato che, ferma la necessita' della sussistenza di un organo di
garanzia per le giurisdizioni speciali, di tali organi devono
necessariamente far parte sia componenti eletti dai giudici delle
singole magistrature, sia componenti esterni di nomina parlamentare,
nel bilanciamento degli interessi, costituzionalmente tutelati, al
fine di «evitare tanto la dipendenza dei giudici dal potere politico,
quanto la chiusura degli stessi in "caste autoreferenziali", potendo
il rapporto numerico tra membri "togati" e membri "laici", di nomina
parlamentare, essere variamente fissato dal Legislatore». Ricostruite
le ragioni della presenza di membri laici all'interno degli organi di
garanzia e la valenza, sotto il profilo costituzionale, da annettersi
a tale presenza, l'indagine deve quindi indirizzarsi alla
ricognizione delle ragioni sottese alla presenza della componente
togata elettiva, la quale va posta in diretta connessione con la
natura di tali organi, cui e' immanente il carattere della
rappresentativita', dei magistrati appartenenti al relativo ordine,
coerentemente con la natura, anche di autogoverno, insita, nel fatto
di essere anche chiamati ad adottare provvedimenti amministrativi sia
generali che particolari nei confronti degli appartenenti alla
giurisdizione.
A tali organi, che assicurano l'indipendenza della magistratura
attraverso la garanzia della sua autonomia ed indipendenza da ogni
altro potere, sono difatti naturalmente devolute funzioni
riconducibili nella nozione di autogoverno, che si traducono nel
potere di adottare atti di organizzazione e composizione degli uffici
giudiziari, di indirizzo della politica giudiziaria, di decisione
sullo status dei magistrati quali assegnazioni, nomine,
trasferimenti.
Gli organi di garanzia o di autogoverno rispondono allo scopo di
assicurare l'indipendenza riconosciuta a tutte le giurisdizioni, in
virtu' del legame di stretta connessione tra la disciplina delle
garanzie assicurate ai giudici e gli organi istituiti per la loro
applicazione, delineandosi al riguardo, nell'ampia concezione
dell'indipendenza del potere giurisdizionale, due aspetti
fondamentali, l'uno funzionale, che esclude la subordinazione del
giudice ad altri poteri e ne limita la soggezione alla legge, e
l'altro organizzativo, che e' senza dubbio strumentale rispetto al
primo.
Alla garanzia di indipendenza che tali organi devono assolvere,
accede la presenza al loro interno dei rappresentanti degli
appartenenti al relativo ordine.
Tale presenza, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 16 del 2011, risponde all'esigenza di evitare la
dipendenza dei giudici dal potere politico.
Dalle precedenti considerazioni possono, dunque, trarsi delle
prime riflessioni in ordine al fondamento costituzionale delle due
diverse componenti degli organi di garanzia, dovendo affermarsi che
mentre la presenza della componente togata elettiva trova diretto
fondamento nel principio di indipendenza delle magistrature,
espressamente affermato dalla Costituzione all'art. 108, comma 2, la
presenza della componente laica trova un fondamento piu' mediato ed
indiretto, di cui sopra si e' dato atto.
Ne discende che la diretta connessione della presenza della
componente togata elettiva negli organi di garanzia con il principio
dell'indipendenza delle magistrature - essendo tale presenza diretta
derivazione di tale principio - rende la tematica del relativo
rapporto numerico rispetto alla componente laica di particolare
rilievo e delicatezza, posto che un rapporto numerico che
oltrepassasse il limite di ragionevolezza vulnerando il principio di
indipendenza della magistratura si porrebbe in insanabile contrasto
con l'architettura costituzionale.
Sulla base degli indicati fondamenti costituzionali sottesi alla
presenza della componente togata e della componente laica, mentre non
sembrano potersi ravvisare profili di illegittimita' costituzionale a
fronte della eventuale previsione di una ridotta componente laica,
trovando le istanze cui tale presenza risponde adeguata risposta
nella mera previsione di tale componente, indifferente essendo la
relativa consistenza numerica, non altrettanto e' a dirsi con
riferimento alla componente elettiva togata, cui va ricondotta la
stessa rappresentativita' dell'organo di garanzia nonche' la garanzia
dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.
E' invero indubbio che una forte presenza della componente laica,
posta in relazione alla consistenza numerica della componente togata,
risulterebbe esorbitante rispetto all'esigenza di evitare
l'isolamento della magistratura e garantirne il raccordo con il
principio di sovranita' popolare, intaccandone e pregiudicandone la
relativa indipendenza.
Tale carattere esorbitante rispetto allo scopo e' ravvisabile con
riferimento alla previsione della composizione paritaria tra
componenti elettivi togati e componenti eletti dal Parlamento
all'interno del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti,
prevista dall'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009.
Attraverso tale composizione paritaria, viene difatti tributato
analogo peso - con cio' compromettendolo - al principio
costituzionale di indipendenza della magistratura, come assicurato in
modo privilegiato dall'organo di garanzia attraverso la sua
componente togata, e a quello di apertura della magistratura a
istanza esterne evitandone la chiusura in una casta autorefenziale,
traducendo il bilanciamento degli interessi costituzionalmente
tutelati - seppur, come accennato, in misura diversa - a favore di
quello che risulta essere il piu' mediato e debole, per la cui
soddisfazione e' sufficiente la mera previsione della presenza della
componente laica, laddove il principio di indipendenza della
magistratura richiede che la stessa sia sottratta a possibili
influenze derivanti dall'esterno, attraverso un sistema organizzativo
- che si pone in rapporto di necessaria strumentalita' rispetto alla
garanzia di indipendenza - che assuma il ruolo di rappresentanza
degli appartenenti all'ordine giurisdizionale. Ed infatti discende
dal principio dell'indipendenza ed autonomia della magistratura la
necessita' che l'organo di garanzia sia prioritaria espressione
dell'ordine di appartenenza, il quale trova la propria rappresentanza
nell'organo di autogoverno attraverso i componenti dallo stesso
eletti.
Cio' sulla base del passaggio logico sistematico secondo cui la
soggezione dei giudici soltanto alla legge, di cui all'art. 101,
comma 2, della Costituzione implica la loro autonomia, che e'
presupposto tipico ed imprescindibile della loro indipendenza, che
costituisce a suo volta il referente normativo centrale di
un'interpretazione sistematica dell'assetto che deve essere assegnato
all'organo di garanzia, rispetto al quale il ruolo assegnato ai
componenti elettivi togati riveste ruolo indefettibile nella misura
in cui garantisce la reale autonomia dell'organo e l'adeguata
rappresentativita' dell'ordine di riferimento, rispetto al quale la
norma della cui legittimita' costituzionale si dubita si discosta,
apparendo rispondere ad una logica non aderente agli indicati
paradigmi di riferimento.
La soluzione legislativa favorevole alla parita' numerica tra
componenti laici e componenti togati risulta invero essere, oltre che
eccedente rispetto alle finalita' sottese alla presenza dei
componenti laici nell'organo di garanzia, senza che cio' risponda
ragionevolmente ad alcuna ulteriore esigenza - non risultando
giustificata dalle peculiarita' della giurisdizione in questione -
idonea altresi' a creare un vulnus all'indipendenza della
magistratura, non garantendo in modo adeguato la sua sottrazione ad
influenze esterne.
Il modello delineato dalla norma sospettata di illegittimita'
costituzionale, oltre a porsi in contrasto con il principio di
indipendenza della magistratura, non appare inoltre rispettoso del
canone di ragionevolezza, non sussistendo valide ragioni,
costituzionalmente compatibili, che a fronte dell'immanente principio
dell'indipendenza della magistratura e dei singoli giudici releghi la
rappresentativita' di questi ad una consistenza numerica identica a
quella accordata ai membri laici, oltrepassando quei requisiti minimi
di indipendenza dei giudici speciali che la Costituzione garantisce,
che non possono essere disattesi in ragione della generica
affermazione di indipendenza contenuta nell'art. 108, che opera un
totale rinvio alla discrezionalita' del Legislatore in materia di
indipendenza dei giudici diversi dall'ordinario, dovendo in proposito
rilevarsi che, sulla base dell'analisi lessicale dell'art. 108, comma
2, della. Costituzione, il Legislatore e' chiamato ad «assicurare» -
e non, semplicemente, a regolare o disciplinare - l'indipendenza dei
giudici delle giurisdizioni speciali.
La terminologia utilizzata dal Costituente, nella sua
perentorieta' inconsueta, segna quindi precisi limiti alla
discrezionalita' del Legislatore, per cui, seppur allo stesso e'
rimessa la fissazione del rapporto numerico tra membri togati e
membri laici di nomina parlamentare (sentenza n. 16 del 2011 citata),
tale discrezionalita' deve muoversi entro confini ben precisi, nel
rispetto dei requisiti minimi ed imprescindibili dell'indipendenza
dei giudici speciali, con la conseguenza che l'attuazione legislativa
del canone dell'indipendenza dei giudici non ordinari e'
sostanzialmente libera nella individuazione dei moduli realizzativi,
ma vincolata nei suoi contenuti ad alcuni fondamentali parametri
costituzionali, tra cui il carattere necessariamente prevalente della
componente elettiva togata, in quanto unica misura idonea ad
assicurare il precetto dell'indipendenza della magistratura ed il
carattere di rappresentativita' dell'organo di garanzia e di
autogoverno.
Se, difatti, dalla Costituzione non puo' evincersi la necessaria
identita' strutturale tra il C.S.M. e gli organi di garanzia delle
altre giurisdizioni, dovendo riconoscersi l'ammissibilita' di sistemi
organizzativi diversificati di garanzia a tutela dell'indipendenza
dei giudici speciali, articolato e delineato in rapporto alle
peculiarita' ordinamentali delle diverse giurisdizioni, possono dalla
Costituzione evincersi precisi vincoli all'esercizio della prevista
riserva di legge in ragione della predeterminazione dei criteri che
risultano, secondo il Costituente, idonei ad assicurare
l'indipendenza della magistratura. Non vi e' dubbio che uno dei
principali problemi interpretativi cui ha dato luogo la lettura
dell'art. 108, comma 2, della Costituzione consiste proprio nello
stabilire quale sia il grado di discrezionalita' che deve essere
attribuito al Legislatore ordinario nell'attuazione della riserva di
legge ivi prevista, in base alla quale l'individuazione dei
meccanismi concreti volti a garantire l'indipendenza dei giudici
delle giurisdizioni speciali e' operazione che viene semplicemente
rinviata, dalla Costituzione, alla legge ordinaria, secondo un'ottica
complessiva in cui il potere di scelta dell'organo legislativo
incontra l'unico limite di preservare requisiti minimi di
indipendenza dei giudici speciali.
Il compito rimesso al giudice a quo, e di conseguenza alla
Consulta, e' dunque quello di individuare tali requisiti minimi,
anche attraverso la verifica della possibilita' di enucleare, dal
modello tratteggiato per il C.S.M., degli elementi essenziali dai
quali gli organi di garanzia delle magistrature speciali non possono
prescindere, quale alternativa all'opzione interpretativa di una
assoluta liberta' di scelta del Legislatore in ordine alla
composizione dell'organo di garanzia, segnatamente con riferimento al
rapporto numerico tra i suoi membri, che involge il modo in cui
vengono tradotti nella composizione dei consigli di presidenza i
principi di indipendenza della magistratura, da un lato, e di
necessario coordinamento di tali organi con la societa' civile,
dall'altro.
Occorre, quindi, stabilire un punto di equilibrio oltre il quale
non si ha piu' quel corretto bilanciamento degli interessi che la
Consulta ha affermato come necessario nella sentenza n. 16 del 1011,
ma l'espansione di uno di tali interessi a danno dell'altro, dovendo
individuarsi il limite oltre il quale il principio di indipendenza,
come tradotto dalla consistenza della componente elettiva togata, non
puo' essere piu' ulteriormente «negoziato» a favore dell'esigenza di
evitare la chiusura in caste autorefenziali dei giudici.
In proposito, occorre rilevare che nel bilanciamento dei
contrapposti interessi non puo' difatti prescindersi dal considerare
che il principio di indipendenza della magistratura costituisce
principio costituzionale espresso, di natura non cedevole di fronte
ad un principio implicito o non espresso e di indubbia portata
precettiva.
Escluso, come dianzi accennato, che il modello dettato per il
C.S.M. costituisca una soluzione costituzionalmente obbligata,
dovendo in proposito riconoscersi un margine di discrezionalita',
costituzionalmente accordato, del Legislatore, la scelta del
Costituente di rinviare al legislatore ordinario la previsione piu'
specifica delle garanzie di indipendenza dei giudici speciali non
contiene in se', come sopra illustrato e come affermato dalla stessa
Consulta, anche la scelta di accordare a tali giudici garanzie di
indipendenza inferiori rispetto a quelle riconosciute alla
magistratura ordinaria.
Ne discende, quale prima conseguenza, che non puo' riconoscersi
al Legislatore l'assoluta liberta' nel riempire di contenuti concreti
il rinvio operato dal comma 2 dell'art. 108 della Costituzione, non
potendo il Legislatore, stilla base di una corretta interpretazione
storica del disposto costituzionale, nell'assicurare l'indipendenza
dei giudici speciali, non tener conto dei principi generali che sono
posti, in tema di indipendenza dei giudici ordinari, nel titolo IV
della seconda parte della Costituzione, dovendo il discostamento da
tali principi trovare adeguata e ragionevole giustificazione nelle
peculiarita' della giurisdizione che si intende disciplinare.
Particolare peso va tributato alla norma di chiusura dell'intero
sistema costituzionale delle garanzie previste a tutela
dell'indipendenza dell'attivita' giurisdizionale, coincidente con il
principio, di generale applicazione, per cui i giudici (senza
distinzioni) sono soggetti soltanto alla legge, da, cui, sulla base
di una lettura sistematica della Carta costituzionale, si evince
l'esistenza di un indirizzo di omogeneita', voluta dalla
Costituzione, degli status e delle garanzie di indipendenza, interna
ed esterna, di tutti i soggetti che esercitano funzioni
giurisdizionali.
Se e' innegabile, pertanto, che ad una regolamentazione espressa
degli istituti che assicurano l'autonomia e l'indipendenza della
magistratura ordinaria (art. 104 ss.: autogoverno, assunzione per
concorso, inamovibilita', ecc.) corrisponde poi, in Costituzione, un
semplice rinvio alla legge del compito di prevedere le modalita'
concrete che dovranno presiedere all'indipendenza dei giudici
speciali (art. 108 comma 2), e' altrettanto evidente, tuttavia, che
la Costituzione - se considerata nel suo complesso - delinea gia',
per quel che concerne le condizioni di autonomia e di indipendenza
di' tutti i giudici delle diverse magistrature, un unico modo di
essere generale dei soggetti‑giudici cui e' affidato l'esercizio
della giurisdizione.
In tale ottica, la disposizione prevista dal comma 2 dell'art.
101 della Costituzione, nello statuire la soggezione di tutti i
giudici soltanto alla legge - e riconoscendo, quindi, ad ogni
magistratura quell'autonomia che e' presupposto tipico ed
imprescindibile dell'indipendenza -rappresenta il referente normativo
centrale dell'interpretazione sistematica che discende dalla
Costituzione, la quale, nel delineare la soluzione per la
magistratura ordinaria, ha individuato condizioni strumentalmente -
anche se non vincolanti per le altre magistrature - idonee ad
assicurare l'indipendenza della magistratura.
Inoltre, in accordo con lo stringente tenore letterale della
norma di cui all'art. 108, il legislatore, come visto, e' chiamato
«assicurare» l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.
Pur non potendo trarsi dalla terminologia utilizzata dal
Costituente la necessita' della legge di conformarsi ad un modello
concreto e predefinito di indipendenza, ovvero quello puntualmente
articolato dalla Costituzione agli artt. 104 e seguenti, sembra
tuttavia che la prevista riserva di legge contenuta nell'art. 108,
comma 2, della Costituzione, consente di guardare all'attuazione
legislativa del canone dell'indipendenza dei giudici non ordinari in
una chiave di discrezionalita' libera nella individuazione dei moduli
realizzativi che risultano tuttavia vincolati al rispetto di alcuni
fondamentali parametri costituzionali.
Pertanto, escluso che la conformazione organizzativa e funzionale
degli organi di garanzia o di autogoverno delle magistrature speciali
debba necessariamente ricalcare il modello tratteggiato dalla
Costituzione per il C.S.M., le deviazioni rispetto a tale modelle
vanno raccordate con la consapevolezza che la ragione principale che
ha indotto il Costituente a mantenere le giurisdizioni speciali di
cui all'art. 103 della Costituzione consiste proprio nella presa
d'atto delle peculiarita' che contraddistinguono tali giurisdizioni,
con la conseguenza che la previsione di una disciplina diversa
rispetto al «modello» delineato dagli artt. 104 e seguenti della
Costituzione deve rispondere all'esigenza imprescindibile di adattare
tale normativa, in modo difforme da quanto previsto per il C.S.M.,
alle caratteristiche proprie di ciascuna giurisdizione speciale,
tenendo conto, tra l'altro; della collocazione istituzionale dei
magistrati che la compongono dei tratti peculiari del sindacato che
questi sono chiamati ad esprimere.
Si tratta quindi - una volta ammessa la possibilita' di
variazione rispetto allo schema delineato dagli artt. 104 e seguenti
della Costituzione - di verificare, di volta in volta, la
ragionevolezza delle modifiche apportate dal Legislatore ordinario,
cosi' da valutare se siffatte modifiche, da un lato, risultino idonee
a garantire un'efficace tutela dell'indipendenza dei giudici non
ordinari (come richieste dall'art. 108, comma 2, della Costituzione),
e dall'altro, possano ritenersi giustificate in rapporto a quelle
specifiche peculiarita' che contraddistinguono ciascuna giurisdizione
speciale.
Ne consegue che in applicazione di siffatto criterio di giudizio,
il problema della legittimita' costituzionale della composizione
prevista per il Consiglio di presidenza della Corte dei conti - ferme
le precedenti considerazioni - puo' essere sintetizzato nel quesito
se, al fine di garantire l'indipendenza dei giudici della Corte dei
conti, siano rinvenibili ragioni specifiche, attinenti a
caratteristiche proprie di tale giurisdizione, da cui discenda la
necessita' - o quanto meno l'opportunita' - di prevedere una
composizione numerica paritaria tra componenti elettivi togati e
componenti elettivi laici.
Le indicazioni che dalla disamina delle disposizioni
costituzionali possono trarsi, come sopra indicate, depongono per la
risposta negativa, non essendo rinvenibili valide ragioni e
giustificazioni che, in relazione alle funzioni assegnate a tale
ordine giurisdizionale, consentano un sacrificio di quelle modalita'
organizzative - che la Costituzione ha riconosciuto idonee e
necessarie per la magistratura ordinaria - che maggiormente
garantiscono l'indipendenza dell'ordine e dei suoi appartenenti e la
rappresentativita' dell'organo di garanzia, da identificarsi nella
maggioranza numerica dei componenti togati elettivi rispetto ai
componenti laici, con riferimento ai quali ultimi non possono
predicarsi i principi di indipendenza e di autonomia, valendo la,
loro presenza unicamente a mantenere un collegamento dell'organo di
garanzia con istanze esterne all'ordine.
Con la conseguenza che la consistenza numerica di tale componente
laica, in relazione a quella assegnata alla componente elettiva
togata, e' idonea - se paritaria o prevalente rispetto a quest'ultima
- ad intaccare i principi di autonomia ed indipendenza dell'organo,
esistendo indubitabilmente un punto, nel rispettivo rapporto
numerico, oltre il quale le relative previsioni non costituiscono
espressione di un equilibrato bilanciamento degli interessi di cui
sono espressione, ma si risolvono nella prevalenza di quello
costituzionalmente meno stringente a danno del cogente precetto
costituzionale dell'indipendenza delle magistrature speciali.
Tale indipendenza puo' invero subire un vulnus in ragione di un
rapporto numerico tra la componente laica e componente togata
elettiva che non costituisca espressione di un equilibrato
bilanciamento dei contrapposti interessi, come avviene, a giudizio
del Collegio, con riferimento alla norma sospettata di
incostituzionalita'.
Non si intende, in tal modo, sminuire l'importanza della presenza
di componenti laici all'interno del Consiglio di Presidenza della
Corte dei conti, dovendo in proposito osservarsi che con riferimento
all'aspetto esterno o istituzionale dell'indipendenza che deve essere
garantita ai magistrati della Corte dei Conti, un organo di garanzia
a composizione mista, quale quello previsto per la magistratura
ordinaria, sembra dover valere a fortiori per il governo di ordini
magistratuali di connotazione diversa, che siano, piu' ancora della
magistratura ordinaria, connessi nelle loro funzioni e in qualche
modo sovrapposti all'amministrazione.
Ed infatti, tanto piu' rileva il legame organizzativo e
funzionale con il potere politico-amministrativo, tanto piu' e'
importante connettere la funzione di autogoverno di quella
magistratura con la funzione di controllo politico esercitata dalle
Assemblee elettive, introducendo quindi, a tal fine - all'interno
dell'organo - un congegno in qualche modo codecisionale fra
componenti di diversa derivazione, onde evitare il cortocircuito
istituzione-corporazione, non risultando il grado di indipendenza
esterna che e' garantito a ciascuna categoria di magistrati
direttamente proporzionale al grado di isolamento che la legge
assicura al rispettivo ordine giudiziario, rendendo l'eventuale
assenza di membri esterni alla magistratura contabile l'autogoverno
della stessa eccessivamente corporativo.
Tuttavia, un rapporto non equilibrato, rispetto ai valori
costituzionali di riferimento, tra componente laica e componente
togata, esporrebbe l'organo al formarsi di maggioranze o gruppi di
pressione esterni alla magistratura suscettibili di intaccare
l'indipendenza dei giudici anche nella loro liberta' di
autodeterminazione, condizionandone l'operato agli interessi di cui
sono portatori i componenti laici, le cui determinazioni concorrono
alla formazione della volonta' dell'organo, assegnando alla
componente laica un peso ultroneo rispetto alla finalita' di
consentire, attraverso la stessa, un collegamento esterno, intaccando
l'indipendenza funzionale dei giudici contabili.
Ne' la parita' numerica tra componenti laici e componenti
elettivi togati, come accennato, puo' ritenersi giustificata - e
quindi ragionevole - in rapporto a specifiche peculiarita' della
giurisdizione contabile, alla quale e' garantita dalla Costituzione
lo stesso grado di indipendenza riconosciuto a tutte le altre
giurisdizioni speciali.
Al fine di vagliare il corretto esercizio da parte del
Legislatore ordinario della propria discrezionalita' nell'attuazione
della riserva di legge prevista, dall'art. 108, comma 2, della
Costituzione, interviene, inoltre, a dare consistenza ai manifestati
dubbi di costituzionalita' della previsione normativa della parita'
numerica della componente consiliare eletta dai magistrati contabili
a quella rappresentativa del Parlamento, l'approdo cui e' di recente
giunta la giurisprudenza costituzionale, che ha nitidamente disegnato
i rapporti tra l'art. 108 e 104 Cost. in particolare nella gia'
citata sentenza n. 87 del 2009, con la quale e' stata ammessa anche
nel procedimento disciplinare dei magistrati amministrativi la difesa
da parte di avvocati del libero foro. La decisione della Corte
costituzionale poggia sulla considerazione, che costituisce punto
fermo ai fini del vaglio di qualsivoglia incidente di
costituzionalita' involgente il profilo dell'indipendenza delle
giurisdizioni speciali, che, pur essendo l'indipendenza della
magistratura ordinaria e quella delle magistrature speciali regolate
da norme costituzionali diverse - rispettivamente l'art. 104 e l'art.
108 Costituzione - il principio dell'indipendenza dei magistrati sia
ordinari che speciali e' un principio generale e costituisce una
delle garanzie del corretto svolgimento della funzione
giurisdizionale complessivamente intesa, come esercitata, sia dalla
magistratura ordinaria che dalle magistrature amministrativa e
contabile.
Di particolare rilievo e' la precisazione, contenuta nella
sentenza in esame, secondo cui, pur potendo il Legislatore articolare
diversamente l'ordinamento delle singole giurisdizioni, devono
tuttavia essere rispettati i «principi costituzionali comuni» posti a
presidio dell'indipendenza delle varie magistrature. Per tale
ragione, la Corte ha ritenuto che, nonostante il procedimento
disciplinare dei magistrati amministrativi abbia natura
amministrativa e non giurisdizionale, dovesse essere comunque
garantita anche ai magistrati amministrativi la possibilita', di
avvalersi, nel procedimento disciplinare, di un avvocato del libero
foro, al fine di assicurare loro una piena indipendenza attraverso il
ricorso ad un'efficace difesa.
Pur non avendo la sentenza n. 87 del 2009 affermato la piena
equiparazione sotto il profilo organizzativo tra C.S.M. e i Consigli
di Presidenza della Giustizia Amministrativa e della Corte dei conti,
occupandosi di altri profili, ha tuttavia affermato l'importante
principio della necessita' di assicurare, al di la' delle differenze
organizzative e ordinamentali, lo stesso grado di indipendenza sia ai
magistrati ordinari che a quelli amministrativi (quindi anche
contabili), e a tal fine ha fatto riferimento a «principi
costituzionali comuni» cui il legislatore deve uniformarsi, pena la
violazione dell'art. 108 della Costituzione.
Le statuizioni contenute nella citata sentenza consentono di
rinvenire nelle norme costituzionali dedicate alla magistratura
ordinaria, ed in particolare nell'art. 104 della. Costituzione, i
«principi costituzionali comuni», posti a presidio dell'indipendenza
della magistratura ordinaria che risultano mutuabili per le
magistrature speciali, riconosciuti dal Costituente come formule
idonee a garantirne l'indipendenza sia interna che esterna,
costituenti un paradigma di riferimento per il Legislatore, pur senza
rappresentare un assetto statutario vincolante e che, come tali,
rilevano quale limite per l'esercizio della riserva di legge che, in
tal senso, puo' assumere carattere rinforzato, e come parametro di
ragionevolezza delle scelte del Legislatore.
Peraltro, in questa linea sembra essersi posto di recente il
Consiglio di Stato, il quale, in sede consultiva, ha affermato che il
principio della non rieleggibilita' dei membri elettivi del C.S.M.,
di cui all'art. 104 della Costituzione, ultimo comma, debba valere
anche per le magistrature speciali, trattandosi di un principio
generale dell'autogoverno della magistratura (Consiglio di Stato,
Sez. I, 1° aprile 2009, n. 954).
Richiamate tali coordinate interpretative, al fine di verificare
quali elementi degli organi di garanzia siano coessenziali rispetto
al fine costituzionale dell'indipendenza, occorre analizzare se
dall'art. 104 della Costituzione possa trarsi un principio comune
concernente anche la composizione degli organi di autogoverno delle
magistrature speciali che possa fungere da parametro di legittimita'
costituzionale delle scelte del Legislatore in questo ambito.
Giova, a tal fine, procedere alla disamina della composizione del
Consiglio Superiore della magistratura, come descritta dai commi 3 e
4 dell'art. 104 della Costituzione.
La composizione del Consiglio Superiore della magistratura
prevede la presenza di membri di diritto e componenti elettivi, i
quali sono per i due terzi eletti dai magistrati mentre per un terzo
sono eletti dal Parlamento in seduta comune.
Dei tre membri di diritto (tra cui il Presidente della Repubblica
che presiede il Consiglio) due sono togati, e segnatamente il Primo
Presidente ed il Procuratore generale della Corte di Cassazione,
cosi' come lo sono i componenti eletti dalla magistratura, tuttavia
la distinzione tra componenti togati e laici non e' presa
espressamente in considerazione dalla norma, la quale invece
distingue i consiglieri in base alle forme di designazione (di
diritto o elettiva) e, all'interno della componente elettiva, tra gli
eletti da parte dei magistrati e gli eletti dal Parlamento in seduta
comune. Tale distinzione e' ulteriormente marcata dal fatto che il
limite minimo di rappresentanza elettiva della componente
magistratuale (i due terzi) e' calcolato non sul totale dei
componenti del Consiglio (comprensiva di quelli di diritto) ma sul
totale dei soli componenti elettivi. Il comma quarto dell'art. 104
della. Costituzione, infatti, espressamente stabilisce che «gli altri
componenti», oltre a quelli di diritto, «sono eletti per due terzi da
tutti i magistrati (..) e per un terzo dal Parlamento (...)».
E' possibile dunque desumere che l'art. 104 della Costituzione
intende garantire l'indipendenza della magistratura assicurando la
prevalenza in seno al Consiglio non della componente togata
complessivamente intesa, comprensiva dei membri togati di diritto, ma
della componente togata eletta dai magistrati. Ad essa solo, infatti,
si riferisce il limite dei due terzi.
Tale conclusione appare peraltro in linea con la diversa funzione
della componente togata di diritto e quella elettiva in seno
all'organo di autogoverno.
Infatti, mentre la presenza dei membri di diritto assolve a
diverse funzioni (ad esempio, la rappresentazione in seno al
Consiglio delle istanze della magistratura giudicante e requirente
attraverso la presenza dei rispettivi organi di vertice),
prevalentemente istituzionali, solo la componente elettiva puo' dirsi
effettivamente rappresentativa del corpo elettorale costituito da
tutti i magistrati.
Tale profilo appare di particolare rilievo posto che la stessa
nozione di «autogoverno», ancorche' utilizzato in senso atecnico nel
caso del Consiglio Superiore della magistratura e dei Consigli di
Presidenza delle magistrature speciali, per la presenza anche di
membri laici, evoca comunque, anche etimologicamente, l'esistenza di
una relazione di rappresentativita' tra governanti e governati.
Alla luce di tutte queste considerazioni, puo' dunque ritenersi
che dall'art. 104, commi 3 e 4, della Costituzione possa trarsi il
principio della necessaria prevalenza numerica della componente
eletta dai magistrati rispetto alla componente eletta dalle forze
politiche, prevalenza numerica che puo' esprimersi in varie modalita'
e con la previsione di diverse percentuali tra le varie componenti,
con il limite comunque del riconoscimento della maggioranza dei
componenti eletti dai magistrati.
Tale principio, per la sua rilevanza al fine di effettivamente
garantire la rappresentativita' dell'organo e dunque l'indipendenza
dei magistrati, deve essere ritenuto, secondo l'espressione usata
dalla sentenza n. 87 del 2009, un «principio costituzionale comune»
applicabile anche al Consiglio di Presidenza della magistratura della
Corte dei conti.
Infatti, sia nel caso del C.S.M. che dei consigli di Presidenza
della magistrature speciali, l'esistenza di una relazione di
rappresentativita', quantomeno con la maggioranza dei componenti
elettivi dei detti organi, appare un elemento imprescindibile perche'
essi possano effettivamente «assicurare» - per usare la, stessa
espressione degli artt. 100 e 108 della Costituzione, l'autonomia e
l'indipendenza delle varie magistrature.
Pertanto, escluso che possa affermarsi la necessita' del
rispetto, per gli organi di garanzia delle magistrature speciali,
dell'identica distribuzione, in termini percentuali, tra le varie
componenti consiliari, prevista dall'art. 104 della Costituzione, il
che priverebbe il Legislatore della sua discrezionalita' nella scelta
sui modi per assicurare l'indipendenza delle magistrature speciali,
conferita dall'art. 108 della Costituzione, e' possibile tuttavia
ricavare dall'art. 104 della Costituzione, un principio di garanzia
minimale secondo il quale deve essere comunque garantita almeno la
maggioranza dei componenti togati eletti dai magistrati, nel caso di
specie della Corte dei Conti, in seno al Consiglio.
Dunque, sotto questo profilo, l'art. 108, comma 3, della
Costituzione, da leggersi in combinato disposto con l'art. 104, commi
2 e 3, della Costituzione, individua un parametro sostanziale per la
valutazione delle scelte del Legislatore quanto a garanzie minime di
tutela della indipendenza delle magistrature speciali, assegnando la
prevalenza numerica dei componenti eletti dai magistrati rispetto ai
rappresentanti del Parlamento.
A diversamente ritenere, le ricadute discendenti dalla previsione
della parita' numerica - e ovviamente, a maggior ragione, di una
maggioranza dei rappresentanti del Parlamento - come dianzi
illustrato, si risolverebbero nella vanificazione della stessa
funzione dell'organo di garanzia, intaccandone l'indipendenza e
l'autonomia, facendone venir meno il carattere di rappresentativita'
attraverso cui i richiamati principi necessariamente transitano.
Sottesa alla scelta legislativa della parita' numerica tra
componenti elettivi togati e laici, vi e' difatti l'equiordinazione
tra il principio di indipendenza della magistrature speciale e quello
di apertura dell'organo di autogoverno alle istanze esterne in modo
da evitarne la chiusura in una casta autoreferenziale, il che
contrasta con la gerarchia dei valori costituzionali che non puo'
vedere come recessivo, ne' equiordinato, il valore dell'indipendenza
rispetto a quello del collegamento tra la magistratura e gli altri
poteri dello Stato, quest'ultimo attuato per il tramite della
presenza dei membri laici nell'organo di garanzia.
Al riguardo, inoltre, non sembra potersi dubitare che ai
componenti laici, per il loro essere espressione di una qualificata
maggioranza politica delle Camere, non puo' essere riconosciuto un
idoneo ruolo di garanzia dell'autonomia, e dell'indipendenza dei
giudici.
Alla luce di tale quadro costituzionale di riferimento, non puo'
non dubitarsi della legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8
della legge n. 15 del 2009 che, nel prevedere il numero dei
componenti eletti da tutti i magistrati della Corte dei conti uguale
a quello dei rappresentanti del Parlamento, non rispetta i principi
cui l'attuazione della riserva di legge deve conformarsi, come
enucleabili dagli artt. 100, 103, 108 e 104, della Costituzione,
letti alla luce della sopracitata giurisprudenza costituzionale.
Ne' i manifestati dubbi di illegittimita' costituzionale possono
ritenersi superabili alla luce della circostanza che la componente
togata nel suo complesso (formata anche dai membri di diritto) del
Consiglio di Presidenza della Corte dei conti raggiunga comunque la
maggioranza assoluta, stante la ricordata diversa valenza da
assegnarsi alla presenza dei membri di diritto e le diverse funzioni
dagli stessi svolte rispetto a quelli togati elettivi, ai quali
soltanto e' possibile riconoscere una funzione rappresentativa dei
magistrati elettori, conformemente alle indicazioni che possono
trarsi dalla scelta sottesa alle previsioni contenute nell'art. 104
della Costituzione.
Ne' risulta revocabile in dubbio che sia solo la componente
togata elettiva ad essere rappresentativa dei magistrati della Corte
dei conti, come peraltro incidentalmente affermato anche dal
Consiglio di Stato nel parere sopra menzionato, laddove, con
riferimento alla riduzione da 10 a 4 dei componenti eletti dai
magistrati della Corte dei conti, e' stato evidenziato che
l'innovazione impone di ritenere che la rappresentanza dei quattro
componenti elettivi sia promiscua, ovvero unitaria, e non piu'
ripartita per qualifica, come avveniva in precedenza.
In proposito, occorre altresi' segnalare che il Presidente della
Corte dei conti e' nominato, ai sensi della legge 21 luglio 2000 n.
202, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa,
deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del
Consiglio di Presidenza, mentre gli altri due dei tre membri di
diritto (Procuratore generale e Presidente aggiunto) sono nominati su
designazione del Consiglio di Presidenza con provvedimento formale
dell'Autorita' politica, cosicche' con riguardo ai membri di diritto
non puo' parlarsi di elezione, neanche indiretta, da parte della base
elettorale.
Non puo', dunque, affermarsi che sulla base della composizione
del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti sia comunque
assicurata la prevalenza della componente togata, stanti le
modalita', di individuazione dei componenti di diritto, con
conseguente discostamento dai criteri minimi idonei a garantire
l'indipendenza del plesso giurisdizionale attraverso l'idonea
strutturazione del relativo organo di autonomia, assistito dalle
medesime guarentigie costituzionali pur a fronte della non
necessita', costituzionalmente imposta, di adozione di un unico
modello organizzativo per tutte le magistrature, potendo la soluzione
adottata dalla norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge n. 15
del 2009, tradursi nel piegare l'azione dell'organo alla ricerca del
consenso delle componente esterna, che verrebbe ad esercitare un peso
ed un'influenza in contrasto con la riconosciuta indipendenza sia
dell'ordine che dei singoli appartenenti ad esso.
In conclusione, sulla base di tutte le considerazioni sin qui
illustrate, il Collegio dubita della legittimita' costituzionale di
una scelta legislativa che propone per la magistratura contabile un
modello dell'organo di garanzia che, nel contemperamento dei
contrapposti interessi, non opera un corretto bilanciamento degli
stessi, senza che cio' trovi ragionevole giustificazione nelle
peculiarita' dell'ordine giurisdizionale di riferimento, recando un
pregiudizio ai principi di autonomia e indipendenza della
magistratura - essendo il primo presupposto indefettibile del secondo
- in quanto non garantisce in modo adeguato l'indipendenza che la
Costituzione assicura a tutte le magistrature speciali, cosi'
determinando un vulnus all'autonomia organizzativa dell'apparato
giurisdizionale che e' strumentale all'indipendenza sia interna che
esterna della giurisdizione speciale contabile, ponendo sullo stesso
piano valori e principi aventi invece diversa cogenza costituzionale
- costituendo quello dell'indipendenza della magistratura una dei
piu' rilevanti beni costituzionalmente protetti - cosi' non
rispettando, nella determinazione della composizione dell'organo
anche di autotutela della magistratura, assistito da particolari
guarentigie di indipendenza, le finalita' e gli interessi che tramite
lo stesso vengono perseguite e garantite.
Conseguentemente, ritiene il Collegio che la questione di
illegittimita' della norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge
n. 15 del 2009 debba essere sottoposta al vaglio del Giudice delle
leggi al fine di verificare la ragionevolezza dell'esercizio della
discrezionalita' accordata dalla. Costituzione al Legislatore
ordinario nell'attuazione della riserva di legge, come vincolata al
rispetto del principio di indipendenza della magistratura speciale,
imposta al legislatore come finalita' indefettibile dall'art. 108,
secondo comma, della Costituzione, e dei «principi costituzionali
comuni» richiamati dalla stessa Consulta.
Non pare, inoltre, infondata, la questione di costituzionalita'
della norma in esame per contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
poiche' introduce una irragionevole disparita', di trattamento a
discapito della magistratura contabile rispetto a tutte le altre
magistrature, cosi' introducendo un vulnus della sua indipendenza.
Peraltro, e' la stessa Corte costituzionale che nella, sentenza
n. 16 del 2011, nell'affermare il carattere necessario della presenza
di organi di garanzia per tutte le magistrature, fa riferimento alle
scelte effettuate dal Legislatore ordinario che ha istituito tali
organi per tutte le giurisdizioni speciali, cosi' rintracciando nel
dato fattuale legislativo un parametro a sostegno dei propri assunti.
Sotto questo profilo e per tutte le ragioni sopra svolte, deve
essere rimessa alla Corte costituzionale la, questione di
costituzionalita' dell'art. 11, comma 8 della legge 4 marzo 2009 n.
15, per contrasto con gli artt. 100, 101, 103 e 108, comma 2, della
Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 104 della Costituzione,
nella parte in cui prevede che la componente consiliare eletta dai
magistrati contabili sia numericamente uguale a quella
rappresentativa del Parlamento.
Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio
e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si
pronunci sulla questione.