Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  nei  cui  uffici
domicilia in Roma dei Portoghesi, 12, contro la Regione  Toscana,  in
persona del Presidente  in  carica  per  l'impugnazione  della  legge
regionale della Toscana n. 50 del  6  ottobre  2010,  pubblicata  nel
Bollettino ufficiale della Regione  Toscana  n.  41  dell'11  ottobre
2010, recante «Disciplina dell'attivita' di  cattura  di  uccelli  da
richiamo appartenenti alle specie cacciabili per l'anno 2010 ai sensi
dell'art. 4 della legge 11  febbraio  1992,  n.  137  (Norme  per  la
protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il   prelievo
venatorio) e dell'art. 34 della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3
(Recepimento della legge 11  febbraio  1992,  n.  157  "Nome  per  la
protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il   prelievo
venatorio")», nell'art. 2 e nell'allegato A (richiamato nel  medesimo
art. 2). 
    La legge regionale della Toscana n. 50 del 2010 introduce  alcune
norme volte a disciplinare per l'anno 2010 l'attivita' di cattura  di
uccelli da richiamo appartenenti alle spese cacciabili. 
    In particolare l'art. 2 e' cosi' formulato: 
    «1. Le Province di Arezzo, Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia e  Siena
sono autorizzate ad esercitare l'attivita' di cattura di uccelli  per
la cessione a fini di richiamo per l'anno 2010, svolta esclusivamente
da impianti della  cui  autorizzazione  siano  titolari  le  province
stesse e che siano gestiti da personale qualificato e valutato idoneo
dall'Istituto superiore  per  la  prevenzione  e  ricerca  ambientale
(ISPRA), nei  quantitativi  suddivisi  per  provincia,  per  tipo  di
impianto e  per  specie  cosi'  come  risulta  dall'allegato  A  alla
presente legge. 
    2.  Tali  impianti  devono  essere  dotati  di   reti   selettive
rispondenti alle caratteristiche stabilite dalla nota  del  Ministero
delle risorse agricole, alimentari e forestali del 22 novembre 1996. 
    3. Gli uccelli dovranno appartenere a  specie  cacciabili  ed  in
buono stato di conservazione e  precisamente:  cesena,  merlo,  tordo
bottaccio e tordo sassello. 
    4. L'importo per la cessione degli esemplari catturati e' di euro
20,00 a soggetto. 
    5. L'attivita' di cattura  si  effettua  dall'entrata  in  vigore
della presente legge al 31 dicembre 2010. 
    6. Le province, una volta raggiunto il contingente di uccelli  da
catturare assegnato, procedono a sospendere l'attivita' di cattura». 
    Preliminarmente si osserva che, nonostante le regioni abbiano una
competenza in materia di autorizzazione all'approvazione del piano di
cattura dei richiami vivi, secondo quanto disposto dall'art. 4, comma
3, legge 157/1992, tale potesta' deve essere esercitata nel  rispetto
del diritto comunitario, secondo quanto sancito dall'art. 117,  comma
1 della Costituzione, nonche' dei principi stabiliti dal  legislatore
statale nella normativa su richiamata, contenente gli standard minimi
ed uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di  competenza
esclusiva statale, secondo quanto disposto dall'art.  117,  comma  2,
lettera s) della Costituzione. 
    Le disposizioni indicate in epigrafe  della  legge  regionale  in
questione sono illegittime per i seguenti motivi. 
1.  Violazione  dell'art.  117,  comma  1  della  Costituzione  -  in
relazione all'art. 9 della direttiva 79/409/CEE, riprodotto nell'art.
9 della direttiva 2009/147/CE. 
    L'autorizzazione alla cattura delle specie indicate nell'allegato
A operata dall'art. 2 della legge regionale in  epigrafe  avviene  in
assenza dei presupposti e delle condizioni poste  dall'art.  9  della
direttiva  79/409/CEE  (Direttiva  del   consiglio   concernente   la
conservazione degli  uccelli  selvatici),  riprodotta  (senza  alcuna
modificazione di sostanza) nell'art. 9  della  direttiva  2009/147/CE
(Direttiva del Parlamento europeo  e  del  consiglio  concernente  la
conservazione degli uccelli selvatici), configurandosi, pertanto,  la
chiara violazione del vincolo comunitario, di cui all'art. 117, primo
comma della Costituzione. 
    La direttiva subordina la possibilita' di autorizzare  in  deroga
la cattura di determinate specie di uccelli in piccole quantita' alla
comprovata assenza di altre soluzioni soddisfacenti, al  rispetto  di
condizioni  rigidamente  controllate  e  all'impiego   di   modalita'
selettive in modo che le catture vengano effettuate solo nella misura
in cui siano strettamente necessarie a soddisfare  le  richieste  del
mondo venatorio. 
    Si tratta di condizioni e misure non  rispettate  dalla  regione,
come confermato oltre tutto dal parere negativo dell'ISPRA  reso  con
nota del 25 agosto 2010 n. 28164-ta62. 
    La norma impugnata costituisce peraltro  l'esatta  riproposizione
della legge regionale Toscana n. 53/2009, dichiarata incostituzionale
- da codesta Corte con sentenza n. 266/2010, per violazione dell'art.
117, primo comma della Costituzione. 
    Ha affermato al riguardo codesto consesso quanto segue: 
    «La costante giurisprudenza di questa Corte ha gia' chiarito  che
si tratta di "un potere di deroga esercitabile  in  via  eccezionale"
che  ammette  "l'abbattimento  o  la  cattura  di  uccelli  selvatici
appartenenti alle specie  protette  dalla  direttiva  medesima,  alle
condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall'art. 9.1, e
secondo le procedure e le modalita' di cui al punto  2  dello  stesso
art. 9" (sentenze n. 168 del 1999 e n. 250 del 2008). 
    Il  carattere  eccezionale  del  potere  in  questione  e'  stato
peraltro  ribadito  anche  dalla   giurisprudenza   comunitaria   (in
particolare, Corte di giustizia CE, 8 giugno 2006,  causa  C-118/94),
secondo la quale l'autorizzazione degli Stati membri  a  derogare  al
divieto generale  di  cacciare  le  specie  protette  e'  subordinata
all'adozione di misure di deroga dotate di una motivazione che faccia
riferimento esplicito e adeguatamente circostanziato alla sussistenza
di tutte le condizioni prescritte dall'art. 9, paragrafi 1 e 2. 
    Detti requisiti, infatti - precisa sempre la Corte  di  giustizia
della Comunita' europea (oggi Corte di giustizia dell'Unione europea)
- perseguono il duplice scopo di limitare  le  deroghe  allo  stretto
necessario e di permettere la vigilanza  degli  organi  comunitari  a
cio' preposti. 
    In particolare, il paragrafo 2 dell'art. 9 della citata direttiva
prevede che le deroghe debbano menzionare: a) le specie  che  formano
oggetto delle medesime; b) i  mezzi,  gli  impianti  o  i  metodi  di
cattura o di uccisione autorizzati; c) le condizioni di rischio e  le
circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate;
d) l'autorita' abilitata a dichiarare  che  le  condizioni  stabilite
sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, impianti o metodi  possono
essere utilizzati, entro quali  limiti  e  da  quali  persone;  e)  i
controlli che saranno effettuati. 
    Alla luce di tali considerazioni, dunque, il rispetto del vincolo
comunitario derivante dall'art. 9 della direttiva 7914091  CEE  (oggi
art. 9  della  direttiva  2009/  147  /CE)  CE)  impone  l'osservanza
dell'obbligo della puntuale ed espressa indicazione della sussistenza
di tutte le condizioni in esso  specificamente  indicate,  e  cio'  a
prescindere dalla natura (amministrativa ovvero legislativa) del tipo
di atto in concreto utilizzato per  l'introduzione  della  deroga  al
divieto di caccia e di  cattura  degli  esemplari  appartenenti  alla
fauna selvatica stabilito agli articoli  da  5  a  8  della  medesima
direttiva. 
    Ebbene, tale onere non risulta rispettato [...]. 
    [...] Quanto all'art. 2 della legge della Regione Toscana  n.  53
del 2009, invece,  la  motivazione,  seppure  formalmente  esistente,
risulta fondata su petizioni di principio prive di alcun  riferimento
alle  condizioni  concrete  che   avrebbero   potuto,   in   ipotesi,
giustificare la deroga adottata». 
    Sotto tale  profilo,  dunque,  risulta  integrata  la  violazione
dell'art. 117, primo comma della Costituzione, non avendo la  Regione
Toscana rispettato le misure dettate dalla citata direttiva, il che -
come detto - e' confermato dal parere negativo  dell'ISPRA  formulato
con nota del 25 agosto 2010 n. 28164-ta62 (che si produce). 
    In particolare la legge regionale in epigrafe non fornisce valide
argomentazioni atte a ritenere  sussistente  la  condizione,  imposta
dalla direttiva, dell'assenza di soluzioni soddisfacenti alternative,
come quella, proposta appunto dall'ISPRA  nella  sopra  citata  nota,
della riproduzione in cattivita'. 
    In particolare al punto 11 del preambolo della legge regionale si
afferma (apoditticamente) che «non esiste al momento altra condizione
soddisfacente a fronte delle richieste pervenute, se non  quella  del
metodo delle catture». 
    L'ISPRA aveva invece sottolineato  nel  suo  parere  obbligatorio
(disatteso dalla regione  senza  peraltro  dedicargli  nel  preambolo
della legge neanche un accenno) che il reperimento dei richiami  vivi
potesse essere assicurato con la riproduzione in cattivita' in  luogo
della cattura. 
    In particolare, nella nota  del  25  agosto  2010  l'ISPRA  aveva
precisato che «i dati relativi ai richiami vivi attualmente  detenuti
in regione mostrano come  la  riproduzione  in  cattivita'  non  solo
rappresenti una valida alternativa alla cattura, ma costituisca anche
la principale fonte di approvvigionamento per i cacciatori  toscani»,
e che «tale situazione si riscontra per la totalita' dei ivi  inclusa
l'allodola, specie generalmente di piu' difficile allevamento». 
    Ai fini di quanto disposto dalla direttiva comunitaria, la  legge
regionale in epigrafe non spiega - neanche  nel  suo  pur  articolato
preambolo - le ragioni per cui la  soluzione  della  riproduzione  in
cattivita'   (alternativa   alla   cattura)   non   possa   risultare
soddisfacente, e pertanto incorre nella  violazione  della  normativa
comunitaria. 
2.  Violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s)   della
Costituzione. 
    La normativa regionale in epigrafe,  disponendo  l'autorizzazione
del piano di cattura dei richiami vivi per la stagione  venatoria  in
corso in contrasto con il parere sfavorevole reso  dall'ISPRA,  viola
l'art. 4, comma 3, legge  n.  157/1992,  che  richiede  espressamente
l'acquisizione del parere favorevole dell'ISPRA. 
    La disposizione statale su richiamata  costituisce  indubbiamente
una misura minima di tutela e quindi inderogabile per il  legislatore
regionale; pertanto, il suo mancato rispetto  fa  venir  meno  quegli
standard minimi e uniformi di tutela della fauna, risultando  violata
l'esigenza di tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema  di  competenza
esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s) della Costituzione. 
    Nel caso di specie l'ISPRA aveva espresso un  parere  sfavorevole
(nota del 25 agosto 2010, n. 28164-ta62),  specificando  che  i  dati
relativi ai richiami vivi disponibili in regione mostrassero come  la
riproduzione  in  cattivita'  non  solo  rappresentasse  una   valida
alternativa alla cattura, ma costituisse anche la principale fonte di
approvvigionamento per i cacciatori toscani. 
    Tale situazione peraltro si  riscontrava  per  la  totalita'  dei
richiami, inclusa l'allodola, specie generalmente piu' difficile  per
l'allevamento. 
    Pertanto, data la situazione regionale, a giudizio dell'ISPRA era
ed e' preclusa la possibilita' di  prevedere  forme  di  prelievo  in
natura, stante la prescrizione  dell'art.  9,  comma  1,  della  dir.
409/79/CEE,  che  ammette  eccezionalmente  il  ricorso  al  prelievo
«sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti». 
    Con  la  legge  regionale  in  epigrafe  la  Regione  Toscana  ha
disatteso  il  parere  dell'ISPRA,  senza  peraltro  dedicargli   nel
preambolo neanche un accenno, e senza spiegare nel medesimo Preambolo
(pure dedicato all'illustrazione dell'istruttoria che ha preceduto la
promulgazione  della  legge)  le  ragioni  per   cui   la   soluzione
alternativa della riproduzione in cattivita'  prospettata  dall'ISPRA
non potesse essere soddisfacente. 
    Istanza di sospensione dell'esecuzione. 
    Nel caso di specie ricorrono entrambi i presupposti per accordare
la tutela in via d'urgenza ai sensi degli artt. 35 e 40, legge n.  87
del 1953, rinvenendosi la concomitanza dei due requisiti,  ovvero  il
fumus boni iuris ed il periculum in mora (cfr. Corte  costituzionale,
ordinanza, 18 marzo 2010, n. 107). 
    Per quanto attiene al fumus ci si riporta ai motivi di ricorso, e
in particolare alla circostanza che codesta Corte ha gia'  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di  disposizioni  analoghe  adottate,
per la precedente stagione venatoria, dalla medesima regione. 
    Con riferimento al periculum in mora si osserva quanto segue. 
    La legge regionale toscana autorizza la cattura dei richiami vivi
fino al 31 dicembre 2010. 
    Peraltro, ai sensi dell'art. 18, legge n.  157/1992,  l'attivita'
venatoria puo' essere esercitata nel periodo  ricompreso  tra  il  1°
settembre ed il 31 gennaio con facolta' per le regioni di posticipare
il termine non oltre la prima decade di febbraio. 
    Cio' premesso, la mancata sospensione dell'esecuzione della legge
impugnata determina il rischio di vedere vanificati  gli  effetti  di
un'eventuale pronunzia di accoglimento del  ricorso  nel  merito  che
intervenga successivamente alla cessazione degli effetti della  legge
impugnata (31 dicembre)  o  in  ogni  caso  dopo  la  chiusura  della
stagione venatoria (31 gennaio). 
    A cio' si aggiunga che - come gia' esposto - la  legge  impugnata
e' sostanzialmente conforme a quella adottata dalla  regione  Toscana
nell'anno precedente (la legge regionale n. 53 del 2009),  dichiarata
incostituzionale da codesta Corte con sentenza 22 luglio 2010, n. 266
quando pero' era gia' concluso  il  periodo  di  autorizzazione  alla
cattura dei richiami e dunque di efficacia  della  legge  stessa  (31
dicembre 2009). 
    Cio' ha determinato che la  decisione  della  consulta  rimanesse
priva di effetti, e vi e' il fondato  rischio  che,  adottando  leggi
regionali che autorizzino il prelievo in natura dei richiami vivi per
periodi limitati (inferiori cioe' ai tempi ordinari e fisiologici  di
proposizione a codesta ecc.ma Corte del ricorso  ex  art.  127  della
Costituzione e di decisione dello  stesso),  altre  regioni  come  la
Toscana riescano ad eludere le nonne costituzionali sopra richiamate,
con oltretutto il rischio di una procedura di infrazione  comunitaria
per la  sopra  evidenziata  violazione  delle  norme  comunitarie  in
materia. 
    Sussiste pertanto, ai sensi dell'art. 35, legge n. 87  del  1953,
il rischio di un irreparabile pregiudizio  all'interesse  pubblico  o
all'ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio  di  un
pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini.