IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1189 del 2011, proposto da avv. Antonio Amato, Parte attrice; Contro avv. Edoardo Ferragina, Parte convenuta; Esaminato il contenuto dell'atto introduttivo del presente giudizio, nonche' la comparsa di costituzione e risposta ritualmente versati in atti; A scioglimento della riserva di cui al verbale che precede; Osserva I. L'avv. Antonio Amato con atto di citazione ritualmente notificato evocava in giudizio l'avv. Edoardo Ferragina al fine di sentir accertare e dichiarare il suo buon diritto ad ottenere la restituzione di due libri concessi in comodato qualche tempo prima. Aggiungeva, a tal proposito, che i numerosi solleciti e tentativi effettuati per rientrare in possesso dei predetti beni non avrebbero sortito alcun esito. Sulla scorta di tali premesse in punto di fatto concludeva per l'accoglimento delle richiamate conclusioni. II. Radicatosi il contraddittorio, la parte convenuta, pur contestando decisamente nel merito il contenuto della domanda avversaria, eccepiva, in via preliminare, la «improcedibilita' della domanda per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione.». La relativa eccezione veniva posta in tali esatti termini: «Giova preliminarmente osservare che la domanda prima ancora che infondata e' improcedibile. Invero, l'art. 5 del d.lgs. 28/2010 cosi' dispone: "chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilita' medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita', contratti assicurativi, bancari e finanziari, e' tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto... L'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. L'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza... Il giudice ove rilevi che la mediazione e' gia' iniziata, ma non si e' conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione...". Nessun dubbio puo' esservi in ordine all'applicabilita' della suddetta disposizione nel presente giudizio. Invero, l'atto introduttivo del giudizio risulta essere stato notificato in data successiva all'entrata in vigore (20/3/2011) delle disposizioni di cui al d.lgs. 4.3.2010 n. 28 ("Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali"), come determinata dall'art. 24, comma 1, del decreto medesimo. Nel caso di specie, poi, si verte in materia di contratto di comodato e, per di piu', la materia in considerazione non risulta rientrare tra quelle in riferimento alle quali l'art. 2, comma 16-decies, del d.l. 29.12.2010, n. 225 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 26.2.2011, n. 10) ha previsto la proroga di dodici mesi del termine di entrata in vigore stabilito dal citato art. 24, comma 1, del d.lgs. 28/2010 (dal momento la proroga in questione e' stabilita "... limitatamente alle controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti"). Ne segue che la controversia in esame rientra nell'alveo applicativo dell'art. 5 del d.lgs. 28/2010, di talche' l'odierna parte attrice avrebbe dovuto preliminarmente esperire il procedimento di mediazione. Ora, ai sensi del citato art. 5, 1° comma, d.lgs. 28/2010, "l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale", con la precisazione che "l'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza"; alla stregua di tali previsioni e' pertanto imposto a questo giudice il rilievo d'ufficio dell'improcedibilita' della domanda. Il predetto art. 5, 1° comma, prevede inoltre che "il giudice ove rilevi che la mediazione e' gia' iniziata, ma non si e' ancora conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione"; di conseguenza, a prescindere dalla qualificazione normativa in termini di "improcedibilita'" della sanzione processuale correlata al mancato esperimento della procedura di mediazione, sotto un profilo sostanziale non vi e' luogo ad emettere un formale provvedimento di improcedibilita', dovendosi invece assegnare un termine per l'inizio del procedimento di mediazione, con contestuale fissazione dell'udienza per una data successiva alla scadenza del termine di quattro mesi previsto dall'art. 6, comma 1, del d.lgs. 28/2010.». III. Nel corso della udienza fissata per gli incombenti di cui all'art. 320 c.p.c., preso atto dell'impossibilita' di addivenire ad una conciliazione, la parte attrice sollevava questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 5 del d.lgs. 28/2010, nonche' degli artt. 4 e 16 del D.M. 180/2010 nei seguenti precisi termini: «l'avv. Antonio Amato eccepisce l'incostituzionalita' dell'art. 5 del d.lgs. 28/10, anche in combinato disposto con l'art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, nonche' con gli artt. 4 e 16 del D.M. 10 ottobre 2010 n. 180, per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost., per le ragioni che si passano ad esporre. Violazione dell'art. 77 Cost. V'e', in primo luogo, un eccesso di delega, che, nel caso di specie, si concretizza addirittura in un contrasto tra la legge delega e il decreto legislativo. Ed infatti, l'art. 60 legge 69/09 disponeva di "prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione", fosse realizzata "senza precludere l'accesso alla giustizia". L'art. 5 del d.lgs. 28/10, al contrario, ha reso in molti casi la mediazione una condizione di procedibilita' della domanda, e dunque ha disciplinato il fenomeno oltre i limiti fissati dalla legge delega, ed anzi, e piu' precisamente, in contrasto con la stessa nella parte in cui, appunto, non voleva che la mediazione precludesse l'accesso alla giustizia. Ne', in senso contrario, puo' argomentarsi che la mediazione di cui all'art. 5 del d.lgs. 28/10 non preclude l'accesso alla giustizia, poiche' attivato il procedimento di mediazione e trascorsi i quattro mesi di cui all'art. 6, l'accesso alla giustizia e' possibile, e la condizione di procedibilita' della domanda e' assolta. Ed infatti, che dopo il procedimento di mediazione la parte possa adire il giudice e' circostanza del tutto evidente, e certamente non v'era bisogno che la legge ricordasse una ovvieta' del genere, poiche' nel nostro sistema e' impensabile che, dopo una condizione di procedibilita', non si possa procedere, ovvero non si dia alla parte il diritto della tutela giurisdizionale. Pertanto, se l'art. 60 della legge 69/09 aveva stabilito che la mediazione doveva darsi "senza precludere l'accesso alla giustizia", essa, evidentemente, non faceva riferimento alla possibilita' della parte di adire il giudice dopo la mediazione, cosa scontata e ovvia, ma faceva riferimento alla necessita' che la mediazione non condizionasse il diritto di azione, e quindi non fosse costruita come condizione di procedibilita'. Ne', sempre in senso contrario, puo' argomentarsi che il problema non sussiste per la brevita' del termine di quattro mesi, cosicche' la condizione di procedibilita' dell'art. 5 sarebbe compensata dal termine breve fissato nell'art. 6. Cio', infatti, non puo' sostenersi perche il termine breve di quattro mesi era gia' stato fissato dalla legge delega, e precisamente nella lettera q) dell'art. 60, la quale, al tempo stesso, pero', voleva che il procedimento di mediazione si desse comunque senza "precludere l'accesso alla giustizia". Dunque, la legge delega voleva sia che il procedimento di mediazione non durasse piu' di quattro mesi, sia che il procedimento di mediazione non precludesse l'accesso alla giustizia. L'argomento della brevita' del termine non puo' quindi essere utilizzato per escludere l'eccesso di delega, poiche' al contrario, il d.lgs. 28/10, mantenendo il termine gia' fissato nella lettera q) dell'art. 60 della legge 69/09, non ha pero' rispettato la medesima disposizione di legge nella parte in cui escludeva che il procedimento potesse costituire condizione di procedibilita' della domanda, ovvero fosse in grado di precludere, per tutta la sua durata, l'accesso al giudice. Nel rispetto dell'art. 60 della legge delega 69/09 l'obbligatorieta' del procedimento di mediazione in tutte le ipotesi dell'art. 5 del d.lgs. 28/10 non poteva dunque darsi. L'art. 5 del d.lgs. 28/10, in contrasto con l'art. 60 della legge 69/09, e' pertanto incostituzionale per violazione dell'art. 77 Cost. Violazione dell'art. 24 Cost. In secondo luogo si deve prendere atto che la mediazione di cui al d.lgs. 28/10 ha un costo, e lo ha anche nelle ipotesi di mediazione obbligatoria, visto che lo stesso art. 16, 4° comma del D.M. 10 ottobre 2010 n. 180 espressamente prevede che detto costo "deve essere ridotto di un terzo nelle materie di cui all'art. 5, comma 1, del d.lgs.". Si eccepisce, al riguardo, che la mediazione puo' essere obbligatoria, oppure onerosa, ma non le due cose insieme, poiche' se la mediazione, come nel nostro caso, e' tanto obbligatoria quanto onerosa, allora e incostituzionale. Sembra evidente, infatti, che il legislatore possa prevedere la mediazione come scelta libera e cosciente della parte, e in questi casi, quindi, anche prevedere che, chi la scelga, debba pagare il servizio; oppure il legislatore puo' subordinare l'esercizio della funzione giurisdizionale ad un previo adempimento, se questo e' razionale e funzionale ad un miglioramento del servizio giustizia, ed in questo senso, come e' avvenuto con l'art. 410 c.p.c., puo anche prevedere un tentativo obbligatorio di conciliazione, ma senza costi. Se viceversa il tentativo obbligatorio di conciliazione ha un costo, e questo costo non e' meramente simbolico, come avviene con l'art. 16 D.M. 180/10, allora, nella sostanza, il sistema subordina l'esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro. E poiche' il nostro sistema non puo' subordinare l'accesso al giudice al pagamento di una somma di denaro, la media-conciliazione sta in contrasto con i nostri valori costituzionali, e in violazione dell'art. 24 Cost. Cio' e' detto anche alla luce degli orientamenti che la Corte costituzionale ha gia' avuto su questi temi. Sostanzialmente, il legislatore puo' pretendere denari per la funzione giurisdizionale civile solo se questi sono riconducibili a tributi giudiziari o a cauzioni volte a garantire l'adempimento dell'obbligazione dedotta in giudizio. In tutti gli altri casi, e fin da Corte costituzionale 29 novembre 1960 n. 67, lo Stato non puo' pretendere denari per adempiere al suo primo e fondamentale dovere di rendere giustizia. E l'imposizione del pagamento di una somma di denaro per l'esercizio di un diritto in sede giurisdizionale, quale oggi si realizza con la media-conciliazione in forza del combinato disposto dell'art. 5 d.lgs. 28/10 e art. 16 D.M. 180/10, si pone pertanto in contrasto con tutti i parametri di costituzionalita' per come gia' definitivi in precedenti decisioni dalla Corte costituzionale, in quanto: a) si tratta di un esborso che non puo' essere ricondotto ne' al tributo giudiziario, ne' alla cauzione; b) si tratta di un esborso che non puo' considerarsi di modestissima, e nemmeno di modesta, entita'; c) si tratta di un esborso che non va allo Stato, bensi' ad un organismo, che potrebbe addirittura avere natura privata; d) e si tratta infine di un esborso che nemmeno puo' considerarsi "razionalmente collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione", poiche' questi esborsi, di nuovo, sono da rinvenire solo nelle cauzioni e nei tributi giudiziari, non in altre cause di pagamento, e perche' un esborso che non va allo Stato ma ad un organismo, anche di natura privata, non puo' mai avere queste caratteristiche. Violazione dell'art. 3 Cost. In terzo luogo la media-conciliazione rompe altresi' il trattamento paritario nel processo tra attore e convenuto. Cio' gia' avviene con il d.lgs. 28/10, che prevede la condizione di procedibilita' ex art. 5 per la domanda principale e non per la domanda riconvenzionale, ma oggi, piu' gravemente, avviene con l'art. 16 D.M. 180/10, concernente i criteri di determinazione delle indennita'. Tale disposizione, infatti, divide le indennita' del procedimento di mediazione tra "spese di avvio del procedimento" e "spese di mediazione". Le "spese di avvio del procedimento" sono dovute da "ciascuna parte" ma sono versate "dall'istante al momento del deposito della domanda" (2° comma). Parimenti "le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento". Dunque, il decreto ministeriale espressamente prevede che la parte convenuta possa non aderire al procedimento. Cosicche', ai sensi dell'art. 3 Cost.: a) o si ritiene che anche l'attore possa non aderire al procedimento, e quindi possa versare la sola spesa di avvio del procedimento ai fini dell'art. 5 del d.lgs. 28/10 con contestuale dichiarazione di non voler avvalersi del servizio; b) oppure il sistema e' in violazione del principio d'eguaglianza, consentendo solo alla parte convenuta di non aderire al procedimento, ma non alla parte attrice, che si vedrebbe ob torto collo obbligata al procedimento di mediazione per poter far valere in giudizio un suo diritto. L'istituto della media-conciliazione di cui all'art. 5 del d.lgs. 28/10, in combinato disposto con l'art. 16 D.M. 180/10, in questi termini, non viola cosi' solo l'art. 24 Cost. (per essere, al tempo stesso, obbligatoria e onerosa), ma viola anche l'art. 3 Cost., perche' pone su piani diversi, e tratta diversamente, la parte attrice rispetto a quella convenuta. Ne', contro questo argomento, si puo' sostenere che la diversita' di trattamento dipende dalla diversita' delle pretese, perche e' l'attore che vuol adire il giudice, non il convenuto. Un rilievo del genere puo' esser fatto solo da chi veda nell'attore un rompiscatole da arginare e non la parte che ha subito un torto e chiede giustizia. Adire il giudice e' un diritto costituzionale, e chi intende farlo non deve subire pregiudizi rispetto alle altre parti processuali, che possono essere proprio quelle che hanno causato l'insorgere della lite per una violazione di legge. Altrimenti il sistema, oltre ad infrangere il trattamento paritario delle parti in giudizio, rischia altresi' di compromettere seriamente l'elementare dovere del rispetto delle obbligazioni, con gravi ripercussioni non solo sul diritto, ma anche sull'economia. Violazione dell'art. 97 Cost. Un quarto aspetto di incostituzionalita' attiene all'organizzazione interna degli organismi di conciliazione, anche per come definiti con l'art. 4 del D.M. 180/10. Ed infatti, nel momento in cui la procedura di mediazione e' resa obbligatoria al fine di far valere in giudizio un diritto, e nel momento in cui le attivita' del mediatore interferiscono con l'esercizio della funzione giurisdizionale (i verbali di conciliazione, infatti, costituiscono titolo esecutivo (art. 12, d.lgs. 28/10), le proposte di conciliazione, inoltre, hanno conseguenze sulla liquidazione delle spese del giudizio (art. 13, d.lgs. 28/10) ed, infine, la mancata partecipazione al procedimento di mediazione puo' rilevare ex art. 116, 2° comma c.p.c. (art. 8, d.lgs. 28/10)), va da se' che il procedimento ha funzione pubblica, e deve pertanto rispondere ai requisiti di buon andamento e di imparzialita' di cui all'art. 97 Cost., soprattutto quando l'organismo e' ente pubblico. Ora, niente di questo si trova nell'art. 4 del D.M. 180/10, che usa talune espressioni elastiche, e fissa blandi criteri di professionalita' dei mediatori, ma niente piu', senza prescrivere come doverose le condizioni minime di trasparenza, eguaglianza e imparzialita' dovute all'esercizio di una funzione pubblica. In particolare il decreto ministeriale doveva prevedere criteri oggettivi circa l'assegnazione delle pratiche fra i vari mediatori dell'organismo, nonche' criteri oggettivi circa il reclutamento degli aspiranti mediatori presso gli organismi costituiti da enti pubblici. Soprattutto, sotto il primo aspetto, l'assegnazione della pratica al singolo mediatore all'interno dell'organismo andava fissata con crieri oggettivi, analoghi, seppur in forma semplificata, a quelli che sussistono nei tribunali con il sistema c.d. tabellare, visto che, come detto, l'attivita' del mediatore interferisce con la giurisdizione. Il D.M. 180/10 e' rimasto viceversa silente sul punto, lasciando cosi' la questione alla discrezionalita' dell'organismo, che la regolera' in base al proprio statuto. In questo modo si potranno avere statuti che prevedranno l'assegnazione delle pratiche su designazione discrezionale del presidente, oppure di un garante, singolo o collegiale, o di altro soggetto, all'uopo istituito. L'art. 5 d.lgs. 28/10, in combinato disposto con l'art. 4 del D.M. 180/10, si pone pertanto in contrasto con l'art. 97 Cost., visto che l'assenza di un meccanismo oggettivo e predeterminato per l'assegnazione delle pratiche rischia di compromettere l'indipendenza e la terzieta' del mediatore, attribuendo un potere gestionale inammissibile all'organismo. E' la violazione dell'art. 97 Cost. si evidenzia come fondata ove solo si considera che l'attivita' del mediatore interferisce come detto con quella giurisdizionale, e quindi ha la necessita' di essere esercitata alla luce di detti criteri di trasparenza, indipendenza e imparzialita'. P.Q.M. si chiede che l'Ill.mo Giudice di pace Voglia rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.lgs. 28/10, anche in combinato disposto con l'art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, nonche' con gli artt. 4 e 16 del D.M. 10 ottobre 2010 n. 180, per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost. secondo le ragioni sopra esposte.». A seguito della proposizione di tale eccezione lo scrivente Giudice di pace tratteneva la causa in riserva. IV. La questione posta dalla parte attrice e' sicuramente rilevante. Invero, come innanzi accennato, la presente controversia riguarda, pacificamente, un contratto di comodato e, pertanto, rientra nell'ambito di applicazione della disposizione contemplata dall'art. 5 del d.lgs. 28/2010 che cosi' recita: «chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di ... comodato ... e' tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto... L'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. L'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza... Il giudice ove rilevi che la mediazione e gia' iniziata, ma non si e' conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione...». La proposizione della domanda introduttiva del giudizio e', poi, successiva all'entrata in vigore della predetta disposizione e, infine, il convenuto ha tempestivamente sollevato l'improcedibilita' della domanda stessa. Di qui la rilevanza che la disposizione censurata assume nel presente giudizio che, evidentemente, non puo' essere definito senza che ne sia valutata la eventuale compatibilita' con la Carta costituzionale. V. La questione di legittimita' costituzionale della norma in esame appare non manifestamente infondata per le ragioni che seguono. VI. Cionondimeno, prima di entrare nel merito della questione, pare opportuno illustrare, sia pure sinteticamente, il quadro normativo di riferimento. VII. Com'e' noto, la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. La direttiva chiarisce innanzitutto che l'obiettivo di garantire un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale, e, segnatamente, la disponibilita' del servizio di mediazione, nel contesto della politica dell'Unione europea volta a istituire uno spazio di liberta', sicurezza e giustizia, e' un importante contributo al corretto funzionamento del mercato interno (quinto considerando). Alla luce del sesto considerando della direttiva, la mediazione e', infatti, ritenuta una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, poiche' le relative procedure sono concepite in base alle esigenze delle parti, e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilita' di essere rispettati volontariamente, oltre a preservare piu' facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti, benefici che diventano anche piu' evidenti nelle questioni di portata transfrontaliera. La direttiva intende indi delinearne gli elementi chiave, per rendere certo il relativo contesto giuridico (settimo considerando). Sotto il profilo sostanziale, in positivo, si afferma che la direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai «procedimenti di mediazione interni» (ottavo considerando). In negativo, si afferma che la mediazione non dovrebbe applicarsi: «ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facolta' di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritti di famiglia e del lavoro» (decimo considerando); «alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l'arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia» (undicesimo considerando). Quanto agli elementi chiave della mediazione, vengono in evidenza, sempre tra i considerando, la differenza tra mediatore e giudice (dodicesimo considerando), la possibilita' di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto a incentivi o sanzioni, purche' non venga impedita alle parti «di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario» (quattordicesimo considerando) ovvero non si impedisca alle parti, nell'incoraggiare la mediazione, in relazione ai termini di prescrizione e di decadenza, «di adire un organo giurisdizionale o di ricorrere all'arbitrato in caso di infruttuoso tentativo di mediazione» (ventiquattresimo considerando), la fissazione di un termine al processo di mediazione (tredicesimo considerando), la riservatezza del relativo procedimento, anche in relazione all'eventuale successivo procedimento giudiziario od arbitrale (ventitreesimo considerando), l'esecutivita' dell'accordo scritto raggiunto, fatta salva l'ipotesi di contrasto tra lo stesso e il diritto nazionale ovvero quella che l'obbligo contemplato nell'accordo non possa essere per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai fini erariali, la tendenziale neutralita' finanziaria in relazione agli stati membri della mediazione, che puo' includere «il ricorso a soluzioni basate sul mercato» (diciassettesimo considerando). Viene inoltre in rilievo l'assistenza del mediatore (decimo considerando), la sua formazione e l'introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualita' della fornitura del servizio (sedicesimo considerando), la flessibilita' del procedimento di mediazione e l'autonomia delle parti, nonche' l'efficacia l'imparzialita' e la competenza della mediazione (diciassettesimo considerando). La direttiva 2008/52/CE regola la materia con 14 articoli. In particolare: l'art. 1 enuncia l'obiettivo della regolazione («...facilitare l'accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario») e ne delinea il campo di applicazione [«...controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa ne' alla responsabilita' dello Stato per atti o omissioni nell'esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)]; l'art. 3, dedicato alle definizioni, dispone che per mediazione, al di la' della denominazione, si intende un procedimento strutturato ove «...due o piu' parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l'assistenza di un mediatore. Tale procedimento puo' essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto di diritto da uno Stato membro»; lo stesso art. 3 esplicita che per mediatore si intende «...qualunque terzo cui e' chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato...» (lett. b), che comunque incoraggia «...la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti» (par. 2); l'art. 5, dedicato al ricorso alla mediazione, esplicitando l'intendimento gia' anticipato dal preambolo, prevede che «L'organo giurisdizionale investito di una causa puo', se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia...» e che «La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purche' tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario»; l'art. 6 delinea la esecutivita' degli accordi risultanti dalla mediazione, che e', peraltro, esclusa laddove «...il contenuto dell'accordo e' contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l'esecutivita'»; l'art. 8 dispone che «Gli Stati membri provvedono affinche' alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza». VIII. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche in materia di processo civile», e, segnatamente, con l'art. 60, il legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno o piu' decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformita' ai principi e criteri direttivi enunciati al comma 3 (comma 2). Tra questi ultimi, sono attinenti alla materia dell'odierno contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere: «a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia; b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione; c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione...; d) prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia; e) prevedere la possibilita', per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli; f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facolta' di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali; h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro; n) prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della possibilita' di avvalersi dell'istituto della conciliazione nonche' di ricorrere agli organismi di conciliazione; p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l'accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresi', e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente... e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato...; q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi; r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilita' tale da garantire la neutralita', l'indipendenza e l'imparzialita' del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni; s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale». IX. La delega in parola e' stata esercitata con il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. L'art. 2 del d.lgs. 28/2010 recita che «1. Chiunque puo' accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto». L'art. 4 chiarisce che «1. La domanda di mediazione ... e' presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo... 2. L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa. 3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato e' tenuto a informare l'assistito della possibilita' di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresi' l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale...». L'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, che, in continuita' logica con l'ultima disposizione appena richiamata, sancisce al comma 1 che «Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilita' medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita', contratti assicurativi, bancari e finanziari, e' tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. L'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza...». Esclusa, ai sensi dell'ultimo periodo del ridetto comma 1 dell'art. 5 la sua applicazione alle azioni previste dagli artt. 37, 140 e 140-bis del codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), il successivo comma 4 dispone ancora che lo stesso comma 1 (nonche' il comma 2) non si applica: «a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile; c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; e) nei procedimenti in camera di consiglio; f) nell'azione civile esercitata nel processo penale». Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11, 12 e 13, il procedimento di mediazione, anche sotto il profilo temporale (art. 6: durata massima di quattro mesi), gli effetti dalla legge ricondotti ai suoi possibili esiti [a) mancata partecipazione senza giustificato motivo, art. 8, comma 5; b) raggiungimento dell'accordo amichevole, formazione del relativo processo verbale anche sulla base di una proposta di mediazione, ed efficacia esecutiva ed esecuzione dell'accordo, non contrario all'ordine pubblico e a norme imperative, previa omologazione, art. 11, commi 1, 2, 3 e art. 12; c) mancato raggiungimento dell'accordo, art. 11, comma 4], nonche' le spese dell'eventuale giudizio che fa seguito al procedimento di mediazione nel quale non si e' raggiunto un accordo (art. 13), il capo III del d.lgs. 28/2010 e' dedicato agli organismi di mediazione. Al riguardo, viene in rilievo la previsione dell'art. 16, comma 1, della costituzione da parte di enti pubblici o privati, che diano garanzie di serieta' ed efficienza, di organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all'art. 2. Tali organismi devono essere iscritti nel registro, con separate sezioni, disciplinato da appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico, che regola anche le indennita' loro spettanti (art. 16, commi 1 e 2). Dette amministrazioni costituiscono, per la parte di competenza, le autorita' vigilanti sul registro (art. 16, comma 4). Ai fini dell'iscrizione, secondo il comma 3 dello stesso art. 16, gli organismi, unitamente alla relativa domanda, sono tenuti a depositare il proprio regolamento di procedura, la cui idoneita' forma oggetto di specifica valutazione da parte del Ministero della giustizia, e il codice etico. Al regolamento devono inoltre essere allegate le tabelle delle indennita' spettanti agli organismi costituiti da enti privati, che sono a loro volta proposte per l'approvazione, a norma del successivo art. 17. Invero, l'art. 17, disposto ai commi 2 e 3 che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, e che il verbale di accordo e' esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro (altrimenti l'imposta e' dovuta per la parte eccedente), prevede al comma 4 che con il decreto di cui all'art. 16, comma 2, sono determinati: «a) l'ammontare minimo e massimo delle indennita' spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalita' di ripartizione tra le parti; b) i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennita' proposte dagli organismi costituiti da enti privati; c) le maggiorazioni massime delle indennita' dovute, non superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione; d) le riduzioni minime delle indennita' dovute nelle ipotesi in cui la mediazione e' condizione di procedibilita' ai sensi dell'articolo 5, comma 1». La disposizione di cui alla appena citata lett. d) si correla al comma 5, che dispone che, quando la mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda ai sensi dell'art. 5, comma 1, all'organismo non e' dovuta alcuna indennita' dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. X. Con decreto 18 ottobre 2010, n. 180 il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ha adottato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalita' di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonche' l'approvazione delle indennita' spettanti agli organismi. XI. Cio' premesso, e' da precisare che la parte attrice espone che l'art. 5 del d.lgs. 28/2010 e gli artt. 4 e 16 del D.M. 10 ottobre 2010 n. 180 non sfuggirebbero a censure di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 77 e 97 Cost. In particolare: a) l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nel prevedere che l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita', rilevabile anche d'ufficio, della domanda giudiziale in riferimento alle controversie nelle previste materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, responsabilita' medica e diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita', contratti assicurativi, bancari e finanziari), precluderebbe l'accesso diretto alla giustizia, disattendendo espressamente le previsioni della legge delega, art. 60 della legge n. 69 del 2009, e, segnatamente, il principio e criterio direttivo di cui alla q) la quale voleva che il procedimento di mediazione non potesse mai «precludere l'accesso alla giustizia»; b) l'attore sostiene, poi, che l'art. 16, comma 4°, del D.M. 180/2010 viola il canone dell'art. 24 Cost. in quanto, a suo dire, la mediazione puo' essere obbligatoria, oppure onerosa, ma non le due cose insieme, poiche' se la mediazione, come nel nostro caso, e' tanto obbligatoria quanto onerosa, allora e' incostituzionale; c) la suddetta disposizione si porrebbe, poi, in contrasto con la disposizione di cui all'art. 3 Cost. in quanto espressamente prevede che la parte convenuta possa non aderire al procedimento. E, al ricorrere di tale evenienza, il convenuto non e' tenuto al pagamento di alcuna indennita', di qui l'indicata disparita' di trattamento; d) la parte attrice censura, poi, l'art. 4 del D.M. 180/10. Sostiene, infatti, che nel momento in cui la procedura di mediazione e' resa obbligatoria al fine di far valere in giudizio un diritto, e nel momento in cui le attivita' del mediatore interferiscono con l'esercizio della funzione giurisdizionale il procedimento ha funzione pubblica, e deve pertanto rispondere ai requisiti di buon andamento e di imparzialita' di cui all'art. 97 Cost. Nulla di cio' sarebbe invece imposto dalla citata disposizione che, anzi, usa talune espressione elastiche, e fissa blandi criteri di professionalita' dei mediatori, ma niente piu', senza prescrivere come doverose le condizioni minime di trasparenza, eguaglianza e imparzialita' dovute all'esercizio di una funzione pubblica. XII. Ritiene lo scrivente che le questioni di costituzionalita' sollevate dalla parte attrice non appaiano manifestamente infondate. XIII. Anzitutto appare evidente la violazione degli artt. 76 e 77 Cost. per contrasto tra la legge delega e il decreto legislativo 28/10. Va, in proposito, osservato che l'art. 60 della legge 69/09 (legge delega) al terzo comma lett. a) prescrive che nell'esercizio della delega il Governo si attenga, tra gli altri, al seguente principio e criterio direttivo «... a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia». Orbene, in contrasto con la prescrizione della legge delega, l'art. 5 del d.lgs. 28/10 configura il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilita' della domanda giudiziale, di fatto precludendo l'immediato accesso alla giustizia. Il d.lgs. 28/10, concependo il procedimento di mediazione quale propedeutico alla domanda giudiziale, rischia di compromettere l'effettivita' della stessa tutela giudiziale. Non puo' argomentarsi, in senso contrario, che la mediazione di cui all'art. 5 del d.lgs. 28/10 non preclude l'accesso alla giustizia, poiche' attivato il procedimento di mediazione e trascorsi i quattro mesi di cui all'art. 6, l'accesso alla giustizia e' possibile, e la condizione di procedibilita' della domanda e' assolta. Ed infatti, che dopo il procedimento di mediazione la parte possa adire il giudice e' circostanza del tutto evidente, e certamente non v'era bisogno che la legge ricordasse una ovvieta' del genere, poiche' nel nostro sistema e' impensabile che non si dia alla parte il diritto della tutela giurisdizionale. Pertanto, se l'art. 60 della legge 69/09 aveva stabilito che la mediazione doveva darsi «senza precludere l'accesso alla giustizia», essa, evidentemente, non faceva riferimento alla possibilita' della parte di adire il giudice dopo la mediazione, ma faceva riferimento alla necessita' che la mediazione non condizionasse il diritto di azione, e quindi non fosse costruita come condizione di procedibilita'. Ne' puo' argomentarsi che il problema non sussiste per la brevita' del termine di quattro mesi, cosicche' la condizione di procedibilita' dell'art. 5 sarebbe compensata dal termine breve fissato nell'art. 6. Cio', infatti, non puo' sostenersi perche' il termine breve di quattro mesi era gia' stato fissato dalla legge delega, e precisamente nella lettera q) dell'art. 60, la quale, al tempo stesso, pero', voleva che il procedimento di mediazione si desse comunque senza «precludere l'accesso alla giustizia». Nel rispetto dell'art. 60 della legge delega 69/09, l'obbligatorieta' del procedimento di mediazione in tutte le ipotesi dell'art. 5 del d.lgs. 28/10 non poteva dunque darsi. L'art. 5 del d.lgs. 28/10 appare, dunque, in contrasto con l'art. 60 della legge 69/09, e' pertanto incostituzionale per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. XIV. Si deve, poi, convenire con la parte attrice allorche' censura la compatibilita' delle disposizioni in argomento con il fondamentale canone di cui all'art. 24 Cost. Invero, come dalla stessa ben argomentato, se il tentativo obbligatorio di conciliazione ha un costo, e questo costo non e' meramente simbolico, come avviene con l'art. 16 D.M. 180/10, allora, nella sostanza, il sistema subordina l'esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro. A tal proposito, non puo' non convenirsi con l'affermazione secondo cui il nostro sistema non puo' subordinare l'accesso al giudice al pagamento di una somma di denaro. Gia' con la pronuncia n. 67 del 1960 la Corte costituzionale ebbe modo di chiarire che «il principio, secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, deve trovare attuazione uguale per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali» e, saggiamente, aggiungeva «la esclusione dell'applicazione dell'istituto nella ipotesi che l'attore sia stato ammesso al gratuito patrocinio non elimina la disparita' di condizioni, sia perche' tale ammissione e' subordinata alla dimostrazione dello stato di poverta' dell'interessato, e percio' dovrebbe essere rifiutata a chi non si trovasse in tale condizione, sia perche' il procedimento preliminare per la concessione del beneficio non e' sempre rapido come sarebbe desiderabile». Peraltro, e' noto che il problema della compatibilita' tra il principio costituzionale che garantisce a tutti la tutela giurisdizionale dei propri diritti e singole norme che impongono determinati incombenti (anche di natura economica) a carico di coloro che tale tutela richiedano, sia stato risolto alla luce della distinzione fra gli oneri che sono «razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione», da ritenere evidentemente consentiti, e quelli che tendono, invece, «alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alle finalita' predette», i quali - conducendo al risultato «di precludere o ostacolare gravemente l'esperimento della tutela giurisdizionale» - incorrono «nella sanzione dell'incostituzionalita'» (cfr. sentenze n. 522 del 2002 e n. 333 del 2001). Ebbene, come correttamente rilevato dalla parte attrice, nel caso di specie, l'imposizione del pagamento di una somma di denaro per l'esercizio di un diritto in sede giurisdizionale, quale oggi si realizza con la media-conciliazione in forza del combinato disposto dell'art. 5 d.lgs. 28/10 e art. 16 D.M. 180/10, si pone in contrasto con tutti i parametri di costituzionalita', in quanto: a) si tratta di un esborso che non puo' essere ricondotto ne' al tributo giudiziario, ne' alla cauzione; b) si tratta di un esborso che non puo' considerarsi di modestissima, e nemmeno di modesta, entita'; c) si tratta di un esborso che non va allo Stato, bensi' ad un organismo, che potrebbe addirittura avere natura privata; d) e si tratta infine di un esborso che nemmeno puo' considerarsi «razionalmente collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione», poiche' questi esborsi, di nuovo, sono da rinvenire solo nelle cauzioni e nei tributi giudiziari, non in altre cause di pagamento, e perche' un esborso che non va allo Stato ma ad un organismo, anche di natura privata, non puo' mai avere queste caratteristiche. XV. Del pari merita adesione l'argomentazione della parte attrice che ravvede la violazione dell'art. 3 della Cost. L'art. 16 D.M. 180/10, concernente i criteri di determinazione delle indennita', suddivide le stesse in «spese di avvio del procedimento» e «spese di mediazione». Le «spese di avvio del procedimento» sono dovute da «ciascuna parte», ma sono versate «dall'istante al momento del deposito della domanda» (2° comma). Parimenti «le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento». Dunque, il decreto ministeriale espressamente prevede che la parte convenuta possa non aderire al procedimento. Cosicche', ai sensi dell'art. 3 Cost.: a) o si ritiene che anche l'attore possa non aderire al procedimento, e quindi possa versare la sola spesa di avvio del procedimento ai fui dell'art. 5 del d.lgs. 28/10 con contestuale dichiarazione di non voler avvalersi del servizio; b) oppure il sistema e' in violazione del principio d'eguaglianza, consentendo solo alla parte convenuta di non aderire al procedimento, ma non alla parte attrice, che si vedrebbe comunque obbligata al procedimento di mediazione per poter far valere in giudizio un suo diritto. L'istituto della media-conciliazione di cui all'art. 5 del d.1gs. 28/10, in combinato disposto con l'art. 16 D.M. 180/10, in questi termini, non viola cosi' solo l'art. 24 Cost. (per essere, al tempo stesso, obbligatoria e onerosa), ma viola anche l'art. 3 Cost., perche' pone su piani diversi, e tratta diversamente, la parte attrice rispetto a quella convenuta. XVI. Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.