Ricorso della Regione Lazio, con sede  in  Roma,  via  Cristoforo
Colombo n. 212 (C.F. 80143490581), in persona  della  Presidente  pro
tempore, Renata  Polverini,  rappresentata  e  difesa,  in  forza  di
procura a margine del presente atto ed in virtu' della  Deliberazione
della Giunta regionale n. 521/2011 dal prof. avv.  Francesco  Saverio
Marini                  (C.F.MRNFNC73D28HSO1U;                   PEC:
francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.org;   fax:   06.36001570),
presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli,  48,  ha  eletto
domicilio ricorrente; contro il Governo della Repubblica, in  persona
del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore,  con  sede  in
Roma, Palazzo Chigi, piazza Colonna, 370, rappresentato e  difeso  ex
lege dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via
dei   Portoghesi,   12,   resistente;   per   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale del  decreto  legislativo  6  settembre
2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a  regioni,
province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26  della  legge  5
maggio 2009, n. 42), pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  -  serie
generale - n. 219 del 20 settembre 2011, limitatamente agli  articoli
1, 2, 3 e 7, per violazione degli articoli 117, 119, 120, 122, 123  e
126 della Costituzione, anche in combinato  disposto  con  l'art.  76
Cost., nonche' per violazione del principio di leale collaborazione e
dell'art. 9, comma 2, 1. cost. n. 3/2001. 
 
                                Fatto 
 
    1.  Con  il  decreto  legislativo  6  settembre  2011,   n.   149
(Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a  Regioni,  Province  e
Comuni a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5  maggio  2009,
n. 42), adottato in attuazione della delega contenuta nella  legge  5
maggio 2009, n. 42 (Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo
fiscale,  in  attuazione  dell'articolo  119  della  Costituzione)  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20  settembre  2011  n.  219,  il
legislatore statale ha inteso introdurre nell'ordinamento «un sistema
premiante nei confronti degli enti che  assicurano  elevata  qualita'
dei servizi e livello della pressione fiscale», nonche' meccanismi di
tipo sanzionatorio «nei confronti degli enti meno  virtuosi  rispetto
agli obiettivi di finanza pubblica» (cfr. art. 17, legge delega). 
    2. L'art. 1, comma 1, del decreto legislativo impugnato,  dispone
quanto segue: «Al fine di garantire il  coordinamento  della  finanza
pubblica,  il  rispetto  dell'unita'  economica  e  giuridica   della
Repubblica, il principio di trasparenza delle decisioni di entrata  e
di spesa, le Regioni sono tenute a redigere  una  relazione  di  fine
legislatura». 
    3. Tale relazione deve essere sottoscritta, ai sensi del comma  2
dello stesso articolo, dal Presidente  della  Regione  non  oltre  il
novantesimo giorno antecedente la data di scadenza della legislatura,
e  deve  contenere  «la  descrizione  dettagliata  delle   principali
attivita' normative e amministrative svolte durante la legislatura». 
    4. L'art. 2  del  medesimo  decreto,  rubricato  «Responsabilita'
politica del Presidente della  giunta  regionale»,  al  suo  comma  1
prevede che: «La  fattispecie  di  grave  dissesto  finanziario,  con
riferimento al  disavanzo  sanitario,  si  verifica  in  una  regione
assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'articolo 2,  comma  77,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al  verificarsi  congiuntamente
delle seguenti condizioni: 
        a) il presidente della giunta regionale, nominato Commissario
ad acta ai sensi dell'articolo 2,  rispettivamente  commi  79  e  83,
della citata legge n. 191 del 2009, non abbia adempiuto, in  tutto  o
in parte, all'obbligo di  redazione  del  piano  di  rientro  o  agli
obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso; 
        b) si riscontri,  in  sede  di  verifica  annuale,  ai  sensi
dell'articolo 2, comma 81, della citata legge n.  191  del  2009,  il
mancato raggiungimento degli obiettivi  del  piano  di  rientro,  con
conseguente  perdurare  del  disavanzo  sanitario  oltre  la   misura
consentita dal piano medesimo o suo aggravamento; 
        c) sia  stato  adottato  per  due  esercizi  consecutivi,  in
presenza del mancato raggiungimento  degli  obiettivi  del  piano  di
rientro e del conseguente incremento delle aliquote  fiscali  di  cui
all'articolo 2, comma 86, della citata legge  n.  191  del  2009,  un
ulteriore   incremento   dell'aliquota   dell'addizionale   regionale
all'Irpef al livello massimo previsto  dall'articolo  6  del  decreto
legislativo 6 maggio 2011, n. 68». 
    5. Il comma 2, dell'art. 2 sopra citato, stabilisce, poi, che  il
«grave dissesto finanziario» di cui  al  comma  1  costituisce  grave
violazione di legge ai sensi  dell'art.  126  Cost.  e  determina  lo
scioglimento  del  Consiglio  regionale  nonche'  la  rimozione   del
Presidente della Giunta regionale. 
    Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, il Presidente rimosso
e' incandidabile per un periodo di tempo di 10 anni.  Per  lo  stesso
periodo non puo' essere nominato quale componente di alcun  organo  o
carica di governo degli enti locali, delle  Regioni,  dello  Stato  e
dell'Unione europea. 
    6. L'art. 3, del d. lgs. n. 149 del 2011, stabilisce,  dal  canto
suo, l'automatica decadenza dei direttori generali e, previa verifica
delle  rispettive  responsabilita'  del   dissesto,   dei   direttori
amministrativi  e  sanitari  degli  enti   del   Servizio   sanitario
regionale,  del  dirigente  responsabile  dell'assessorato  regionale
competente, nonche' dei componenti  del  collegio  dei  revisori  dei
conti, nel caso  si  verifichi  una  situazione  di  «grave  dissesto
finanziario».  Nei  confronti  dei  medesimi  soggetti  e'  prevista,
inoltre, l'interdizione  da  qualsiasi  carica  in  Enti  vigilati  o
partecipati dagli Enti pubblici, per un periodo non  superiore  a  10
anni. 
    7. L'art. 7 del decreto legislativo impugnato,  infine,  prevede,
per quel che qui interessa, che nel  caso  di  mancato  rispetto  del
patto di stabilita' interno le Regioni siano assoggettate,  nell'anno
successivo a quello dell'inadempimento, ad una serie di sanzioni, tra
le quali: l'obbligo di versamento all'entrata  del  bilancio  statale
dell'importo  corrispondente  alla  differenza   tra   il   risultato
registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato; il divieto  di
ricorrere all'indebitamento  per  gli  investimenti;  il  divieto  di
procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo. 
    8. Ebbene, le richiamate disposizioni statali sono illegittime in
quanto contrarie a  Costituzione,  e  meritano  di  essere  annullate
poiche' determinano  la  indebita  lesione  di  sfere  di  competenza
costituzionalmente garantite in capo alla Regione ricorrente. 
    9. Prima di esaminare  nel  dettaglio  i  molteplici  profili  di
incostituzionalita' della disciplina recata dal  d.lgs.  n.  149  del
2011, sia consentito altresi' rilevare che  le  Regioni,  gia'  nella
fase di formazione di tale  atto  normativo,  avevano  formulato  una
serie di rilievi di illegittimita' sullo schema di  decreto  proposto
dal Governo. 
    In data 18  maggio  2011  non  veniva  raggiunta,  in  seno  alla
Conferenza Unificata, l'intesa  sullo  schema  di  provvedimento,  il
quale  veniva  comunque  trasmesso  dal  Governo   alle   Commissioni
parlamentari competenti per l'espressione del relativo parere,  senza
che, peraltro, venissero motivate le ragioni alla  base  del  mancato
raggiungimento dell'accordo. 
    10. Successivamente, in data 27 luglio 2011, il Presidente  della
Conferenza  delle  Regioni  e  delle  Province  autonome  rilevava  -
all'esito dell'esame della nuova versione del testo, come  risultante
dagli emendamenti proposti dai Relatori della Commissione  bicamerale
per  l'attuazione  del  federalismo  fiscale  -  come  nessuna  delle
osservazioni critiche mosse dalla Conferenza  medesima,  fosse  stata
tenuta nella dovuta considerazione. Lo stesso Presidente  evidenziava
1'«esorbitanza» dell'intervento legislativo di cui trattasi-specie in
relazione  ai  profili  sanzionatori  previsti  nei   confronti   dei
Presidenti regionali (art. 2), nonche'  la  sua  non  rispondenza  al
quadro costituzionale  di  riferimento  ed  il  connesso  rischio  di
compromissione della tenuta complessiva del sistema  delle  relazioni
istituzionali, sottolineando la necessita' di un  percorso  condiviso
nel rispetto dei principi di reciprocita' e di leale collaborazione. 
    11. Tutto cio' premesso,  la  Regione  Lazio,  come  in  epigrafe
rappresentata   e   difesa,   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 7 del d. lgs. n. 149/2011, in
riferimento agli articoli 117, comma 4, 119, 120, 121,122, 123 e  126
della Costituzione, anche in combinato disposto con l'art. 76  Cost.,
nonche' per  violazione  del  principio  di  leale  collaborazione  e
dell'art. 9, comma 2, 1. cost. n.  3/2001,  alla  luce  dei  seguenti
motivi di 
 
                               Diritto 
 
    I.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,   del   decreto
legislativo  n.  149  del  2011,  per  violazione  delle   competenze
costituzionalmente  garantite  in  capo  alla  regione  lazio   dagli
articoli 123 cost., 9, comma 2, l. cost. n. 3 del 2011 e  117,  comma
4, cost. 
    Come rilevato in narrativa, l'art. 1 del decreto  legislativo  n.
149 del 2011 impone alle Regioni di redigere una «relazione  di  fine
legislatura», che deve essere sottoscritta dal  Presidente  regionale
non oltre il novantesimo giorno antecedente la data di  scadenza  del
proprio mandato (art. 1, comma 1). 
    Tale relazione deve contenere, ai sensi del successivo  comma  4,
«la descrizione dettagliata delle principali  attivita'  normative  e
amministrative  svolte  durante   la   legislatura,   con   specifico
riferimento a: 
      i) sistema ed esiti dei controlli interni; 
      ii) eventuali rilievi della Corte dei conti; 
      iii) eventuali carenze riscontrate nella  gestione  degli  enti
comunque sottoposti al controllo della Regione,  nonche'  degli  enti
del  servizio  sanitario  regionale,  con  indicazione  delle  azioni
intraprese per porvi rimedio; 
      iv) eventuali azioni intraprese per  contenere  la  spesa,  con
particolare riguardo a quella sanitaria,  e  stato  del  percorso  di
convergenza ai costi standard; 
      v) situazione  economica  e  finanziaria,  in  particolare  del
settore  sanitario,  quantificazione  certificata  della  misura  del
relativo indebitamento regionale; 
        vi) individuazione di eventuali specifici  atti  legislativi,
regolamentari o amministrativi  cui  sono  riconducibili  effetti  di
spesa incompatibili con gli obiettivi e i vincoli di bilancio; 
        vii) stato certificato del bilancio regionale (art. 1,  comma
4). 
    E' evidente, stante quanto  precede,  che  la  disciplina  recata
dall'art. 1 del decreto legislativo oggetto  del  presente  giudizio,
introduce  una  forma  di   controllo   generalizzato   del   Governo
sull'attivita' della Regione. 
    Tale controllo,  peraltro,  ha  natura  sostanzialmente  politica
atteso che, per espressa previsione di legge, la relazione di cui  si
discute deve avere ad oggetto l'attivita',  anche  normativa,  svolta
dalle Regioni durante la «legislatura». 
    E non puo' certo  dubitarsi  che  il  riferimento  espresso  alla
«legislatura» - nozione di per se' politica, che indica il periodo di
durata effettiva del mandato politico conferito dagli elettori a  una
data  maggioranza  -  finisce  per  caratterizzare  politicamente  il
controllo  che  l'Esecutivo  ha  riservato   a   se'   sull'attivita'
regionale. 
    Cio' determina, a ben vedere, l'incostituzionalita' dell'art.  1,
d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento agli articoli  123  Cost.,  9,
comma 2, 1. cost. n. 3/2001,  e  117,  comma  4  Cost.,  per  lesione
dell'autonomia riconosciuta dalla Costituzione agli Enti regionali e,
quindi,  alla  Regione  Lazio,  nonche'  per  difetto   assoluto   di
competenza in capo allo Stato ad intervenire negli  ambiti  materiali
sopra menzionati. 
    La violazione dell'art. 123 Cost. rileva sol che si consideri che
la  previsione  costituzionale  riserva  allo  Statuto  regionale  la
disciplina della «forma di governo» e dei «principi  fondamentali  di
organizzazione  e  funzionamento  della  Regione»,   precludendo   al
legislatore statale, di contro a quanto accaduto nel caso di  specie,
di incidere in tale ambito competenziale. 
    E non vi e' dubbio, a tale riguardo, che l'obbligo di redigere la
relazione di fine legislatura, di cui al menzionato art. 1,  d.  lgs.
n. 149  del  2011,  attiene  all'organizzazione  e  al  funzionamento
dell'Ente  regionale,  ed  e',  pertanto,  aspetto   riservato   alla
normativa statutaria e non certo a quella statale. 
    Parimenti leso per effetto della disposizione impugnata e' l'art.
9,  comma  2,  1.  cost.  n.  3  del  2011,  il  quale  ha   disposto
l'abrogazione dell'art. 125, comma 1,  Cost.,  norma  che  consentiva
allo  Stato,  come  noto,  di  esercitare  un  controllo,  tanto   di
legittimita' quanto di merito, sugli atti delle Regioni. 
    Ora,  tenuto  conto  che  tale  previsione  e'   stata   abrogata
espressamente dal  citato  art.  9,  comma  2,  l'incostituzionalita'
dell'art. 1 risulta di tutta evidenza, atteso che la  norma  da  esso
recata  e'  volta  a  reintrodurre  nell'ordinamento  un  sistema  di
controllo  governativo  sull'attivita'  regionale  che   la   novella
costituzionale ha inteso eliminare in radice. 
    Ugualmente violata, infine,  e'  la  competenza  esclusiva  della
Regione Lazio in materia di «organizzazione amministrativa»,  di  cui
all'art. 117, comma 4,  Cost..  Il  controllo  generalizzato  di  cui
all'art. 1, infatti, interferisce  senza  meno  anche  nella  materia
suddetta, la quale va ricondotta, a seguito della riforma del  titolo
V  della  Costituzione,  nella   competenza   legislativa   residuale
regionale, come piu' volte ribadito da codesta Ecc.ma Corte, la quale
ha affermato, gia' a partire dalla nota sentenza n. 274/2003, che «le
Regioni sono dotate ai sensi del  comma  4  dell'art.  117  Cost.  di
poteri legislativi propri in tema di organizzazione amministrativa  e
ordinamento del personale». 
    Si  insiste,  pertanto,  alla  luce  delle   considerazioni   che
precedono,  per  la  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, d.lgs. n. 149 del 2011. 
    II.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  del   decreto
legislativo  n.  149  del  2011,  per  violazione  delle   competenze
costituzionalmente  garantite  in  capo  alla  regione  lazio   dagli
articoli 120, 122, 123 e 126 cost., anche in combinato  disposto  con
l'art. 76 Cost.. 
    L'art. 2, d.lgs. n.  149  del  2011,  rubricato  «Responsabilita'
politica  del  Presidente  della  Giunta  regionale»,   deve   essere
annullato in quanto contrario agli articoli 120, 121, 122, 123 e  126
Cost.,  anche  in  combinato  disposto  con  l'art.  76  Cost.,   con
conseguente lesione  delle  sfere  di  competenza  costituzionalmente
garantite in capo alla Regione ricorrente. La disposizione di cui  si
discute prevede, in particolare, la rimozione  del  Presidente  della
Giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale nel caso in cui, «in
una Regione assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'articolo 2,
comma 77, della legge 23 dicembre  2009,  n.  191»,  si  realizzi  la
fattispecie  di  «grave  dissesto  finanziario  con  riferimento   al
disavanzo sanitario». 
    Ai  sensi  del  comma  1,  la  fattispecie  di  «grave   dissesto
finanziario» si  concretizza  «al  verificarsi  congiuntamente  delle
seguenti condizioni»: 
        a) il Presidente della Giunta, nominato Commissario ad  acta,
non abbia adempiuto, in tutto o in parte,  all'obbligo  di  redazione
del piano di rientro o  agli  obblighi  operativi,  anche  temporali,
derivanti dal piano stesso; 
        b) si riscontri, in sede  di  verifica  annuale,  il  mancato
raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con  conseguente
perdurare del disavanzo sanitario  oltre  la  misura  consentita  dal
piano medesimo o suo aggravamento; 
        c) sia  stato  adottato  per  due  esercizi  consecutivi,  in
presenza del mancato raggiungimento  degli  obiettivi  del  piano  di
rientro e del conseguente incremento delle aliquote  fiscali  di  cui
all'articolo 2, comma 86, della citata legge  n.  191  del  2009,  un
ulteriore   incremento   dell'aliquota   dell'addizionale   regionale
all'Irpef al livello massimo. Ai sensi dell'art. 2, comma 2, il grave
dissesto finanziario di cui al comma 1 costituisce «grave  violazione
di legge e in tal caso con decreto del Presidente  della  Repubblica,
ai sensi dell'articolo 126, comma  primo,  della  Costituzione,  sono
disposti lo scioglimento del Consiglio regionale nonche' la rimozione
del Presidente della Giunta regionale per responsabilita' politica». 
    Il Presidente rimosso, in base a  quanto  previsto  dall'art.  2,
comma 3, e' «incandidabile alle cariche elettive  a  livello  locale,
regionale, nazionale ed europeo per un  periodo  di  tempo  di  dieci
anni» e non puo', inoltre, «essere nominato quale componente di alcun
organo o carica di governo degli enti locali,  delle  Regioni,  dello
Stato e dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni». 
    Cio' premesso, occorre rilevare come tutte le norme recate  dalle
disposizioni  piu'  sopra  richiamate  si   mostrano   manifestamente
illegittime per contrasto con gli articoli 120, 121, 122, 123  e  126
Cost., nonche' per lesione  del  principio  di  leale  collaborazione
(aspetto, quest'ultimo, che sara' esaminato al punto V  del  presente
ricorso). 
    Valgano, in proposito, le seguenti considerazioni. 
    Anzitutto, con particolare riferimento al combinato  disposto  di
cui  al  citato  art.  2,  commi  1  e  2,   e'   bene   evidenziarne
l'incostituzionalita' per violazione dell'art. 126 Cost. 
    La  previsione  costituzionale  da  ultimo  richiamata,  infatti,
riserva a un decreto del Presidente della Repubblica la rimozione del
Presidente regionale e lo scioglimento del Consiglio, nel caso in cui
«abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi  violazioni
di legge». 
    Spetta  unicamente  al  Capo  dello  Stato,  dunque,  e  non   al
legislatore, valutare, caso per caso  ed  ex  post,  se  siano  stati
compiuti «atti contrari alla Costituzione»  o  «gravi  violazioni  di
legge». 
    Poste tali premesse, l'incostituzionalita' del combinato disposto
di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 2,  d.  lgs.  n.  149  del  2011,  e'
evidente, atteso che  il  legislatore  statale  si  e'  indebitamente
sostituito al Capo dello  Stato  in  ordine  alla  valutazione  sulla
ricorrenza dei presupposti che legittimerebbero  la  rimozione  e  lo
scioglimento. 
    In altri termini, piu'  chiaramente,  il  legislatore  non  aveva
alcun titolo - di contro a quanto accaduto - per  prevedere  che  «il
dissesto finanziario di cui al comma 1» costituisce «grave violazione
di legge» ai sensi dell'art. 126 Cost. - atteso che la valutazione su
cosa debba  intendersi  per  «grave  violazione  di  legge»,  nonche'
l'individuazione   dei   casi   in   cui    detta    violazione    si
concretizzerebbe, e' rimessa  dalla  Costituzione  esclusivamente  al
Presidente della Repubblica. 
    La disciplina recata dall'art.  2,  commi  1  e  2,  del  decreto
legislativo impugnato, si mostra,  pertanto,  manifestamente  viziata
per violazione  dell'art.  126  Cost.,  la  quale  si  riflette,  tra
l'altro, sulla lesione delle competenze costituzionalmente  garantite
in  capo  al  Presidente  della  Regione  e  al  Consiglio  regionale
dall'art. 121 Cost., ugualmente leso dalle norme impugnate. 
    Si insiste, quindi, per l'annullamento del combinato disposto  di
cui all'art. 2, commi 1 e 2, alla luce dei rilievi sin qui esposti. 
    Inoltre, sempre sul punto, si rileva che le  sanzioni  introdotte
dal  legislatore  statale   a   carico   del   Presidente   regionale
presuppongono l'assoggettamento della Regione al  «piano  di  rientro
sanitario» e che, inoltre, le gravi infrazioni siano  state  commesse
dal Presidente nella propria qualita' di «commissario ad acta». 
    Cosi' stando le cose, la  sanzione  della  rimozione  appare  del
tutto esorbitante ed impropria, in quanto  la  stessa  puo'  operare,
alla luce del dettato costituzionale, solo con riferimento  a  «gravi
violazioni di legge» che il Presidente regionale abbia commesso nella
propria qualita' di organo politico-istituzionale  di  vertice  della
Regione, e non quale Commissario straordinario. 
    Cio' determina,  sotto  concorrente  profilo,  anche  la  lesione
dell'art. 120  Cost.,  atteso  che  il  legislatore  statale  avrebbe
dovuto,  coerentemente  con  la   disposizione   costituzionale   ora
richiamata, prevedere unicamente l'esercizio del  potere  sostitutivo
da parte del Governo - in ordine alle funzioni amministrative  svolte
dal Presidente  regionale  in  qualita'  di  Commissario  ad  acta  -
anziche' disporre la sanzione della rimozione. 
    Fermo restando quanto sopra, anche il comma 3, dell'art.  2,  del
d. lgs. n. 149 del 2011, e' da ritenersi -  e  in  modo  manifesto  -
costituzionalmente illegittimo per lesione delle competenze assegnate
in  maniera  espressa  dagli  articoli  122  e  123  Cost.   all'ente
regionale. 
    La  disposizione  statale,  giova  rammentarlo,  prevede  che  il
Presidente regionale rimosso sia «incandidabile alle cariche elettive
a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un  periodo  di
tempo di dieci anni». Ebbene, e' evidente che la disciplina  relativa
ai  casi  di  incandidabilita'  rientra  tra  le  competenze  che  la
Costituzione  assegna  all'autonomia  normativa  regionale,  in   via
diretta e non superabile dal legislatore statale. Si tratta, infatti,
di un  aspetto  che  viene  pacificamente  ricondotto  all'alveo  del
«sistema   di   elezione»   e   «casi   di   ineleggibilita'   e   di
incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta
regionale, nonche' dei consiglieri regionali» che, in  base  all'art.
122 Cost., e' rimesso in via esclusiva alla legge regionale. 
    La violazione dell'art. 122 Cost.  ad  opera  della  disposizione
impugnata si riverbera, altresi', sulla  lesione  delle  attribuzioni
regionali di cui all'art. 123 Cost., in base  al  quale  spetta  allo
Statuto regionale regolare  la  «forma  di  governo»  regionale  e  i
«principi  fondamentali  di  organizzazione  e  funzionamento»  della
Regione. 
    L'illegittimita' dell'art. 2, comma 3, rileva, poi,  anche  sotto
l'ulteriore profilo della violazione indiretta  dell'art.  76  Cost.,
per eccesso di delega ad opera del Governo. 
    Il comma 3, infatti, impedisce al Presidente  rimosso  di  essere
nominato quale componente di alcun organo o carica di  governo  degli
enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea per  un
periodo di tempo di dieci anni. 
    Cio', tuttavia, risulta in contrasto con l'art.  17  della  legge
delega, che non contempla affatto la sanzione  dell'interdizione  con
riferimento al Presidente della Giunta (art. 17, comma 1, lett. e, 1.
n. 42/2009). Tale violazione  costituzionale  ridonda  sulla  lesione
delle competenze  spettanti  alla  Regione  ricorrente  per  effetto,
secondo quanto si e' gia' chiarito, degli articoli 117, comma 4, 120,
121, 122, 123 e 126 Cost.. 
    Alla luce di  tutte  le  considerazioni  che  precedono,  voglia,
pertanto,  codesta  Ecc.ma  Corte  dichiarare   l'incostituzionalita'
dell'art. 2, d. lgs. n. 149 del  2011,  sotto  i  profili  e  per  le
ragioni dinanzi esposte. 
    III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3  (con  particolare
riferimento ai commi 1 e 2) del decreto legislativo n. 149 del  2011,
per violazione dell'art. 117, comma 4 e 123 cost., anche in combinato
disposto con l'art. 76 cost.. 
    L'art. 3, d. lgs.  n.  149  del  2011,  e'  rubricato  «Decadenza
automatica e interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei
conti». 
    Esso prevede, al  primo  comma,  che  il  verificarsi  del  grave
dissesto finanziario determina «la decadenza automatica dei direttori
generali e, previa  verifica  delle  rispettive  responsabilita'  del
dissesto, dei direttori amministrativi  e  sanitari  degli  enti  del
Servizio   sanitario   regionale,    del    dirigente    responsabile
dell'assessorato regionale competente,  nonche'  dei  componenti  del
collegio dei revisori dei conti». 
    Ai medesimi soggetti si applica, ai sensi dell'art. 3,  comma  2,
l'interdizione da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati  da
enti pubblici, per un periodo di tempo di dieci anni. 
    Cio' premesso, le norme recate dai commi 1 e  2  dell'art.  3  si
mostrano illegittime poiche' vanno ad incidere indebitamente  su  una
sfera materiale, quella relativa  all'organizzazione  amministrativa»
della Regione di cui all'art. 117, comma 4,  Cost.,  riservata  dalla
Costituzione alla legislazione esclusiva regionale. 
    E' evidente, infatti, che la previsione della  decadenza,  ovvero
dell'interdizione, dei direttori generali, amministrativi e  sanitari
delle Asl, del  dirigente  responsabile  dell'assessorato  competente
nonche'  dei  revisori  dei  conti,  ricada  esattamente  nell'ambito
materiale di cui si e' appena detto. 
    A  conferma  dell'assunto  sia   sufficiente   considerare,   con
specifico riferimento agli organi  apicali  delle  aziende  sanitarie
regionali, che queste ultime sono costituite con legge regionale  (la
n. 18 del 1994); sono sottoposte al controllo, alla  vigilanza  e  al
potere d'indirizzo regionali, sia  quanto  all'attivita'  che  quanto
agli organi;  i  loro  bilanci  e  rendiconti  sono  approvati  dalla
Regione, che assicura le  necessarie  risorse  finanziarie;  il  loro
organo istituzionale di vertice - il direttore generale - e' nominato
dal presidente della Regione. 
    Inoltre, come rilevato da codesta Ecc.ma Corte con la sentenza n.
233 del 2006, le norme che riguardano le nomine (e, dunque, anche  le
ipotesi di decadenza) degli organi di vertice e dei componenti «degli
enti pubblici, degli enti pubblici economici, delle aziende sanitarie
e  ospedaliere,  delle  societa'  controllate  o  partecipate,  delle
agenzie»  e,  in  generale,  «di  ogni  organismo  appartenente  alla
struttura organizzativa della  Regione»,  ricadono  nella  competenza
residuale delle Regioni di cui all'art. 117,  comma,  4,  Cost.,  «da
esercitare nel rispetto dei principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento fissati negli statuti (art. 123 Cost.)». 
    Lo Stato, pertanto, non ha alcun  titolo  per  intervenire  sulla
fattispecie di cui si discute, con conseguente illegittimita',  sotto
il profilo ora esaminato, del citato art. 3, commi 1 e 2, d. lgs.  n.
149/2001. 
    Ugualmente violato, per effetto della disposizione impugnata,  e'
l'art. 123 Cost., atteso che la sfera materiale  che  il  legislatore
statale ha preteso di disciplinare,  va  ricondotta  nell'alveo  «dei
principi fondamentali di organizzazione e funzionamento fissati negli
statuti» e,  quindi,  alla  normativa  statutaria.  In  quest'ambito,
inoltre, come piu' volte osservato dalla Corte, «la  Regione  dispone
di un autonomo potere normativo». Infatti, dopo la riforma  dell'art.
123 della Costituzione e la  eliminazione  della  approvazione  dello
statuto regionale da parte del Parlamento e l'armonia  con  le  leggi
della Repubblica, «i limiti a questa  rilevante  autonomia  normativa
possono  derivare  solo  da  norme   chiaramente   deducibili   dalla
Costituzione, come questa Corte ha gia' avuto occasione di  affermare
allorche' ha negato che essa sia  comprimibile  in  mancanza  di  una
disciplina costituzionale chiaramente  riconoscibile  o  tramite  non
controllabili inferenze e deduzioni da concetti generali,  assunti  a
priori (cfr., Corte cost., sent. n. 2/2004; sent. n. 313 del 2003). 
    Da cio' consegue, dunque, la contrarieta' del menzionato  art.  3
ai parametri costituzionali sopra richiamati, la  quale  si  riflette
nella lesione dell'autonomia costituzionale  riservata  alla  Regione
Lazio, sotto tutti i profili appena esaminati. 
    Si rileva, infine, sempre con riferimento all'art. 3,  d.lgs.  n.
149 del 2011, la violazione dell'art. 76 Cost., per eccesso di delega
- la quale ridonda in una illegittima  compressione  delle  sfere  di
competenza regionali - atteso che  la  norma  censurata  si  pone  in
distonia rispetto a quanto previsto dall'art. 17 della legge n. 42 de
2009, che  subordina,  tra  l'altro,  l'operativita'  dei  meccanismi
sanzionatori al verificarsi di  «attivita'  che  abbiano  causato  un
grave dissesto nelle finanze regionali". 
    L'art. 3, invece, prevede  che  le  sanzioni  della  decadenza  e
dell'interdizione operino automaticamente in caso di  grave  dissesto
finanziario,  a  prescindere  da  qualsivoglia  indagine   circa   la
sussistenza   di   «attivita'»,   cioe'   di   condotte   precise   e
circostanziate  imputabili  agli   organi   degli   enti,   tali   da
giustificare l'attivazione dei suddetti strumenti sanzionatori. 
    IV.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  del   decreto
legislativo n. 149 del 2011, per violazione degli articoli 119 e 117,
comma 4, cost.. 
    Quanto all'art. 7, d.lgs. n. 149 del 2011, esso prevede, nel caso
di mancato rispetto del patto di stabilita' interno, che  le  Regioni
siano assoggettate, nell'anno successivo a quello dell'inadempimento,
ad una serie di sanzioni. 
    Si tratta, tra le altre, di quelle di seguito riassunte: 
        a) versamento all'entrata del bilancio  statale  dell'importo
corrispondente  alla  differenza  tra  il  risultato   registrato   e
l'obiettivo programmatico predeterminato; 
        b) divieto di impegnare spese correnti, al netto delle  spese
per la sanita', in misura superiore all'importo  annuale  minimo  dei
corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio; 
        c) impossibilita'  di  ricorrere  all'indebitamento  per  gli
investimenti; 
        d)  divieto  di  procedere  ad  assunzioni  di  personale   a
qualsiasi  titolo,  con  qualsivoglia  tipologia  contrattuale,   ivi
compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e  di
somministrazione,   anche   con   riferimento    ai    processi    di
stabilizzazione in atto; 
        e)  divieto  di  stipulare  contratti  di  servizio  che   si
configurino come elusivi della presente disposizione; 
        f) obbligo di rideterminare le indennita' di  funzione  ed  i
gettoni di presenza del Presidente e dei componenti della Giunta  con
una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla
data  del  30  giugno  2010.  Ebbene,   non   occorrono   defatiganti
argomentazioni per dimostrare che la  disposizione  impugnata  incide
indebitamente,  comprimendola,   sull'autonomia   finanziaria   della
Regione ricorrente, costituzionalmente tutelata dall'art. 119 Cost.. 
    Ne' puo' ritenersi che il menzionato art.  7  possa  configurarsi
come legittimo esercizio  della  competenza  legislativa  concorrente
dello Stato in tema di «coordinamento della finanza  pubblica  e  del
sistema tributario», come costantemente affermato da  codesta  Corte,
da ultimo nella sent. n. 182 del 2011; lo Stato, infatti, dovrebbe in
ogni caso  limitarsi  a  dettare  esclusivamente  una  disciplina  di
principio, e non gia' norme di minuto dettaglio come  nella  presente
circostanza. In realta', l'oggetto  della  disciplina»  impugnata  e'
rappresentato  da  un  vasto  e  profondo   intervento   sull'assetto
finanziario regionale, rispetto al quale  lo  Stato  -  a  differenza
della Regione ricorrente - non puo' vantare alcuna competenza. 
    Risulta altresi' violato, per effetto del citato art.  7,  l'art.
117, comma 4 Cost., nella misura in cui  la  disposizione  statale  -
imponendo alle Regioni il  divieto  di  procedere  ad  assunzioni  di
personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale
- finisce per ledere la competenza legislativa regionale  in  materia
di «organizzazione amministrativa e del personale» della Regione.  Lo
Stato, infatti, non disciplina gli effetti  di  un  singolo  tipo  di
contratto,     incidendo     sull'ordinamento     civile,      bensi'
sull'organizzazione  del   personale   indipendentemente   dal   tipo
contrattuale. 
    Per tali  ragioni,  dunque,  voglia  la  Corte  adita  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, del d.lgs.  n.  149  del
2011, in riferimento agli articoli 119 e 117, comma 4, Cost.. 
    V. Con riferimento al mancato raggiungimento dell'intesa in  sede
di conferenza unificata. violazione,  ad  opera  di  tutte  le  norme
impugnate con il presente ricorso, del  principio  costituzionale  di
leale collaborazione. 
    Fermo restando quanto sin qui rilevato,  si  evidenzia,  inoltre,
come nessuna delle disposizioni impugnate  con  il  presente  ricorso
abbia previsto meccanismi di raccordo e  coordinamento  tra  Stato  e
Regioni nell'ambito della procedura volta all'accertamento del «grave
dissesto finanziario». 
    Cio' si riflette, evidentemente, nella violazione  del  principio
di leale collaborazione tra Stato e Regioni, ricavabile,  secondo  la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, dagli articoli  5  e  120
Cost. (ex plurimis, C. Cost. sentt. nn. 19 e 242 del 1997, n. 503 del
2000; n. 282 del 2002; n. 303 del 2003). 
    Tutte le previsioni impugnate sono altresi' in contrasto con  gli
articoli 2, commi 3 e 5, 1. n. 42/2009, letti congiuntamente all'art.
76 Cost. e all'art. 5 Cost.. Violazioni, queste, che  direttamente  e
indirettamente si riflettono sulla sfera di competenza della Regione. 
    Alla  luce  delle  disposizioni  legislative  da  ultimo  citate,
infatti, il Governo e'  tenuto  ad  adottare  i  decreti  legislativi
aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della  Costituzione,
«previa intesa da sancire in sede di Conferenza  unificata»,  nonche'
assicurando, «nella predisposizione  dei  decreti  legislativi  [...1
piena collaborazione con le regioni e gli enti locali» (art. 2, comma
5,1. n. 42/2009). 
    Inoltre, qualora l'intesa sullo schema di decreto legislativo non
venga siglata in Conferenza Unificata - come  accaduto  nel  caso  di
specie - il Governo ha l'obbligo di approvare, ai sensi dell'art.  2,
comma 3, della legge di delegazione, una «relazione che e'  trasmessa
alle Camere e che indica le specifiche motivazioni per  cui  l'intesa
non e' stata raggiunta». 
    Sempre secondo l'art. 2 della legge delega, inoltre,  il  Governo
e' tenuto  a  fornire  alle  Camere  le  «specifiche  motivazioni  di
difformita'  dall'intesa».  Tuttavia,  in  spregio  ai  precetti  ora
menzionati,  il  legislatore  delegato   ha   adottato   il   decreto
legislativo di cui  si  controverte  senza  assolvere  agli  obblighi
motivazionali di cui si e' appena detto.  Tanto  e'  vero  che  nella
relazione deliberata ai sensi dell'art. 2, comma 3, 1 n. 42/2009,  il
Governo si e' limitato ad affermare, in maniera del tutto apodittica,
di aver dato seguito all'iter normativo, pur in assenza  dell'intesa,
data la conformita' del provvedimento a  Costituzione  e  in  ragione
dell'imminente scadenza del termine previsto dalla legge  delega  per
l'adozione dell'atto. 
    In merito ai molteplici profili  di  illegittimita',  evidenziati
dalle Regioni e dalle Province e che hanno impedito il raggiungimento
di un accordo in Conferenza Unificata, il legislatore delegato non ha
speso una sola parola, cosi' violando  i  vincoli  procedurali  posti
dalla 1. n. 42/2009 a tutela della leale collaborazione tra i diversi
livelli di governo, con conseguente lesione dell'omonimo principio.