IL GIUDICE DI PACE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1189 del 2011,  proposto  da  avv.  Antonio  Amato,
Parte attrice; 
    Contro avv. Edoardo Ferragina, Parte convenuta; 
    Esaminato  il  contenuto  dell'atto  introduttivo  del   presente
giudizio, nonche' la comparsa di costituzione e risposta  ritualmente
versati in atti; 
    A scioglimento della riserva di cui al verbale che precede; 
 
                               Osserva 
 
    I.  L'avv.  Antonio  Amato  con  atto  di  citazione  ritualmente
notificato evocava in giudizio l'avv. Edoardo Ferragina  al  fine  di
sentir accertare e dichiarare il suo  buon  diritto  ad  ottenere  la
restituzione di due libri concessi in comodato qualche  tempo  prima.
Aggiungeva, a tal proposito, che i  numerosi  solleciti  e  tentativi
effettuati per rientrare in possesso dei predetti beni non  avrebbero
sortito alcun esito. Sulla scorta di tali premesse in punto di  fatto
concludeva per l'accoglimento delle richiamate conclusioni. 
    II.  Radicatosi  il  contraddittorio,  la  parte  convenuta,  pur
contestando  decisamente  nel  merito  il  contenuto  della   domanda
avversaria, eccepiva, in via preliminare, la «improcedibilita'  della
domanda  per  omesso  esperimento  del  tentativo   obbligatorio   di
mediazione.». 
    La relativa eccezione veniva posta in tali esatti termini: «Giova
preliminarmente  osservare  che   la   domanda   prima   ancora   che
infondata e' improcedibile. 
    Invero, l'art. 5 del d.lgs. 28/2010 cosi' dispone:  "chi  intende
esercitare in giudizio un'azione  relativa  ad  una  controversia  in
materia  di  condominio,  diritti   reali,   divisione,   successioni
ereditarie,  patti  di  famiglia,  locazione,  comodato,  affitto  di
aziende, risarcimento  del  danno  derivante  dalla  circolazione  di
veicoli e natanti, da responsabilita' medica e da diffamazione con il
mezzo della stampa  o  con  altro  mezzo  di  pubblicita',  contratti
assicurativi, bancari  e  finanziari,  e'  tenuto  preliminarmente  a
esperire  il  procedimento  di  mediazione  ai  sensi  del   presente
decreto... L'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione
di procedibilita' della domanda giudiziale.  L'improcedibilita'  deve
essere eccepita dal  convenuto,  a  pena  di  decadenza,  o  rilevata
d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza... Il  giudice  ove
rilevi che la mediazione e' gia' iniziata, ma  non  si  e'  conclusa,
fissa la successiva udienza dopo  la  scadenza  del  termine  di  cui
all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e'
stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il  termine  di
quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione...". 
    Nessun dubbio puo' esservi  in  ordine  all'applicabilita'  della
suddetta disposizione nel presente giudizio. 
    Invero, l'atto introduttivo del  giudizio  risulta  essere  stato
notificato in data successiva 
    all'entrata in vigore (20/3/2011) delle disposizioni  di  cui  al
d.lgs. 4.3.2010 n. 28 ("Attuazione dell'articolo 60  della  legge  18
giugno 2009,  n.  69,  in  materia  di  mediazione  finalizzata  alla
conciliazione  delle  controversie  civili  e   commerciali"),   come
determinata dall'art. 24, comma 1, del decreto medesimo. 
    Nel caso di specie, poi, si verte  in  materia  di  contratto  di
comodato e, per di piu', la materia  in  considerazione  non  risulta
rientrare tra quelle  in  riferimento  alle  quali  l'art.  2,  comma
16-decies,   del   d.l.   29.12.2010,   n.   225   (convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  legge  26.2.2011,  n.  10)  ha
previsto la proroga di dodici mesi del termine di entrata  in  vigore
stabilito dal citato art.  24,  comma  1,  del  d.lgs.  28/2010  (dal
momento la proroga in questione e' stabilita "... limitatamente  alle
controversie in materia di condominio e  di  risarcimento  del  danno
derivante dalla circolazione di veicoli e natanti"). 
    Ne  segue  che  la  controversia  in  esame  rientra   nell'alveo
applicativo dell'art. 5 del  d.lgs.  28/2010,  di  talche'  l'odierna
parte attrice avrebbe dovuto preliminarmente esperire il procedimento
di mediazione. 
    Ora, ai sensi del  citato  art.  5,  1°  comma,  d.lgs.  28/2010,
"l'esperimento  del  procedimento  di  mediazione  e'  condizione  di
procedibilita' della domanda giudiziale",  con  la  precisazione  che
"l'improcedibilita' deve essere eccepita dal  convenuto,  a  pena  di
decadenza, o rilevata d'ufficio  dal  giudice,  non  oltre  la  prima
udienza"; alla stregua di  tali  previsioni  e'  pertanto  imposto  a
questo  giudice  il  rilievo  d'ufficio  dell'improcedibilita'  della
domanda. 
    Il predetto art. 5, 1° comma, prevede inoltre che "il giudice ove
rilevi che la mediazione e'  gia'  iniziata,  ma  non  si  e'  ancora
conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di
cui all'art. 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e'
stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il  termine  di
quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione"; di
conseguenza, a prescindere dalla qualificazione normativa in  termini
di "improcedibilita'" della sanzione processuale correlata al mancato
esperimento  della  procedura  di  mediazione,   sotto   un   profilo
sostanziale non vi e' luogo ad emettere un formale  provvedimento  di
improcedibilita', dovendosi invece assegnare un termine per  l'inizio
del  procedimento   di   mediazione,   con   contestuale   fissazione
dell'udienza per una data successiva alla  scadenza  del  termine  di
quattro mesi previsto dall'art. 6, comma 1, del d.lgs. 28/2010.». 
    III. Nel corso della udienza fissata per gli  incombenti  di  cui
all'art. 320 c.p.c., preso atto dell'impossibilita' di addivenire  ad
una  conciliazione,  la  parte   attrice   sollevava   questione   di
legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 5  del
d.lgs. 28/2010, nonche' degli artt. 4 e  16  del  D.M.  180/2010  nei
seguenti   precisi   termini:   «l'avv.   Antonio   Amato   eccepisce
l'incostituzionalita'  dell'art.  5  del  d.lgs.  28/10,   anche   in
combinato disposto con l'art. 60 della legge 18 giugno  2009  n.  69,
nonche' con gli artt. 4 e 16 del D.M. 10 ottobre  2010  n.  180,  per
violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost., per le  ragioni  che  si
passano ad esporre. 
Violazione dell'art. 77 Cost. 
    V'e', in primo luogo, un eccesso di  delega,  che,  nel  caso  di
specie, si concretizza addirittura  in  un  contrasto  tra  la  legge
delega e il decreto legislativo. Ed infatti, l'art.  60  legge  69/09
disponeva  di  "prevedere  che  la   mediazione,   finalizzata   alla
conciliazione", fosse realizzata  "senza  precludere  l'accesso  alla
giustizia". 
    L'art. 5 del d.lgs. 28/10, al contrario, ha reso in molti casi la
mediazione una condizione di procedibilita' della domanda,  e  dunque
ha disciplinato il  fenomeno  oltre  i  limiti  fissati  dalla  legge
delega, ed anzi, e piu' precisamente,  in  contrasto  con  la  stessa
nella parte in cui, appunto, non voleva che la mediazione precludesse
l'accesso alla giustizia. 
    Ne', in senso contrario, puo' argomentarsi che la  mediazione  di
cui  all'art.  5  del  d.lgs.  28/10  non  preclude  l'accesso   alla
giustizia, poiche' attivato il procedimento di mediazione e trascorsi
i quattro mesi  di  cui  all'art.  6,  l'accesso  alla  giustizia  e'
possibile,  e  la  condizione  di  procedibilita'  della  domanda  e'
assolta. 
    Ed infatti, che dopo il procedimento di mediazione la parte possa
adire il giudice e' circostanza del tutto evidente, e certamente  non
v'era bisogno che  la  legge  ricordasse  una  ovvieta'  del  genere,
poiche' nel nostro sistema e' impensabile che, dopo una condizione di
procedibilita', non si possa procedere, ovvero non si dia alla  parte
il diritto della tutela giurisdizionale. 
    Pertanto, se l'art. 60 della legge 69/09 aveva stabilito  che  la
mediazione doveva darsi "senza precludere l'accesso alla  giustizia",
essa, evidentemente, non faceva riferimento alla  possibilita'  della
parte di adire il giudice dopo la mediazione, cosa scontata e  ovvia,
ma  faceva  riferimento  alla  necessita'  che  la   mediazione   non
condizionasse il diritto di azione, e quindi non fosse costruita come
condizione di procedibilita'. 
    Ne', sempre in senso contrario, puo' argomentarsi che il problema
non sussiste per la brevita' del termine di quattro  mesi,  cosicche'
la condizione di procedibilita' dell'art. 5  sarebbe  compensata  dal
termine breve fissato nell'art. 6. 
    Cio', infatti, non puo' sostenersi perche  il  termine  breve  di
quattro  mesi  era  gia'  stato  fissato  dalla   legge   delega,   e
precisamente nella lettera  q)  dell'art.  60,  la  quale,  al  tempo
stesso, pero', voleva che il  procedimento  di  mediazione  si  desse
comunque senza "precludere l'accesso alla giustizia". 
    Dunque, la  legge  delega  voleva  sia  che  il  procedimento  di
mediazione non durasse piu' di quattro mesi, sia che il  procedimento
di mediazione non precludesse l'accesso alla  giustizia.  L'argomento
della brevita' del termine non  puo'  quindi  essere  utilizzato  per
escludere l'eccesso di delega, poiche' al contrario, il d.lgs. 28/10,
mantenendo il termine gia' fissato  nella  lettera  q)  dell'art.  60
della legge 69/09, non ha pero' rispettato la  medesima  disposizione
di legge nella parte in cui escludeva  che  il  procedimento  potesse
costituire condizione di procedibilita' della domanda,  ovvero  fosse
in grado di  precludere,  per  tutta  la  sua  durata,  l'accesso  al
giudice. 
    Nel   rispetto   dell'art.   60   della   legge   delega    69/09
l'obbligatorieta' del procedimento di mediazione in tutte le  ipotesi
dell'art. 5 del d.lgs. 28/10 non poteva dunque darsi.  L'art.  5  del
d.lgs. 28/10, in contrasto  con  l'art.  60  della  legge  69/09,  e'
pertanto incostituzionale per violazione dell'art. 77 Cost. 
Violazione dell'art. 24 Cost. 
    In secondo luogo si deve prendere atto che la mediazione  di  cui
al d.lgs. 28/10  ha  un  costo,  e  lo  ha  anche  nelle  ipotesi  di
mediazione obbligatoria, visto che lo stesso art. 16,  4°  comma  del
D.M. 10 ottobre 2010 n. 180 espressamente  prevede  che  detto  costo
"deve essere ridotto di un terzo nelle materie  di  cui  all'art.  5,
comma 1, del d.lgs.". 
    Si  eccepisce,  al  riguardo,  che  la  mediazione  puo'   essere
obbligatoria, oppure onerosa, ma non le due cose insieme, poiche'  se
la mediazione, come nel nostro caso,  e'  tanto  obbligatoria  quanto
onerosa, allora e incostituzionale. 
    Sembra evidente, infatti, che il legislatore possa  prevedere  la
mediazione come scelta libera e cosciente della parte,  e  in  questi
casi, quindi, anche prevedere che, chi la  scelga,  debba  pagare  il
servizio; oppure il legislatore puo'  subordinare  l'esercizio  della
funzione giurisdizionale ad  un  previo  adempimento,  se  questo  e'
razionale e funzionale ad un miglioramento del servizio giustizia, ed
in questo senso, come e' avvenuto con l'art. 410  c.p.c.,  puo  anche
prevedere un tentativo obbligatorio di conciliazione, ma senza costi. 
    Se viceversa il tentativo obbligatorio  di  conciliazione  ha  un
costo, e questo costo non e' meramente simbolico,  come  avviene  con
l'art. 16 D.M. 180/10, allora, nella sostanza, il  sistema  subordina
l'esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una  somma
di denaro. 
    E poiche' il nostro sistema non  puo'  subordinare  l'accesso  al
giudice al pagamento di una somma di denaro,  la  media-conciliazione
sta in contrasto con i nostri valori costituzionali, e in  violazione
dell'art. 24 Cost. 
    Cio' e' detto anche alla luce degli  orientamenti  che  la  Corte
costituzionale ha gia' avuto su questi temi. 
    Sostanzialmente, il legislatore puo'  pretendere  denari  per  la
funzione giurisdizionale civile solo se questi sono  riconducibili  a
tributi giudiziari o  a  cauzioni  volte  a  garantire  l'adempimento
dell'obbligazione dedotta in giudizio. 
    In tutti gli  altri  casi,  e  fin  da  Corte  costituzionale  29
novembre 1960  n.  67,  lo  Stato  non  puo'  pretendere  denari  per
adempiere al suo primo e fondamentale dovere di rendere giustizia. 
    E  l'imposizione  del  pagamento  di  una  somma  di  denaro  per
l'esercizio di un diritto in  sede  giurisdizionale,  quale  oggi  si
realizza con la media-conciliazione in forza del  combinato  disposto
dell'art. 5 d.lgs. 28/10 e art. 16 D.M. 180/10, si pone  pertanto  in
contrasto con tutti i parametri di costituzionalita'  per  come  gia'
definitivi in precedenti decisioni  dalla  Corte  costituzionale,  in
quanto: 
        a) si tratta di un esborso che non puo' essere ricondotto ne'
al tributo giudiziario, ne' alla cauzione; 
        b) si tratta di un  esborso  che  non  puo'  considerarsi  di
modestissima, e nemmeno di modesta, entita'; 
        c) si tratta di un esborso che non va allo Stato,  bensi'  ad
un organismo, che potrebbe addirittura avere natura privata; 
        d) e  si  tratta  infine  di  un  esborso  che  nemmeno  puo'
considerarsi  "razionalmente  collegato  alla  pretesa   dedotta   in
giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio
conforme alla sua funzione", poiche' questi esborsi, di  nuovo,  sono
da rinvenire solo nelle cauzioni e nei  tributi  giudiziari,  non  in
altre cause di pagamento, e perche' un esborso che non va allo  Stato
ma ad un organismo, anche di  natura  privata,  non  puo'  mai  avere
queste caratteristiche. 
Violazione dell'art. 3 Cost. 
    In  terzo  luogo  la  media-conciliazione   rompe   altresi'   il
trattamento paritario nel processo tra attore e convenuto. 
    Cio' gia' avviene con il d.lgs. 28/10, che prevede la  condizione
di procedibilita' ex art. 5 per la domanda principale e  non  per  la
domanda riconvenzionale, ma oggi, piu' gravemente, avviene con l'art.
16  D.M.  180/10,  concernente  i  criteri  di  determinazione  delle
indennita'. 
    Tale disposizione, infatti, divide le indennita' del procedimento
di mediazione tra "spese di  avvio  del  procedimento"  e  "spese  di
mediazione". 
    Le "spese di avvio del procedimento"  sono  dovute  da  "ciascuna
parte" ma sono versate "dall'istante al momento  del  deposito  della
domanda" (2° comma). 
    Parimenti "le spese di mediazione indicate sono dovute in  solido
da ciascuna parte che ha aderito al procedimento". 
    Dunque, il decreto  ministeriale  espressamente  prevede  che  la
parte convenuta possa non aderire al procedimento. 
    Cosicche', ai sensi dell'art. 3 Cost.: a) o si ritiene che  anche
l'attore possa non aderire al procedimento, e quindi possa versare la
sola spesa di avvio del procedimento ai fini dell'art. 5  del  d.lgs.
28/10 con  contestuale  dichiarazione  di  non  voler  avvalersi  del
servizio; b)  oppure  il  sistema  e'  in  violazione  del  principio
d'eguaglianza, consentendo solo alla parte convenuta di  non  aderire
al procedimento, ma non alla parte attrice, che si vedrebbe ob  torto
collo obbligata al procedimento di mediazione per poter far valere in
giudizio un suo diritto. L'istituto della media-conciliazione di  cui
all'art. 5 del d.lgs. 28/10, in combinato disposto con l'art. 16 D.M.
180/10, in questi termini, non viola cosi' solo l'art. 24 Cost.  (per
essere, al tempo stesso, obbligatoria  e  onerosa),  ma  viola  anche
l'art. 3 Cost., perche' pone su piani diversi, e tratta diversamente,
la parte attrice rispetto a quella convenuta. 
    Ne', contro questo argomento, si puo' sostenere che la diversita'
di trattamento dipende dalla  diversita'  delle  pretese,  perche  e'
l'attore che vuol adire il giudice, non il convenuto. 
    Un  rilievo  del  genere  puo'  esser  fatto  solo  da  chi  veda
nell'attore un rompiscatole da arginare e non la parte che ha  subito
un torto e chiede giustizia. 
    Adire il giudice e' un  diritto  costituzionale,  e  chi  intende
farlo  non  deve  subire  pregiudizi  rispetto   alle   altre   parti
processuali, che possono essere  proprio  quelle  che  hanno  causato
l'insorgere della lite per una violazione di legge. 
    Altrimenti  il  sistema,  oltre  ad  infrangere  il   trattamento
paritario delle parti in giudizio, rischia altresi' di  compromettere
seriamente l'elementare dovere del rispetto delle  obbligazioni,  con
gravi ripercussioni non solo sul diritto, ma anche sull'economia. 
Violazione dell'art. 97 Cost. 
    Un    quarto    aspetto    di     incostituzionalita'     attiene
all'organizzazione interna degli organismi di 
    conciliazione, anche per come definiti  con  l'art.  4  del  D.M.
180/10. Ed infatti, nel momento in cui la procedura di mediazione  e'
resa obbligatoria al fine di far valere in giudizio un diritto, e nel
momento  in  cui  le  attivita'  del  mediatore  interferiscono   con
l'esercizio   della   funzione   giurisdizionale   (i   verbali    di
conciliazione, infatti,  costituiscono  titolo  esecutivo  (art.  12,
d.lgs.  28/10),  le  proposte  di   conciliazione,   inoltre,   hanno
conseguenze sulla liquidazione delle spese  del  giudizio  (art.  13,
d.lgs. 28/10) ed, infine, la mancata partecipazione  al  procedimento
di mediazione puo' rilevare ex art. 116, 2°  comma  c.p.c.  (art.  8,
d.lgs. 28/10)), va da se' che il procedimento ha funzione pubblica, e
deve  pertanto  rispondere  ai  requisiti  di  buon  andamento  e  di
imparzialita'  di  cui  all'art.   97   Cost.,   soprattutto   quando
l'organismo e' ente pubblico. 
    Ora, niente di questo si trova nell'art. 4 del D.M.  180/10,  che
usa  talune  espressioni  elastiche,  e  fissa  blandi   criteri   di
professionalita' dei mediatori, ma  niente  piu',  senza  prescrivere
come doverose le condizioni  minime  di  trasparenza,  eguaglianza  e
imparzialita' dovute all'esercizio di una funzione pubblica. 
    In particolare il decreto ministeriale doveva  prevedere  criteri
oggettivi circa l'assegnazione delle pratiche fra  i  vari  mediatori
dell'organismo, nonche' criteri oggettivi circa il reclutamento degli
aspiranti mediatori presso gli organismi costituiti da enti pubblici. 
    Soprattutto, sotto il primo aspetto, l'assegnazione della pratica
al singolo mediatore all'interno dell'organismo  andava  fissata  con
crieri oggettivi, analoghi, seppur in forma  semplificata,  a  quelli
che sussistono nei tribunali con il  sistema  c.d.  tabellare,  visto
che, come  detto,  l'attivita'  del  mediatore  interferisce  con  la
giurisdizione. 
    Il D.M. 180/10 e' rimasto viceversa silente sul punto,  lasciando
cosi' la  questione  alla  discrezionalita'  dell'organismo,  che  la
regolera' in base al proprio statuto.  In  questo  modo  si  potranno
avere  statuti  che  prevedranno  l'assegnazione  delle  pratiche  su
designazione discrezionale del  presidente,  oppure  di  un  garante,
singolo o collegiale, o di altro soggetto, all'uopo istituito. 
    L'art. 5 d.lgs. 28/10, in combinato disposto  con  l'art.  4  del
D.M. 180/10, si pone pertanto in contrasto con l'art. 97 Cost., visto
che  l'assenza  di  un  meccanismo  oggettivo  e  predeterminato  per
l'assegnazione delle pratiche rischia di compromettere l'indipendenza
e la  terzieta'  del  mediatore,  attribuendo  un  potere  gestionale
inammissibile all'organismo. 
    E' la violazione dell'art. 97 Cost. si evidenzia come fondata ove
solo si considera che l'attivita'  del  mediatore  interferisce  come
detto con quella giurisdizionale, e quindi ha la necessita' di essere
esercitata alla luce di detti criteri di trasparenza, indipendenza  e
imparzialita'. P.Q.M. si chiede che l'Ill.mo Giudice di  pace  Voglia
rimettere alla Corte  costituzionale  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5  del  d.lgs.  28/10,  anche  in  combinato
disposto con l'art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, nonche'  con
gli artt. 4 e 16 del D.M. 10 ottobre  2010  n.  180,  per  violazione
degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost. secondo le ragioni sopra esposte.». 
    A seguito della  proposizione  di  tale  eccezione  lo  scrivente
Giudice di pace tratteneva la causa in riserva. 
    IV.  La  questione  posta  dalla  parte  attrice  e'  sicuramente
rilevante. 
    Invero,  come  innanzi  accennato,   la   presente   controversia
riguarda,  pacificamente,  un  contratto  di  comodato  e,  pertanto,
rientra nell'ambito di applicazione  della  disposizione  contemplata
dall'art. 5  del  d.lgs.  28/2010  che  cosi'  recita:  «chi  intende
esercitare in giudizio un'azione  relativa  ad  una  controversia  in
materia di ... comodato ... e' tenuto preliminarmente a  esperire  il
procedimento  di  mediazione  ai  sensi   del   presente   decreto...
L'esperimento  del  procedimento  di  mediazione  e'  condizione   di
procedibilita'  della  domanda  giudiziale.  L'improcedibilita'  deve
essere eccepita dal  convenuto,  a  pena  di  decadenza,  o  rilevata
d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza... Il  giudice  ove
rilevi che la mediazione e gia' iniziata,  ma  non  si  e'  conclusa,
fissa la successiva udienza dopo  la  scadenza  del  termine  di  cui
all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e'
stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il  termine  di
quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione...». 
    La proposizione della domanda introduttiva del giudizio e',  poi,
successiva all'entrata  in  vigore  della  predetta  disposizione  e,
infine, il convenuto ha tempestivamente sollevato  l'improcedibilita'
della domanda stessa. 
    Di qui la rilevanza che  la  disposizione  censurata  assume  nel
presente giudizio che, evidentemente, non puo' essere definito  senza
che  ne  sia  valutata  la  eventuale  compatibilita'  con  la  Carta
costituzionale. 
    V. La questione di legittimita'  costituzionale  della  norma  in
esame appare non manifestamente infondata per le ragioni che seguono. 
    VI. Cionondimeno, prima di entrare nel  merito  della  questione,
pare  opportuno  illustrare,  sia  pure  sinteticamente,  il   quadro
normativo di riferimento. 
    VII. Com'e' noto, la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE  del
Parlamento  europeo  e   del   Consiglio   dell'Unione   europea   ha
disciplinato alcuni aspetti della  mediazione  in  materia  civile  e
commerciale. 
    La direttiva chiarisce innanzitutto che l'obiettivo di  garantire
un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale,
e, segnatamente, la disponibilita' del servizio  di  mediazione,  nel
contesto della politica dell'Unione europea  volta  a  istituire  uno
spazio  di  liberta',  sicurezza  e  giustizia,  e'   un   importante
contributo al corretto  funzionamento  del  mercato  interno  (quinto
considerando). 
    Alla luce del sesto considerando della direttiva,  la  mediazione
e', infatti, ritenuta una risoluzione extragiudiziale  conveniente  e
rapida delle controversie in materia civile e commerciale, poiche' le
relative procedure sono concepite in base alle esigenze delle  parti,
e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilita'
di  essere  rispettati  volontariamente,  oltre  a  preservare   piu'
facilmente una relazione  amichevole  e  sostenibile  tra  le  parti,
benefici che diventano anche piu' evidenti nelle questioni di portata
transfrontaliera. 
    La direttiva intende indi delinearne  gli  elementi  chiave,  per
rendere certo il relativo contesto giuridico (settimo considerando). 
    Sotto il profilo sostanziale, in  positivo,  si  afferma  che  la
direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere,  ma
che nulla  dovrebbe  vietare  agli  Stati  membri  di  estenderla  ai
«procedimenti di mediazione interni» (ottavo considerando). 
    In  negativo,  si  afferma  che  la   mediazione   non   dovrebbe
applicarsi: «ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno  la
facolta'  di  decidere  da  sole  in  base  alla   pertinente   legge
applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente  frequenti
in  materia  di  diritti  di   famiglia   e   del   lavoro»   (decimo
considerando); «alle trattative precontrattuali o ai procedimenti  di
natura arbitrale quali talune forme di conciliazione  dinanzi  ad  un
organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l'arbitrato  e  la
valutazione  di  periti  o  i  procedimenti  gestiti  da  persone  od
organismi  che  emettono  una  raccomandazione  formale,   sia   essa
legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della  controversia»
(undicesimo considerando). 
    Quanto  agli  elementi  chiave  della  mediazione,   vengono   in
evidenza, sempre tra i considerando, la differenza  tra  mediatore  e
giudice (dodicesimo considerando),  la  possibilita'  di  rendere  il
ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto  a  incentivi  o
sanzioni, purche' non venga impedita alle  parti  «di  esercitare  il
loro diritto di  accesso  al  sistema  giudiziario»  (quattordicesimo
considerando) ovvero non si impedisca alle  parti,  nell'incoraggiare
la  mediazione,  in  relazione  ai  termini  di  prescrizione  e   di
decadenza,  «di  adire  un  organo  giurisdizionale  o  di  ricorrere
all'arbitrato  in  caso  di  infruttuoso  tentativo  di   mediazione»
(ventiquattresimo considerando),  la  fissazione  di  un  termine  al
processo di mediazione (tredicesimo  considerando),  la  riservatezza
del  relativo  procedimento,   anche   in   relazione   all'eventuale
successivo  procedimento  giudiziario  od  arbitrale   (ventitreesimo
considerando), l'esecutivita' dell'accordo scritto  raggiunto,  fatta
salva l'ipotesi di contrasto tra lo stesso  e  il  diritto  nazionale
ovvero quella che l'obbligo contemplato nell'accordo non possa essere
per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai  fini
erariali, la tendenziale neutralita' finanziaria  in  relazione  agli
stati membri della mediazione,  che  puo'  includere  «il  ricorso  a
soluzioni basate sul mercato» (diciassettesimo considerando). 
    Viene inoltre  in  rilievo  l'assistenza  del  mediatore  (decimo
considerando),  la  sua  formazione  e  l'introduzione  di   efficaci
meccanismi di controllo della qualita' della fornitura  del  servizio
(sedicesimo  considerando),  la  flessibilita'  del  procedimento  di
mediazione   e   l'autonomia   delle   parti,   nonche'   l'efficacia
l'imparzialita' e la  competenza  della  mediazione  (diciassettesimo
considerando). 
    La direttiva 2008/52/CE regola la materia con 14 articoli. 
    In particolare: 
        l'art.    1    enuncia    l'obiettivo    della    regolazione
(«...facilitare  l'accesso   alla   risoluzione   alternativa   delle
controversie  e  di  promuovere  la  composizione  amichevole   delle
medesime  incoraggiando  il  ricorso  alla  mediazione  e  garantendo
un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento  giudiziario»)
e   ne   delinea   il   campo   di   applicazione   [«...controversie
transfrontaliere, in  materia  civile  e  commerciale  tranne  per  i
diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti  dalla  pertinente
legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla  materia
fiscale, doganale e amministrativa  ne'  alla  responsabilita'  dello
Stato per atti o omissioni nell'esercizio di  pubblici  poteri  (acta
iure imperii)]; 
        l'art.  3,  dedicato  alle  definizioni,  dispone   che   per
mediazione, al di la' della denominazione, si intende un procedimento
strutturato ove «...due o piu' parti di una controversia tentano esse
stesse,  su  base  volontaria,  di  raggiungere  un   accordo   sulla
risoluzione della medesima con l'assistenza  di  un  mediatore.  Tale
procedimento puo' essere avviato dalle parti, suggerito  od  ordinato
da un organo giurisdizionale o prescritto di  diritto  da  uno  Stato
membro»; 
        lo stesso art. 3  esplicita  che  per  mediatore  si  intende
«...qualunque terzo cui e' chiesto di condurre la mediazione in  modo
efficace,   imparziale   e   competente,   indipendentemente    dalla
denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato  membro
interessato...» (lett. b), che comunque incoraggia «...la  formazione
iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di  garantire  che  la
mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale  e  competente
in relazione alle parti» (par. 2); 
        l'art. 5, dedicato al ricorso alla  mediazione,  esplicitando
l'intendimento gia' anticipato dal preambolo, prevede  che  «L'organo
giurisdizionale  investito  di  una  causa  puo',   se   lo   ritiene
appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare
le parti a ricorrere  alla  mediazione  allo  scopo  di  dirimere  la
controversia...» e che «La presente direttiva  lascia  impregiudicata
la legislazione  nazionale  che  rende  il  ricorso  alla  mediazione
obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni,  sia  prima  che
dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purche' tale legislazione
non impedisca alle parti di  esercitare  il  diritto  di  accesso  al
sistema giudiziario»; 
        l'art. 6 delinea la  esecutivita'  degli  accordi  risultanti
dalla mediazione, che e', peraltro, esclusa laddove «...il  contenuto
dell'accordo e' contrario alla legge dello Stato membro in cui  viene
presentata la richiesta o se la legge di detto Stato  membro  non  ne
prevede l'esecutivita'»; 
        l'art. 8 dispone che «Gli Stati membri  provvedono  affinche'
alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di  dirimere  una
controversia  non  sia  successivamente  impedito   di   avviare   un
procedimento  giudiziario  o  di  arbitrato  in  relazione   a   tale
controversia per il fatto che durante il procedimento  di  mediazione
siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza». 
    VIII. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata  «Disposizioni
per lo sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la  competitivita'
nonche in materia di processo civile», e,  segnatamente,  con  l'art.
60, il legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno o
piu' decreti legislativi in materia di mediazione e di  conciliazione
in ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in  coerenza
con la normativa comunitaria e in conformita' ai principi  e  criteri
direttivi enunciati al comma 3 (comma 2). 
    Tra questi  ultimi,  sono  attinenti  alla  materia  dell'odierno
contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere: 
        «a)   prevedere   che   la   mediazione,   finalizzata   alla
conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili,
senza precludere l'accesso alla giustizia; 
        b) prevedere  che  la  mediazione  sia  svolta  da  organismi
professionali e indipendenti,  stabilmente  destinati  all'erogazione
del servizio di conciliazione; 
        c) disciplinare la mediazione, nel rispetto  della  normativa
comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di  cui
al decreto legislativo  17  gennaio  2003,  n.  5,  e  in  ogni  caso
attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia,  senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro  degli
organismi di conciliazione...; 
        d) prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro  e
per la sua conservazione siano stabiliti  con  decreto  del  Ministro
della giustizia; 
        e) prevedere la possibilita', per  i  consigli  degli  ordini
degli avvocati,  di  istituire,  presso  i  tribunali,  organismi  di
conciliazione che,  per  il  loro  funzionamento,  si  avvalgono  del
personale degli stessi consigli; 
        f) prevedere che gli  organismi  di  conciliazione  istituiti
presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; 
        g) prevedere, per le controversie in particolari materie,  la
facolta' di istituire organismi di conciliazione  presso  i  consigli
degli ordini professionali; 
        h) prevedere che gli organismi di conciliazione di  cui  alla
lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro; 
        n) prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente,
prima  dell'instaurazione  del  giudizio,   della   possibilita'   di
avvalersi dell'istituto della conciliazione nonche' di ricorrere agli
organismi di conciliazione; 
        p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude  il
processo corrisponda interamente 
        al contenuto dell'accordo proposto in sede di procedimento di
conciliazione, che il giudice 
        possa escludere la  ripetizione  delle  spese  sostenute  dal
vincitore che ha rifiutato l'accordo  successivamente  alla  proposta
dello stesso, condannandolo  altresi',  e  nella  stessa  misura,  al
rimborso delle spese sostenute dal  soccombente...  e,  inoltre,  che
possa condannare il vincitore al pagamento di  un'ulteriore  somma  a
titolo di contributo unificato...; 
        q) prevedere che il procedimento di conciliazione  non  possa
avere una durata eccedente i quattro mesi; 
        r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime
di incompatibilita' tale da garantire la neutralita',  l'indipendenza
e  l'imparzialita'  del  conciliatore  nello  svolgimento  delle  sue
funzioni; 
        s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia  efficacia
esecutiva per l'espropriazione forzata,  per  l'esecuzione  in  forma
specifica  e  costituisca  titolo   per   l'iscrizione   di   ipoteca
giudiziale». 
    IX. La delega in parola e' stata esercitata con il d.lgs. 4 marzo
2010, n. 28. 
    L'art. 2 del d.lgs. 28/2010 recita che «1. Chiunque puo' accedere
alla mediazione per la conciliazione di  una  controversia  civile  e
commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le  disposizioni
del presente decreto». 
    L'art. 4 chiarisce che  «1.  La  domanda  di  mediazione  ...  e'
presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo...  2.
L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni
della pretesa. 3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato
e' tenuto a informare l'assistito della possibilita' di avvalersi del
procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e  delle
agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa
altresi' l'assistito dei casi in cui l'esperimento  del  procedimento
di  mediazione  e'  condizione  di   procedibilita'   della   domanda
giudiziale...». 
    L'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, che,  in  continuita'  logica
con l'ultima disposizione appena richiamata, sancisce al comma 1  che
«Chi  intende  esercitare  in  giudizio  un'azione  relativa  ad  una
controversia in materia  di  condominio,  diritti  reali,  divisione,
successioni  ereditarie,  patti  di  famiglia,  locazione,  comodato,
affitto  di  aziende,  risarcimento   del   danno   derivante   dalla
circolazione di veicoli e natanti, da  responsabilita'  medica  e  da
diffamazione  con  il  mezzo  della  stampa  o  con  altro  mezzo  di
pubblicita', contratti assicurativi, bancari e finanziari, e'  tenuto
preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del
presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal
decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179,  ovvero  il  procedimento
istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo  unico  delle
leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto  legislativo
1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie
ivi  regolate.  L'esperimento  del  procedimento  di  mediazione   e'
condizione    di    procedibilita'    della    domanda    giudiziale.
L'improcedibilita' deve essere eccepita  dal  convenuto,  a  pena  di
decadenza, o rilevata d'ufficio  dal  giudice,  non  oltre  la  prima
udienza...». 
    Esclusa,  ai  sensi  dell'ultimo  periodo  del  ridetto  comma  1
dell'art. 5 la sua applicazione alle azioni previste dagli artt.  37,
140 e 140-bis del codice del consumo (d.lgs.  6  settembre  2005,  n.
206), il successivo comma 4 dispone ancora  che  lo  stesso  comma  1
(nonche' il comma 2) non si applica: 
        «a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa  l'opposizione,
fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione  della
provvisoria esecuzione; 
        b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto,  fino
al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura
civile; 
        c) nei  procedimenti  possessori,  fino  alla  pronuncia  dei
provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo  comma,  del  codice  di
procedura civile; 
        d)  nei  procedimenti  di  opposizione   o   incidentali   di
cognizione relativi all'esecuzione forzata; 
        e) nei procedimenti in camera di consiglio; 
        f) nell'azione civile esercitata nel processo penale». 
    Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11, 12 e 13, il  procedimento  di
mediazione, anche sotto il profilo temporale (art. 6: durata  massima
di  quattro  mesi),  gli  effetti  dalla  legge  ricondotti  ai  suoi
possibili esiti [a) mancata partecipazione senza giustificato motivo,
art.  8,  comma  5;  b)   raggiungimento   dell'accordo   amichevole,
formazione del relativo processo verbale  anche  sulla  base  di  una
proposta  di  mediazione,  ed  efficacia  esecutiva   ed   esecuzione
dell'accordo, non contrario all'ordine pubblico e a norme imperative,
previa omologazione, art. 11, commi 1, 2, 3 e  art.  12;  c)  mancato
raggiungimento dell'accordo, art. 11,  comma  4],  nonche'  le  spese
dell'eventuale giudizio che fa seguito al procedimento di  mediazione
nel quale non si e' raggiunto un accordo (art. 13), il capo  III  del
d.lgs. 28/2010 e' dedicato agli organismi di mediazione. 
    Al riguardo, viene in rilievo la previsione dell'art.  16,  comma
1, della costituzione da parte di enti pubblici o privati, che  diano
garanzie di serieta' ed efficienza, di organismi deputati, su istanza
della parte interessata, a  gestire  il  procedimento  di  mediazione
nelle materie di cui all'art. 2. 
    Tali organismi devono essere iscritti nel registro, con  separate
sezioni,  disciplinato  da  appositi  decreti  del   Ministro   della
giustizia, di concerto, relativamente alla materia del  consumo,  con
il Ministro dello sviluppo economico, che regola anche le  indennita'
loro spettanti (art. 16, commi 1 e 2). 
    Dette amministrazioni costituiscono, per la parte di  competenza,
le autorita' vigilanti sul registro (art. 16, comma 4). 
    Ai fini dell'iscrizione, secondo il comma 3 dello stesso art. 16,
gli organismi,  unitamente  alla  relativa  domanda,  sono  tenuti  a
depositare il proprio regolamento  di  procedura,  la  cui  idoneita'
forma oggetto di specifica valutazione da parte del  Ministero  della
giustizia, e il codice etico. Al regolamento  devono  inoltre  essere
allegate  le  tabelle  delle  indennita'  spettanti  agli   organismi
costituiti da enti privati,  che  sono  a  loro  volta  proposte  per
l'approvazione, a norma del successivo art. 17. 
    Invero, l'art. 17, disposto ai commi 2 e 3 che  tutti  gli  atti,
documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono
esenti dall'imposta di bollo e da ogni  spesa,  tassa  o  diritto  di
qualsiasi specie e natura, e che il  verbale  di  accordo  e'  esente
dall'imposta di registro entro il limite di  valore  di  50.000  euro
(altrimenti l'imposta e' dovuta per la parte eccedente),  prevede  al
comma 4 che con  il  decreto  di  cui  all'art.  16,  comma  2,  sono
determinati: 
        «a) l'ammontare minimo e massimo delle  indennita'  spettanti
agli organismi pubblici, il criterio di calcolo  e  le  modalita'  di
ripartizione tra le parti; 
        b)  i  criteri  per  l'approvazione   delle   tabelle   delle
indennita' proposte dagli organismi costituiti da enti privati; 
        c) le maggiorazioni  massime  delle  indennita'  dovute,  non
superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi  di  successo  della
mediazione; 
        d) le riduzioni minime delle indennita' dovute nelle  ipotesi
in cui  la  mediazione  e'  condizione  di  procedibilita'  ai  sensi
dell'articolo 5, comma 1». 
    La disposizione di cui alla appena citata lett. d) si correla  al
comma 5, che dispone che,  quando  la  mediazione  e'  condizione  di
procedibilita'  della  domanda  ai  sensi  dell'art.  5,   comma   1,
all'organismo non e' dovuta alcuna  indennita'  dalla  parte  che  si
trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a  spese  dello
Stato. 
    X. Con  decreto  18  ottobre  2010,  n.  180  il  Ministro  della
giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo  economico,  ha
adottato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle
modalita' di iscrizione e tenuta  del  registro  degli  organismi  di
mediazione e dell'elenco dei formatori  per  la  mediazione,  nonche'
l'approvazione delle indennita' spettanti agli organismi. 
    XI. Cio' premesso, e' da precisare che la  parte  attrice  espone
che l'art. 5 del d.lgs. 28/2010 e gli  artt.  4  e  16  del  D.M.  10
ottobre 2010 n. 180  non  sfuggirebbero  a  censure  di  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 77 e 97 Cost. 
    In particolare: 
        a) l'art. 5 del d.lgs. n. 28  del  2010,  nel  prevedere  che
l'esperimento  del  procedimento  di  mediazione  e'  condizione   di
procedibilita', rilevabile anche d'ufficio, della domanda  giudiziale
in riferimento alle controversie nelle previste materie  (condominio,
diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di  famiglia,
locazione, comodato,  affitto  di  aziende,  risarcimento  del  danno
derivante dalla circolazione di veicoli  e  natanti,  responsabilita'
medica e diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo  di
pubblicita',   contratti   assicurativi,   bancari   e   finanziari),
precluderebbe  l'accesso  diretto   alla   giustizia,   disattendendo
espressamente le previsioni della legge delega, art. 60  della  legge
n. 69 del 2009, e, segnatamente, il principio e criterio direttivo di
cui alla q) la quale voleva che il  procedimento  di  mediazione  non
potesse mai «precludere l'accesso alla giustizia»; 
        b) l'attore sostiene, poi, che l'art. 16, comma 4°, del  D.M.
180/2010 viola il canone dell'art. 24 Cost. in quanto, a suo dire, la
mediazione puo' essere obbligatoria, oppure onerosa, ma  non  le  due
cose insieme, poiche' se la mediazione,  come  nel  nostro  caso,  e'
tanto obbligatoria quanto onerosa, allora e' incostituzionale; 
        c) la suddetta disposizione si porrebbe,  poi,  in  contrasto
con la disposizione di cui all'art. 3 Cost. in  quanto  espressamente
prevede che la parte convenuta possa non aderire al procedimento.  E,
al ricorrere di  tale  evenienza,  il  convenuto  non  e'  tenuto  al
pagamento di alcuna  indennita',  di  qui  l'indicata  disparita'  di
trattamento; 
        d) la parte attrice censura, poi, l'art. 4 del  D.M.  180/10.
Sostiene, infatti, che nel momento in cui la procedura di  mediazione
e' resa obbligatoria al fine di far valere in giudizio un diritto,  e
nel momento in cui le  attivita'  del  mediatore  interferiscono  con
l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  il   procedimento   ha
funzione pubblica, e deve pertanto rispondere ai  requisiti  di  buon
andamento e di imparzialita' di cui all'art. 97 Cost. 
    Nulla di cio' sarebbe invece imposto  dalla  citata  disposizione
che, anzi, usa talune espressione elastiche, e fissa  blandi  criteri
di professionalita' dei mediatori, ma niente piu', senza  prescrivere
come doverose le condizioni  minime  di  trasparenza,  eguaglianza  e
imparzialita' dovute all'esercizio di una funzione pubblica. 
    XII. Ritiene lo scrivente che le questioni  di  costituzionalita'
sollevate dalla parte attrice non appaiano manifestamente infondate. 
    XIII. Anzitutto appare evidente la violazione degli artt. 76 e 77
Cost. per contrasto tra la legge  delega  e  il  decreto  legislativo
28/10. 
    Va, in proposito, osservato  che  l'art.  60  della  legge  69/09
(legge delega) al terzo comma lett. a) prescrive  che  nell'esercizio
della delega il Governo  si  attenga,  tra  gli  altri,  al  seguente
principio e criterio direttivo «... a) prevedere che  la  mediazione,
finalizzata alla conciliazione, abbia  per  oggetto  controversie  su
diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia». 
    Orbene, in contrasto con  la  prescrizione  della  legge  delega,
l'art. 5 del d.lgs. 28/10 configura  il  procedimento  di  mediazione
quale condizione di procedibilita' della domanda giudiziale, di fatto
precludendo l'immediato accesso alla giustizia. 
    Il d.lgs. 28/10, concependo il procedimento di  mediazione  quale
propedeutico  alla  domanda  giudiziale,  rischia  di   compromettere
l'effettivita' della stessa tutela giudiziale. 
    Non puo' argomentarsi, in senso contrario, che la  mediazione  di
cui  all'art.  5  del  d.lgs.  28/10  non  preclude  l'accesso   alla
giustizia, poiche' attivato il procedimento di mediazione e trascorsi
i quattro mesi  di  cui  all'art.  6,  l'accesso  alla  giustizia  e'
possibile,  e  la  condizione  di  procedibilita'  della  domanda  e'
assolta. Ed infatti, che dopo il procedimento di mediazione la  parte
possa  adire  il  giudice  e'  circostanza  del  tutto  evidente,   e
certamente non v'era bisogno che la legge ricordasse una ovvieta' del
genere, poiche' nel nostro sistema e' impensabile che non si dia alla
parte il diritto della tutela giurisdizionale. 
    Pertanto, se l'art. 60 della legge 69/09 aveva stabilito  che  la
mediazione doveva darsi «senza precludere l'accesso alla  giustizia»,
essa, evidentemente, non faceva riferimento alla  possibilita'  della
parte di adire il giudice dopo la mediazione, ma  faceva  riferimento
alla necessita' che la mediazione non  condizionasse  il  diritto  di
azione,  e  quindi   non   fosse   costruita   come   condizione   di
procedibilita'. 
    Ne' puo'  argomentarsi  che  il  problema  non  sussiste  per  la
brevita' del termine di quattro  mesi,  cosicche'  la  condizione  di
procedibilita' dell'art.  5  sarebbe  compensata  dal  termine  breve
fissato nell'art. 6. 
    Cio', infatti, non puo' sostenersi perche' il  termine  breve  di
quattro  mesi  era  gia'  stato  fissato  dalla   legge   delega,   e
precisamente nella lettera  q)  dell'art.  60,  la  quale,  al  tempo
stesso, pero', voleva che il  procedimento  di  mediazione  si  desse
comunque senza «precludere l'accesso alla giustizia». 
    Nel   rispetto   dell'art.   60   della   legge   delega   69/09,
l'obbligatorieta' del procedimento di mediazione in tutte le  ipotesi
dell'art. 5 del d.lgs. 28/10 non poteva dunque darsi. 
    L'art. 5 del d.lgs. 28/10 appare, dunque, in contrasto con l'art.
60 della legge 69/09, e'  pertanto  incostituzionale  per  violazione
degli artt. 76 e 77 Cost. 
    XIV. Si deve, poi,  convenire  con  la  parte  attrice  allorche'
censura la compatibilita' delle  disposizioni  in  argomento  con  il
fondamentale canone di cui all'art. 24 Cost. 
    Invero, come  dalla  stessa  ben  argomentato,  se  il  tentativo
obbligatorio di conciliazione ha un costo,  e  questo  costo  non  e'
meramente simbolico, come avviene con l'art. 16 D.M. 180/10,  allora,
nella sostanza,  il  sistema  subordina  l'esercizio  della  funzione
giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro. 
    A tal proposito,  non  puo'  non  convenirsi  con  l'affermazione
secondo cui il nostro  sistema  non  puo'  subordinare  l'accesso  al
giudice al pagamento di una somma di denaro. 
    Gia' con la pronuncia n. 67 del 1960 la Corte costituzionale ebbe
modo di chiarire che «il principio, secondo il  quale  tutti  possono
agire in giudizio per  la  tutela  dei  propri  diritti  e  interessi
legittimi e la difesa e' diritto inviolabile in ogni  stato  e  grado
del  procedimento,  deve  trovare  attuazione   uguale   per   tutti,
indipendentemente  da  ogni  differenza  di  condizioni  personali  e
sociali» e, saggiamente, aggiungeva «la esclusione  dell'applicazione
dell'istituto  nella  ipotesi  che  l'attore  sia  stato  ammesso  al
gratuito patrocinio non elimina  la  disparita'  di  condizioni,  sia
perche' tale ammissione e' subordinata alla dimostrazione dello stato
di poverta' dell'interessato, e percio' dovrebbe essere  rifiutata  a
chi non si trovasse in tale condizione, sia perche'  il  procedimento
preliminare per la concessione del beneficio  non  e'  sempre  rapido
come sarebbe desiderabile». 
    Peraltro, e' noto che il problema  della  compatibilita'  tra  il
principio  costituzionale  che   garantisce   a   tutti   la   tutela
giurisdizionale dei propri diritti  e  singole  norme  che  impongono
determinati incombenti (anche di natura economica) a carico di coloro
che tale  tutela  richiedano,  sia  stato  risolto  alla  luce  della
distinzione fra gli oneri  che  sono  «razionalmente  collegati  alla
pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno
svolgimento  meglio  conforme  alla  sua   funzione»,   da   ritenere
evidentemente  consentiti,  e  quelli  che  tendono,  invece,   «alla
soddisfazione  di  interessi  del  tutto  estranei   alle   finalita'
predette», i  quali  -  conducendo  al  risultato  «di  precludere  o
ostacolare gravemente l'esperimento della tutela  giurisdizionale»  -
incorrono «nella sanzione dell'incostituzionalita'» (cfr. sentenze n.
522 del 2002 e n. 333 del 2001). 
    Ebbene, come correttamente rilevato dalla parte attrice, nel caso
di specie, l'imposizione del pagamento di una  somma  di  denaro  per
l'esercizio di un diritto in  sede  giurisdizionale,  quale  oggi  si
realizza con la media-conciliazione in forza del  combinato  disposto
dell'art. 5 d.lgs. 28/10 e art. 16 D.M. 180/10, si pone in  contrasto
con tutti i parametri di costituzionalita', in quanto: 
        a) si tratta di un esborso che non puo' essere ricondotto ne'
al tributo giudiziario, ne' alla cauzione; 
        b) si tratta di un  esborso  che  non  puo'  considerarsi  di
modestissima, e nemmeno di modesta, entita'; 
        c) si tratta di un esborso che non va allo Stato,  bensi'  ad
un organismo, che potrebbe addirittura avere natura privata; 
        d) e  si  tratta  infine  di  un  esborso  che  nemmeno  puo'
considerarsi «razionalmente 
        collegato alla pretesa dedotta in  giudizio,  allo  scopo  di
assicurare al processo  uno  svolgimento  meglio  conforme  alla  sua
funzione», poiche' questi esborsi, di nuovo, sono da  rinvenire  solo
nelle cauzioni e nei  tributi  giudiziari,  non  in  altre  cause  di
pagamento, e perche' un esborso che  non  va  allo  Stato  ma  ad  un
organismo, anche  di  natura  privata,  non  puo'  mai  avere  queste
caratteristiche. 
    XV. Del pari merita adesione l'argomentazione della parte attrice
che ravvede la violazione dell'art. 3 della Cost. 
    L'art. 16 D.M. 180/10, concernente i  criteri  di  determinazione
delle  indennita',  suddivide  le  stesse  in  «spese  di  avvio  del
procedimento» e «spese di mediazione». 
    Le «spese di avvio del procedimento»  sono  dovute  da  «ciascuna
parte», ma sono versate «dall'istante al momento del  deposito  della
domanda» (2° comma). 
    Parimenti «le spese di mediazione indicate sono dovute in  solido
da ciascuna parte che ha aderito al procedimento». Dunque, il decreto
ministeriale espressamente prevede che la parte convenuta  possa  non
aderire al procedimento. 
    Cosicche', ai sensi dell'art. 3 Cost.: a) o si ritiene che  anche
l'attore possa non aderire al procedimento, e quindi possa versare la
sola spesa di avvio del procedimento ai fui dell'art.  5  del  d.lgs.
28/10 con  contestuale  dichiarazione  di  non  voler  avvalersi  del
servizio; b)  oppure  il  sistema  e'  in  violazione  del  principio
d'eguaglianza, consentendo solo alla parte convenuta di  non  aderire
al procedimento, ma non alla parte attrice, che si vedrebbe  comunque
obbligata al procedimento di  mediazione  per  poter  far  valere  in
giudizio un suo diritto. 
    L'istituto della media-conciliazione di cui all'art. 5 del d.1gs.
28/10, in combinato disposto con l'art. 16  D.M.  180/10,  in  questi
termini, non viola cosi' solo l'art. 24 Cost. (per essere,  al  tempo
stesso, obbligatoria e onerosa),  ma  viola  anche  l'art.  3  Cost.,
perche' pone su  piani  diversi,  e  tratta  diversamente,  la  parte
attrice rispetto a quella convenuta. 
    XVI. Si rende  conseguentemente  necessaria  la  sospensione  del
giudizio  e  la  rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
affinche' si pronunci sulla questione.