IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello depositato/pervenuto in data 18 ottobre 2010 dal Pubblico Ministero di Brescia avverso l'ordinanza del Tribunale di Brescia - composizione collegiale - 14 ottobre 2010 di rigetto dell'istanza di sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell'art. 304, comma 2 c.p.p. nei confronti degli imputati Agui' Alessandro, Agui' Giuseppe, Araco Rocco, Beffassi Abderrahim, Biviera Rosario, De Moro Raffaele, Mammoliti Domenico, Pasotti Claudio, Romeo Giuseppe, Romeo Mario Giuseppe, Sacco Umberto, Strangio Roberto, pronunciando in sede di rinvio a seguito di sentenza della Corte di Cassazione 7 aprile 2011 (depositata il 7 luglio 2011) di annullamento dell'ordinanza pronunciata da questo Tribunale in data 9-11 novembre 2010. Premesso che gli atti sono pervenuti a questo Ufficio in data 19 ottobre 2011 sciogliendo la riserva formulata all'udienza camerate dell'8 novembre 2011 Osserva Con ordinanza 13 gennaio 2009 il G.I.P. del Tribunale di Brescia applicava agli odierni imputati-appellati la misura cautelare della custodia in carcere per fatti di detenzione e spaccio di stupefacenti del tipo cocaina. Con ordinanza 10 febbraio 2009 questo Tribunale, adito ex art. 309 c.p.p. da tutti gli odierni appellati ad eccezione di Mammoliti Domenico e Romeo Mario Giuseppe, confermava integralmente il provvedimento del G.I.P. sia sotto il profilo della gravita' indiziaria che delle esigenze cautelari e stimava unica misura idonea al soddisfacimento delle predette esigenze quella carceraria. Con successive ordinanze del 16 settembre 2009 e 6 luglio 2010 la misura carceraria era sostituita da questo Tribunale - adito ex art. 310 c.p.p. - con la misura domiciliare nei confronti degli imputati Pasotti e Sacco. Con decreto 16 novembre 2009 il G.I.P. del Tribunale di Brescia disponeva il rinvio a giudizio dei menzionati imputati per plurimi fatti di detenzione a fini di spaccio di cocaina. In particolare, agli imputati Agui' Giuseppe, De Moro Raffaele e Biviera Rosario era contestata per alcune fattispecie l'aggravante ex art. 80 comma 2 legge stup. (rispettivamente, ai capi 7, 8, 9). Il dibattimento era fissato per il giorno 27 aprile 2010, con prosecuzione - secondo il calendario fissato dal Presidente del Collegio in tale ultima udienza - nei giorni: 30 settembre, 5, 11, 14 e 18 ottobre 2010 (l'udienza del 18 ottobre non e' stata poi celebrata per le ragioni di cui subito in appresso). Ammesse le prove orali e documentali, secondo l'ordinanza dibattimentale del 27 aprile 2010, nonche' disposta perizia tecnica per la trascrizione delle conversazioni telefoniche e tra presenti di cui all'elenco rimesso dal Pubblico Ministero, l'istruttoria dibattimentale si articolava nelle ulteriori udienze sopra indicate; all'udienza del 14 ottobre 2010, esaurita l'istruttoria orale (ivi compresi i testi indotti dalla difesa), il Presidente informava le parti del deposito della perizia di trascrizione delle intercettazioni ambientali per il giorno 15 novembre 2010 (risultava, invece, gia' depositato l'elaborato peritale relativo alle intercettazioni telefoniche come da documentazione prodotta in questa sede incidentale), prospettando l'imminente scadenza dei termini di custodia cautelare. Il Pubblico Ministero chiedeva, quindi, in principalita' la sospensione dei termini di custodia ai sensi dell'art. 304, comma 2 c.p.p., e in subordine l'applicazione della misura cautelare dell'obbligo di dimora con divieto di allontanamento in orario notturno. Con ordinanza resa contestualmente il Tribunale, sentite le difese, esclusa la rilevanza della questione per gli imputati Agui' Giuseppe, De Moro e Biviera in quanto nei loro confronti la scadenza dei termini di custodia era fissata al 16 maggio 2011 essendo contestata l'aggravante di cui all'art. 80, comma 2 legge stup., respingeva l'istanza nei confronti degli altri imputati - tutti oggi appellati - rilevando l'inapplicabilita' al caso di specie del disposto dell'art. 304, comma 2 c.p.p. siccome la contestazione mossa non rientrava nel novero dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. per i quali era ammessa la sospensione dei termini ai sensi dell'art. 304, comma 2 c.p.p.; il Tribunale, stante il valore assorbente di tale ultima affermazione, non valutava il profilo della complessita' del dibattimento, e disponeva la scarcerazione al 16 novembre 2010 degli imputati detenuti raggiunti dalla contestazione di' cui all'art. 73, comma 1 d.P.R. n. 309/1990 (e senza la contestazione della menzionata aggravante ex art. 80). Riservava al prosieguo la valutazione della domanda subordinata di applicazione di misura non detentiva (con provvedimento del 16 novembre 2010 il Tribunale applicava appunto agli imputati Agui' Alessandro, Araco Rocco, Beffassi Abderrahim, Mammoliti Domenico, Pasotti Claudio, Romeo Giuseppe, Romeo Mario Giuseppe, Sacco Umberto, Strangio Roberto ai sensi dell'art. 307 c.p.p. la misura cautelare dell'obbligo di dimora con annessi obblighi ovvero la misura dell'obbligo di presentazione alla p.g. - v. produzioni odierne). All'esito, il dibattimento era aggiornato, per gli adempimenti istruttori ex art. 507 c.p.p. e per la discussione, alle udienze del 20, 24 e 27 gennaio 2011. Avverso l'ordinanza del 14 ottobre 2010 proponeva appello il Pubblico Ministero. In particolare, si censurava il provvedimento quanto all'applicabilita' della norma dell'art. 304, comma 2 c.p.p. ai soli imputati Agui' Giuseppe, Biviera e De Moro con rinvio alla sentenza 31 maggio 2007 delle sezioni unite della Corte di Cassazione tale per cui valeva il principio di diritto di applicabilita' del disposto dell'art. 304, comma 2 c.p.p. nei confronti di tutti gli imputati sottoposti a misura cautelare nell'ambito di procedimenti nei quali fosse contestato uno dei reati elencati nell'art. 407, comma 2 c.p.p. anche soltanto a qualcuno di essi in regime cautelare. Da cio' deduceva l'appellante l'operativita' della norma nel caso di specie, in quanto il delitto ex artt. 73 e 80 comma 2 d.P.R. n. 309/1990 risultava contestato agli imputati in regime carcerario Agui' Giuseppe, De Moro e Biviera. In secondo luogo, il Pubblico Ministero osservava l'evidente complessita' del dibattimento in ragione dell'elevato numero di intercettazioni ambientali oggetto di trascrizione peritale, e della particolare durata di queste, delle difficolta' interpretative dei fonemi per il ricorso a gerghi dialettali, del disturbo causato da rumori di sottofondo, della voce bassa degli interlocutori. Al riguardo l'appellante richiamava la giurisprudenza della Corte di Cassazione sul legittimo ricorso al disposto dell'art. 304, comma 2 c.p.p. a fronte di perizie particolarmente complesse e laboriose. Concludeva per la riforma dell'ordinanza impugnata e la sospensione dei termini di custodia cautelare nei confronti di tutti gli imputati in epigrafe indicati. Con ordinanza 9-11 novembre 2010 il Tribunale in sede di appello confermava il provvedimento di primo grado, respingendo la domanda di sospensione dei termini di custodia cautelare. Innanzitutto, il Tribunale conveniva con le osservazioni del Pubblico Ministero quanto all'applicabilita' del disposto dell'art. 304, comma 2 c.p.p. nei confronti di tutti gli imputati sebbene soltanto ad alcuni di loro fosse contestato uno dei reati compresi nel novero dell'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p., e cio' alla stregua della citata giurisprudenza recente delle sezioni unite della Corte di Cassazione. Nel merito, la decisione del Tribunale era differenziata per gli imputati Agui' Giuseppe, De Moro Raffaele e Biviera Rosario da un lato, e per gli imputati Agui' Alessandro, Araco Rocco, Belfassi Abderrahim, Mammoliti Domenico, Pasotti Claudio, Romeo Giuseppe, Romeo Mario Giuseppe, Sacco Umberto, Strangio Roberto, dall'altro. Piu' precisamente, il Tribunale, richiamata la giurisprudenza di legittimita' tale per cui la valutazione di particolare complessita' del dibattimento richiede un giudizio prognostico ex ante di superamento dei termini di fase della custodia cautelare, stimava insussistente il suddetto requisito nei confronti degli imputati Agui' Giuseppe, Biviera Rosario e De Moro Raffaele, tenuto conto della scadenza del termine di custodia nei loro confronti al 16 maggio 2011 e della esclusione del superamento del termine a fronte di uno sviluppo del dibattimento talmente avanzato, essendo gia' state individuate le udienze di discussione e decisione al gennaio 2011, cosi' da essere la definizione del giudizio ampiamente lontana da quel termine di scadenza. A tal proposito il Tribunale ripercorreva i tratti salienti dell'iter dibattimentale sottolineando che al 14 ottobre 2010 risultava esaurita l'istruttoria (tranne il deposito delle trascrizioni delle conversazioni ambientali prorogato al 15 novembre 2010), e che gli incombenti ex art. 507 c.p.p. - gia' preventivati - si riducevano all'audizione di due soli testimoni (tanto che erano state indicate le altre udienze del gennaio 2011 per la discussione e deliberazione), di talche' era prevedibile una celere conclusione di quel giudizio. Relativamente alla posizione degli altri imputati-appellati, nei cui confronti il termine di custodia di fase sarebbe scaduto l'imminente 16 novembre 2010, il Tribunale reputava analogamente - sebbene per tutt'altre ragioni - insussistente il requisito della particolare complessita' del dibattimento. Il Tribunale sottolineava che, pur a fronte di un elevato numero di imputati (32) e di imputazioni gravi, lo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale (conclusa alla data del 14 ottobre 2010 con i limiti sopra indicati) era risultato agevole e contenuto tanto da articolarsi in poche udienze (quattro, per l'esattezza). Sottolineava, altresi', il Tribunale che l'unica ragione di un certo slittamento del dibattimento oltre il termine di custodia cautelare era da individuarsi nella perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche e ambientali, avendo quest'ultimo incombente impegnato circa sette mesi (incarico conferito alla prima udienza dibattimentale del 27 aprile 2010, inizio delle operazioni al 29 aprile 2010, deposito dell'intera perizia, dopo diverse proroghe e dopo un deposito parziale dell'elaborato, al 15 novembre 2010), e prodotto una perizia di trascrizione delle sole telefonate raccolta in cinque volumi e 1672 pagine, e in attesa del deposito dell'ultima parte della perizia afferente la trascrizione di n. 250 conversazioni ambientali. Ed allora, concludeva il Tribunale, acclarata la prossima scadenza dei termini di custodia al 16 novembre 2010 e senza possibilita' di definizione del dibattimento prima di tale data, occorreva stabilire se rientrasse nella nozione di dibattimento particolarmente complesso anche l'ipotesi di un dibattimento in cui il superamento del termine di custodia fosse originato soltanto dall'espletamento della perizia tecnica di trascrizione. Il Tribunale, richiamata la pacifica giurisprudenza di legittimita' secondo la quale il requisito della particolare complessita' poteva essere integrato dall'espletamento di perizia dibattimentale laboriosa e implicante lunghe indagini, segnalava, al contrario, due distinti orientamenti della medesima giurisprudenza quanto a quella specifica perizia volta alla trascrizione delle intercettazioni. Piu' precisamente, il Tribunale, muovendo da un risalente precedente della Suprema Corte (Cass. sez. 1, 26 agosto 1994, Bonacchi), individuava un'interpretazione di legittimita' - presente anche in successive sentenze: Cass. sez. 5, 9 marzo 2000, Romola; sez. 1, 6 maggio 2004, Calaio'; sez. 5, 28 febbraio 2007, Manzi - tale per cui la perizia di trascrizione delle intercettazioni non assume carattere della necessita' ed inevitabilita', presupposto necessario per l'applicazione dell'art. 304, comma 2 c.p.p., quando la sua esecuzione in sede dibattimentale sia stata frutto di una scelta discrezionale del Pubblico Ministero che non ha proceduto alla richiesta di trascrizione in conformita' al disposto dell'art. 268 c.p.p. Infatti, sempre secondo questa interpretazione, sebbene la trascrizione delle intercettazioni in dibattimento non sia sanzionata, non era ragionevole accollare all'imputato in custodia cautelare l'onere di una complessita' dibattimentale che si sarebbe evitata rispettando l'art. 268 c.p.p. Il Tribunale indicava, poi, un diverso e opposto indirizzo giurisprudenziale (piu' recente), secondo cui l'assenza di conseguenze normative alla decisione di procedere alla trascrizione delle intercettazioni in sede dibattimentale piuttosto che nelle fasi precedenti rendeva indifferente la scelta del Pubblico Ministero anche ai fini dell'art. 304, comma 2 c.p.p. (Cass. sez. 2, 22 dicembre 2008, Comisso). A fronte di questo duplice orientamento di legittimita' il Tribunale optava per la prima interpretazione ritenendola maggiormente aderente alle norme del codice e della Costituzione. In particolare, il Tribunale rinviava alle norme di rito che impongono una trattazione celere del dibattimento riservando alle fasi precedenti l'espletamento di incombenti lunghi e laboriosi (art. 392, comma 2 c.p.p.), siccome e' confermato dalle disposizioni volte ad agevolare la concentrazione del dibattimento e la rapidita' di svolgimento della fase (artt. 477, 17, 18 c.p.p.), e in un'ottica interpretativa consona al disposto dell'art. 111, comma 2 ult. periodo Cost. Quindi, pur in adesione a quell'orientamento pacifico della Suprema Corte che legittima la trascrizione delle intercettazioni in sede dibattimentale essendo la relativa prova costituita dai supporti fonici, riteneva il Tribunale che il profilo della legittimita' e della utilizzabilita' della perizia di trascrizione in dibattimento non poteva essere confuso con il profilo delle ricadute della scelta del Pubblico Ministero sul regime cautelare dell'imputato (e, pertanto, sulla nozione di particolare complessita' che condiziona la durata della custodia cautelare), a fronte di norme che, pur in assenza di sanzioni procedimentali, comunque imponevano la trascrizione nella fase antecedente il dibattimento. Concludeva il Tribunale che l'art. 304, comma 2 c.p.p. andava interpretato nel senso che la perizia di trascrizione delle intercettazioni in sede dibattimentale e' necessaria ed inevitabile quando non sia stata conseguenza della violazione dell'art. 268, comma 7 c.p.p., cioe' quando non sia stata espletata nelle fasi precedenti nonostante le opportune iniziative al riguardo dell'organo dell'accusa. Nel merito, il Tribunale rilevava che la complessita' della perizia da eseguire era circostanza nota al Pubblico Ministero per l'entita' delle conversazioni telefoniche e ambientali alla cui trascrizione era interessato, per i gerghi utilizzati nelle conversazioni, per la cattiva qualita' dell'audio, e che l'assenza di qualunque sua iniziativa procedimentale per evitare che la complessita' di quella perizia condizionasse la durata della fase dibattimentale non consentiva di definire l'incombente istruttorio necessario e inevitabile e - giocoforza - non consentiva di ritenere quel dibattimento particolarmente complesso cosi' da giustificare la protrazione della custodia cautelare oltre gli ordinari termini ex art. 303 c.p.p., e respingeva l'impugnazione del Pubblico Ministero. Avverso l'ordinanza del Tribunale era proposto ricorso per cassazione. Con sentenza 7 aprile 2011 (depositata 7 luglio 2011) la Corte di Cassazione annullava l'ordinanza e rinviava al Tribunale per nuovo esame. La Corte riteneva consolidato il principio di diritto affermato nella citata sentenza Comisso e ribadiva che la scelta del momento in cui disporre la perizia, puo' dipendere dai piu' vari accadimenti processuali, senza che il codice di rito autorizzi la deduzione di conseguenze particolari dalla circostanza che la trascrizione delle intercettazioni sia eventualmente disposta in dibattimento invece che nelle indagini o in udienza preliminare, e pertanto rilevava che il Tribunale era incorso in violazione di legge allorche' aveva ritenuto irregolare la scelta del Pubblico Ministero di procedere alla trascrizione in sede dibattimentale. Ritualmente instaurato il contraddittorio relativamente al giudizio di rinvio, all'odierna udienza camerate, assente il Pubblico Ministero ritualmente avvisato, presenti i ricorrenti Agui' Giuseppe e Romeo Mario Giuseppe che nulla dichiaravano, le difese presenti concludevano per il rigetto dell'appello. La decisione nel presente giudizio di rinvio deve essere differenziata, come nella precedente ordinanza, per gli imputati Agui' Giuseppe, De Moro Raffaele e Biviera Rosario. Infatti, per detti imputati si era rilevato il difetto del requisito della particolare complessita' del dibattimento, atteso che non era prevedibile la scadenza dei termini di fase prima della definizione del giudizio di primo grado, termini che per Agui' Giuseppe, De Moro Raffaele e Biviera Rosario scadevano, stante la contestazione dell'aggravante ex art. 80 legge stup., al 16 maggio 2011. Premesso che in relazione a questa conclusione non risulta una diversa valutazione da parte della Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento, ovvero un principio di diritto cui uniformarsi, e' sufficiente rilevare che nei confronti dei suddetti imputati la sentenza di condanna di primo grado e' intervenuta in data 27 gennaio 2011 (con deposito della motivazione in data 16 marzo 2011), e cioe' pendenti quei termini di custodia, sicche' non vi e' materia di disporre la sospensione di termini ritualmente osservati, ne' un interesse in tal senso per l'organo dell'accusa. Consegue l'inammissibilita' dell'appello del Pubblico Ministero per le posizioni Agui' Giuseppe, De Moro Raffaele e Biviera Rosario. Analogamente, l'appello e' inammissibile relativamente alle posizioni Belfassi Abderrahim e Sacco Umberto. Belfassi Abderrahim e' stato assolto dalle imputazioni a lui ascritte con la summenzionata sentenza 27 gennaio 2011 e in quella sede e' stata revocata la misura cautelare non detentiva che gli era stata applicata ex art. 307 c.p.p. con l'ordinanza del 16 novembre 2010. Sacco Umberto e' stato condannato con la precitata sentenza e la condanna e' divenuta definitiva in data 16 marzo 2011 - come specificato dal Pubblico Ministero in sede di trasmissione degli atti per questo giudizio di rinvio - sicche' alla fase cautelare e' subentrata quella di esecuzione della pena. In entrambe le situazioni non vi e', quindi, alcun interesse del Pubblico Ministero all'odierna impugnazione perche' sono venuti meno la materia cautelare e i connessi termini ex art. 303 c.p.p. Consegue sopravvenuta inammissibilita' dell'appello del Pubblico Ministero per le posizioni Belfassi Abderrahim e Sacco Umberto. In relazione a tutti gli altri imputati (Agui' Alessandro, Araco Rocco, Mammoliti Domenico, Pasotti Claudio, Romeo Giuseppe, Romeo Mario Giuseppe, Strangio Roberto) questo Tribunale e' vincolato - ai fini della decisione - al principio di diritto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza di annullamento. E pertanto, esclusa qualsivoglia conseguenza dalla scelta del Pubblico Ministero di procedere alla perizia di trascrizione delle intercettazioni in fase dibattimentale, e preso atto sia della obiettiva complessita' di quell'incombente istruttorio (e si rinvia alle pregresse osservazioni circa la laboriosita' della perizia per mole di conversazioni e connotati dei fonemi), sia, giocoforza, della complessita' del relativo dibattimento, deve ritenersi legittima, ai sensi dell'art. 304, comma 2 c.p.p., la sospensione dei termini di custodia, cio' che imporrebbe la riforma dell'ordinanza del Tribunale 14 ottobre 2010 e la sospensione dei termini cautelari, con i connessi provvedimenti in punto di ripristino delle originarie misure restrittive. Al riguardo deve rilevarsi che non e' condivisibile l'odierno assunto difensivo di una inammissibilita' dell'appello, avendo lo stesso Pubblico Ministero omesso di impugnare il successivo provvedimento del Tribunale della cognizione di applicazione delle misure ex art. 307 c.p.p. Invero, per un verso quest'ultimo provvedimento rispondeva ad un'istanza subordinata dello stesso Pubblico Ministero, in secondo luogo l'ordinanza di rigetto della principale istanza di sospensione dei termini era autonomamente impugnabile (come e' avvenuto) e le eventuali vicende procedimentali afferenti quell'atto travolgono inevitabilmente gli atti consequenziali e successivi. Tuttavia, ad avviso del Tribunale l'interpretazione privilegiata dalla Suprema Corte - e qui vincolante - e' sospetta di illegittimita' costituzionale, sicche' s'impone di sollevare la relativa questione davanti alla Corte Costituzionale. Il Tribunale in sede di giudizio di rinvio ex art. 627, comma 3 c.p.p. e' certamente legittimato a proporre questione di legittimita' costituzionale della norma da applicare, e nell'interpretazione stabilita e vincolante nel giudizio a quo, trattandosi di rapporti non ancora esauriti, e a fronte dell'impossibilita' del giudice di rinvio di discostarsi da quell'unica interpretazione normativa indicata dalla Corte in sede di annullamento (sul punto e' costante l'orientamento della Corte Costituzionale, e tra le altre si citano le seguenti sentenze: 305/2008; 78/2007; 130/1993). Orbene, nel caso di specie l'interpretazione dell'art. 304, comma 2 c.p.p. accolta dalla sentenza della Corte di Cassazione, e a cui questo Tribunale deve uniformarsi ai sensi del citato art. 627 c.p.p., solleva forti dubbi di costituzionalita' di quella norma in relazione agli artt. 3 e 13 della Costituzione. Parimenti non v'e' dubbio della rilevanza della questione atteso che la decisione dell'impugnazione transita necessariamente dall'esegesi dell'art. 304, comma 2 c.p.p. indicata dalla Suprema Corte. L'art. 13 Cost. per un verso riserva alla legge di stabilire i casi e modi di qualunque forma di restrizione della liberta' personale (comma 2), per altro verso riserva analogamente alla legge di predeterminare i limiti massimi di custodia cautelare. La disciplina codicistica dei termini di durata della custodia cautelare (artt. 303 s. c.p.p.) soddisfa proprio questa esigenza superiore di una regolamentazione legislativa, oltre che dei casi e modi, anche dei tempi entro i quali puo' essere limitata la liberta' personale dell'imputato prima della sentenza definitiva. A sua volta, l'art. 304 c.p.p., sempre nel rispetto del principio costituzionale summenzionato, consente, attraverso il meccanismo della sospensione, uno slittamento dei termini massimi di custodia di cui all'art. 303 c.p.p., allorche' si versi in una delle situazioni dalla medesima norma individuate, sebbene la sospensione di quei termini ordinari incontri pur sempre dei limiti invalicabili di durata come individuati dall'art. 304, comma 6 c.p.p. L'art. 304 c.p.p. costituisce percio' un'eccezione rispetto alla durata della custodia cautelare come regolamentata in via generale dall'art. 303 c.p.p. Orbene, costituisce affermazione reiterata nella giurisprudenza della Corte costituzionale, e nella materia dei termini di durata della custodia cautelare, quella per cui non vi e' spazio per gli organi titolari del potere cautelare di scegliere il dies a quo di decorrenza della custodia (queste affermazioni si rinvengono nella giurisprudenza formatasi a proposito dell'art. 297, comma 3 c.p.p.: sentenze nn. 408/2005; 233/2011), nonche' l'altra secondo cui, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela (liberta' personale da un iato, e finalita' del processo e tutela della collettivita' dall'altro), si rinviene la giustificazione del temporaneo sacrificio della liberta' personale di cui all'art. 13 Cost., il quale ultimo pur sempre impone soluzioni che comportino il minor sacrificio della liberta' personale (sentenza n. 299/2005). Pure si rintraccia nella giurisprudenza costituzionale la precisazione che i diritti inviolabili dell'uomo - tra cui la liberta' personale - rispondono ad un principio di valore fondamentale che ha carattere generale, sicche' ogni limitazione o soppressione di quei diritti ha natura derogatoria e eccezionale e le relative norme vanno interpretate in modo rigorosamente restrittivo (sentenze nn. 349/1993; 298/1994). L'esame delle menzionate decisioni consente, quindi, di enucleare alcuni punti fermi della giurisprudenza costituzionale in tema di liberta' personale e termini di custodia cautelare, ovverosia: che l'inviolabilita' della liberta' personale, garantita dalla riserva di legge sia per i casi in cui e' ammessa la restrizione che per i relativi tempi di durata, impone un'interpretazione restrittiva delle norme limitative stante la loro natura derogatoria del diritto; che il sacrificio della liberta' personale deve essere ridotto al minimo; che le limitazioni della liberta' personale connesse alle vicende processuali devono rispettare il principio di proporzionalita', di talche' i limiti di durata vanno ragguagliati, oltre che alla pena, alla concreta dinamica processuale e alle fasi in cui si sviluppa; che la durata della custodia cautelare deve dipendere da fatti obiettivi, cosi' da rispettare i canoni dell'uguaglianza e della ragionevolezza. Anzi, piu' precisamente, la Corte costituzionale ha escluso che la durata della custodia cautelare possa essere determinata da imponderabili valutazioni soggettive degli organi titolari del potere cautelare (e laddove ha rilevato quest'ultima situazione ha deliberato l'illegittimita' costituzionale della norma sottoposta al suo scrutinio: sentenza n. 408 del 2005), ed ha pure sancito che il diritto alla liberta' personale (in termini di durata della custodia cautelare) non puo' subire deroghe o eccezioni riferite a particolari e contingenti vicende processuali (sentenza n. 299/2005). Nell'alveo di questi parametri costituzionali, e dell'interpretazione di essi rinveniente nella giurisprudenza costituzionale, deve essere valutato l'art. 304, comma 2 c.p.p. nell'interpretazione della Corte di Cassazione. Ebbene, il disposto dell'art. 304, comma 2 c.p.p., laddove amplia i termini di custodia cautelare, introduce - come si e' sottolineato in precedenza - un'ulteriore deroga al regime di liberta' personale, perche' consente l'allungamento dei limiti massimi di durata della restrizione, siccome temporalmente parametrati dal precedente art. 303 c.p.p. sulle varie fasi e gradi in cui si articola il procedimento. Questo prolungamento e' subordinato dal legislatore, oltre che alla circostanza che si proceda per determinati delitti normativamente indicati, al requisito della particolare complessita' del dibattimento. La Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento: ha ribadito il principio costantemente affermato tale per cui l'espletamento di una perizia puo' integrare il requisito della particolare complessita'; ha confermato che detta perizia deve avere il carattere della necessita' ed inevitabilita'; ha ritenuto indifferente, nella valutazione di tale ultimo requisito della perizia, l'osservanza o meno dell'art. 268 c.p.p. nella trascrizione delle intercettazioni telefoniche, cosi' reputando irrilevante - ai fini della legittimita' della sospensione dei termini di custodia - la scelta del Pubblico Ministero di richiedere la perizia di trascrizione in dibattimento ovvero nelle fasi anteriori. Ad avviso del Tribunale la norma, cosi' interpretata specie in relazione all'irrilevanza delle scelte del Pubblico Ministero, viola, innanzitutto, il principio costituzionale della riserva di legge ai fini della predeterminazione dei termini massimi di custodia cautelare (art. 13 comma 5). Va premesso che secondo il sistema normativo vigente la perizia di trascrizione deve essere espletata, ai sensi dell'art. 268 c. 7 c.p.p., all'esito delle operazioni di intercettazioni e nella fase antecedente al dibattimento (indagini preliminari ovvero udienza preliminare); detto sistema pure consente, ai sensi dell'art. 392, comma 2 c.p.p., il ricorso all'incidente probatorio per le perizie di durata prevedibilmente superiore a sessanta giorni (e si richiamano tutte le osservazioni di questo Tribunale contenute nell'ordinanza poi annullata). Il sistema legislativo prevede, quindi, l'espletamento della perizia di trascrizione, o piu' in generale di una perizia laboriosa e di lunga durata, nella fase delle indagini preliminari (o anche in sede di udienza preliminare), anticipandone l'esecuzione in ragione della tipologia (la perizia di trascrizione inscindibilmente connessa all'attivita' di intercettazione propria della fase delle indagini), ovvero in ragione di una complessita' inconciliabile con le esigenze di celerita' del dibattimento. Orbene, se le nozioni di particolare complessita' del dibattimento e di perizia necessaria ed inevitabile sono ancorate a scelte procedurali del Pubblico Ministero imprevedibili e soggettive, e comunque difformi dall'impianto legislativo sopra ricostruito (come nell'ipotesi in cui la perizia di trascrizione sia richiesta in sede dibattimentale), una tale esegesi determina una sostanziale violazione dell'art. 13, comma 5 Cost. Infatti, quelle scelte comportano che la prolungata durata massima della custodia cautelare (in deroga a quella di fase dell'art. 303 c.p.p.) e' determinata non gia' alla stregua di fatti e situazioni obiettivamente rilevabili e prestabiliti per legge (come avviene per la disciplina contenuta nel primo comma dello stesso art. 304 c.p.p. che consente la sospensione dei termini in presenza di un rinvio del dibattimento per ragioni legislativamente ammesse ovvero in pendenza di termini di legge), bensi' alla stregua di determinazioni imponderabili del Pubblico Ministero a seconda che decida di richiedere la perizia di trascrizione durante la fase delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, oppure nella successiva fase dibattimentale. E la scelta del Pubblico Ministero di richiedere la perizia in sede dibattimentale si risolve in una iniziativa a maggior ragione imprevedibile, posto che sarebbe comunque una soluzione assunta in difformita' dalle norme del codice, e percio' legislativamente non disciplinata. La circostanza che una tale scelta procedimentale e' immune da sanzioni processuali di nullita' o inutilizzabilita' della prova, secondo un costante orientamento di legittimita' (e pure si richiamano le osservazioni di cui all'ordinanza annullata), non elide il profilo di irregolarita' della determinazione dell'organo dell'accusa allorche' e' attivata la perizia di trascrizione in una sede non propria, e questa irregolarita' ha una sua specifica pregnanza perche' incide sul regime della liberta' personale ampliandone il sacrificio in termini di durata. In altre parole, l'affermazione secondo cui e' necessaria e inevitabile anche un perizia che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle fasi antecedenti al dibattimento ed e' stata, invece, differita a quest'ultima fase per una scelta libera del Pubblico Ministero, determina un'assoluta imprevedibilita' dei termini massimi di fase della custodia cautelare laddove assume quale presupposto di applicazione della norma un iter procedimentale dissonante e imprevisto rispetto al dettato legislativo; e questa peculiare difformita' rimette esclusivamente alla scelta dell'organo titolare del potere cautelare di seguire o meno la procedura del codice di rito e - giocoforza - di determinare un prolungamento dei termini ex art. 303 c.p.p. La suddetta conseguenza vanifica, percio', il precetto costituzionale della riserva di legge dal momento che (a nozione legislativa di dibattimento particolarmente complesso di cui all'art. 304, comma 2 c.p.p. e' assunta in termini ermeneutici tali da attribuire al Pubblico Ministero la liberta' di prolungare o meno la durata della custodia cautelare, e cio' senza alcun riferimento a situazioni obiettive legislativamente indicate, anzi adottando procedure normativamente dissonanti. Diversamente, una delimitazione della nozione di particolare complessita' alle sole perizie che non avrebbero potuto o dovuto essere eseguite nelle fasi anteriori al dibattimento, perche' la relativa esigenza e' consequenziale all'istruttoria dibattimentale e non vi era alcun obbligo normativo in senso opposto (perizie necessarie e inevitabili), produce un sostanziale rispetto della norma costituzionale, atteso che restringe l'ambito di applicazione dell'art. 304, comma 2 c.p.p. innanzitutto alle sole situazioni in linea con il sistema delle norme di rito, e, in secondo luogo, a quelle ipotesi in cui l'urgenza della perizia e' conseguente allo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale. In tutte questi casi il prolungamento dei termini, confinato nell'alveo dell'iter procedimentale previsto dal legislatore, si giustifica esclusivamente in relazione ad accadimenti e sviluppi dibattimentali imprevisti riportando la disposizione legislativa ad un ambito piu' circoscritto, cosi' da rispettare l'esigenza di sacrificare al minimo la liberta' personale in quell'ottica di contemperamento di opposti interessi di cui s'e' detto. Quest' ultima interpretazione e' in linea, percio', con i principi della giurisprudenza costituzionale sopra richiamati (minor sacrificio della liberta' personale, interpretazioni rigorosamente restrittive delle norme limitative della liberta' personale). L'interpretazione dell'art. 304, comma 2 c.p.p. della Corte di Cassazione viola anche, ad avviso del Collegio, il principio di uguaglianza dell'art. 3 Cost. La durata della custodia cautelare nella fase dibattimentale e' condizionata, secondo quella esegesi, dalla solerzia o meno del Pubblico Ministero nella richiesta di perizia di trascrizione, dal momento che un'attivazione in tal senso, subito dopo il provvedimento cautelare e l'ostensione degli atti, riporta quella durata nella disciplina dell'art. 303 c.p.p.; mentre una maggiore inerzia e un differimento dell'esecuzione della perizia al dibattimento consente il prolungamento dei termini di quest'ultima fase. La soluzione di legittimita' tratteggia una disciplina normativa irragionevole allorche' contempla termini di fase differenti in assenza di situazioni obiettive che giustifichino tale differenziazione. Invero, una maggiore ampiezza dei termini di custodia rispetto a quelli legislativi dell'art. 303 c.p.p. e' conseguenza esclusiva di un imponderabile atteggiamento del Pubblico Ministero, derivandone una disciplina diseguale per identiche situazioni. Alla stregua di tutte le precedenti argomentazioni e' - dunque - rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli artt. 3 e 13 comma 5 Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 2 c.p.p. nella parte in cui definisce particolarmente complesso il dibattimento in cui sia stata disposta una perizia (nella specie la perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nella fasi anteriori al dibattimento stesso. Va dunque disposta la sospensione della presente procedura e la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sua decisione ai sensi degli artt. 1 Legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Pubblico Ministero e alle altre parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.