Ricorso della Regione Toscana,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con delibere della Giunta regionale n. 1245  del
27 novembre 2011, rappresentato e difeso, per  mandato  in  calce  al
presente atto, dall'avv. Lucia Bora,  domiciliato  presso  lo  studio
dell'avv. Marcello Cecchetti, in Roma, Via A. Mordini 14; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt.  6;  7,
comma 1; 16; 17; 22; 23, comma 1; 29 e 30 del decreto  legislativo  8
ottobre 2011, n. 176, per violazione  dell'art.  117,  commi  1  e  3
nonche' dell' art. 118 Cost. 
    Nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 258 del  5  novembre
2011 e' stato pubblicato il d.lgs. 8 ottobre 2011,  n.  176,  recante
«Attuazione  della  direttiva  2009/54/CE,  sull'utilizzazione  e  la
commercializzazione delle acque minerali naturali». 
    Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze  regionali
per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    1. - Illegittimita' costituzionale artt. 6 e 7, comma 1,  nonche'
degli artt. 22 e  23,  comma  1,  nella  parte  in  cui  disciplinano
l'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale  ovvero  di
un'acqua  di  sorgente  stabilendo   che   detta   utilizzazione   e'
subordinata all'autorizzazione  regionale,  la  quale  e'  rilasciata
previo accertamento dei requisiti previsti dallo stesso decreto,  per
violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost. 
    Le   disposizioni   in   esame   disciplinano    l'utilizzazione,
rispettivamente, di una sorgente d'acqua  minerale  naturale  e/o  di
acqua di sorgente. 
    In  particolare  e'  stabilito  che   detta   utilizzazione   e/o
immissione in commercio e' subordinata all'autorizzazione  regionale,
la quale e' rilasciata previo accertamento che gli impianti destinati
all'utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo
di  inquinamento   e   da   conservare   all'acqua   le   proprieta',
corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente, e  -
per le acque minerali - fatte salve  le  modifiche  apportate  con  i
trattamenti di cui all'articolo 7, comma 1, lettere b), c) e d) dello
stesso decreto; mentre  -  per  le  acque  di  sorgente  -  allorche'
sussistano le condizioni di cui all'articolo 23, tenendo conto  delle
operazioni consentite dall'articolo 24. 
    Dette  norme  ripropongono  integralmente  quanto  gia'  previsto
dall'art. 5  del  previgente  d.lgs.  n.  105/1992,  attuativo  della
precedente  Direttiva  80/777/CE  in  materia  di  acque  minerali  e
dall'art. 3 attuativo della direttiva 96/70/CE in materia di acque di
sorgente. 
    Tuttavia a seguito del citato d.lgs.  n.  105,  e  soprattutto  a
seguito dei Regolamenti comunitari in materia di igiene dei  prodotti
alimentari (Regolamenti comunitari numeri 852 e  853  del  2004),  la
Regione Toscana aveva  gia'  provveduto  -  con  L.R.  n.  38/2004  e
relativo regolamento attuativo n.  1/R  del  2009  -  a  disciplinare
l'iter   autorizzativo   relativo   all'avvio    dell'attivita'    di
utilizzazione dell'acqua  minerale  e/o  di  sorgente  attraverso  lo
strumento della DIA. L'art. 41 della citata  legge  regionale  n.  38
dispone, infatti,  che  «L'avvio  di  un'attivita'  di  utilizzazione
dell'acqua minerale naturale e di sorgente  e'  assoggettato  ad  una
dichiarazione di inizio attivita', presentata al  comune,  attestante
il possesso dei requisiti previsti dall'articolo 42 e dal regolamento
(CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio  del  29  aprile
2004 sull'igiene dei prodotti  alimentari.  L'attivita'  puo'  essere
avviata dalla data di ricevimento della dichiarazione». 
    La disciplina oggetto del d.lgs. n. 176 in  esame  e'  senz'altro
riconducibile  alle  materie  della  tutela  della  salute  e   della
alimentazione,  entrambe  ricomprese  nell'elenco  delle  materie  di
competenza concorrente regionale di cui all'art. 117, comma 3, Cost. 
    Peraltro, fin dal d.P.R.  n.  616/77  (combinato  disposto  degli
artt. 50 e  61)  sono  state  trasferite  alle  Regioni  le  funzioni
amministrative relative alla materia «acque minerali e  termali»,  le
quali - secondo il disposto  dei  citati  articoli  -  concernono  la
ricerca e  l'utilizzazione  delle  acque  minerali  e  termali  e  la
vigilanza sulle attivita' relative,  ivi  comprese  la  pronuncia  di
decadenza del concessionario. 
    Cio' e' stato successivamente confermato con la legge  Bassanini,
legge n. 59/1997, all'art. 22,  secondo  cui  «Sono  trasferite  alle
regioni le funzioni amministrative dello Stato in materia di  ricerca
e utilizzazione delle acque minerali e termali e la  vigilanza  sulle
attivita' relative». 
    Alla luce di tutto quanto sopra, le norme in esame,  nella  parte
in cui disciplinano puntualmente gli iter autorizzativi  per  l'avvio
dell'utilizzazione   delle   acque   minerali   e/o   di    sorgente,
rappresentano senz'altro un  inammissibile  passo  indietro  rispetto
alle attribuzioni regionali cosi' come delineate  anche  dal  sistema
normativo antecedente la riforma del Titolo V della Costituzione  (in
tal senso si veda la sentenza della Corte costituzionale n.  200  del
2009). In ogni caso, trattandosi di materie (la tutela della salute e
l'alimentazione)  di  competenza  concorrente,  lo   Stato   dovrebbe
limitarsi ad indicare i principi fondamentali. Per contro,  andare  a
disciplinare cosi' nel dettaglio il momento autorizzativo, si traduce
in  una  lesione  delle  prerogative   regionali   costituzionalmente
garantite, cio' in violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost. 
    Va infine rilevato che gia' in sede di Conferenza  Stato-Regioni,
le   Regioni    avevano    rilevato    i    suddetti    profili    di
incostituzionalita';  lo  Stato,  controdeducendo  agli   emendamenti
proposti dalle Regioni in ordine a dette  norme,  avrebbe  richiamato
quale elemento ostativo  all'accoglimento  delle  proposte  regionali
quanto previsto all'Allegato II della direttiva  2009/54/CE,  secondo
cui «1. L'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale  e'
subordinata all'autorizzazione dell'autorita' responsabile del  Paese
in cui l'acqua e'  stata  estratta,  previo  accertamento  della  sua
conformita' ai criteri di cui all'allegato I, parte 1». 
    A tal proposito si osserva innanzitutto che l'autorizzazione  cui
si riferisce la direttiva comunitaria deve  essere  intesa  in  senso
lato, tale da ricomprendere tutti gli strumenti autorizzatori tra cui
anche la DIA e/o la SCIA. 
    Inoltre, l'allegato I, parte I della direttiva 2009/54/CE, cui fa
riferimento la norma comunitaria citata, definisce le caratteristiche
che devono presentare le acque minerali naturali e  /o  le  acque  di
sorgente per essere classificate come  tali,  specificando  quindi  i
principi fondamentali alla base della definizione. Tali principi sono
stati recepiti nel d.lgs. n. 176/2011 all'art.  2,  mentre  le  altre
sezioni dell'Allegato I  della  direttiva  2009/54/CE  sono  recepite
nell'articolo 3 che rimanda ad un  successivo  decreto  del  Ministro
della salute, sentito il Consiglio  superiore  di  sanita',  con  cui
saranno determinati i criteri di  valutazione  delle  caratteristiche
delle acque minerali naturali. 
    La  valutazione  delle  caratteristiche  delle   acque   minerali
naturali, di cui all'Allegato I, parte I della direttiva  2009/54/CE,
e' dunque alla  base  del  riconoscimento  ministeriale  disciplinato
dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 176/2011. 
    Pertanto, la previsione indicata nella parte 1  dell'Allegato  II
della direttiva  2009/54/CE  in  ordine  alla  necessita'  che  siano
previamente accertati i «criteri di cui all'allegato I, parte I»,  e'
riferito  al  procedimento  di  riconoscimento  di   acqua   minerale
naturale, senza che cio' contempli da parte dell'Autorita'  sanitaria
locale specifici accertamenti di natura  tecnico-professionale.  Tale
adempimento e' quindi compatibile  con  lo  strumento  autorizzatorio
regionale che contempla la DIA e/o SCIA. 
    Ed ancora, la previsione dell'autorizzazione  formale  contrasta,
peraltro, con il regime delle liberalizzazioni gia'  avviato  con  il
d.l. n. 138/2011 (art. 3) ed oggi portato a compimento con il d.l. n.
201/2011, il quale  all'art.  34  prevede  «2.  La  disciplina  delle
attivita' economiche  e'  improntata  al  principio  di  liberta'  di
accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le  esigenze
imperative di  interesse  generale,  costituzionalmente  rilevanti  e
compatibili con l'ordinamento comunitario, che  possono  giustificare
l'introduzione  di   previ   atti   amministrativi   di   assenso   o
autorizzazione  o  di  controllo,  nel  rispetto  del  principio   di
proporzionalita'. [...] 4. L'introduzione di un regime amministrativo
volto  a  sottoporre   a   previa   autorizzazione   l'esercizio   di
un'attivita'  economica   deve   essere   giustificato   sulla   base
dell'esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante
e  compatibile  con  l'ordinamento  comunitario,  nel  rispetto   del
principio di proporzionalita'. [...] 6. Quando e' stabilita, ai sensi
del comma 4, la necessita' di alcuni  requisiti  per  l'esercizio  di
attivita'  economiche,  la  loro  comunicazione   all'amministrazione
competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione e
l'attivita' puo'  subito  iniziare,  salvo  il  successivo  controllo
amministrativo, da svolgere in un termine definito; restano salve  le
responsabilita'  per  i  danni   eventualmente   arrecati   a   terzi
nell'esercizio dell'attivita'  stessa.  7.  Le  Regioni  adeguano  la
legislazione di loro competenza ai principi e alle regole di  cui  ai
commi 2, 4 e 6.». 
    In   conclusione   le   disposizioni   in   esame   rappresentano
un'illegittima lesione delle prerogative regionali costituzionalmente
garantite in quanto disciplinano in maniera puntuale il  procedimento
autorizzativo con riferimento a materie, quali la tutela della salute
e l'alimentazione, di competenza concorrente, in relazione alla quale
lo  Stato  deve  limitarsi  a  dettare  esclusivamente   i   principi
fondamentali; cio' in violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost. 
    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,  lettera
a) e dell'art. 23, comma 1, lettera a), nella parte in cui  prevedono
tra i criteri per il rilascio dell'autorizzazione di cui  si  tratta,
tra le altre cose, l'accertamento che  la  sorgente  o  il  punto  di
emergenza siano protetti contro ogni pericolo di inquinamento e siano
applicate, ai fini della tutela dei corpi idrici, le disposizioni  di
cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,
per violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost. 
    Si rileva  ulteriormente  l'incostituzionalita'  degli  artt.  7,
comma 1, lettera a) e 23, comma 1, lettera a), sotto  altro  profilo,
ancorche' in via meramente cautelativa, nella parte in cui  prevedono
tra i criteri per il rilascio dell'autorizzazione di cui  si  tratta,
tra le altre cose, l'accertamento che  la  sorgente  o  il  punto  di
emergenza siano protetti contro ogni pericolo di inquinamento e siano
applicate, ai fini della tutela dei corpi idrici, le disposizioni  di
cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. 
    In particolare, detto  ultimo  periodo  non  appare  conforme  al
dettato costituzionale, nella misura in cui il riferimento alla Parte
Terza  del  decreto  legislativo  n.  152/2006   non   possa   essere
considerato dalle Regioni (solo) come livello minimo  di  protezione.
In altri termini detta  disposizione  appare  violare  la  competenza
regionale ex art. 117, comma 3, in materia di tutela della salute  ed
alimentazione, ove dovesse essere interpretata nel senso di  ritenere
precluso per le Regioni l'applicazione di misure di  protezione  piu'
rigorose. 
    Infatti, l'invocata disciplina della Parte Terza  del  d.lgs.  n.
152/2006 (art. 94) e' relativa alle aree di salvaguardia delle  acque
superficiali  e  sotterranee  destinate  al  consumo   umano   (acque
disciplinate dal d.lgs. n. 31/2001, di  recepimento  della  direttiva
98/83/CE),   per   le   quali   e'   previsto   un   trattamento   di
potabilizzazione; al contrario, per le acque minerali naturali e/o di
sorgente  non  e'  ammesso  alcun  trattamento  di  potabilizzazione,
pertanto le misure del  d.lgs.  n.  152/2006  potrebbero  non  essere
sufficienti  a  garantire  la  protezione  del  giacimento  di  acque
minerale.  Non  potrebbe  pertanto  (legittimamente)  escludersi   la
possibilita' per le Regioni di valutare, sulla base di  criteri  piu'
restrittivi  rispetto  a  quelli  imposti  dal  d.lgs.  n.  152/2006,
l'identificazione delle necessarie aree di salvaguardia. 
    La Corte Costituzionale a tal proposito ha affermato che «L'esame
di alcune delle  censure  proposte  nei  ricorsi  presuppone  che  si
risponda all'interrogativo se i valori-soglia (limiti di esposizione,
valori di attenzione, obiettivi di qualita' definiti come  valori  di
campo), la cui fissazione  e'  rimessa  allo  Stato,  possano  essere
modificati dalla Regione, fissando valori-soglia piu' bassi, o regole
piu' rigorose o tempi piu' ravvicinati per la loro adozione. 
    La  risposta  richiede  che  si  chiarisca  la  ratio   di   tale
fissazione. Se essa consistesse  esclusivamente  nella  tutela  della
salute», come e' evidentemente nel caso delle autorizzazioni  di  cui
al d.lgs. n. 176/2011 qui contestato, «potrebbe invero essere  lecito
considerare ammissibile un intervento delle  Regioni  che  stabilisse
limiti piu' rigorosi  rispetto  a  quelli  fissati  dallo  Stato,  in
coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario, che
ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici  territori,  con
effetti di maggiore protezione dei valori tutelati (cfr. sentenze  n.
382 del 1999 e n. 407 del 2002)» (cfr.  sentenze  nn.  307/2003).  Ed
ancora, «le disposizioni  [rectius  regionali]  censurate  contengono
prescrizioni cautelative volte ad incidere,  in  primo  luogo,  sugli
strumenti urbanistici generali e sulle loro  varianti,  con  riguardo
alle distanze tra le aree destinate a nuove costruzioni residenziali,
scolastiche e sanitarie e le linee elettriche aeree esterne, nonche',
al tempo stesso, sulle distanze che vanno mantenute fra  le  medesime
linee elettriche,  ove  di  nuova  installazione,  e  le  costruzioni
esistenti. 
    L'espresso riferimento della  legge  agli  strumenti  urbanistici
dimostra come la Regione si  mantenga,  pur  sempre,  nell'ambito  di
attribuzioni sue proprie ed in particolare nell'ambito di  competenze
che -  anche  a  trascurare  il  piu'  recente  intervento  normativo
rappresentato dagli artt. 51 e seguenti del  decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 112 - attengono, secondo la definizione di urbanistica
enucleabile dall'art. 80 del d.P.R. 24  luglio  1977,  n.  616,  alla
«disciplina  del  territorio  comprensiva  di   tutti   gli   aspetti
conoscitivi, normativi e  gestionali  riguardanti  le  operazioni  di
salvaguardia e di trasformazione  del  suolo  nonche'  la  protezione
dell'ambiente». 
    Come si evince dalla disposizione teste' riportata, alla funzione
di governo del territorio  si  riallaccia  anche  una  competenza  in
materia  di  interessi  ambientali,  da  reputare  costituzionalmente
garantita e funzionalmente collegata, secondo quanto gia' a suo tempo
evidenziato da questa Corte (sentenza n. 183 del  1987),  alle  altre
spettanti  alla  Regione,  tra  cui,  oltre  all'urbanistica,   quale
funzione ordinatrice  dell'uso  e  delle  trasformazioni  del  suolo,
quella  dell'assistenza  sanitaria,  intesa  come   complesso   degli
interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana. 
    Nell'ambito di un tale assetto ordinamentale,  la  Regione,  come
ente rappresentativo della molteplicita' degli interessi legati  alla
dimensione territoriale, non puo' non reputarsi  titolare  anche  del
potere di verifica della compatibilita' degli interventi che, attuati
dai vari soggetti, comportano effetti sul territorio.  Ed  e'  questa
indubbiamente la prospettiva nella quale appare collocarsi  la  legge
denunciata, che rimane nell'ambito delle competenze regionali,  anche
se comporta l'imposizione di distanze superiori  a  quelle  richieste
per il rispetto dei limiti massimi di esposizione ai campi  elettrico
e  magnetico,  quali  stabiliti  dallo  Stato  nell'esercizio   delle
attribuzioni ad esso riservate dall'art. 4 della  legge  n.  833  del
1978 e dall'art. 2, comma 14, della legge n. 349 del  1986.  Ma  tali
attribuzioni non  possono  indurre  a  ritenere  incostituzionale  la
denunciata disciplina, specie a considerare che essa se, da un canto,
implica limiti  piu'  severi  di  quelli  fissati  dallo  Stato,  non
vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di protezione della
salute da quest'ultimo perseguiti» (cfr. in  tal  senso  sentenza  n.
382/1999). 
    Si  rileva  pertanto  la  lesione  delle   competenze   regionali
costituzionalmente garantite in materia  di  tutela  della  salute  e
alimentazione, da parte delle norme in esame, ove i richiamati limiti
di cui alla Parte Terza del d.lgs. n. 152/2006 dovessero considerarsi
inderogabili dalle Regioni a favore  di  misure  piu'  rigorose,  con
conseguente violazione degli arti. 17, comma 3, e 118 Cost. 
    3. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 16  e  17  nonche'
degli artt. 29 e 30, nella parte  in  cui  disciplinano  puntualmente
l'attivita'  di  vigilanza  sulle  utilizzazioni  e  sul   commercio,
rispettivamente, delle acque minerali e delle acque di sorgente,  per
violazione dell'art. 117, commi 1 e 3, e art. 118 Cost. 
    Le disposizioni richiamate disciplinano l'attivita' di  vigilanza
sulle utilizzazioni e sul  commercio,  rispettivamente,  delle  acque
minerali e delle acque di sorgente, riproducendo  nella  sostanza  la
disciplina contenuta nei previgenti d.lgs. n. 105/1992  (artt.  14  e
15) e d.lgs. n. 339/1999 (artt. 11 e  12).  La  riproposizione  delle
disposizioni in tema di vigilanza cosi' come previste dai  su  citati
decreti del 1992 e del 1999 (disciplina peraltro non contenuta  nella
direttiva 2009/54/CE, cui il  d.lgs.  n.  176/2011  da'  attuazione),
finiscono  per  configurare  un  doppio  sistema  di  controllo,  uno
specifico sulle acque minerali naturali e/o di sorgente, disciplinato
dal decreto legislativo in esame ed uno sulla  sicurezza  alimentare,
derivante  dal  regolamento  CE  882/20004,   nel   cui   ambito   di
operativita' vanno evidentemente  ricondotti  anche  i  controlli  in
ordine alle acque di cui  si  tratta.  Tale  duplicazione  non  trova
giustificazioni normative, amministrative,  tecniche  e  sanitarie  e
determina un aggravio di costi  per  i  sistemi  sanitari  regionali,
senza alcun beneficio in punto di tutela della salute pubblica. 
    Tali norme appaiono, in primo luogo,  lesive  delle  attribuzioni
regionali in quanto intervengono,  con  una  disciplina  puntuale,  a
regolamentare le funzioni di  vigilanza  attribuite  da  sempre  alle
Regioni (si vedano le considerazioni  gia'  svolte  al  punto  1  del
presente ricorso), ed attinenti - come visto  -  alla  materia  della
tutela della  salute  e  dell'alimentazione  in  cui  lo  Stato  puo'
intervenire solo con disposizioni di principio; cio' in contrasto con
gli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. 
    Inoltre, si ripete, la disciplina in esame delinea un sistema  di
vigilanza e di controllo mututato dalla vecchia normativa statale  la
quale, evidentemente, non tiene in alcun conto della  disciplina  nel
frattempo adottata  a  livello  comunitario  con  il  regolamento  CE
882/2004, recante Regolamento del Parlamento europeo e del  Consiglio
relativo ai controlli ufficiali intesi a  verificare  la  conformita'
alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla
salute e sul  benessere  degli  animali,  che  regola  la  disciplina
igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e
delle bevande, nonche' con il Regolamento  CE  n.  178/2002,  recante
Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che  stabilisce  i
principi  e  i  requisiti  generali  della  legislazione  alimentare,
istituisce l'Autorita' europea per la sicurezza  alimentare  e  fissa
procedure nel  campo  della  sicurezza  alimentare,  che  prevede  un
procedimento di allerta per alimenti e mangimi, non conforme a quello
previsto dal decreto legislativo n. 176 in esame. 
    A titolo esemplificativo si evidenzia che: 
        all'art.  17  e  all'art.  30,  si  richiamano,   in   quanto
compatibili, le norme vigenti in materia di disciplina igienica della
produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle  bevande
(di cui al Reg. CE 882/2004), solo con riferimento alle modalita'  da
osservare per le denunce all'autorita' sanitaria e giudiziaria, per i
sequestri da effettuare a tutela  della  salute  pubblica  e  per  le
revisioni di analisi che,  tuttavia,  rappresentano  soltanto  alcune
delle attivita' riguardanti il controllo ufficiale; 
        ed ancora, gli artt. 16, comma 6, e 29, comma  6,  dispongono
che nel caso in cui venga accertato che  un'acqua  minerale  naturale
e/o di sorgente, proveniente da uno Stato membro dell'Unione europea,
non  risulti  conforme  alle  disposizioni  del  presente  decreto  o
presenti  un  pericolo  per  la  salute  pubblica,   ferma   restando
l'adozione di provvedimenti urgenti a tutela della  salute  pubblica,
e'  fatto  obbligo  alle  autorita'  competenti  di  darne  immediata
comunicazione al Ministero  della  salute  precisando  i  motivi  dei
provvedimenti adottati. Detta  procedura  contrasta  con  il  sistema
rapido di allerta  per  alimenti  e  mangimi  vigente  in  ambito  di
sicurezza alimentare. 
    Sotto  questo  profilo  puo'  evidenziarsi   quindi   l'ulteriore
violazione dell'art. 117, comma 1,  Cost.,  in  quanto  la  normativa
statale di cui si tratta contrasta  con  quanto  disposto  a  livello
comunitario. 
    Anche in tal caso, poi, come  per  il  regime  autorizzativo,  la
disciplina statale in esame e' difforme  da  quanto  ha  disposto  la
Regione Toscana, conformemente alla su citata normativa  comunitaria,
con l'art. 46 della l.r. n. 38/2004 (poi specificato negli artt. 25 e
ss. del DPGR 11/R/2009), ove si legge: 
    «1. Il controllo ufficiale sull'attivita' di utilizzazione  delle
acque minerali naturali e di sorgente e' effettuato dalle aziende USL
in conformita' alle disposizioni del regolamento (CE) n. 882/2004 del
Parlamento e del Consiglio, del 29 aprile 2004 relativo ai  controlli
ufficiali intesi  a  verificare  la  conformita'  alla  normativa  in
materia di mangimi e di alimenti e alle  norme  sulla  salute  e  sul
benessere degli animali. 
    1-bis. Con regolamento d'attuazione sono individuate le modalita'
di svolgimento del controllo ufficiale sulle acque minerali  naturali
e di sorgente, e in particolare: 
        a) le procedure e le  modalita'  del  prelievo  dei  campioni
delle acque minerali naturali e di sorgente e  dell'esecuzione  delle
relative  analisi   compresi   i   criteri   e   le   modalita'   per
l'aggiornamento anticipato delle analisi in etichetta; 
        b) le modalita' di trasporto dei campioni  e  la  definizione
del  personale  competente  all'esecuzione  dei  prelievi   e   delle
ispezioni; 
        c) le frequenze minime di controllo nelle varie  parti  della
filiera; 
        d) le modalita' di effettuazione dei controlli, ivi  compresi
quelli analitici, e di ripartizione dei costi; 
        e) i metodi analitici per  la  determinazione  dei  parametri
chimici, chimico-fisici e microbiologici; 
        f)   le   procedure   per   l'emissione   del   giudizio   di
accettabilita' sui campioni  prelevati  e  per  l'invio  dei  referti
analitici; 
        g) le procedure di verifica della corretta  applicazione  del
piano di autocontrollo.». 
    Le norme in esame violano pertanto gli artt. 117, commi 1 e 3,  e
118 Cost.