Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso, ope legis, dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' ex lege domiciliato, avente ad oggetto conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Milano - Sez. I Penale, in persona del Presidente pro tempore, in relazione all'ordinanza, pronunciata in data 1.3.2010, con riferimento al procedimento penale n. 11776/06 R.G.T., con la quale e' stata rigettata la richiesta di rinvio dell'udienza dibattimentale del 1° marzo 2010, formulata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, on.le Silvio Berlusconi, per legittimo impedimento di quest'ultimo in quanto impegnato, nella medesima data, nella presidenza della riunione del Consiglio dei ministri. Fatto Il Tribunale di Milano - Sez. I Penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato la richiesta di rinvio dell'udienza dibattimentale del 1° marzo 2010, formulata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, on.le Silvio Berlusconi, per legittimo impedimento di quest'ultimo in quanto impegnato, nella medesima data, nella presidenza della riunione del Consiglio dei Ministri. Il Tribunale, dopo avere richiamato i principi affermati da codesta Corte in alcune pronunce, rese su ricorsi per conflitto di attribuzioni, analoghi (ma, come si dimostrera' piu' oltre, non identici) a quello che oggi ci occupa (in particolare, le sentenze n. 225/01 e n. 451/05), ha cosi' motivato la propria decisione: «Ritiene il Collegio che la deduzione di un impedimento per una udienza gia' concordata non possa prescindere quantomeno dalla allegazione della specifica inderogabile necessita' della sovrapposizione dei due impegni perche', altrimenti, la funzione giudiziaria verrebbe ad essere svilita, con la conseguenza che il contemperamento degli opposti interessi di rilievo costituzionale allo svolgimento in tempi ragionevolmente rapidi del processo e all'esercizio delle funzioni parlamentari o governative verrebbe ad essere risolto nel dare esclusiva rilevanza al secondo di tali interessi; nella specie nulla e' stato dedotto circa la necessita' di fissare in data 24 febbraio 2010 una riunione del Consiglio dei Ministri per la data del 1° marzo 2010 coincidente con l'udienza gia' concordata e pertanto non puo' essere ritenuto il legittimo impedimento». Giova evidenziare, in fatto, che nel processo penale n. 22694/01 R.G.N.R. P.M. Milano nei confronti di Agrama Frank + altri, si sono svolte 25 udienze preliminari, 41 udienze dibattimentali avanti la I sezione penale del Tribunale di Milano. L'on.le Silvio Berlusconi ha richiesto un solo rinvio per impedimento a comparire cioe' quello dell'udienza del 25 febbraio 2008 per lo svolgimento della campagna elettorale. Nella qualita' di Presidente del Consiglio dei Ministri, ha invocato, quale legittimo impedimento a partecipare alle udienze dibattimentali del processo, il diritto-dovere di svolgere le funzioni costituzionali di Presidente del Consiglio dei Ministri, solo in un'altra occasione oltre a quella in cui e' stata pronunciata l'ordinanza, sopra menzionata; all'udienza del 16 novembre 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, on.le Berlusconi, nell'invocare il legittimo impedimento, ha, comunque, dato la propria disponibilita' a che il Tribunale svolgesse le attivita' necessarie alla riunione con altro processo penale. A cio' si aggiunga che, in altra occasione (udienza del 18 gennaio 2010), l'on.le Berlusconi, ancorche' impedito, ha acconsentito che si procedesse in sua assenza; sono state svolte, dopo la nomina dell'on.le Berlusconi a Presidente del Consiglio dei ministri, numerose udienze. Peraltro, si deve rilevare che il Presidente del Consiglio dei ministri, on.le Berlusconi, ha rappresentato la propria intenzione a presenziare esclusivamente alle udienze dibattimentali nelle quali sarebbero state assunte le deposizioni dei testi della difesa. Intervenuta la legge 7 aprile 2010, n. 51, recante disposizioni in materia di legittimo impedimento a comparire in udienza, la difesa dell'imputato, all'udienza del 12 aprile 2010, ha dedotto e documentato un legittimo impedimento dell'imputato a comparire, consistente nell'impegno dell'imputato stesso a svolgere, nella sua qualita' di Presidente del Consiglio dei Ministri, un viaggio di Stato. Il Tribunale di Milano, sezione 1° penale, con ordinanza del 19 aprile 2010, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 3 e 4 della predetta legge 7 aprile 2010, n. 51, sospendendo il processo. Come e' noto, codesta Corte, con sentenza 13 gennaio 2011, n. 23, ha cosi' deciso in ordine al predetto incidente di costituzionalita': «dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. l, comma 4, della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza); dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, nella parte in cui non prevede che il giudice valuti in concreto, a norma dell'art. 420-ter, comma 1, cod. proc.pen., l'impedimento addotto; dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale relative all'art. 1, commi 2, 5 e 6, e all'art. 2 della legge n. 51 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 138 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, sezione X penale, e dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale, con le ordinanze indicate in epigrafe; dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale relative all'art. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 138 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, sezione I penale e sezione X penale, e dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale, con le ordinanze indicate in epigrafe, in quanto tale disposizione venga interpretata in conformita' con l'art. 420-ter, comma 1, cod.proc.pen.». Codesta Corte, nella motivazione della predetta pronuncia, ha stabilito alcuni principi fondamentali in materia di legittimo impedimento di cui all'art. 420-ter c.p.p. per i titolari di un organo istituzionale quali sono il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quali imputati, per il concomitante esercizio delle attribuzioni governative previste dalle leggi in materia, delle attivita' preparatorie e consequenziali, nonche' di ogni attivita' comunque coessenziale alle funzioni di governo; principi che possono ritenersi applicabili al presente conflitto di attribuzioni che ora diventa di attualita' come sara' piu' avanti esplicitato. Diritto 1. - Sull'ammissibilita' del ricorso. 1.1. - Sotto il profilo soggettivo. Pacifica appare la spettanza della qualificazione di potere dello Stato sia in capo al ricorrente che al resistente. 1.2. - Sotto il profilo oggettivo. Il Presidente del Consiglio dei ministri rivendica, con il presente atto, l'integrita' delle proprie attribuzioni costituzionali nell'esercizio della funzione istituzionale di presidenza delle riunioni del Consiglio dei Ministri, attribuzioni lese dall'ordinanza del Tribunale di Milano, meglio indicata in epigrafe. Invero, il Tribunale di Milano, nell'applicare le comuni regole processuali sugli impedimenti a comparire, di cui all'art. 420-ter c.p.p., pur facendo riferimento al contemperamento tra gli opposti interessi di rilievo costituzionale allo svolgimento in tempi ragionevolmente rapidi del processo e all'esercizio delle funzioni governative, ha sostanzialmente disconosciuto la rilevanza, quale legittimo impedimento, dell'attribuzione del Presidente del Consiglio dei ministri di presiedere la riunione del Consiglio dei Ministri (funzione del Presidente del Consiglio dei ministri di rango costituzionale), non valutando, in concreto, tale funzione (ora riconosciuta anche della Corte quale evento puntuale di legittimo impedimento) in rapporto all'interesse del processo ma arrivando a richiedere addirittura la prova della necessita' di fissare la data del Consiglio dei Ministri in coincidenza con il giorno di udienza, ledendo, in tale modo, le esclusive attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri. In altri termini - mentre il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto, quale legittimo impedimento, un preciso e puntuale impegno riconducibile tra l'altro alle ipotesi ora indicate nella legge n. 51/2010, e cioe' la presidenza del Consiglio dei Ministri. tipica funzione di governo del Presidente del Consiglio dei Ministri - il Tribunale di Milano, nel valutare l'impedimento addotto, ha tenuto conto solo dell'esigenza di propria pertinenza, peraltro senza motivare l'incidenza che il rinvio, richiesto dalla difesa dell'on. Berlusconi, avrebbe avuto sulla sollecita definizione del processo, e non dell'interesse costituzionalmente tutelato della funzione governativa del Presidente del Consiglio dei ministri, al quale e' esclusivamente attribuito il potere di fissare le riunioni del Consiglio dei Ministri, che e' espressione della politica governativa. L'interesse all'elevazione del conflitto di attribuzione sussiste anche nel caso (verificatosi nell'ipotesi che ci occupa) in cui la funzione governativa sia stata comunque espletata, in quanto tale circostanza non incide sulla effettivita' della lesione delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri derivante dall'ordinanza del Tribunale di Milano in questione (cfr. in tali termini, Corte Costituzionale, sentenza n. 263/2003). 2. - Nel merito: violazione degli artt. 92 e 95 della Costituzione in relazione agli artt. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400; 1, 5, 6 e 7 del d.P.C.m. 10 novembre 1993 «Regolamento interno del Consiglio dei Ministri», 420-ter c.p.p.; violazione del principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato. L'art. 92 della Costituzione recita: «Il Governo della Repubblica e' composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri». L'art. 95 della Costituzione recita: «Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne e' responsabile. Mantiene la unita' di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attivita' dei Ministri. I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei Ministeri». L'art. 5 della legge n. 400 del 1988 specifica le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, disponendo al comma 2, tra l'altro che «Il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 95, primo comma, della Costituzione: a) indirizza ai ministri le direttive politiche ed amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri nonche' quelle connesse alla propria responsabilita' di direzione della politica generale del Governo; b) coordina e promuove l'attivita' dei ministri in ordine agli atti che riguardano la politica generale del Governo; Il d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303, si occupa, invece, di disciplinare l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in attuazione dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. legge Bassanini sulla semplificazione amministrativa). L'art. 1 del d.P.C.m. 10 novembre 1993 «Regolamento interno del Consiglio dei ministri» prevede che: «1. Partecipazione alle riunioni del Consiglio dei Ministri. 1. Al Consiglio dei Ministri partecipano il Presidente del Consiglio e i Ministri; assiste il Sottosegretario di Stato con funzioni di Segretario del Consiglio dei Ministri ed intervengono, quando prescritto, i presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano. ....4. La partecipazione alle riunioni del Consiglio dei Ministri e' obbligatoria, salvo motivato impedimento e salvi i casi di non partecipazione alla discussione della singola questione per ragioni di opportunita' comunicate al Presidente del Consiglio. L'art. 5 del medesimo d.P.C.m. prevede, tra l'altro, che: «5. Convocazione del Consiglio dei Ministri. 1. Il Presidente del Consiglio convoca il Consiglio dei Ministri e ne fissa l'ordine del giorno. L'art. 7 del medesimo d.P.C.m. prevede, tra l'atro, che: «7. Riunioni del Consiglio dei Ministri. 2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige i lavori del Consiglio; precisa le conseguenze delle varie proposte; pone ai voti, ove lo ritenga opportuno, fissandone le modalita', le deliberazioni; dichiara l'esito delle votazioni e l'adozione delle deliberazioni. ...4. Spetta, in ogni caso, al Presidente del Consiglio decidere il rinvio della discussione o della deliberazione su singoli punti dell'ordine del giorno. Il richiamo, in modo analitico, delle disposizioni, di vario rango normativo, che disciplinano l'attivita' istituzionale del Presidente del Consiglio dei ministri, ora tutte indicate nell'art. 1 della legge n. 51/2010 quali tipiche cause di legittimo impedimento, porta ad una prima essenziale considerazione, ovvero che il Consiglio dei Ministri e' il momento delle decisioni fondamentali per la politica del Governo e per il Presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, e' l'atto piu' elevato della propria funzione costituzionale di direzione della politica di governo e dell'unita' di indirizzo politico-amministrativo. La convocazione del Consiglio dei Ministri e l'eventuale rinvio della data della riunione dello stesso Consiglio sono atti politici del Presidente del Consiglio dei ministri. La sentenza n. 23/2011 di codesta Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionali relative all'art. 1, comma 1, della legge n. 51/2010, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 138 della Costituzione dal Tribunale penale di Milano, tra cui la l° sezione penale, in quanto tale disposizione venga interpretata in conformita' con l'art. 420-ter, comma 1, del c.p.p.. Codesta Corte ha in proposito specificato che le ipotesi di funzioni governative (tra le quali spicca per il Presidente del Consiglio quella della convocazione e direzione del Consiglio dei Ministri) previste dalle leggi e dai regolamenti indicati sono fatti di legittimo impedimento a comparire all'udienza penale e che il giudice deve valutare in concreto non solo la concomitanza del fatto storico addotto con l'udienza di cui si chiede il rinvio ma anche il carattere assoluto e attuale dello stesso. Peraltro, la Corte, proprio per evitare che nell'attivita' giurisdizionale il giudice sconfini nel sindacato di merito dell'attivita' di governo, valutando le ragioni politiche sottese all'esercizio delle attivita' del Presidente del Consiglio, ha precisato testualmente: «E' vero, peraltro, che in simili ipotesi l'esercizio della funzione giurisdizionale ha una incidenza indiretta sull'attivita' del titolare della carica governativa, incidenza che e' obbligo del giudice ridurre al minimo possibile, tenendo conto del dovere dell'imputato di assolvere le funzioni pubbliche assegnategli. Il principio della separazione dei poteri non e', dunque, violato dalla previsione del potere del giudice di valutare in concreto l'impedimento, ma, eventualmente, soltanto dal suo cattivo esercizio, che deve rispondere al canone della leale collaborazione. Quest'ultimo principio ha carattere bidirezionale, nel senso che esso riguarda anche il Presidente del Consiglio dei ministri, la programmazione dei cui impegni, in quanto essi si traducono in altrettante cause di legittimo impedimento, e' suscettibile a sua volta di incidere sullo svolgimento della funzione giurisdizionale. Trova pertanto applicazione, anche nel caso del titolare di funzione governativa, quanto questa Corte ha affermato con riferimento al legittimo impedimento di membri del Parlamento, tanto piu' che, a differenza di questi ultimi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha il potere di programmare una quota significativa degli impegni che possono costituire legittimo impedimento (sentenze n. 451 del 2005, n. 284 del 2004, n. 263 del 2003, n. 225 del 2001). La leale collaborazione deve esplicarsi mediante soluzioni procedimentali, ispirate al coordinamento dei rispettivi calendari. Per un verso, il giudice deve definire il calendario delle udienze tenendo conto degli impegni del Presidente del Consiglio dei ministri riconducibili ad attribuzioni coessenziali alla funzione di governo e in concreto assolutamente indifferibili. Per altro verso, il Presidente del Consiglio dei ministri deve programmare i propri impegni, tenendo conto, nel rispetto della funzione giurisdizionale, dell'interesse alla speditezza del processo che lo riguarda e riservando a tale scopo spazio adeguato nella propria agenda». Tali principi sono in definitiva in linea con le soluzioni gia' offerte da codesta Corte per gli esponenti del Parlamento, procedendo agli opportuni adattamenti che tengano in debito conto le importanti attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri - organo predominante della politica governativa del Paese. Orbene, a partire dalla nota sentenza del 4 luglio 2001, n. 225, citata anche dal Tribunale di Milano nell'ordinanza, meglio indicata in epigrafe, codesta Corte ha statuito che «l'autorita' giudiziaria, come ogni altro potere, allorquando agisce nel campo suo proprio e nell'esercizio delle sue competenze, deve tener conto non solo delle esigenze delle attivita' di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell'applicazione delle regole comuni, e cosi', ai fini dell'apprezzamento degli impedimenti invocati per chiedere il rinvio dell'udienza. Pertanto il giudice non puo', al di fuori di un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e della integrita' funzionale del Parlamento. far prevalere solo la prima, ignorando totalmente la seconda». Nella medesima sentenza, codesta Corte ha anche rilevato che «ove l'imputato, come nel caso in esame, deduca di essere impedito ad intervenire all'udienza dovendo esercitare il suo diritto-dovere di partecipare ai lavori parlamentari - fra l'esigenza di speditezza dell'attivita' giurisdizionale e quella di tutela delle attribuzioni parlamentari, aventi entrambe fondamento costituzionale, si puo' determinare un'interferenza suscettibile di incidere sulle attribuzioni costituzionali di un soggetto estraneo al processo penale e, in particolare, sull'interesse della Camera di appartenenza a che ciascuno dei suoi componenti sia libero di regolare la propria partecipazione ai lavori parlamentari nel modo ritenuto piu' opportuno. Pertanto, il giudice non puo' limitarsi ad applicare le regole generali del processo in tema di onere della prova del legittimo impedimento dell'imputato, incongruamente coinvolgendo un soggetto costituzionale estraneo al processo stesso, ma ha l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari». Orbene, il Tribunale di Milano, pronunciandosi nei termini di cui all'ordinanza del 1° marzo 2010, ha, solo in apparenza, prestato ossequio ai predetti principi, pervenendo, invece, ad una manifesta violazione degli stessi. Se e' vero, infatti, che i giudici, seguendo le indicazioni, per cosi' dire operative, di codesta Corte, hanno proceduto, con riferimento al processo penale che ci occupa, alla programmazione del calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni rispetto ai quali il Presidente del Consiglio dei ministri, on.le Berlusconi, aveva indicato la sussistenza di impegni istituzionali, gia' calendarizzati, e', altrettanto, vero che - con riferimento ad un impegno istituzionale sopravvenuto (spostamento di una riunione del Consiglio dei Ministri, gia' fissata in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, ad altra data coincidente con un giorno di udienza) - il Tribunale di Milano e' tornato «ad applicare le regole generali del processo in tema di onere della prova del legittimo impedimento dell'imputato, incongruamente coinvolgendo un soggetto costituzionale (in questo caso, il Presidente del Consiglio dei ministri: N.d.E.) estraneo al processo stesso»; senza tenere in debito conto il diritto-dovere dell'esercizio della funzione di governo del Presidente del Consiglio dei ministri se non sotto il profilo inammissibile di una pretesa mancata deduzione di elementi di prova dello spostamento della riunione del Consiglio dei Ministri. Ed invero, nell'ordinanza si legge che l'on.le Berlusconi, per la sua veste di Presidente del Consiglio dei Ministri, avrebbe dovuto allegare i motivi della «specifica inderogabile necessita' della sovrapposizione dei due impegni»; ed ancora, che «nella specie nulla e' stato dedotto circa la necessita' di fissare in data 24 febbraio 2010 una riunione del Consiglio dei Ministri per la data del 1° marzo 2010 coincidente con l'udienza gia' concordata». Cosi' facendo, il Tribunale di Milano si e', peraltro, arrogato un inammissibile potere di sindacato delle ragioni politiche sottese al rinvio di una riunione del Consiglio dei Ministri, incorrendo in quel «cattivo esercizio» del proprio potere giurisdizionale che codesta Corte, nella sent. 23/11 sopra citata, individua quale motivo di invasione della sfera di attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri che, col presente conflitto, si rivendicano, ma soprattutto ha mal esercitato il suo potere di valutare in concreto l'impedimento, esercizio del potere che «deve rispondere al canone di leale collaborazione». Ci si chiede: cosa sarebbe accaduto se le predette ragioni fossero state estese al Tribunale: sarebbero state ritenute sufficienti a provare la sussistenza di un legittimo impedimento? Oppure ci sarebbe stato un confronto dibattimentale sulle ragioni (eminentemente politiche) che avevano reso necessario lo spostamento e la fissazione della riunione del Consiglio dei Ministri? Le superiori considerazioni evidenziano come il Tribunale di Milano, Sez. I - diversamente dalla Sez. X dello stesso Tribunale (cfr. ordinanza del 4 dicembre 2009, che si deposita in copia) che ha espressamente affermato che «all'evidenza attiene... alle funzioni istituzionali proprie del Presidente del Consiglio dei ministri la partecipazione al Consiglio stesso» - abbia, nella sostanza, violato i principi costituzionali, affermati da codesta Corte nella recente sentenza n. 23/2011 e nelle altre piu' sopra indicate, e come allo stesso non spettasse pervenire alle affermazioni, contenute nell'ordinanza del 1° marzo 2010, lesive delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri; al contrario, i giudici, in ossequio al principio di leale collaborazione «che deve, sempre, informare i rapporti tra le Istituzioni, in una sintesi di reciproco rispetto del lavoro di ciascuno degli organi e poteri costituzionali», avrebbero dovuto ritenere che la presidenza di una riunione del Consiglio dei Ministri (anche se rinviata ad altra data rispetto a quella di originaria convocazione) costituisce, all'evidenza, un impegno istituzionale che da' luogo ad un legittimo impedimento, per l'imputato-Presidente del Consiglio dei ministri, a partecipare ad una udienza dibattimentale. Come ha specificato codesta Corte nella sentenza n. 23/2011, l'esercizio di una funzione governativa prevista dalle disposizioni indicate nell'art. 1, comma 1, della legge n. 51/2010 e' da ritenersi un caso tipico di legittimo impedimento e la valutazione del giudice deve riguardare, oltre che la concomitanza del fatto impeditivo rispetto all'udienza, anche la c.d. assolutezza dell'impedimento stesso. Il carattere di assolutezza deve essere interpretato nel senso che l'impegno, addotto come legittimo impedimento, deve comportare l'impossibilita', in concreto, a comparire data la concomitanza rispetto all'udienza. L'assolutezza dell'impedimento deve riguardare il fatto addotto come impedimento e cioe' l'esercizio in concreto di una funzione governativa che non puo' essere svolta senza la presenza, prevista per legge, dell'organo governativo (nel caso di specie, la presidenza del Consiglio dei ministri da parte del Presidente del Consiglio); la valutazione del giudice sull'assolutezza dell'impedimento deve riguardare l'impossibilita' dell'organo governativo (Presidente del Consiglio dei ministri) ad essere presente all'udienza penale data la improrogabilita' del fatto impeditivo di pertinenza costituzionale costituito dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Non puo', tale valutazione, riguardare, invece, le motivazioni e le ragioni (di politica governativa) sottese alla decisione di fissare, in una certa data, la seduta del Consiglio dei Ministri e, meno che mai, puo' giustificare la pretesa che l'organo governativo fornisca la prova della necessita' di svolgere la funzione governativa in un dato momento e in una certa data. Tali valutazioni attengono, infatti, alla sfera delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio e del Governo, come tali previste e tutelate dalla Costituzione (art. 95), attribuzioni che, nel caso di specie, sono state palesemente violate dal Tribunale penale di Milano nell'ordinanza de qua. A questo ultimo proposito, ci si permette di evidenziare come i giudici del Tribunale di Milano non abbiano, come sarebbe stato, invece, necessario, valorizzato le peculiarita' dell'attivita' governativa rispetto a quella parlamentare. Non vi e' chi non veda, infatti, come l'attivita' governativa si svolga con cadenze temporali che, a differenza di quanto avviene per gli organi parlamentari, non sono facilmente preventivabili; ed invero, a differenza dei lavori del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, il cui calendario viene stabilito con largo anticipo e raramente subisce modifiche, l'attivita' del Governo e' piu' soggetta a variazioni atteso che la stessa deve tenere conto di svariate evenienze. Basti pensare ai momenti drammatici che stiamo vivendo in queste settimane (guerra civile in Libia e immigrazione di portata straordinaria in Italia) che tengono costantemente impegnato il Governo ed in particolare il Presidente del Consiglio in una continua attivita', sia all'estero che in Italia, del tutto imprevista e dai risvolti imprevedibili. Nel caso di specie, peraltro, si e' trattato del differimento della riunione del Consiglio dei Ministri, gia' fissata per il giorno 24 febbraio 2010, alla data del 1° marzo 2010 dipeso dalla necessita' di procedere ad una compiuta stesura dell'importante disegno di legge contenente le disposizioni anti-corruzione, che ha comportato una complessa elaborazione e la cui adozione era stata imposta dai ben noti avvenimenti legati ad una indagine giudiziaria avviata nelle ultime settimane del febbraio 2010. Peraltro, tale circostanza era del tutto nota, avendone diffusamente parlato tutti gli organi di informazione e di stampa del tempo. Di fronte alle esigenze sopraggiunte che imponevano lo spostamento della riunione del Consiglio dei Ministri, lo spirito di leale collaborazione tra le istituzioni, sempre richiamato da codesta Corte, e' stato del tutto disatteso, nel caso di specie, da parte dei giudici milanesi che hanno privilegiato esclusivamente l'esercizio del potere giudiziario, senza tenere in debito conto la posizione processuale dell'organo costituzionale, quale e' il Presidente del Consiglio dei ministri, ed il diritto-dovere di svolgere le proprie funzioni costituzionali. Al contrario, come risulta da quanto esposto nella premessa dell'odierno ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha tenuto un comportamento ispirato ai principi costituzionali della leale collaborazione tra gli organi costituzionali, adducendo il legittimo impedimento in due sole circostanze, di grande rilevanza per l'esercizio dell'attivita' governativa. In definitiva, in coerenza con i criteri dettati da codesta Corte per quanto riguarda il legittimo impedimento derivante dall'esercizio di funzioni costituzionalmente previste, che comportano interessi costituzionalmente tutelati, il giudice deve valutare non solo l'esigenza, di propria pertinenza, della speditezza del processo ma anche quella all'esercizio della funzione costituzionale di Presidente del Consiglio dei ministri senza ignorare sostanzialmente quest'ultima funzione costituzionale, come e' avvenuto nel caso in esame da parte del Tribunale di Milano, con l'ordinanza in questione, tutta incentrata sulla mancata prova della necessita' della fissazione della riunione del Consiglio dei Ministri in una data coincidente con l'udienza. Il giudice avrebbe dovuto, nel bilanciamento delle dedotte esigenze di rango costituzionale, considerare l'indicata funzione di governo, tenendo conto che senza la convocazione, partecipazione e direzione del Consiglio dei Ministri, lo stesso Consiglio non puo' svolgersi e, pertanto, non puo' essere esercitata, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, l'attivita' di direzione della politica generale del Governo nonche' quella «dell'unita' di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinamento l'attivita' dei Ministeri», attribuzioni costituzionalmente previste, di cui il Presidente del Consiglio dei ministri e' responsabile. Alla lesione delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri deve conseguire necessariamente l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Milano nonche' dell'attivita' istruttoria compiuta nel corso dell'udienza del 1° marzo 2010 (udienza nel corso della quale, per come si evince dal relativo verbale, che si deposita in copia, e' stata assunta la deposizione di un teste della difesa ovvero e' stato compiuto un atto processuale in ordine al quale, per come evidenziato nella parte in fatto del presente ricorso, l'On.le Berlusconi aveva chiesto di presenziare).