Ricorso  della  Regione   Trentino-Alto   Adige/Autonome   Region
Trentino-Südtirol  (cod.  fiscale  80003690221),   in   persona   del
Presidente  della  Giunta  regionale  pro-tempore   Lorenzo   Dellai,
autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n.  239  del  15
novembre 2011 (doc. 1),  rappresentata  e  difesa,  come  da  procura
speciale n. rep. 5537 del 15 novembre 2011  (doc.  2),  rogata  dalla
dott.ssa Antonia Tassinari,  Ufficiale  rogante  della  Regione,  dal
prof.   avv.   Giandomenico   Falcon   di    Padova    (cod.    fisc.
FLCGDM45C06L736E)  e  dall'avv.  Luigi  Manzi  di  Roma  (cod.  fisc.
MNZLGU34E15H501Y), con domicilio eletto presso quest'ultimo in  Roma,
via Confalonieri, 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   Ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        degli articoli 1; 2, comma 7; 4; 5;  6;  7;  13  del  decreto
legislativo  6  settembre   2011,   n.   149,   recante   "Meccanismi
sanzionatori e premiali relativi a  regioni,  province  e  comuni,  a
norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio  2009,  n.  42",
pubblicato nella G.U. 20 settembre 2011, n. 219, 
    per violazione: 
    degli articoli 4, n. 1) e n. 3); 16; 54 dello Statuto speciale; 
    del Titolo VI dello Statuto speciale,  ed  in  particolare  degli
articoli 79, 80, 81; 
    degli articoli 103, 104 e 107, dello Statuto speciale; 
    del decreto legislativo 16 marzo 1992,  n.  266,  in  particolare
articoli 2 e 4; del decreto legislativo 16 marzo  1992,  n.  268,  in
particolare articoli 16, 17 e 18; del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 15 luglio 1988, n. 305; del decreto del  Presidente  della
Repubblica 19 novembre 1987, n. 526, in particolare articolo 8; 
    degli articoli 76, 100, 117 e 126 della Costituzione; 
    del principio di leale collaborazione, 
    per i profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    La legge 5 maggio 2009, n. 42, ha conferito una Delega al Governo
in materia di federalismo fiscale, in  attuazione  dell'articolo  119
della Costituzione. 
    L'articolo 1, comma 2, 1. 42/2009 stabilisce che "alle regioni  a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano  si
applicano,  in  conformita'  con  gli  statuti,   esclusivamente   le
disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27". 
    L'art. 15 riguarda il finanziamento delle  citta'  metropolitane,
l'art. 22 la perequazione infrastrutturale e  l'art.  27  rimette  ad
apposite norme di attuazione il compito di definire il concorso delle
Regioni speciali "al conseguimento degli obiettivi di perequazione  e
di solidarieta'  ed  all'esercizio  dei  diritti  e  doveri  da  essi
derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e  all'assolvimento
degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario" (co. 1);  inoltre,
l'art. 27 prevede che "le predette norme, per  la  parte  di  propria
competenza: a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali  in
materia di finanza pubblica e le  corrispondenti  leggi  regionali  e
provinciali in  materia,  rispettivamente,  di  finanza  regionale  e
provinciale, nonche' di finanza locale nei casi in cui questa rientri
nella  competenza  della  regione  a  statuto  speciale  o  provincia
autonoma" (co. 3). 
    Dunque, era chiaro e netto che i  decreti  legislativi  attuativi
della  1.  42/2009  non  avrebbero  dovuto  rivolgersi  alle  Regioni
speciali, salvo che per gli oggetti sopra indicati. 
    Cioe' stato  anche  confermato  dall'art.  31  d.  lgs.  68/2011,
recante Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni
a statuto ordinario e delle province, nonche' di  determinazione  dei
costi  e  dei  fabbisogni  standard  nel  settore   sanitario:   esso
coerentemente dispone che "nei  confronti  delle  regioni  a  statuto
speciale e delle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  rimane
ferma l'applicazione dell'articolo 1, comma 2, e degli  articoli  15,
22 e 27  della  citata  legge  n.  42  del  2009,  nel  rispetto  dei
rispettivi statuti". 
    Sul piano procedurale, l'art. 2, co. 3, 1. 42/2009 stabilisce che
"gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in  sede
di  Conferenza  unificata  ai  sensi  dell'articolo  3  del   decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi  alle  Camere",  e
che "in mancanza di intesa nel termine  di  cui  all'articolo  3  del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri
delibera, approvando una relazione che e' trasmessa alle Camere";  si
aggiunge che "nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni
per cui l'intesa non e' stata raggiunta". Nel comma  5  si  ribadisce
che  "il  Governo  assicura,  nella   predisposizione   dei   decreti
legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni  e
gli enti locali". 
    A tali norme il Governo ha ritenuto di dare attuazione con il  d.
lgs. 149/2011, intitolato Meccanismi sanzionatori e premiali relativi
a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della
legge 5 maggio 2009, n. 42. 
    In primo luogo e' da  sottolineare  che  l'intesa  non  e'  stata
raggiunta. 
    Nella relazione deliberata dal Consiglio dei ministri (doc. 3) ai
sensi del succitato art. 2, co. 3, il Governo ha addotto le  seguenti
ragioni: "in primo luogo, il Governo ritiene che il provvedimento sia
del tutto conforme a Costituzione, oltre che ai  principi  e  criteri
direttivi della legge delega n. 42 del 2009,  e  che  esso  individui
meccanismi e procedure per una piena  realizzazione  degli  obiettivi
perseguiti dalla legge"; "in secondo  luogo,  il  Governo  ha  dovuto
tenere conto dei tempi a disposizione per  il  rispetto  dei  termini
previsti dalla legge  per  l'esercizio  della  delega,  di  imminente
scadenza"; "inoltre, i rappresentanti delle autonomie territoriali in
Conferenza unificata non hanno ritenuto di potere  sancire  l'intesa,
neppure subordinatamente  all'accoglimento  di  alcune  modificazioni
significative  per  le  quali  il  Governo  aveva  prospettato  ampia
disponibilita'". 
    Sin d'ora e' agevole rilevare la mancanza  di  reali  "specifiche
motivazioni" e l'assoluta genericita' delle  ragioni  addotte,  anche
considerando il fatto che neppure il  verbale  della  seduta  del  18
maggio 2011 (doc. 4) spiega perche' il Governo  ritenga  infondati  i
rilievi sollevati dagli enti territoriali ne' indica le modifiche che
esso  sarebbe   stato   disposto   ad   apportare   (peraltro,   tale
disponibilita' non risulta dal verbale del 18.5.2011, ove si  accenna
solo,  genericamente,  ad  una  "disponibilita'...  a  proseguire  il
confronto con le Regioni e gli Enti locali  nell'ulteriore  iter  del
provvedimento in esame"). 
    L'art. 1 d. lgs. 149/2011 regola la Relazione di fine legislatura
regionale, stabilendo che, "al fine  di  garantire  il  coordinamento
della finanza pubblica, il rispetto dell'unita' economica e giuridica
della Repubblica, il principio  di  trasparenza  delle  decisioni  di
entrata e di spesa, le Regioni sono tenute a redigere  una  relazione
di fine legislatura" (co. 1), e disciplinando nei  commi  successivi,
in modo dettagliato, il contenuto e la relativa procedura. 
    L'art. 2 si  intitola  Responsabilita'  politica  del  presidente
della giunta regionale. Esso prevede, al comma 7, che, "con  riguardo
a settori ed attivita'  regionali  diversi  dalla  sanita',  ove  una
regione  dopo  la  determinazione  dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni nonche' dei relativi  costi  standard  e  la  definizione
degli obiettivi di servizio, non provveda alla attuazione dei  citati
livelli e al raggiungimento degli obiettivi di servizio  in  coerenza
con le previsioni di cui all'articolo 18 della legge 5  maggio  2009,
n. 42, il Presidente della Giunta regionale e'  nominato  commissario
ad acta ai sensi dell'articolo 8 della citata legge n. 131 del  2003,
per l'esercizio dei poteri sostitutivi". 
    L'art. 4 regola  la  Relazione  di  fine  mandato  provinciale  e
comunale, stabilendo che, "al  fine  di  garantire  il  coordinamento
della finanza pubblica, il rispetto dell'unita' economica e giuridica
della Repubblica, il principio  di  trasparenza  delle  decisioni  di
entrata e di spesa, le province e i comuni sono tenuti a redigere una
relazione di  fine  mandato"  (co.  1),  e  disciplinando  nei  commi
successivi,  in  modo  dettagliato,  il  contenuto  e   la   relativa
procedura. 
    L'art. 5 dispone che "il Ministero dell'economia e delle  finanze
- Dipartimento della Ragioneria generale dello  Stato  puo'  attivare
verifiche sulla regolarita' della gestione  amministrativo-contabile,
ai sensi dell'articolo 14,  comma  1,  lettera  d),  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, oltre che  negli  altri  casi  previsti  dalla
legge, qualora un ente  evidenzi,  anche  attraverso  le  rilevazioni
SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario...". L'art. 6, intitolato
Responsabilita' politica del presidente di provincia e  del  sindaco,
prevede, fra l'altro, sanzioni di ineleggibilita' e di inidoneita'  a
coprire diversi incarichi a carico degli "amministratori che la Corte
dei conti ha riconosciuto responsabili,  anche  in  primo  grado,  di
danni cagionati con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il
verificarsi del dissesto finanziario", 
    L'art. 7 prevede, fra l'altro, sanzioni a carico  delle  Regioni,
delle Province autonome e degli  enti  locali  in  caso  di  "mancato
rispetto del patto di stabilita' interno". 
    L'art. 13, infine, detta Disposizioni concernenti  le  Regioni  a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano.  Esso
stabilisce che "la decorrenza e le modalita'  di  applicazione  delle
disposizioni di cui al presente  decreto  legislativo  nei  confronti
delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di  Trento
e di Bolzano, nonche' nei confronti degli enti locali  ubicati  nelle
medesime  Regioni  a  statuto  speciale  e  Province  autonome,  sono
stabilite, in conformita' con i relativi statuti,  con  le  procedure
previste dall'articolo 27  della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,  e
successive  modificazioni".  Inoltre,  esso  stabilisce  che  qualora
"entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente  decreto
legislativo non risultino concluse  le  procedure  di  cui  al  primo
periodo,  sino  al  completamento  delle   procedure   medesime,   le
disposizioni di cui al presente decreto trovano immediata  e  diretta
applicazione nelle  Regioni  a  statuto  speciale  e  nelle  province
autonome di Trento e di Bolzano". 
    L'art. 27 della legge di delega n. 42/2009 prevedeva  invece  che
"le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e  di
Bolzano,  nel  rispetto  degli  statuti   speciali,   concorrono   al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed
all'esercizio dei diritti e doveri  da  essi  derivanti,  nonche'  al
patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli  obblighi  posti
dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e  modalita'  stabiliti
da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da  definire,  con  le
procedure previste  dagli  statuti  medesimi,  entro  il  termine  di
ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti  legislativi
di cui all'articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento
del criterio della spesa storica di  cui  all'articolo  2,  comma  2,
lettera m)". 
    Dunque, l'art. 13 pretende di condizionare sotto diversi  profili
le norme di attuazione (v. infra il motivo 2) e pretende  di  imporre
l'applicazione  diretta   del   d.   lgs.   149/2011   alla   Regione
Trentino-Alto Adige, decorsi sei mesi. 
    Il titolo VI dello Statuto regola l'autonomia  finanziaria  della
Regione  autonoma:  e  per  molti  di  tali  profili  la   disciplina
statutaria e' stata da poco  modificata  per  meglio  armonizzare  la
speciale autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano  con  le  esigenze  della  situazione
finanziaria dello Stato italiano,  anche  nel  quadro  degli  impegni
assunti nell'ambito dell'Unione europea, e  per  tenere  conto  delle
esigenze  di  solidarieta'  derivanti  anche  dalla  attuazione   del
"federalismo fiscale", quale prefigurato dalla legge di delega n.  42
del 2009. 
    Le modifiche hanno formato oggetto di uno specifico  accordo  tra
lo Stato e la Regione e le Province autonome, e sono state  adottate,
con  la  procedura  di  cui  all'art.  104  dello  Statuto  speciale,
attraverso l'art. 2, commi da 107 a 125, della legge n. 191 del 2009.
In  particolare,  il  comma  107,  lett.  h)  della  1.  191/2009  ha
introdotto un nuovo testo dell'art. 79 dello Statuto,  il  quale  ora
stabilisce al comma 1 che "la regione e  le  province  concorrono  al
conseguimento degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e
all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'
all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario   posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale" nei modi che di seguito sono elencati e descritti. 
    Il comma 2 dell'art. 79 aggiunge che "le misure di cui al comma 1
possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista
dall'articolo  104  e  fino   alla   loro   eventuale   modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma l". 
    Il comma 3 dispone poi che, "al fine di  assicurare  il  concorso
agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le  province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da conseguire in ciascun periodo". 
    Il comma  4  ribadisce  che  "le  disposizioni  statali  relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo". 
    Infine, per i  rapporti  con  le  norme  statali  che  non  siano
direttamente misure di finanza pubblica, lo stesso  comma  4  precisa
che  "la  regione  e  le  province  provvedono  alle   finalita'   di
coordinamento  della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche
disposizioni  legislative   dello   Stato,   adeguando   la   propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5", cioe' secondo le regole ordinarie dei rapporti tra legislazione
provinciale e legislazione statale. 
    Nel  quadro  di  quanto  esposto,  le  disposizioni  indicate  in
epigrafe  violano  le   competenze   costituzionali   della   Regione
Trentino-Alto Adige per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
    1) Illegittimita' di tutte le disposizioni  impugnate  per  vizio
procedurale: violazione dell'art 76 Cost. e del  principio  di  leale
collaborazione 
    Come esposto in narrativa, l'art. 2 della legge di delega  n.  42
del 2009, cosi' disciplina, per quanto qui interessa, il procedimento
di adozione dei decreti delegati: 
    "3. ... Gli schemi  di  decreto  legislativo,  previa  intesa  da
sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3  del
decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  sono  trasmessi  alle
Camere, ciascuno corredato di  relazione  tecnica  che  evidenzi  gli
effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto  sul
saldo   netto   da   finanziare,   sull'indebitamento   netto   delle
amministrazioni pubbliche e  sul  fabbisogno  del  settore  pubblico,
perche' su di essi sia espresso il parere della  Commissione  di  cui
all'articolo 3 e delle Commissioni  parlamentari  competenti  per  le
conseguenze di carattere finanziario,  entro  sessanta  giorni  dalla
trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3
del decreto legislativo 28 agosto 1997,  n.  281,  il  Consiglio  dei
ministri delibera, approvando una relazione  che  e'  trasmessa  alle
Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche  motivazioni  per
cui l'intesa non e' stata raggiunta. 
    4. Decorso il termine per l'espressione  dei  pareri  di  cui  al
comma 3, i decreti possono  essere  comunque  adottati.  Il  Governo,
qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i
testi  alle  Camere  con  le  sue  osservazioni   e   con   eventuali
modificazioni  e  rende  comunicazioni  davanti  a  ciascuna  Camera.
Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i  decreti
possono comunque essere adottati in via definitiva  dal  Governo.  Il
Governo,  qualora,  anche  a  seguito  dell'espressione  dei   pareri
parlamentari,  non  intenda  conformarsi  all'intesa   raggiunta   in
Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa  Conferenza
unificata una relazione  nella  quale  sono  indicate  le  specifiche
motivazioni di difformita' dall'intesa. 
    5.  Il  Governo  assicura,  nella  predisposizione  dei   decreti
legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni  e
gli enti locali." 
    Era dunque prevista la previa intesa con la Conferenza  unificata
sugli schemi di decreto legislativo da inviare alle Camere, e, per il
caso di mancanza di intesa una relazione che indicasse "le specifiche
motivazioni per cui  l'intesa  non  e'  stata  raggiunta".  A  queste
prescrizioni specifiche, che di per se' sarebbero state  sufficienti,
il  legislatore  delegante  aveva  voluto  aggiungere  una  ulteriore
prescrizione generale di indirizzo, facendo  obbligo  al  Governo  di
assicurare, nella  predisposizione  dei  decreti  legislativi  "piena
collaborazione con le regioni e gli enti locali." 
    Sembra palese che nell'emanazione del d. lgs. 149 del 2011 questo
procedimento non e' stato rispettato. 
    Che  l'intesa  prevista  non  sia  stata  raggiunta  risulta  dal
preambolo stesso del decreto. Ci si attenderebbe dunque di ritrovarne
le specifiche motivazioni nella Relazione inviata alle Camere. 
    Tuttavia, in essa Governo si limita a riferire degli incontri  in
sede tecnica e in sede di Conferenza e della "mancata condivisione  -
in particolare da parte di Regioni  e  Comuni  -  del  contenuto  del
provvedimento", accennando soltanto alle  "forti  perplessita'  sulla
costituzionalita' del provvedimento, in modo particolare con riguardo
alla disciplina del fallimento politico del Presidente  della  Giunta
regionale". 
    Nulla  invece  si  dice  in  merito  alle  specifiche   obiezioni
sollevate dai rappresentanti delle Regioni e  degli  enti  locali.  A
questo modo non solo si e' contravvenuto alla legge di delega, ma  si
e' nella sostanza impedito agli organi parlamentari di  valutare  nel
concreto i motivi della mancata intesa. 
    Lo ha del resto rilevato lo stesso Comitato per  la  legislazione
della Camera dei Deputati. Nel verbale della seduta di  mercoledi'  6
luglio  2011  (doc.  5)  si  nota  espressamente  "che  la  relazione
trasmessa alle Camere da' conto in modo estremamente  succinto  delle
motivazioni per le quali l'intesa non e' stata raggiunta, nonche', in
modo altrettanto succinto, delle ragioni che hanno indotto il Governo
a procedere, tra le quali si menziona l'esigenza di "tenere conto dei
tempi a disposizione per il rispetto dei termini previsti dalla legge
per l'esercizio della delega, di imminente  scadenza",  ancorche'  la
recentissima legge 8 giugno 2011, n. 85 abbia prorogato i termini per
l'esercizio della delega di cui alla legge n.  42  del  2009  dal  21
maggio al 21 novembre 2011, ferma restando, altresi', la possibilita'
dello scorrimento del termine finale". 
    Dunque, il Comitato per la legislazione ha esso stesso constatato
da un lato che non erano indicate le specifiche  motivazioni  che  la
legge  richiedeva,  dall'altro  che   il   presupposto   dell'urgenza
accampato come pretesto per la mancata ulteriore ricerca  dell'intesa
non vi era affatto. 
    Al  contrario,  il  Governo  ha  preteso  di   giustificare   con
l'imminenza della scadenza della delega l'immediata interruzione  del
dialogo con le Regioni e gli  enti  locali  cosi'  fortemente  voluto
dalla legge 42 (che lo ha posto sotto  la  supervisione  agli  organi
parlamentari), mentre  contemporaneamente  chiedeva  ed  otteneva  la
proroga dei termini di scadenza proprio al fine di  ...rispettare  il
procedimento prescritto. 
    Sembra dunque evidente che e' stata violata non solo  la  lettera
delle specifiche disposizioni dettate dal legislatore  delegante,  ma
anche la norma generale di indirizzo, che richiedeva uno  spirito  di
collaborazione, e dunque un tenace tentativo di ricerca dell'intesa. 
    Si deve concludere che il procedimento prescritto dalla legge  di
delega e' stato ridotto  dal  Governo  ad  un  passaggio  procedurale
meramente formale, che non  risponde  ne'  nella  lettera  ne'  nello
spirito ai requisiti posti dalla legge, a  tutela  delle  prerogative
sia delle Regioni e degli enti locali, sia degli organi  parlamentari
chiamati a vigilare che il Governo abbia assicurato - come prevede il
c. 5 dell'art. 2 - la "piena collaborazione con le regioni e gli enti
locali". 
    Da qui la violazione  dell'art.  76  e  del  principio  di  leale
collaborazione. La violazione dell'art.  76  si  traduce  in  lesione
delle prerogative costituzionali della Regione, dato che il  criterio
direttivo violato era posto a tutela specifica delle Regioni  (v.  su
cio' il punto 2, lett. A). 
    2) Illegittimita' costituzionale dell'art 13. 
    Come sopra esposto,  l'art.  13  d.  lgs.  149/2011  pretende  di
vincolare  il  possibile  contenuto  delle   norme   di   attuazione,
limitandolo alla definizione della "decorrenza" e delle "modalita' di
applicazione" delle norme del d, lgs. 149/2011;  pretende  ancora  di
imporre un termine per l'adozione delle stesse norme  di  attuazione;
pretende  infine  di  sottoporre  la  Regione   Trentino-Alto   Adige
all'applicazione diretta del d. lgs.  149/2011,  qualora  "entro  sei
mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo
non risultino concluse le procedure di cui al primo periodo, sino  al
completamento delle procedure medesime". 
    Queste disposizioni ledono le  prerogative  costituzionali  della
Regione sotto diversi profili. 
    A) Violazione  dell'art.  1,  comma  2,  della  legge  di  delega
42/2009. Violazione dell'art. 76 Cost. 
    In primo luogo e' da  sottolineare  l'evidente  violazione  della
legge di delega compiuto dal Governo. Infatti, l'articolo 1, comma 2,
1. 42/2009 stabilisce che "alle regioni a statuto  speciale  ed  alle
province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformita'
con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli  articoli
15, 22 e 27". 
    Ora,  l'art.  15   riguarda   il   finanziamento   delle   citta'
metropolitane, l'art. 22 la perequazione  infrastrutturale  e  l'art.
27, come visto, rimette ad apposite norme di attuazione il compito di
definire il concorso delle Regioni speciali "al  conseguimento  degli
obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed  all'esercizio  dei
diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al  patto  di  stabilita'
interno e  all'assolvimento  degli  obblighi  posti  dall'ordinamento
comunitario" (co. 1). Inoltre, l'art. 27  prevede  che  "le  predette
norme, per  la  parte  di  propria  competenza:  a)  disciplinano  il
coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza  pubblica  e
le  corrispondenti  leggi  regionali  e   provinciali   in   materia,
rispettivamente, di  finanza  regionale  e  provinciale,  nonche'  di
finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza  della
regione a statuto speciale o provincia autonoma" (co. 3). 
    Dunque, dall'art. 1, co. 2, 1. 42/2009 risulta chiaramente che il
decreto legislativo attuativo degli articoli 2, 17 e  26  1.  42/2009
(cioe'  il  d.  lgs.  149/2011)  non  puo'  applicarsi  alle  Regioni
speciali, ne' direttamente ne' come fonte di un dovere di adeguamento
(per l'inapplicabilita' alle Regioni speciali dei principi  della  1.
42/2009 diversi da quelli di cui agli artt. 15, 22 e 27 v.  la  sent.
di codesta Corte costituzionale 201/2010). 
    Poiche',   invece,   l'art.   13   d.   lgs.   149/2011   dispone
inopinatamente  l'applicazione  del  medesimo  decreto  alle  Regioni
speciali, esso e' affetto dalla palese violazione dei limiti  esterni
della delega. 
    In quanto tale, esso e' anche affetto da eccesso di delega: ma si
vuole sottolineare che il vizio e' in questo caso ancor  piu'  grave:
non si tratta solo di aver superato  l'ambito  della  delega,  ma  di
avere contraddetto un limite  positivamente  stabilito  dalla  stessa
legge di delega. 
    Ne' si possono sollevare dubbi sulla legittimazione della Regione
a denunciare tale vizio. Il criterio direttivo violato (art.  1,  co.
2, 1.  42/2009)  e'  posto  specificamente  a  tutela  delle  Regioni
speciali e, in tali casi, codesta Corte ha sempre ammesso la  censura
fondata sull'art. 76 Cost. (v., ad es., le sentt. 183/1987, 192/1987,
272/1988, 617/1988 e 87/1996). 
    Inoltre, le norme la cui applicazione  e'  imposta  alla  Regione
dall'art.  13  sono  norme  che  incidono  su  materie  regionali   e
restrittive delle prerogative della Regione, come  si  vedra'  infra,
per cui anche  per  questa  ragione  la  Regione  e'  legittimata  ad
invocare l'art. 76 Cost. (v., ad es., le sentt.  355/1993,  503/2000,
110/2001, 206/2001, punti 15, 16 e 34 del Diritto, e 303/2003,  punto
35 del Diritto). La violazione di questo parametro, in altre  parole,
si traduce in violazione delle norme statutarie e di attuazione  che,
come vedremo nei motivi da 3 a 10, sono incise  dalle  singole  norme
del d. lgs. 149/2011. 
    B) Violazione degli artt. 79, 103, 104 e 107 dello Statuto. 
    L'art. 13 d. lgs.  149/2011,  condizionando  il  contenuto  delle
norme di attuazione e pretendendo di imporre un termine per  la  loro
adozione,  viola  l'art.  107  dello  Statuto,  che   disciplina   la
competenza e la procedura di  adozione  delle  norme  di  attuazione,
escludendo che una fonte legislativa  ordinaria  possa  incidere  sul
loro contenuto o sul termine di adozione. 
    E' dunque assolutamente illegittimo che  un  decreto  legislativo
pretenda di delimitarne  il  possibile  contenuto,  riducendolo  alla
fissazione della decorrenza o  delle  modalita'  di  applicazione  di
norme non aventi il rango di norme di attuazione, oltre  tutto  poste
in essere in violazione della delega. 
    L'imposizione del termine  e'  esclusa  anche  da  una  ulteriore
ragione: le norme di attuazione si fondano su un accordo raggiunto in
sede di commissione paritetica, per cui non sarebbe possibile che una
fonte statale  ordinaria  fissasse  unilateralmente  un  termine.  Lo
stesso varrebbe poi per la legge conclusa ai sensi dell'art. 104  St.
("le norme del  titolo  VI  e  quelle  dell'art.  13  possono  essere
modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta  del
Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle
due province"),  qualora  si  ritenga  che  l'art.  13  possa  essere
riferito anche a tale legge. 
    Inoltre,  l'art.  13,  stabilendo  l'applicazione  del  d.   lgs.
149/2011 (o attraverso  il  "filtro"  delle  norme  di  attuazione  o
direttamente), viola gli artt. 103, 104 e 107, in quanto il  d.  lgs.
149 regola - come si vedra' nei singoli punti -  settori  oggetto  di
norme statutarie e di attuazione, sulle  quali  una  fonte  ordinaria
statale non puo' incidere, a meno che (in  materia  finanziaria)  sia
adottata con la procedura di cui all'art. 104 St. 
    L'art. 13 viola specificatamente anche l'art. 79 St., che -  come
visto - sancisce:  che  non  possono  essere  modificate,  con  fonte
primaria ordinaria, le misure di concorso agli obiettivi  di  finanza
pubblica previste nello stesso art. 79 a carico della Regione  (commi
1 e 2); che "non si applicano le misure adottate per le regioni e per
gli altri enti nel restante territorio nazionale" (co.  3);  che  "le
disposizioni  statali  relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di
perequazione e di solidarieta', nonche' al  rispetto  degli  obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo" (co. 4). 
    C) Violazione dell'art. 2 d. lgs. 266/1992. 
    Infine, l'art. 13 viola l'art. 2 d. lgs.  266/1992,  che  esclude
l'applicazione diretta delle leggi statali nelle  materie  regionali,
ponendo  solo  un  dovere  di  adeguamento  "ai  principi   e   norme
costituenti limiti indicati  dagli  articoli  4  e  5  dello  statuto
speciale e recati da atto legislativo dello Stato entro  i  sei  mesi
successivi alla pubblicazione  dell'atto  medesimo".  Decorsi  i  sei
mesi, peraltro, non scatta l'applicazione delle leggi statali  ma  lo
Stato puo' impugnare  davanti  alla  Corte  le  leggi  regionali  non
adeguate.  L'art.  13  viola  questa  disposizione  perche'   prevede
l'applicazione diretta - dopo i sei mesi - di norme statali attinenti
a materie di  competenza  regionale,  quali  il  coordinamento  della
finanza pubblica, la sanita', la finanza  locale  e  l'organizzazione
interna (v. infra, i singoli  punti).  Inoltre,  non  si  prevede  il
vincolo della Regione solo ai "principi e  norme  costituenti  limiti
indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto speciale" ma a  tutte  le
disposizioni del d. lgs. 149/2011. 
    L'accoglimento di una delle censure  esposte  nei  punti  1  e  2
porterebbe all'annullamento  di  tutte  le  norme  impugnate  o  alla
dichiarazione dell'illegittimita' della loro  applicazione  a  questa
Regione. Le  censure  che  si  formulano  di  seguito,  dunque,  sono
avanzate per la denegata ipotesi in cui l'art. 13, contro  l'evidenza
della legge di delega, sia ritenuto legittimo. 
    3) Illegittimita' costituzionale degli arti 1 e 4. 
    Come esposto in narrativa, l'art. 1 prevede la Relazione di  fine
legislatura regionale. La norma e' espressamente diretta "al fine  di
garantire il coordinamento della finanza pubblica". 
    L'art. 1 regola con norme dettagliate l'adozione della  relazione
(sottoscrizione del Presidente della Giunta regionale "non  oltre  il
novantesimo  giorno   antecedente   la   data   di   scadenza   della
legislatura", entro i 10 giorni successivi  certificazione  da  parte
degli organi di  controllo  interno  regionale  ed  invio  al  Tavolo
tecnico interistituzionale istituito presso la Conferenza  permanente
per il coordinamento della finanza pubblica di  cui  all'articolo  33
del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68,  controllo  del  Tavolo
tecnico ed invio di "apposito rapporto  al  Presidente  della  Giunta
regionale"). Norme speciali sono dettate per il settore sanitario. 
    Il comma  3  regola  specificamente  la  procedura  "in  caso  di
scioglimento  anticipato  del  Consiglio  regionale".  Il   comma   4
disciplina in dettaglio il contenuto della relazione  ("La  relazione
di  fine  legislatura  contiene  la  descrizione  dettagliata   delle
principali attivita' normative e  amministrative  svolte  durante  la
legislatura, con specifico riferimento a:..."). Il comma 5 stabilisce
che "con atto di natura non regolamentare, adottato d'intesa  con  la
Conferenza Stato-Regioni, il Ministro per i rapporti con le regioni e
per la coesione  territoriale,...  adotta  uno  schema  tipo  per  la
redazione  della  relazione  di  fine  legislatura,  differenziandolo
eventualmente per le Regioni non assoggettate a un piano  di  rientro
della spesa sanitaria". 
    Infine,  si  prevede  che  "in  caso   di   mancato   adempimento
dell'obbligo di redazione della  relazione  di  fine  legislatura  il
Presidente  della  Giunta  regionale  e'  tenuto  a  darne   notizia,
motivandone  le   ragioni,   nella   pagina   principale   del   sito
istituzionale dell'ente". 
    Una disciplina del tutto analoga e' dettata dall'art.  4  per  la
Relazione di fine mandato provinciale e comunale. 
    L'art. 1 incide su materie di competenza regionale: coordinamento
della finanza pubblica (art. 117, co. 3, Cost. e  art.  10  1.  cost.
3/2001) e organizzazione interna (art. 4, n. 1, o - se ritenuto  piu'
favorevole - art. 117, co. 4, Cost., in collegamento con l'art. 10 1.
cost. 3/2001). L'art. 16, co. 1, d. lgs. 268/1992 dispone che "spetta
alla regione e alle province emanare norme in materia di bilanci,  di
rendiconti, di amministrazione del patrimonio e  di  contratti  della
regione e delle province medesime e degli enti da esse dipendenti". 
    Anche l'art. 4 incide su materie regionali: v. l'art.  4,  n.  3,
che  assegna  alla  Regione  competenza  primaria   in   materia   di
"ordinamento degli enti locali". Inoltre, l'art. 17, co. 2,  d.  lgs.
268/1992 precisa che  "restano  ferme  le  competenze  nelle  materie
relative agli ordinamenti attribuite alla  regione  dallo  statuto  e
dalle relative norme di attuazione". 
    Gli artt. 1 e 4 del d. lgs. n. 149 del 2011, in quanto  applicati
alla Regione dall'art. 13 d. lgs. 149/2011, violano le  norme  appena
citate perche' hanno contenuto dettagliato in materie  di  competenza
primaria regionale o  concorrente;  in  particolare,  viene  indicato
direttamente   l'organo   regionale   competente   per    determinati
adempimenti (v. l'art. 1, commi 2 e 6),  con  lesione  dell'autonomia
organizzativa regionale (v. sentt. 387/2007 e 407/1989). 
    Quanto al coordinamento della finanza pubblica, in  realta'  esso
e'  stato  riconosciuto  di  competenza  delle  norme  di  attuazione
dall'art. 27, commi 1 e 3, 1. 42/2009 e poi  "irrigidito"  a  livello
statutario dalla 1. 191/2009: dunque, gli artt. 1 e 4  violano  anche
l'art. 79 St., che sancisce  l'inapplicabilita'  alla  Regione  delle
norme di coordinamento relative alle  Regioni  ordinarie,  anche  con
specifico riferimento agli enti locali (v. l'art. 79, co. 3). 
    Qualora gli arti. 1 e 4 d. lgs. 149/2011 fossero ricondotti  alla
fattispecie di cui all'art. 79, co. 4,  secondo  periodo,  St.,  essi
sarebbero comunque illegittimi perche' applicati alla Regione in toto
(e non limitatamente ai principi) ed in via diretta nel caso  di  cui
all'art. 13, co. 1, secondo periodo, mentre l'art. 79, co. 4, prevede
solo un dovere di adeguamento. 
    Ancora, la previsione dell"'atto di natura non regolamentare" con
cui il Ministro "adotta  uno  schema  tipo  per  la  redazione  della
relazione di fine legislatura" (art. 1, co. 5, e art. 4, co. 5) viola
il divieto di  fonti  secondarie  nelle  materie  regionali,  qualora
l'atto sia considerato sostanzialmente normativo (art. 117, co. 6,  e
art. 2 d. lgs. 266/1992) o il divieto  di  attribuzione  di  funzioni
amministrative ad organi statali (art. 4 d.  lgs.  266/1992)  qualora
l'atto sia considerato amministrativo. 
    Infine, la previsione del controllo del Tavolo tecnico  (art.  1,
co. 2, e art. 4, co. 2) viola lo Statuto ed il dPR 305/1988,  perche'
si introduce una forma di controllo  non  prevista  dallo  Statuto  e
dalle norme di attuazione: v., per l'art. 1 d. lgs. 149, gli artt.  2
e 6 dPR 305/1988 (in materia di controllo della Corte dei conti sulla
gestione) e, per l'art. 4, i gia' citati art. 79, co. 3, St. e l'art.
6, co. 3-bis, dPR 305/1988. 
    4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, co. 7. 
    L'art. 2,  co.  7,  dispone  che,  "con  riguardo  a  settori  ed
attivita' regionali diversi dalla sanita', ove una  regione  dopo  la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  nonche'  dei
relativi costi standard e la definizione degli obiettivi di servizio,
non provveda alla attuazione dei citati livelli e  al  raggiungimento
degli obiettivi di servizio in coerenza  con  le  previsioni  di  cui
all'articolo 18 della legge 5 maggio 2009, n. 42, il Presidente della
Giunta  regionale  e'  nominato  commissario   ad   acta   ai   sensi
dell'articolo 8 della citata legge n. 131 del 2003,  per  l'esercizio
dei poteri sostitutivi". 
    Tale norma e' illegittima  perche'  pretende  di  applicare  alla
Regione Trentino-Alto Adige l'art. 120 Cost., mentre,  nelle  materie
che spettano alla  Regione  in  base  allo  Statuto,  l'art.  120  e'
inapplicabile alla Regione  e  restano  fermi  i  poteri  sostitutivi
previsti dalle norme di attuazione (v. sent. 236/2004), cioe'  quelli
di cui all'art. 8 dPR 526/1987. 
    In relazione alle "nuove" materie, non  previste  nello  Statuto,
l'art. 8 1.  131/2003  e'  applicabile  alla  Regione  solo  dopo  il
trasferimento  ad  esse  delle  nuove  funzioni,  "con  le  procedure
previste dall'art. 11 della legge n. 131 del 2003, ossia con norme di
attuazione degli  statuti  adottate  su  proposta  delle  commissioni
paritetiche" (cosi' la sent. 236/2004). 
    Inoltre, spetta sempre alle norme di  attuazione  configurare  il
potere  sostitutivo  statale  in  relazione   alle   nuove   funzioni
trasferite, per cui i commi 4 e 7 violano  anche  l'art.  107  Cost.,
perche'  pretendono  di  vincolare  il  contenuto  delle   norme   di
attuazione. 
    L'art. 2, co. 7, e' poi ulteriormente  illegittimo  la'  dove  fa
riferimento al mancato "raggiungimento degli obiettivi di  servizio".
Infatti, la disposizione prevede una ipotesi di potere sostitutivo in
applicazione dell'art. 120 Cost., come e' reso palese dal riferimento
all'articolo 8 della legge n. 131 del 2003, dedicato alla  Attuazione
dell'articolo  120  della  Costituzione   sul   potere   sostitutivo.
Sennonche',  e'  di  immediata  evidenza  che  l'art.  120  Cost.  si
riferisce  soltanto  alla  tutela  dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni, e non anche a generici "obiettivi di servizio",  la  cui
nozione e' sconosciuta alla Costituzione. 
    5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5. 
    L'art. 5 d. lgs. 149/2011 dispone che "il Ministero dell'economia
e delle finanze -Dipartimento della Ragioneria generale  dello  Stato
puo'   attivare   verifiche   sulla   regolarita'   della    gestione
amministrativo-contabile, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera
d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri  casi
previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche  attraverso  le
rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferitili ai
seguenti  indicatori:  a)  ripetuto  utilizzo  dell'anticipazione  di
tesoreria; b) disequilibrio  consolidato  della  parte  corrente  del
bilancio; c) anomale modalita' di gestione dei servizi per  conto  di
terzi" (co. 1). Il comma 2 aggiunge che "le modalita'  di  attuazione
del cometa 1 sono definite con decreto del Ministro  dell'economia  e
delle finanze,... previa intesa  con  la  Conferenza  Unificata...  e
prevedono anche adeguate forme di contraddittorio  fra  il  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  -  Dipartimento  della   Ragioneria
generale dello Stato e gli enti sottoposti alle verifiche di  cui  al
comma 1". L'attivita' di verifica "sulla regolarita'  della  gestione
amministrativo-contabile attivata sulla base degli indicatori di  cui
al comma 1 e' eseguita  prioritariamente  nei  confronti  dei  comuni
capoluogo di provincia". 
    L'art. 14 1. 196/2009, richiamato  dall'art.  5  ora  citato,  si
intitola Controllo e monitoraggio dei conti pubblici  e  prevede  che
"in relazione alle esigenze di  controllo  e  di  monitoraggio  degli
andamenti della finanza  pubblica...  il  Ministero  dell'economia  e
delle finanze - Dipartimento della Ragioneria  generale  dello  Stato
provvede a:... d) effettuare, tramite i servizi ispettivi di  finanza
pubblica,    verifiche    sulla    regolarita'     della     gestione
amministrativo-contabile   delle   amministrazioni   pubbliche,    ad
eccezione delle regioni e delle province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano". 
    Dunque, l'art. 5 d. lgs. 149/2011 contempla,  se  applicato  alla
regione Trentino-Alto Adige, un controllo  di  gestione  ministeriale
sugli enti locali della regione e sugli enti pubblici pararegionali. 
    Cio' si pone in chiaro contrasto con l'intero sistema statutario. 
    E' infatti l'evidente lesione della potesta' legislativa primaria
e  della  potesta'  amministrativa  della  Regione  in   materia   di
"ordinamento degli enti para-regionali"  (art.  4,  n.  2;  v.  anche
l'art. 16, co. 1, d. lgs. 268/1992)  e  di  "ordinamento  degli  enti
locali" (art. 4, n. 3); inoltre, occorre evidenziare il contrasto con
l'art. 79, co. 3, St., che attribuisce  alle  Province  "funzioni  di
coordinamento con riferimento agli enti  locali,  ai  propri  enti  e
organismi strumentali, alle aziende sanitarie, alle  universita'  non
statali...,  alle  camere  di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura e agli altri enti od organismi a ordinamento regionale  o
provinciale  finanziati  dalle  stesse  in  via  ordinaria",  e   che
stabilisce inoltre che "le province vigilano sul raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al  presente
comma ed  esercitano  sugli  stessi  il  controllo  successivo  sulla
gestione dando notizia degli  esiti  alla  competente  sezione  della
Corte dei conti" (si vedano poi anche gli art. 54, n. 5, e 80  St.  e
l'art. 6, co. 3-bis, dPR 305/1988). 
    Inoltre, trattandosi di materie di competenza regionale, l'art. 5
viola l'art. 4 d. lgs.  266/1992,  che  esclude  il  conferimento  di
funzioni amministrative comprese quelle  di  vigilanza  -  ad  organi
statali (su questo punto v. le sentt. 182/1997 e 228/1993). 
    Infine, l'art. 5, co. 2, prevede un atto  regolativo  in  materia
regionale e, dunque, viola  il  divieto  di  regolamenti  statali  in
materie regionali (art. 117, co. 6, Cost. e art. 2 d. 1gs.  266/1992)
o, se si considera l'atto non normativo, l'art. 4 d. lgs. 266/1992. 
    6) Illegittimita' costituzionale dell'att 6. 
    L'art. 6 e' intitolato Responsabilita' politica del presidente di
provincia e del sindaco. Il comma 1 sostituisce l'art. 248, co. 5, d.
lgs.  267/2000,  stabilendo  che,  "fermo  restando  quanto  previsto
dall'articolo  1  della  legge  14   gennaio   1994,   n.   20,   gli
amministratori che la Corte dei conti ha  riconosciuto  responsabili,
anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave,  nei
cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto  finanziario,  non
possono ricoprire,  per  un  periodo  di  dieci  anni,  incarichi  di
assessore, di revisore dei conti di enti locali e  di  rappresentante
di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e
privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause  che  hanno
determinato il dissesto, accerti che questo  e'  diretta  conseguenza
delle azioni od omissioni per  le  quali  l'amministratore  e'  stato
riconosciuto responsabile". Inoltre, "i sindaci  e  i  presidenti  di
provincia ritenuti responsabili ai sensi del  periodo  precedente,...
non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle  cariche  di
sindaco,  di  presidente  di  provincia,  di  presidente  di   Giunta
regionale, nonche' di membro  dei  consigli  comunali,  dei  consigli
provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento
e del Parlamento europeo", e "non possono altresi' ricoprire  per  un
periodo di tempo di dieci  anni  la  carica  di  assessore  comunale,
provinciale  o  regionale  ne'  alcuna  carica  in  enti  vigilati  o
partecipati  da   enti   pubblici".   Qualora,   "a   seguito   della
dichiarazione  di  dissesto,  la  Corte  dei  conti   accerti   gravi
responsabilita' nello svolgimento  dell'attivita'  del  collegio  dei
revisori, ... i componenti del collegio riconosciuti  responsabili...
non possono essere nominati nel  collegio  dei  revisori  degli  enti
locali e degli enti ed organismi agli  stessi  riconducibili  fino  a
dieci anni, in funzione della gravita' accertata". 
    In base all'art. 6, co. 2, "qualora dalle pronunce delle  sezioni
regionali  di  controllo   della   Corte   dei   conti   emergano,...
comportamenti difformi dalla sana  gestione  finanziaria,  violazioni
degli obiettivi della  finanza  pubblica  allargata  e  irregolarita'
contabili o squilibri strutturali del bilancio  dell'ente  locale  in
grado di provocarne il dissesto finanziario  e  lo  stesso  ente  non
abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte dei conti,  le
necessarie misure correttive previste  dall'articolo  1,  comma  168,
della  legge  23  dicembre  2005,  n.  266,  la  competente   sezione
regionale, accertato 
    l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto e alla Conferenza
permanente per il coordinamento della finanza  pubblica".  In  questi
casi, ove sia accertato il perdurare dell'inadempimento, "il Prefetto
assegna al Consiglio... un termine non superiore a venti  giorni  per
la  deliberazione  del  dissesto".  Decorso   infruttuosamente   tale
termine, "il Prefetto nomina  un  commissario  per  la  deliberazione
dello  stato  di  dissesto  e  da'  corso  alla  procedura   per   lo
scioglimento del consiglio dell'ente ai sensi dell'articolo  141  del
citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000". 
    La norma modificata dall'art. 6, co.  1,  in  quanto  costituisce
parte integrante del t.u. enti locali come nuovo art.  248,  dovrebbe
essere ritenuta inapplicabile alla  Regione  Trentino-Alto  Adige  in
virtu' dell'art.  1,  co.  2,  dello  stesso  testo  unico  (d.  lgs.
267/2000), secondo cui "le disposizioni del presente testo unico  non
si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome
di Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni  previste
dagli statuti e dalle relative norme di attuazione". 
    Qualora, invece, fosse ritenuto  prevalente  l'art.  13  d.  lgs.
149/2011, l'art. 6, co. 1, recando norme sanzionatone dettagliate  ed
autoapplicative in materia di ordinamento degli  enti  locali,  senza
possibilita' di svolgimento da parte della Regione, verrebbe a ledere
(sempre a non considerare qui la potesta' della Provincia in  materia
di finanza locale) tale competenza regionale (art. 4, n. 3, St.). 
    Invece, l'art. 6, co. 2, non modifica il t.u. enti locali.  Esso,
se applicato  alla  Regione  ex  art.  13  d.  lgs.  149/2011,  viola
chiaramente le norme che attribuiscono  alla  Regione  competenza  in
materia di ordinamento degli enti locali (oltre  a  ledere  i  poteri
provinciali di vigilanza e di controllo di gestione: artt. 54, n.  5,
79, co. 3, e 80 St., e art. 6, co. 3-bis, dPR 305/1988; in  sostanza,
si  introducono  forme  di  controllo  ulteriori  rispetto  a  quelle
previste dallo Statuto e dalle norme di attuazione). 
    E' da precisare che la materia dello  scioglimento  degli  organi
comunali e della nomina dei  commissari  e'  disciplinata  a  livello
regionale: v. gli artt. 82 e 83 d.P.G.reg. 1 febbraio 2005, n. 3/L. 
    7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7. 
    Fra le disposizioni contenute negli artt. da 1 a 7, l'art.  7  e'
l'unico che menziona espressamente le autonomie speciali. 
    Dunque, esso si rivolge ad esse a  prescindere  dall'art.  13  d.
lgs. 149/2011, prevedendo sanzioni a carico delle Regioni speciali  e
delle Province autonome in caso di "mancato  rispetto  del  patto  di
stabilita' interno". 
    Il comma 1 stabilisce che la  Regione,  "nell'anno  successivo  a
quello dell'inadempienza: a) e'  tenuta  a  versare  all'entrata  del
bilancio statale... l'importo corrispondente alla differenza  tra  il
risultato registrato e l'obiettivo  programmatico  predeterminato...;
b) non puo' impegnare spese correnti, al netto  delle  spese  per  la
sanita',  in  misura  superiore  all'importo   annuale   minimo   dei
corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio; c)  non  puo'
ricorrere all'indebitamento per  gli  investimenti;...  d)  non  puo'
procedere  ad  assunzioni  di  personale  a  qualsiasi  titolo,   con
qualsivoglia tipologia  contrattuale,  ivi  compresi  i  rapporti  di
collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche
con riferimento ai processi di  stabilizzazione  in  atto...;  e)  e'
tenuta a rideterminare le indennita' di  funzione  ed  i  gettoni  di
presenza del  Presidente  e  dei  componenti  della  Giunta  con  una
riduzione del 30 per cento  rispetto  all'ammontare  risultante  alla
data del 30 giugno 2010". 
    Il secondo  comma  prevede  analoghe  conseguenze  per  gli  enti
locali. 
    Tali  disposizioni   sono   illegittime   e   gravemente   lesive
dell'autonomia regionale, come  nuovamente  codificata,  mediante  la
procedura di cui all'art. 104 dello  Statuto,  proprio  in  relazione
alle regole relative al patto di  stabilita'  ed  al  concorso  della
Regione agli obbiettivi di finanza pubblica. 
    In particolare, il comma 1 viola l'art. 79  St.  (frutto  appunto
della indicata modifica), che prevede le misure con cui la Regione  e
le  Province  "concorrono  al  conseguimento   degli   obiettivi   di
perequazione e di solidarieta' e  all'esercizio  dei  diritti  e  dei
doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi
di carattere  finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,  dal
patto di stabilita' interno e dalle  altre  misure  di  coordinamento
della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale", e  dispone
che  "le  misure  di  cui  al  comma  1  possono  essere   modificate
esclusivamente con la procedura prevista  dall'articolo  104  e  fino
alla loro eventuale  modificazione  costituiscono  il  concorso  agli
obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1". 
    Inoltre, nel comma 3  l'art.  79  stabilisce  le  regole  per  la
definizione del patto di stabilita' e prevede espressamente che  "non
si applicano le misure adottate per le regioni e per gli  altri  enti
nel restante territorio nazionale"; il  comma  4  ribadisce  che  "le
disposizioni  statali  relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di
perequazione e di solidarieta', nonche' al  rispetto  degli  obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo". 
    Dunque,  appare   chiara   l'illegittimita'   dell'art.   7:   il
legislatore ordinario non puo' alterare unilateralmente l'assetto dei
rapporti in materia finanziaria disegnato dallo Statuto,  assimilando
la  posizione  della  Regione  Trentino-Alto  Adige  -  regolata   da
disciplina speciale - a quella delle Regioni ordinarie. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale. 
    Cosi', ad es., la sent. n. 82 del 2007 ha  riconosciuto  che  "la
previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto
speciale e  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  per  la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche'  dei
relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione" della "speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le  predette  Regioni,
in forza dei loro statuti" (punto 6 del Diritto); e  nella  sent.  n.
353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre
per la determinazione delle spese), introdotto  per  la  prima  volta
dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in  tutte  le  leggi
finanziarie successivamente  adottate,  deve  essere  tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita'  di  un  accordo  tra  lo
Stato e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce  dall'esigenza  di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi». 
    Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato
un atto ministeriale che aveva  unilateralmente  modificato  l'elenco
delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che  "il
legislatore  statale  ben  potrebbe  intervenire,  se  lo   ritenesse
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia:  ma
dovrebbe farlo, comunque, dopo  aver  sentito  la  Regione  (art.  65
Statuto Friuli - Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine
nella complessa vicenda senza turbare i delicati  rapporti  coll'Ente
Regione". 
    Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha
giudicato di alcune norme  legislative  statali  che  disponevano  la
riserva  a  favore  dell'erario  delle  entrate  derivanti  da  altre
disposizioni e che erano  contestate  per  violazione  dello  Statuto
siciliano  e  delle  relative  norme  di  attuazione.  La  Corte   ha
riconosciuto l'esistenza del "principio... di leale cooperazione  fra
Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'
dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze  fra
le  rispettive  sfere  e  i  rispettivi  ambiti  finanziari",  e   ha
sottolineato che "sono espressioni significative di tale esigenza  le
norme di attuazione di  altri  statuti  speciali,  le  quali,  a  tal
proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate  a  partecipare
le Regioni". La Corte ha, dunque, statuito  che  le  norme  impugnate
dovevano prevedere "procedimenti non unilaterali, ma che  contemplino
una partecipazione della Regione direttamente interessata". 
    Il principio consensuale e' stato ribadito piu'  di  recente,  in
relazione  alla  Provincia  di  Trento,  dalla  sent.  133/2010.   La
Provincia aveva impugnato l'art. 9-bis,  co.  5,  d.l.  78/2009,  che
attribuiva al Presidente del Consiglio  dei  ministri  il  potere  di
fissare «i criteri per la  rideterminazione,  a  decorrere  dall'anno
2009, dell'ammontare dei proventi  spettanti  a  regioni  e  province
autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle  regioni
ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi  compresi
quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».
La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che
tale norma incidesse sui rapporti  finanziari  intercorrenti  tra  lo
Stato, la Regione e le Province autonome,  e  che  "pertanto  avrebbe
dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato  art.
104 dello statuto speciale, ove e' richiesto  il  necessario  accordo
preventivo di Stato e Regione". 
    In effetti, e' chiaramente illegittimo  che  lo  Stato,  con  una
fonte  primaria  unilateralmente  adottata,  alteri   l'assetto   dei
rapporti  finanziari  tra  Stato  e  Regione  autonoma,  laddove   il
principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa  materia  ed
e' stato ribadito proprio con la recente riforma statutaria. 
    In subordine, qualora si  ritenesse  possibile  l'intervento  del
legislatore   statale   ordinario   (nonostante   l'art.   79   St.),
risulterebbe ovviamente violato anche l'art. 2 del d. lgs. n. 266 del
1992, in quanto, in  materia  di  competenza  regionale,  non  vi  e'
applicazione diretta della legislazione statale, ma  soltanto  dovere
di adeguamento da parte della Regione.